Leonzio Pilato di Seminara

Al preside Michele Maduli, mio caro amico

 

Vorrei, Mattia, farti conoscere qualcosa circa il preumanesimo in Italia, che ha vari centri nel Settentrione – dove ancora ci sono lotte tra guelfi e ghibellini, pur mancando i duo luminaria/i due soli del Papato e dell’Impero – e nel Meridione, dove c’è un regno unitario sotto i D’Angiò. Desidero accennare brevemente a quello di Padova – in cui hanno rilievo il giudice Lovato Lovati 1240-1309 e il notaio guelfo Alberino Mussato (1262-1329) scrittore di Ecerinis, una tragedia di tipo senecana, per la quale ebbe l’onore di essere laureato poeta per aver celebrato l’impresa di Enrico VII in Historia augusta (16 libri) – e poi vorrei trattare di quello di Seminara con un certo Barlaam, tal Bernardo Massari, col suo discepolo, di nome Leonzio Pìlato, oggetto della nostra modesta ricerca!

*Non ho mai sentito parlare di Leonzio Pilato, di Seminara. Nonno, non so neanche dove sia Seminara e non conosco niente di Preumanesimo!

Mattia, allora, ascolta e cerca di seguire come meglio puoi. Seminara è un piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, da cui provengono i primi grecisti, conosciuti nel XIV secolo, Barlaam, vescovo di Gerace, paese dell’Aspromonte, e un suo discepolo, il monaco Leonzio Pilato, traduttore di Omero in latino.

*Grazie, nonno, e cosa è il preumanesimo?

Noi, professori, di solito, indichiamo con Preumanesimo un periodo che precede l’Umanesimo, che è un fenomeno di rinascita dell’uomo e di scoperta della natura terrena, in un’opposizione a Dio e al cielo, mentre si dice che rifiorisca la lingua latina classica con gli Studia delle Humanae litterae, in una volontà di riscoprire i valori realistici dell’umano vivere, essendo spenti gli aneliti spirituali theologici medievali.

Cosa sono gli studia?

Nella prima e seconda metà del Trecento c’è un movimento culturale nuovo di studiosi, di uomini dediti alle litterae latinae che, amando la ricerca filologica ed archeologica, dànno maggiore risalto , invertendo il fine della loro indagine e mirando al realismo del mondo romano, ai reali valori agricoli e pagani e alla terrena quotidianità, senza curarsi più, quasi dimentichi, della ricerca teologica, volendo mettere insieme le artes umane con la politica , per un orientamento terreno, umano individuale personale, seguendo i naturalisti, in un deciso distacco dalla dominante retorica platonico-aristotelico- stoica, tesa al proton toon protoon/principio divino, retorico, ecclesiastico, in un quadro spettrale di morte, di guerra, e di masse fameliche di salariati e di una societas civile allo sbando, totale, priva dell‘auctoritas imperiale e papale.

*Nonno, mi vuoi dire che avviene una trasformazione epocale che forse ho capito già quando ho sentito una tua lezione su Dante e Cecco d’Ascoli.

Mattia, quella poi confluita in Mito di Roma e di Augusto in Monarchia di Dante?

*Si, nonno. Tu mostravi la via, seguita dall’Alighieri razionale e teologale- quella di Virgilio e Beatrice, che conducono, attraverso l’esperienza negativa del male infernale e la purificazione purgatoriale, ai cieli e alla contemplazione di Dio e al mistero, tramite la preghiera congiunta del mistico Bernardo di Clairveaux e di Maria vergine-madre, dell’unità e trinità divina e dell’incarnazione del Figlio – spiegando anche l’altra via, quella razionale e naturale dell’ascolano Cecco Stabili, che segue la guida di Lucrezio Caro alla scoperta della natura, dell’uomo e del suo personale essere umano, più vicino alla realtà di male trecentesco.

Hai, allora, già capito il valore del preumanesimo di chi disdegna il cielo e di chi ama la terra, e quindi, la loro differenza dottrinale e le loro diverse opere – Commedia dantesca e Acerba cecchiana – che indicano due pratiche di vita per cui l’uno vive, da cavaliere bellator, dignitosamente il suo esilio e l’altro, coerentemente, da medico e da scienziato, arriva al martirio del rogo di Santa Croce, in nome della sua onestà professionale di docente universitario, eretico! A modo tuo, hai compreso la svolta epocale rilevando con Dante la via celeste dei frati spirituali francescani e con Cecco la via umana e terrena, razionale e naturale, lucreziana, opposta a quella virgiliana: si fa risorgere il sistema uomo, epicureo, materialistico, annullando la pietas christiana, in un tentativo di conciliare sacro e profano, dio ed uomo, secondo l’ideologia pagano- precostantiniana e preteodosiana imperiale romana, curando le discipline indispensabili al perfezionamento della natura umana nella sua interezza, con le scienze nuove della filologia e della archeologia, desiderando leggere perfino i codici antichi, con lo spirito di chi paganamente cerca la propria storia sulla terra, convinto ormai di essere parte di essa. La cultura non si limita solo alla logica dell’intelletto immortale, ritenuta retorica, ma ha nel saggio preumanista l’uomo che vuole conoscere la grammatica, la retorica e la storia, la filosofia e la sua anima razionale stessa, materiale, istintuale, cercando di restaurare il latino classico, liberandolo dalle scorie “barbare” del latino medievale, facendo una scelta di rinnovata civiltà!

*Con la scelta del latino, ciceroniano, quindi, nonno, si aderisce a un mondo di cultura e di valori, in cui è naturale l’imitazione come il principale canone stilistico letterario – a cui fino ad allora si faceva seguire anche l’imitazione morale, che ora conduce alla conquista della personalità umana attraverso l’immedesimazione e lo studio della cultura antica. Ho capito qualcosa?

Penso di si, Mattia. Si tratta di una nuova forma di educazione integralmente umana; si cerca un’altra eleganza stilistica, si trova la parola ornata, appresa dallo studio amoroso dei classici, come segno di maturità spirituale e di una differente cultura umana, di erudizione latina. Questo ideale culturale comporta la svalutazione dei due pilastri dell‘università medievale: da un lato la filosofia platonico- aristotelico- tomistica (che è accettata solo se si riveste dell’eleganza stilistica ciceroniana, compresi i valori realistici), dall’altro gli studi, volti a conseguire professioni remunerate, che erano tradizionalmente quelle di theologia e di diritto, ora invece sono quelle di diritto per la procedura notarile e di diritto per la costituzione di archivi, dopo esame dei termini secondo filologia da una parte, e medicina, dall’altra – intesa non più come ars magica, ma come cura dell’uomo malato, come tentativo di mantenere la sanità su principi naturali, come studio materiale delle partes anatomiche del fisico, rilevato ed esaminato nella sue sostanze costitutive, secondo la precettistica romana galeniana -. Noi professori consideriamo Petrarca e Boccaccio, due preumanisti, cioè uomini che iniziano a considerare e a dare maggiore rilievo all’uomo, alla sua vita terrena e alla sua ricerca umana sulla terra, in senso empatico, sentimentale/cordialis, all’amore con donne (Laura e Fiammetta) in una tensione al raggiungimento personale della felicità, in una ripresa degli studi classici, che rivelano il pagano piacere dell‘humanitas, in un abbandono della via celeste/contemplativa, theorica – tipica di un percorso ascetico di perfezione dell‘Itinerarium mentis in deum francescano, connesso con la cultura cristiana tomistica aristotelica, scolastica-.

Nonno, sono uomini che si convertono ad un nuovo tipo di vita, desiderosi non di vivere secondo i precetti dei christianoi, ma dei pagani, i cui testi antichi sono ricercati da studiosi nei conventi, quando i cavalieri non sono più cavalieri, quando i monaci hanno tradito i loro fondatori, Francesco e Domenico, quando non esiste più l’Impero e quando la Chiesa romana è in Avignone, quando il mercantilismo domina per conseguire la ricchezza, che è diventato un comune obiettivo delle masse analfabete, artigiane, inurbate!

Mattia, Petrarca e Boccaccio cercano la collaborazione di un grecista, che possa garantire la lettura in latino di Omero, di cui il poeta aretino possiede l’Iliade, un codice parigino , trovato in un convento, e riescono a convincere Leonzio Pilato a farne la traduzione latina, in prosa, come esemplare per gli studiosi, anche per i magnati e per gentes novae, che usano il solo volgare, quando si è in un’età di passaggio tra il Medioevo e l’Umanesimo, come si vivesse il suo autunno, in un momento storico in cui è chiara l’epopea del mercantilismo cioè il momento più alto e positivo dell’affermazione in Europa del fare mercato ad opera dei lombardi– quelli della longobardia, cioè di italici prevalentemente tosco-emiliani e lombardi che avevano al loro seguito milites e frati, che giravano con cartulae papali, autorizzanti anche la riscossione delle decime ecclesiastiche-.

*Parli delle genti nuove dantesche e delle loro corporazioni?

Mattia, sono morti di fame, cittadini venuti dal contado, ostili ai cavalieri, proletari, inurbati, che campano di espedienti giornalieri, che senza arte, vivono col lavoro delle loro braccia, che si sono organizzati in Arti maggiori, arricchiti, e Arti minori, benestanti, dopo gli Ordinamenti di Giano della Bella. Accanto a loro ci sono i miserabili senza arte, impediti perfino di consociarsi e puniti da appositi magistrati se disobbedienti col taglio di mano o di piede o se troppo invadenti nelle richieste lavorative! Accanto ai mercanti, che, portando le loro merci anche all’estero, formano carovane, protette da cavalieri, vi sono tanti altri uomini, oltre ai clerici, vagantes, letterati in cerca di fortuna, provenienti da scholae episcopali dell’Italia settentrionale e da quelle meridionali, che abbandonano gli studi theologici ed ora si servono della lingua greca e latina – di cui cercano i codici antichi e, pubblicandoli, dànno esempi di un altro vivere, di un altro sistema di vita umano, centrato sul valore dell’uomo, che vive la sua vita quotidiana, in una celebrazione del lavoro, del sacrificio terreno per avere un piacere, anche sensuale e sessuale, esprimendo un vitalistico eroismo, nell’imitazione dei modelli classici di virtutes romane – cfr. Ab Iove principium -.

*Nonno, è un fenomeno, dunque, popolare, pilotato da pochi, eletti, che risulta non solo italiano perché si ha una comune lingua latina, parlata universalmente in Occidente dai dotti e capìta anche da chi usa ogni volgare locale, di derivazione latina?

Certo. Comunque, con la circolazione delle merci circolano uomini di differente cultura, cavalieri, analfabeti, mercatanti e dotti frati e giovani mastri con operai che , desiderosi di fare, col lavoro, sperano di trovare possibilità di guadagno, offrendosi come animali da soma, seguendo le carovane ben scortate dei ricchi commercianti, intenzionati a riempire i mercati europei dei loro prodotti.

* Che tipo di moneta hanno?

Da tempo circolava la moneta di origine carolingia, poi, man mano si affermò una moneta locale, prima la lira e poi il fiorino d’oro, toscano-fiorentino, di 24 carati, di grammi 3, 53, del valore di una lira, quando nei mercati la lingua era quella medievale latina coi volgari nazionali del si, d’oc, e d’oil , allorché si attesta la presenza di banchi ad opera di banchieri lombardi che sono agenti di cambio che fanno anche prestiti ad usura di denari e di soldi , coniati in Germania, Francia ed anche da vari comuni dell’Italia centrale e settentrionale, tra cui, Asti, Ancona, Bergamo, Ravenna e Siena, Firenze, Pisa. In effetti, siccome dall’VIII secolo esisteva la monetazione carolingia, che si basava sul fatto che con una una libbra si otteneva, alla zecca, 240 denari d’argento, vigendo il monometallismo argenteo, si era cominciato ad usare la lira come moneta del peso di 409 grammi e il soldo come 1/20. Il fenomeno riguardava la circolazione nel Settentrione d’Italia e in Provenza e poi in tutta Europa, e poi anche nel Meridione italiano – dove diversa era la monetazione normanno-sveva imperiale fino all’epoca federiciana, divenuta poi simile a quella del Regno dei Valois, data la parentela con gli Angioini, vincitori di Manfredi nella battaglia di Benevento del 1266 -.

 

 

Monetazione carolingia

 

Fiorino ( Milano, Museo civico )

 

 

 

*Nonno, è vero che in questo periodo di formazione degli stati nazionali, si costituiscono grandi eserciti e ci sono molti comandanti mercenari e nuovi funzionari, oltre a nuovi sistemi di armamento, per cui re e papi hanno bisogno urgente di denaro?!

Mattia, all’autunno del Medioevo , cioè dopo la morte di Bonifacio VIII nel 1303 e la captività avignonese nel 1305 e specie di Arrigo VII nel 1313, la Germania, l’Italia settentrionale non trovano possibilità di sostituzione imperiale , mentre Roma, senza papa, a causa dei capipopolo e della rivalità delle antiche famiglia è nel caos e ridotta a un mucchio di rovine con pochi abitanti che anelano ad un ritorno da un forma repubblicana non consolare ma tribunizia.

*È il periodo di Cola di Rienzo e della grande euforia repubblicana del Petrarca?

Mattia, il Petrarca incontra ad Avignone il popolano Cola, Tribuno, con la sua ambasceria, che chiede al papa il permesso di ricostituire l’antica repubblica romana e di far consociare ad essa tutti i comuni italici settentrionali e se ne entusiasma tanto da seguirlo al suo ritorno, che, però, non ha alcun successo, se non quello di restaurare l’autorità del pontefice nel Lazio. Infatti, Cola, col titolo di senatore, senza la protezione di soldati, perde la fiducia del popolo e delle famiglie romane e viene brutalmente ucciso nel 1354. Niente si poteva fare all’epoca senza la protezione dei soldati. Specie dopo la peste del 1348, si era diffuso in Europa, un nuovo ideale basato sull’uomo fabbro della propria fortuna, capace di essere signore anche se popolano, se privo di scrupoli morali, come soldato di ventura arricchitosi per caso, legato al suo comandante che, coi propri fedeli soldati, riesce a dominare vaste zone dell’Italia centrale e settentrionale, ottenute con la forza o coi soldi, in enfiteusi, abbandonate dai nobili e cedute ai vescovi a basso costo! Arruolare i militari era un’impresa costosa per ogni comandante, e specie per i re di Francia e di Inghilterra, di Ungheria, costretti a chiedere prestiti ai banchieri per pagare soldati mercenari, legati così al servizio e al giuramento di fedeltà – raramente mantenuto essendo continua , quasi normale l’accusa di fellonia – nonostante le offerte stesse di feudi ai comandanti, generali di professione che volevano soldi in quanto era bellatores che si giocavano la vita ogni giorno sui campi di battaglia e che sapevano usare la polvere pirica e le bombarde – specie di cannoni, pesanti da spostare da un luogo all’altro, e difficili da posizionarle per far fuoco contro le mura ei bastioni delle città assediate – occorrevano molte braccia di robusti contadini! -. È questo un periodo di continue guerre, di invasioni, di pesti, a cominciare da quella celebre del 1348, a cui seguono altre nel 1363, nel 1374 e nel 1383 che decimano la popolazione italica ed europea! È In questo contesto socio-economico e nel clima anche di invasione del Meridione angioino ad opera di Luigi d’Ungheria, che Giovanna I, col nuovo marito, Luigi di Taranto, si rifugia ad Avignone! -. In questo contesto i grecisti meridionali di Seminara, alla morte di Roberto di Angiò, trasmigrano a nord, seguendo la loro regina, fuggiasca, e sono alla ricerca di mecenati essendo molto apprezzati per la loro abilità di traduzione, che sembra riportare alla luce un altro mondo ed un’altra società umana?

Certo, Seminara come studium di cultura ellenica con magistri – che sanno tradurre dal greco in latino classico -, dà garanzie di professionalità simile a quella dei dotti bizantini costantinopolitani, che da secoli vanno alla ricerca di protettori, ed che, avendo una formazione giuridica giustinianea, sono connessi con le madrase arabe.

*Cosa sono le madrase, nonno?

Sono colleges con edifici utilizzati per le attività didattiche e come residenza di insegnanti e studenti, forniti di una biblioteca – cfr. Biblioteca di Alessandria bruciata? – dotata di fonti di redditi permanenti, come terre e proprietà urbane fruttifere, assegnate in perpetuo, sul cui modello si erano formate le scuola occidentale medica di Salerno e poi le universitates di Padova, Bologna, Parigi, Napoli.

*Lo Studium di Seminara diventa, dunque, importante in Italia con Barlaam e Leonzio Pilato? per te, nonno, quindi, qual è l’anno dell’incontro con Boccaccio e con Petrarca?

Per me il 1340 è l’anno del possibile incontro di Barlaam e di Leonzio con Boccaccio e col Petrarca, quando lo studium di Seminara assume uno specifico rilievo grazie a Leonzio Pilato, già noto come seguace di Barlaam, uomo capace di competere per doctrina con i saggi orientali. Era avvenuto che a Napoli, alla corte di Roberto di Angiò, figlio di Carlo II, proprio nel 1340, era venuto l’imperatore Andronico III Paleologo, che stava cercando, tramite la mediazione dottrinale di Barlaam, di riconciliare la Chiesa occidentale con quella Orientale, divise per il Filioque dal 1054 – cfr. “Filioque” e il concilio di Toledo; Filioque e Leone III. L’imperatore bizantino era a Napoli intenzionato anche ad andare ad Avignone presso Benedetto XII a chiedere aiuti per una crociata, già concordata col papa Giovanni XXII, antislamica, avendo avviato discussioni teologiche e qui avviene prima l’incontro dei suoi ambasciatori e letterati con Giovanni Boccaccio – uno, che essendo al servizio dei Peruzzi con un banco presso la corte angioina, al momento della trattativa per la laurea di Francesco Petrarca, era , però, già scrittore di Rime amorose per Maria di Aquino e di poemi La caccia di Diana, il Filocolo, il Filostrato, la Teseida– mentre fervevano le discussioni teologiche tra Barlaam e Gregorio Niceforo, ed erano stati fatti passi diplomatici a Parigi presso Filippo VI Valois. Mi segui, Mattia? Sappi che Barlaam a Napoli col suo discepolo, aveva scritto Collectiones per la libreria angioina, in cui faceva conoscere i termini della sua impostazione volontaristica sul filioque contro quella del realismo di s. Tommaso – assunto, comunque, quale atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica -. Siccome, dopo la morte di Andronico nel 1341, la reggenza era tenuta ad Anna di Savoia figlia di Amedeo V – che sosteneva le tesi concilianti di Barlaam – sconfitto, però, nella disputa teologica da Gregorio Niceforo e poi ancora da Gregorio Palamas,- costretto a tornare in Calabria, dove, fattosi monaco cattolico, diventava vescovo, dopo aver inveito contro gli athoniti, i monaci dell’Athon, monte santo, definiti esichiasti – cfr. Barsanufio -.

*Nonostante la fine del tentativo di conciliazione religiosa e la successiva morte di Barlaam ad Avignone, nel 1348, non si chiude quel magico periodo di collaborazione della cultura partenopea con quella bizantina, in cui è centrale la corte di Napoli angioina, e il Boccaccio segue, seppure con scarso profitto, le lezioni di greco con Leonzio Pilato, che viene ufficialmente presentato anche al Petrarca?

Certo, Mattia. Sono ancora attivi i contatti. Sembra che Leonzio sia perfino presente con gli altri cortigiani angioini alla proclamazione a Roma, sul Campidoglio, di Francesco Petrarca, incoronato poeta dal re Roberto di Angiò con una corona di alloro, l’8 aprile del 1341, secondo la procedura di una tradizione antica risalente a P. Papinio Stazio, autore di Tebaide e di Achilleide (45-96 d.C.). Comunque, il Petrarca, al seguito del cardinal Giovanni Colonna – da cui riceve gli ordini minori e con loro i benefici ecclesiastici, potendo vivere come un laico che ha relazioni con donne, tanto da aver figli, (Giovanni e Francesca) – arriva col suo protettore per un esame formale letterario, da sostenere con il re, avendo rifiutato la corona di alloro concessa dall’Università di Parigi, a Napoli, dove ha i primi contatti con Boccaccio e il circolo greco calabrese. Solo nel periodo 1350 – 1360, però, si consolida l’amicizia col Boccaccio, quando già l’autore è famoso per il Decamerone ed è tornato, dopo il fallimento della Banca dei Bardi e dei Peruzzi, a Firenze, dove ha incarichi pubblici dal Comune.

*Come avviene il fallimento della Banca dei Peruzzi, nonno?

Il sistema commerciale bancario, aperto, è basato sul credito a cui accedono non solo i privati, che devono dare garanzie fondiarie, ben dichiarate ed accertate con carte notarili, ma anche i re, che, invece, dato il nome, non ne hanno bisogno. Avviene, dunque, che il re di Napoli, Roberto, avendo avuto il credito di 18.500 fiorini paga regolarmente le rate fissate a scadenze trimestrali, mentre il re d’Inghilterra, impegnato nella guerra dei 100 anni risulta subito insolvente a un colossale debito di 125.000 sterline, equivalenti ad altrettanti fiorini, avendo dotato pagare i soldati mercenari. Pensa che in quegli anni il papa Clemente VI acquista Avignone dalla regina Giovanna I Angiò, erede oltre che del Regno angioino anche delle contea di Provenza, Piemonte e Folcalquier, per 80.000 fiorini – e neanche paga la cifra pattuita, ma libera la donna dall’accusa di omicidio del marito Andrea di Ungheria, assolvendola! -.

*Nonno, un re non paga?

Mattia, Edoardo III, già prima della battaglia vittoriosa di Crecy del 1346 e la sua proclamazione a re di Francia, non aveva onorato il pagamento di alcune rate, dovendo pagare i soldati ed aveva messo in crisi la banca, che, poco dopo fallì, a seguito dell’abbandono dei banchi napoletani e della fuga degli agenti finanziari, mentre si propagavano monete false nel commercio meridionale, coniate dai Bardi!

*Dunque, nonno, dopo la peste del 1348, in un clima di incertezza e di paura per la personale salute, in uno stato di insicurezza economico-finanziaria e in una situazione di continua belligeranza in Francia, cosa accade nel mondo cristiano?

Mattia, viene indetto l’anno santo per il 1350 da Clemente VI con la bolla Unigenitus dei filius– dopo l’istituzione dell’Università di Pisa e il concordato tra papato e Sultano di Egitto di riconoscimento della missione di custodia della Terra Santa all’ordine francescano nel 1343 – con l’obbligo di un giubileo da tenersi ogni 50 anni, secondo l’uso giubilare ebraico, contrariamente a quanto stabilito da Bonifacio VIII, ad ogni secolo! – il Petrarca, desideroso di tornare a Roma – dopo l‘esperienza tribunizia con Cola di Rienzo -, è invitato a Firenze ed onorato da tutti e lì il Boccaccio gli propone di presiedere lo studium novum Fiorentino. Il Petrarca non accetta e preferisce la nomina dello Studium milanese, offertagli da Giovanni Visconti. Nonostante l’offesa, il Boccaccio seguita il suo rapporto di discepolo con l’avido praeceptor aretino, comunque, desideroso ancora di conoscere il greco e di fare ricerca di codici. Come sostituto del Petrarca, Boccaccio propone Leonzio Pilato, suo insegnante privato di greco, strambo e venale personaggio – con cui non ha appreso bene la lingua greca, come si può rilevare nei titoli di Filocolo e Filostrato, inesatti (forse voleva scrivere Filopono e Filettomeno?) -. Come docente, però, sembra che il calabrese, avendo una buona retribuzione dal comune, traduca 5 libri di lliade, l‘Odissea intera e faccia commenti di Aristotele e di Euripide e formi un codice da consegnare all’amico per il Petrarca, ora stabilito a Milano: Leonzio ha buone speranze di trovare un Mecenate, più munifico in Giovanni Visconti, essendo convinto che questo era il tempo dei grecisti, che potevano dare un‘altra lettura della Bibbia, e riportare la parola di Dio secondo la tradizione bizantina, tenendosi stretti alla lezione di Duns Scoto (1266-1308) e di Guglielmo d’Ockham (1288-1347), che avevano assorbito qualcosa della filosofia epicureo-naturalistica.

*È un buon traduttore Leonzio Pilato? Segue bene il suo maestro? È un vero calabrese?

Non posso dirti niente, non avendo letto niente della sua opera. So che è abile, a detta degli umanisti, come traduttore di Omero e di altri autori greci dal greco in latino, anche se ritenuto a volte imperfetto e trascurato, seppure traduca parola per parola/verbum e verbo o verbum pro verbo, seguendo il suo maestro Barlaam, un matematico, medico, scienziato di scuola basiliana, dimentico, comunque, dell’insegnamento di Girolamo di Stridone, che preferiva non verbum e verbo, sed sensum de sensu – cfr. La traduzione e Girolamo -. Di lui ci è rimasta poca cosa perché probabilmente le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea finirono nelle acque della laguna di Venezia, dove Leonzio Pilato naufragò nel novembre del 1365, al ritorno da un viaggio istruttivo a Costantinopoli. È ricordato, comunque, perché risulta il primo grecista traduttore in Occidente, documentato anche da Giovanni Boccaccio e da Francesco Petrarca, in precisi momenti della loro vita, che sono suoi amici ed estimatori, oltre che committenti della relativa traduzione omerica: i due inseguivano lui, che andava qua e là, incerto, vagabondo da una corte ad un’altra, alla ricerca di possibili mecenati, che lo attiravano con promesse di vitalizi e stipendi mensili, in caso di lavoro in uno studium, dove avrebbe tenuto lezioni di greco e formato una scuola di traduttori, come forse era stata quella intorno a Barlaam Calabro, igumeno-abate a Tessalonica. Circa la sua dipendenza dal pensiero matematico e teologico di Barlaam mi sembra naturale che il discepolo abbia seguito le orme della tradizione greca di Basilio e di Gregorio di Nazianzo – che consideravano lo Spirito santo procedere dal Padre e non dal Figlio, convinti dell’inferiorità linguistica degli esegeti occidentali e facevano quaestiones sulla Creazione del mondo e sulla sfericità della terra – ed abbia imitato il maestro, scrittore di Propositiones sfaericae doctrinae secondo la bolla di papa Clemente VI – Reg. Vat., 152 f.161v, ep.72 – da cui si rileva la sua elezione a vescovo di Gerace, a patto che passi al rito romano-cattolico, staccandosi da quello greco-basiliano, ancora in auge in Calabria, nonostante l’ancora persistente persecuzione angioina (cfr. Niccolo II e i normanni). Per quanto riguarda la patria di Leonzio sembra certo che sia calabrese – anche se lui andava dicendo di essere Tessalo come il grande Achille– dalle lettere del Petrarca (Sen., III, 6), dove si legge: Leo noster vere/calaber, sed ut ipse/ vult Thessalus, quasi nobilius sit grecum esse quam italum/il nostro Leonzio è veramente calabro, ma lui vuole essere Tessalo, come se fosse più nobile essere greco che italico (Cfr. A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio. Le sue versioni omeriche negli autografi di Venezia e la cultura greca del primo Umanesimo, Venezia-Roma, 1964)!

*Quindi, in questa ottica, nonno, si può dire che la sua opera di traduttore evidenzia l’uomo antico greco secondo la lettura latina ciceroniana e sallustiana , in quanto anticipa il fenomeno dell’Umanesimo come studio delle Humanae Litterae, riscoperte?

Non lo possiamo dire esattamente: la testimonianza del Petrarca e del Boccaccio,-già loro stessi preumanisti, è segno di un’anticipazione, episodica, che, invece, diventa vero fenomeno culturale con la venuta del cardinale Bessarione e di Gemisto Pletone in Italia, un secolo dopo circa.

*Chi sono, nonno?

Sono due prelati bizantini venuti nel 1438 in Italia, al seguito dell’imperatore Giovanni VIII come consiglieri per partecipare al concilio di Basilea-Ferrara- Firenze e per chiedere aiuto alle potenze occidentali contro i turchi, che già premono contro Costantinopoli. Il cardinale Bessarione di Trebisonda (1395-1472) è intenzionato a riconciliare la chiesa orientale con quella occidentale, mentre Gemisto Pletone è un vecchio scrittore platonico, di 73 anni, che tende a mettere insieme platonismo ed aristotelismo e lo mostra chiaramente nel saggio Sulla differenza tra la filosofica platonica e quella aristotelica che suscita una valanga di controversie tra platonici retorici tesi al diletto ed aristotelici utilitaristici determinando in Cosimo dei Medici la decisone di costituire l’Accademia platonica fiorentina, volendo riportare gli uomini agli antichi valori spirituali e politici dell‘accademia filosofica platonica.

*Nonno, questo, però, avviene circa un secolo dopo, mentre Leonzio Pilato è attivo come traduttore e grecista, e prima e dopo la peste del 1348, ed è famelico nella ricerca di soldi e di proprietà terriere, come ogni suo contemporaneo. Io ho letto, su consiglio della mia insegnante, i 24 Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer (1343-1400) che narrano le vicende di pellegrini che vanno alla tomba di Tommaso Becket – i cui i protagonisti sono cuochi, monaci, cavalieri, un mugnaio ben descritti nei loro vizi, conformi alla loro condizione sociale popolare-: mi sembra che il loro sistema di vita abbia an qualcosa di preumanistico, molto simile alla morale dei personaggi del Decamerone di Boccaccio!

Mattia, tu rilevi nei Racconti di Caucher lo stesso comportamento con la stessa voglia di ricchezza e di piacere sensuale, e denoti la corruzione del mondo medievale, visto all’atto del commercio, da una parte degradato per la volontà di innalzarsi socialmente dei poveri mercatanti – vilipesi dai nobili cavalieri, tesi anche loro al latrocinio e alle falsificazioni di ogni genere -, e da un’altra inteso come quotidiano impegno a sfuggire la povertà, come sistema di vita proprio di un’umanità miserabile, costretta a lottare per un tozzo di pane perché agricola ed ignorante, comprensiva anche dei frati degli ordini minori, anch’essi coinvolti nel vortice della ricerca del benessere e del denaro!

*Si vive in una società di esseri affamati e disperati, nell’autunno del Medioevo?!

Si vive, Mattia, in uno stato di assoluta miseria, più nei centri urbani e nei paesi che nei campi, dove alla disperazione subentra la voglia di rubare ai nobili e agli ecclesiastici nella disperazione delle masse senza casa, mal nutrite, mal vestite e bisognose di tutto, esasperate specie durante le calamità naturali o durante la stagione invernale. I prelati e i i monaci, pur facenti voto di povertà, cercano con ogni mezzo di arricchirsi e di apparire, obbedendo ai superiori, solo per conseguire uno stato migliore assicurato dagli abati e dalla nobiltà. conformandosi per il loro privato utile all’avida morale comune, seguendo l’esempio di cavalieri munifici, ostentanti umana bonomia, o quello dei taccagni mercanti borghesi ora proprietari terrieri, signori di terre feudali, aspirando, segretamente, perfino ad un cardinalato o alla vita a corte, in Avignone!

*Nonno, non esistono più nemmeno i semplici poverelli francescani, ancora capaci di seguire Francesco? Non credo che si possa dire ciò, ma nel preumanesimo c’è decadenza religiosa insieme a corruzione politica, per cui non è più vero quanto dice Dante sulla caratterizzazione dei francescani scalzi e magri – cfr. Paradiso, XII, 130-131… il venerabil Bernardo/si scalzò…scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro – in quanto ora sono divenuti avidi come tutti gli altri, come dice anche il Boccaccio in VII novella della III giornata del Decamerone:

Furono già i frati santissimi e valenti uomini ma quelli che oggi frati si chiamano e così vogliono essere tenuti, niuna altra cosa hanno di frate se non la cappa, né quella altressì è di frate, per ciò che, dove dagli inventori dei frati furono ordinate strette e misere e di grossi panni e dimostratrici dello animo, il quale le temporali cose disprezzate avea quando il corpo in così vile abito avviluppava, essi oggi le fanno larghe e doppie e lucide e di finissimi panni, e quelle in forma hanno recate leggiadria e pontificale, intanto he paoneggiar con esse nelle chiese e nelle piazze, come con le loro robe i secolari fanno, non si vergognano!

*Nonno, capisco le parole del Boccaccio, nonostante l’arcaicità verbale! L’autore testimonia lo sfacelo morale dei frati, a cominciare dall’uso delle vesti, come per indicare che il monaco non si riconosce dall’abito e dice che i frati si sono rivestiti di abiti come quelli dei secolari e che ora vivono come loro e non se ne vergognano! Seguita, nonno, io ascolto.

Bene. Posso seguitare, allora, e mostrarti l’esempio del pescatore che col giacchio un’antica rete di pesca circolare, legata ad una corda al centro del cerchio, dove le maglie sono più fitte – prende i pesci nel fiume.

*Seguita nonno, io capisco!

E quale/come col giacchio il pescatore d’occupare nel fiume molti pesci ad un tratto, così costoro colle fimbrie/frange amplissime avvolgendosi, molte pinzochere, molte vedove, molte altre sciocche femine ed uomini d’avvilupparvi sotto si ingegnano ed è loro maggior sollecitudine che d’altro esercizio, e perciò, acciò che più vero, io parli, non le cappe dei frati hanno costoro, ma i colori delle cappe!

Hai capito?

*Certo. Pavoneggiandosi con abiti belli, i frati accalappiano donne ed uomini, sciocchi, col loro formalismo!

Ecco come Boccaccio conclude, ironizzando ferocemente sul loro fine: e dove gli antichi la salute desideravano degli uomini, quelli di oggi desiderano le femine e le ricchezze, e tutto il loro studio hanno posto e pongono in ispaventare con romori e dipinture le menti degli sciocchi e in mostrare che con limosine i peccati si purghino e colle messe acciò che a loro che per viltà, non per divozione, sono rifuggiti a farsi frati, e per non durar fatica, porti questi il pane, colui mandi il vino, quell’altro faccia la pietanza per l’anima de’ passati-trapassati... E per ciò che essi conoscono quanti meno sono i possessori di una gran ricchezza, tanto più stanno ad agio, ognuno con romori e con ispaventamenti s’ingegna di rimuovere altrui da quello a che esso di rimaner solo desidera. Essi sgridano contro gli uomini la lussuria, acciò che, rimovendosi gli sgridati, agli sgridatori rimangono le femine: essi dannano l’usura e i malvagi guadagni acciò che, fatti restitutori di quelli, si possono fare le cappe più larghe, procacciare i vescovadi e le altre prelature maggiori di ciò che mostrato hanno dover menare a perdizione chi l’avesse. .. e se ripresi, affermano: fate quello che noi diciamo e non quello che noi facciamo!

*Che bravi i frati!

Mattia, Sono buoni pastori per le pecore! Boccaccio conosce, dunque, i frati settentrionali toscani – come frate Cipolla, buon oratore che, derubato dai giovani di Certaldo, di un penna dell’agnolo Gabriele (di pappagallo!) guadagna lo stesso, mostrando ai fedeli la cassetta delle ceneri della brace di S. Lorenzo, date al popolo, ignorante e devoto ! – e quelli meridionali, che sono sotto il dominio angioino, migliori rispetto a quelli che dovrebbero essere della stessa specie, cioè non buoni pastori, che compiono opere buone, essendo dediti ai codici antichi, come Leonzio Pilato, impegnato, all’epoca, e molto ben rimunerato dal comune fiorentino! Non ti devi meravigliare! Sappiamo di un certo Pietro Petroni, un frate che inveisce contro Boccaccio, reo di amare i piaceri letterari e di aver scritto racconti licenziosi per educare le donne che, poverine, non possono fare le proprie esperienze perché relegate in casa e poste sotto lo sguardo severo dei genitori e dei mariti! Pensa che il frate ebbe il coraggio di consigliare di distruggere col fuoco il Decamerone, che poteva rovinare gli animi dei candidi-semplici! Per nostra fortuna, il Petrarca invita l’amico, all’epoca depresso e turbato nel suo animo dal dire del quaresimalista, a non ascoltare il frate moralista e a lasciare ai posteri integri i suoi meravigliosi racconti! Nel frattempo, nel decennio 1350-60, Leonzio Pilato, non solo era divenuto noto a tutti grazie a Petrarca e Boccaccio, ma faceva continui viaggi in Oriente, dove c’era la guerra civile tra Giovanni V, figlio di Anna di Savoia, e Giovanni VI, il potente ministro autoproclamatosi imperatore! 

*Nonno, se è rimasto di Leonzio poco o niente, perché è ancora noto?

Mattia, nonostante il carattere bizzoso e l’avidità, il grecista aveva aperto un nuovo orizzonte con le sue traduzioni, apprezzate anche ad Avignone, dove aveva cercato perfino di trovare una collocazione come successore di Barlaam, là morto durante la peste. A Firenze, poi, le sue lezioni nello Studium erano seguite da giovani, anche se poi abbandonati dal monaco, desideroso di un più lauto guadagno in Venezia, dove era stato chiamato dal Petrarca. Non si capiscono, comunque, alcuni spostamenti improvvisi di Leonzio, che si stabilisce per qualche anno a Creta, a Cnosso, dove forse ha discepoli con cui lavora alle traduzioni: misteriosa risulta la riapparizione, poi, nella zona di Padova dove rimane a gravitare intorno al Petrarca, inquieto e povero per mesi. Insomma, anche se i suoi meriti erano riconosciuti come quelli di Barlaam, specie sul piano dottrinale e in relazione al valore di esuchia/preghiera e di ekporeusis/processione, come spiegazione tecnica di un fraintendimento occidentale latino ai fini di una conciliazione del problema del filioque tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, il suo vivere a volte da povero ed oscuro, senza l’obbligo del celibato, e a volte da signore in modo troppo ricercato dovette fargli perdere prestigio fra gli invidiosi frati occidentali, che, pur ammiratori della sua scienza filologica, ben presto si dimenticarono del suo contributo letterario – di cui ci sono tracce anche in Genealogia deorum gentilium di Boccaccio -. Per me la Scuola di Seminara risulta un modello letterario orientale, ancora sostanzialmente basiliano, impossibile da imitare in un’Italia trecentesca, ancora imperiale germanica e franco-angioina con un papato romano-avignonese, con le gentes novae, portatrici di un messaggio umanistico anticristiano!

*Nonno, vedi un contrasto insanabile fra il monachesimo orientale ortodosso e quello occidentale francescano-domenicano, ora degenerato?

Certo. Mattia Se campo… forse te ne parlerò!