Mi vergogno per quanti, parenti ed amici, hanno potuto ingratamente e rabbiosamente maledire ed invidiare la mia ricerca cinquantennale su Christos con lo studio dei codici e il mio lavoro murario in campagna, pur avendo visto, settimanalmente, il sangue sulla punta della dita, e, specie, ora, dopo un settennio, in cui mi sono annullato, per amore di Stefano, il nipotino autistico!
Si difende chi è falso, con la parola,/ con la parola chi è disarmato attacca;/ chi è immaturo offende con discorsi/il saggio legge, da vecchio-bambino, il codice dell’altro, tace e sorride!
Ab Iove principium
Sembra che Virgilio – Egloghe,III, 60- voglia dire con Ab Iove principium che bisogna, cioè, cominciare qualsiasi opera da Giove, avendo amore e timore del Deus, principio e fine di ogni cosa.
Professore, per un civis, seppure pagano, senza aiuto divino, non c’è possibilità di successo, non esiste neppure la vita!.Principium , comunque, che valore ha nella cultura universale? Principium è termine equivoco? ha significato diverso per la cultura giudaico cristiana e per quella romano-ellenistica? o, secondo lei è la stessa cosa, interpretata da due opposte culture e tradizioni?
La tua domanda mira, Marco, a comprendere se è univoca la duplice fonte da cui si origina da una parte Reshit -principium e da una altra archh-principium? Vuoi sapere se la cultura giudaico-cristiana e quella mediterranea,fenicio-greco-romana siano derivate dalla cultura sumerico-accadica?!o altro?
Se ti riferisci a quanto ho scritto in Creazione del Mondo, Premessa a Peri ths Moseos Kosmopoiias di Filone in www.angelofilipponi.com posso aggiungere qualcosa circa l’impostazione manichea dominatrice della cultura Occidentale con la lettura di Agostino afro, universalmente accettata rispetto a quella di Pelagio britanno!
Professore, io rilevo che il mondo mitico pagano e poi quello mitico-magico cristiano sostanzialmente sono identici circa il problema del male e perciò vengono divise la sfera del divino e quella del terreno in una coscienza comune che ciò che è stabilito in cielo si attua necessariamente in terra, per cui necessita la forma sacerdotale! Il laico, professore, ha bisogno del clero!
Marco, questa è l’effettiva tua domanda a cui non mi è facile rispondere, in poche parole! In linea generale sembra così, ma in specifico, ci sono molte varianti a seconda dei tempi storici, una cosa vale religiosamente nell’ottavo secolo a. C.,una nel periodo repubblicano romano e giulio -claudio, una in età costantiniana e teodosiana, una in epoca bizantina, una in quella moderna, una in quella contemporanea. Comunque, brancolo nel buio e devo fare molte distinzioni e non ho una risposta univoca. Posso, però, genericamente, dirti che tutto deriva dalla cultura sumerico-accadica, in cui esiste un tempo senza tempo, un momento atemporale nel quarto e terzo millennio a.C., in Mesopotamia, in cui esseri primordiali vivono beatamente senza coscienza di nulla in una eterea armonia di luce , in cui non esiste altro, se non una natura, prospettata in scritture cuneiformi sumerico-accadiche – poi ritrascritta in cuneiforme assiro intorno al I millennio- informe, pulsante di vita, in un insieme confuso, universalmente materna, in cielo, in terra, negli spazi siderali, nelle profondità marine, in un unicum ancora indistinto. Posso, comunque, aggiungere che reshit, secondo la lezione ebraica di Mosè di Genesi esprime una fase successiva in cui si attua mediante logos la volontà del pathr che, creando il mondo origina bene e male, essendo verbo divino divisore tra luce e tenebre tra la vita terrena e l’uomo, l’unico che sa e può leggere la sua oikonomia divina. Infine, posso dirti che Esiodo (Theogonia) cerca di porre ordine tra gli dei, che popolano i miti degli ellhnes – dando una fantastica rappresentazione della presenza del male, come fenomeni naturali abnormi, mostruosi, terribili – creando un sistema organico razionale, scrivendo 1022 versi in esametro. Esiodo mostra inizialmente il Kaos (da cui sorgono l’Erebo, la Notte, il Giorno) e la Terra partoriente Urano e il Mare, mentre da Ouranos – il cielo– nasce la famiglia dei Titani, violenti, come Cronos – il tempo- ultimo Titano, che mutila il padre e domina sugli altri dei, finché Zeus favorito dalla madre Rea – che per scamparlo dalla morte dà al marito un macigno da ingoiare al posto del figlio – divenuto adulto, lo priva del Regno.
Esiodo segna così il passaggio dalla Signoria dei Titani alla monarchia di Zeus, come una trasformazione epocale in quanto alla bia-violenza si sostituiscono il kosmos ordine e dike giustizia sulla terra. E’ un evento grandioso in cui, nella lotta successiva con ribelli titani non ancora domi, si ridistribuiscono i poteri tra gli dei e si stabilisce la civiltà tra gli uomini (greci e barbari) con un patto eterno tra le potenze celesti e quelle umane, suggellando così un nuovo ordo, da cui derivano i miti degli eroi con le unioni tra Dei ed umani, per cui la misera condizione umana può sublimarsi, anche se rimasta sotto il male, che domina l’esistenza dei viventi, pur capace di propiziarsi con sacrifici, preghiere e culti il Theos. Virgilio col suo Ab Iove principium ha l’idea di principe, di chi prende il primo posto (da primus e da capio) non solo nel parlare al senato e al popolo, ma anche come potestas ed auctoritas tanto da riformare i costumi e lo statuto romano repubblicano in imperium come imperator, augustus/sebastos, dux/hgemoon nikhths felix, datore di pace di giustizia universale. Ab Iove principium equivale ad avere la stessa auctoritas e potestas di Giove in cielo e in terra e sottende da parte di Augusto un’ assimilazione simile a quella del pronipote Gaio Cesare Germanico Caligola con l’ektheosis, quando si dichiara Dio in terra e solo pastore del gregge umano!.
Virgilio, in epoca augustea sottende una piena sudditanza letteraria al potere imperale divino in quanto l’uomo, gregge, anche se ha ars e sapientia, senza Giove-Augustus, non ha risultato alcuno, qualunque sia il suo campo di azione: inutili sono le sue competenze tecniche e i valori individuali, perché ha mezzi umani di una creatura, anche se sa operare e fare opera grande! Senza Deus, non vale essere neanche faber/poihths! E questo vale per gli uomini e per la loro esistenza, per le città e i loro monumenti, per la natura e per le coltivazioni dei campi, per gli animali e per l’allevamento del bestiame, in qualunque situazione e in ogni tempo.
Ogni costruzione umano-terrena è destinata a cadere, in quanto umana e fisica: senza la protezione celeste non esiste un positivo fenomeno terreno! l’umano in quanto terreno è proiezione celeste: la civitas hominis è imago della civitas dei; lo stesso tempo è proiezione dell’eterno!.
Non è il fare che distingue e rende migliore l’uomo, rispetto all’uomo, inattivo ed inoperoso, ma la fortuna! Eppure professore si vive senza Dio come materia e siamo destinati a tornarvi, mediante processi meccanicistici e materialistici in un continuum avvicendamento cosmico!Chi fa, comunque, non è superiore a chi non fa! lo pensa, perché crede di aver una carica in più vitale, ma non lo è perché c’è un compenso in ogni cosa e vivente; anzi chi fa, potendo vedere rovinato quel che fa, ha anche il dolore della perdita del suo lavoro! La vita di ogni cosa fatta è nelle mani del Theos, anch’esso soggetto al destino. Essere poihths, prapticos, appare una via alternativa ad essere theorikos, che è considerata la via vera ebraico-Christiana, contemplativa, di rifiuto della vita e di ascesi verso la teleioosis, la vera via verso Dio, una sublime scala dopo la rinuncia ad ogni azione, volere e pensiero terreno: si scopre il Theos, che è in noi, in natura, solo facendo le hayot/scalini di una sulam/scala perfettiva!
Ma è così? si tratta forse di una costruzione sacerdotale per consolarsi di essere finiti, limitati ed effimeri, con una pretesa ingiustificata divina!? Il sacerdozio regale, secondo Ario, afferma di Mostrare Dio a parole, ma a fatti lo nega! Vivere è vivere, come tentare di vivere pagano, come meglio si può, in relazione solo all’oggi e a godere del presente, sperando anche nel Theos onnipotente ed onnisciente, naturale padre, non provvidente, lontano, negli intermundia, celesti!
Essere soli è destino dell’uomo, che pur desidera vivere consociato, brama mostrare di saper fare, di creare uno spazio nella ricerca ansiosa di sé, anche senza mimesis/imitazione!.
Eppure l’uomo razionale, filius, sulla base del suo essere uomo e padre, ha voluto credere alla costruzione di un Theos, che ha una sua oikonomia, un suo disegno su ogni individuo vivente animale e vegetale, animato ed inanimato, su ogni elemento ed ha posto in parallelo il mondo celeste e il mondo terreno dopo aver teorizzato figure intermedie sacerdotali, che fanno comunicare il mondo di lassù con quello di quaggiù, avendo inculcato fin da bambini agli altri simili l’amore il timore per il dio, padre nostro, perché, essendo noi dotati di ragione e di parola, sappiamo vederne l’opera meravigliosa naturale, come prototipo di pater familias. Essi per vivere come re predicano a loro vantaggio! E il miracolo naturale non è solo per l’uomo!
Il fare la volontà del padre diventa operazione di lettura di signa/semaia, inviati, a quelli, predestinati, della sfera terrena, che hanno il compito di vivere conformemente a quanto deciso lassù, nella sfera celeste!
E’ vero?! Decifrare il codice divino, misterioso, è dare una spiegazione razionale di un piano salvifico umano e terreno come segno di una creatività umano-divina, di un pazzo theios anthroopos, che solo da vecchio, divenuto vecchio-bambino, si accorge dell’inganno dell’esistere e della propria sudditanza!
Solo, malato, morituro, vede, tra bagliori e nuvole, l’inganno/panourgia di chi, interprete, lettore dei segni, si è fatto il dominatore della sfera terrena e scopre la phusis, rigogliosa, il vero theos, generatore del tutto, materiale, mentre è invaso già da necrosi cerebrale! Il suo vaneggiare, tardivo, aumenta il credito della fides tradizionale, come pater familias decaduto, insensato, svampito!,
Professore, ora mi spiego la ragione per cui Agostino, di impostazione manichea, orientale ha il sopravvento su Pelagio britanno, di cultura celtica, occidentale?!
Agostino, avendo capito il mondo pagano, le fobie umane e terrene degli esseri viventi, sintetizzato confusamente la matrice divina del bene e del male sumerico-accadica, assiro-babilonese-persiano aramaico, con la sua sincresi cattolica legge il piano terreno esistenziale, conformemente: è un vir philosophus et astrologus, come Figulo e Taruzio, studioso di natura e storia come Cicerone e Varrone, un cristiano dalle mille esperienze negative, inchiodato ai principi del bene e del male! Agostino non ha inventato nulla, ha solo cristianizzato Platone e Filone di Alessandria! Su Agostino si basa il cristianesimo e il romanticismo idealistico!
Certo! Agostino è un vir religiosus, un pater familias, attivo, come l’uomo latino che, come il greco ed come ogni individuo di un popolo mediterraneo, ha pietas tale da mitizzare ogni evento, tendendo a riportare tutto ab ovo, alle origini e ad un creatore e trascura l’esame del vivere in medias res, cosciente della sua miseria umana, desiderosa, comunque, di raggiungere la felicitas/ eudaimonia con makaria-beatitudo, grazie alla fides!.
L’uomo è mortale, come ogni cosa terrena, come ogni stirpe vivente, animale, come la costruzione materiale di Roma, la città eterna, che è il simbolo stesso del civis! Una città, utopica, anche se considerata con enfasi iperbolica eterna e divina, data l’eccezionale fortuna dell’Urbs romulea, pur nata da un fratricidio, sorta per un’unione illicita tra un Vestale e un Dio. Anch’essa è cosa terrena peritura, parte della natura visibile, ombra, babilonese, di quella intellegibile celeste!
E’una contraddizione, comunque, la pietas umana! Il civis romano-ellenistico, agricoltore mediterraneo, arricchito dalle culture orientali, sumerico-accadico- fenicio- caldaiche e da quelle gallico-germaniche occidentali, sapendo di essere creatura, che vive, cosciente del kosmos, in cui è posto dalla sorte, come pars di un tutto, ha fiducia nella sua sapienza artigianale di faber, cosciente che niente può esistere senza Giove/Zeus, datore di vita e senza gli altri dei, che cooperano alla vita agricola e al benessere universale!
Da qui, la necessitas della preghiera arcaica dei patres familias, con sacrificio agli dei Consenti– Cfr. Varrone, De agricoltura I,5-6 –parentes magni. Iuppiter pater…Tellus terra mater; secundo Solem et lunam – quorum tempora observantur, cum quaedam seruntur et conduntur; tertio, Cererem et Liberum quod horum fructus maxime necessari ad victum: ab his cibus et potio venit e fundo; quarto Robigum et Floram, quibus propitiis neque robigo frumenta atque arbores corrumpit, neque non tempestive florent. Itaque publice Robigo feriae Robigalia, Florae ludi Floralia instituti. Item adveneror Minervam et Venerem, quarum unius procuratio oliveti, alterius hortatum, quo nomine rustica Venalia instituta. Nec non etiam precor Lympham ac Bonum Eventum , quoniam sine aqua omnis arida ac misera agri cultura , sine successu ac bono eventu frustratio, non cultura/ grandi genitori, Giove chiamato il Padre e la terra la madre In secondo luogo invocherò il Sole e la Luna, le fasi dell cui rotazione si osservano quando si semina e quando si raccoglie. In terzo luogo invocherò Cerere e Bacco, perché i loro frutti sono indispensabili per la vita; infatti per opera di questi dei il fondo produce cibo e bevanda.In quarto luogo invocherò le dee Ruggine e Flora, poiché col loro patrocinio non si guastano né biade né alberi, ma fioriscono a loro tempo; pertanto, in onore della dea Ruggine furono istituite pubbliche feste I Robigalia e in onore di Flora i giochi detti Floralia. Parimenti venero Minerva e Venere, la prima protettrice degli oliveti, la seconda degli orti: In suo onore furono istituite le feste rustiche dette Vinalia. Né mancherò di pregare Linfa e Buon Evento perché senza acqua ogni genere di coltura diviene arida e povera ; senza un buon successo e una felice riuscita non c’è coltura, ma delusione.
Professore, il sistema agricolo stesso, quindi, è religioso, e le festività sono il segno della celebrazione di questo rapporto tra cielo e terra, tra il deus e l’uomo, come l’antico rituale di preghiera omerico, coevo, o come la theogonia esiodea successiva!?
Certo. Marco! La vita della natura /phusis è espressione umana sacerdotale di un collegamento con la Grande Madre, con Saturno e con la divinità olimpica successiva, regolatrice dall’alto dei cieli dell’intero Kosmos.
Il vir latino, specie in età arcaica, (cfr, Plutarco, Romolo, Numa), sotto il regno dei primi re, assimilato Giove con Tinia, etrusco, ellenizzatolo come Zeus, lo considera il seduttore della spartana Leda, trasformatosi in cigno, da cui ebbe da un uovo -o da due?- Castore e Polluce, Clitennestra ed Elena, concordando con i greci, che ricordano nel tempio di Ilaria e Febe, a Sparta, la vicenda con un uovo appeso, secondo Pausania – Perihgesis, II,16,1-.
Professore, in Roma antica ci sono molti collegi sacerdotali, che hanno 12 membri come gli Arvali, i Salii, i Flamini, gli Auguri, gli Aruspici, i Feziali, oltre ad un aristocratico ordo sacerdotum, destinato alla triade capitolina. Sono, dunque, essi espressione arcaica di questo comune senso religioso dell’uomo italico, paleosabellico-etrusco, poi quiritario?
Il corpus sacro-religioso, con i suoi specifici rituali, servendo per la purificazione dell ‘ager, della familia, di ogni nato nella comunitas, ha origini antichissime e precede l’organizzazione del clero e del culto divino di Hestia /Vesta e di Mamars agricolo, quando ancora civilmente esiste solo la tribù, retta dal capo stipite patriarca, che autonomamente svolge funzioni sacrali e non ha bisogno di congregazioni elitarie, essendoci ancora la rigida divisione tra Ramnes, Tities e Luceres.
Per lei la confederazione delle tribù determina il processo religioso ? Certo ogni tribù con un tribunus e 10 curie ha vita autonoma, prima di Romolo stesso e solo quando si collegano le varie gentes delle tre tribù si ha un’organizzazione sociale, nuova con un vertice di potere, duplicato o triplicato, se congiunto con il sacerdozio, garante della fusione tribale gentilizia che ora si suddivide anche il territorio di propria spettanza, divenuto di comune proprietà, di diritto, riservando una porzione al theos, intorno alla città o nel cuore del Tempio.
Certo, Marco, la religiosità con pietas è grande nella Roma arcaica, pastorale ed agricola: Romolo e Numa, Tullo Ostilio ed Anco Marzio e, poi, i Tarquini etruschi con Servio Tullio, fissano i riti, secondo la tradizione latina, sabina ed etrusca e ci hanno lasciato documenti, comprese le leges sacrae e leges XII tabularum!.
Mi potrebbe meglio spiegare la loro religiosità, agricola, un cardine della nostra tradizione, mitica?
Marco, cosa intendi per meglio? Vuoi che ti provi con documenti ancora leggibili, quanto dico? Non ti è sufficiente che riporti solo gli antichi riti e cerimonie lustrali delle tante corporazioni sacerdotali antiche di origine autoctona o etrusca?
Se lei non ha nulla in contrario, può riportare anche i testi per meglio spiegare a me e ai miei ex compagni in modo da poter evidenziare anche a loro, la reale funzione storica delle diverse corporazioni religiose, che hanno funzioni proprie nell’ambiente agricolo in connessione, poi, con gli eventi naturali- tuoni, fulmini, pesti, strani accadimenti, come nascite mostruose, terremoti, straripamenti fluviali e maremoti – anche in relazione al registro militare, basilare per una potenza militaristica come Roma.
Marco, non è facile, ma cercherò di farlo.
Ritengo che tutto parta dalla religio agricola come superstizione, tesa a rilevare ogni accadimento quotidiano in quanto sono temuti i signa nefasta, a cominciare dall’uscita dalla porta di casa, al mattino: da questo sentimento fobico c’è il bisogno di esaminare quanto avviene e trarre gli auspicia tramite un auspex, che è uomo addetto all’osservazione degli uccelli (auspicia da aves ed aspicio) secondo Cicerone – Repubblica,3,43 -.
Marco , dall’iniziale studio del volo degli uccelli si passa all’esame degli intestini e del fegato di animali e anche dei signa (come la starnuto, come videre sidera, come incontri fortuiti, come sputare, inciampare sulla soglia di casa, trovarsi di fronte ad animali impuri, avere contatti inavvertiti, colpire col piede destro o sinistro, salutare prima di una lustratio, come prevenzione dai mala e dall’invidia altrui, anche fraterna e dalle proprie ombre notturne, dall‘incubo dei somnia !.
Tutto è utile a restare immune dal malocchio, dall’invidia, dalle ombre e dai monstra: catene, ferro, pietre, ciondoli, simboli apotropaici, arbores, imagines, rituali di preghiere, tipi di maledizioni ecc. risultano modi e forme di difesa, popolari.
La categoria dei sogni, è professore, anche essa, massimamente, sotto indagine?
Certo| Marco. Specie i sogni coscienti ed incoscienti , con la distinzione tra lucidi/ onironauti e non lucidi che sono esaminati da interpreti di sogni di vario genere: nell’antichità ci sono interpreti classici, ebraici e barbarici in quanto, in qualunque epoca, il sogno è oggetto di ermeneusis/ interpretazione a vari livelli! Tiresia e Giuseppe figlio di Giacobbe, Daniele ed Apollonio di Tiana sono quelli più conosciuti; ci sono testi come quello di Artemidoro di Daldi –Oneirocritika, a cura di Dario Del Corno, Adelphi 1975- uomo del II secolo d.C. , di epoca antonina , esperto in chiromanzia e nell’arte augurale, attivo ad Efeso, vivente non lontano dal tempio di Artemide.
I sacerdoti e gli auguri, gli aruspici, i chiromanti, i maghi hanno bisogno del popolo, impressionato dai semaia /signa del Theos, desideroso di seguire l’orientamento degli interpreti?
Il religioso, come Apollonio di Tiana, vive nel tempio o nei dintorni, e mira ad indottrinare il laico, conosce misteriosamente già la verità rivelata e la dà dogmaticamente, nemmeno ascolta l’altro: chi è dentro al tempio disdegna chi è davanti, ma fuori: il fanatico, che è nel fanum snobba il profano e pontifica!. Siccome, però, gli serve – in quanto senza il profano non esiste fanum, né può costituirsi il collegium sacerdotale – il clero, autoelettosi, crea l’apparato rituale, sulla base della credulità popolare, ed avendo bisogno della massa credulona, deve necessariamente apparire sicuro interprete della volontà divina, seppure ineffabile, per un proprio utile e per un suo radioso avvenire, grazie al suo essere persona sacra. I sadducei, sacerdoti templari, avendo modelli arcaici egizi e zaratustriani, sono peggiori dei farisei, laici, che hanno forme mistiche proprie anche loro, come gli esseni e i terapeuti, espressione di una cultura associata e consociata più moderna, isolazionistica, della seconda meta del II secolo a. C., come rifiuto della civiltà ellenistica, in nome della vecchia tradizione mosaica!
Marco, senza imbrogliati non esistono imbroglioni, senza fedeli non esiste fides, senza laici non esiste élite sacerdotale, un clero, che vive bene grazie alle fobie popolari, pur predicando sacrifici agli altri su questa terra col proporre un bene eterno, futuro, celeste!.
Un raggiro /panourgia secolare esiste già ai primi vagiti dell’uomo!Il cristianesimo giudaico ne è una radice fruttifera!
Ogni rituale sacerdotale risulta perfino una scienza, di cui i sacerdoti stessi non sanno l’effettivo valore anche se ripetono giaculatorie e nenie incomprensibili, ormai indecifrabili per gli stessi predicatori, dopo secoli di storia! Così diceva Cicerone ! Nel suo De Deorum natura , 163, l’oratore, marcando con l’anafora multa, scrive: multa cernunt haruspices, multa augures provident, multa oraclis declarantur , multa vaticinationibus , multa somniis, multa portentis/molte cose vedono gli aruspici, molte cose prevedono gli auguri, molte cose sono segnalate da oracoli, molte da vaticini, molte da sogni, molte da portenti.
Tutti quelli che interpretano si sentono scienziati, che agiscono secondo precise regole, dettate dagli dei, che hanno dato solo all’uomo la capacità di prevedere gli eventi, quando, invece, gli animali avvertono prima ancora dell’ evento, ogni cambiamento naturale, istintivamente?
Professore, so di un grande rilievo, dato dai romani al Flamen Dialis? me ne dice il motivo?
Prima di spiegarti, devo dirti che penso molto al quadrato di Romolo che fece una Roma quadrata /Plutarco Romolo,9,4 e che vide 12 avvoltoi (4 x3!), ritenendo che abbia un valore esemplare per la romanitas, segnandola in senso operativo, di una costruzione eterna, ben mitizzata in relazione poi alla speculazione pitagorica e neopitagorica e mitica della Sibilla, collegata misteriosamente.
Professore, ma è la theoria contemplativa di Filone, quella della tetraede?.
Si. Marco, Si , sostanzialmente è quella , ma sviluppata in senso giudaico -cristiana! E’ quella delle quattro stagioni, dei quattro venti delle quattro colonne delle vita, dei quattro vangeli, dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, delle quattro virtutes /aretai cardinali filoniane, dei 144000 preservati, giunti, tramite il neoplatonismo ed Agostino, fino a Bernardo di Clairveaux, che, costruendo, si basa sull’angolo retto del quadrato con valore generale di rettitudine. L’immagine del quadrato, essendo proiezione nell’intelletto umano delle forme della Gerusalemme celeste, risulta da una parte semplice perché la simplicitas è virtus monacale che permette nell’umiltà, di accedere ai misteri e da un’altra perché trattare lo spazio partendo da un modulo di base quadrata- che è possibile sviluppare in tutti i sensi secondo rapporti proporzionali fissi – è la soluzione architettonica più economica, suscettibile di essere riprodotta, fra le case disperse della congregazione e di essere applicata da quei bonificatori – i cistercensi-alla pianificazione delle terre coltivate e dell’irrigazione in quanto viene dato al fedele, durante il soggiorno nell’abbazia, la possibilità ( o l’impressione) di passare dal mondo dei sensi al mondo dello spirito!
Dunque, i cistercensi seguendo la tetraede pitagorica, quella filoniana e quella agostiniana, hanno anche una concezione ciclica della natura, secondo stagioni, del giorno (ore 12 =4 x3) e della notte stessa- 4 vigiliae di tre ore?
Certo, Marco, per i pitagorici il 4 è sorgente, come per Empedocle, che contiene le radici dell’inesauribile natura.
il quattro è detto natura di Eolo perché come vento è vario e cangiante ed anche Eracle in relazione alla stessa idea di anno con cui si indicano le stagioni e i momenti del giorno (mattino mezzogiorno, sera e notte) e lo chiamano tetlade (invertendo le liquide r e l) perché resiste in quanto indica che il suo lato resiste al primo attacco dell’uno, facendo rimanere le dimensioni che sono tre e non più di tre ed per di più genera il dieci – Infatti tutte le cose del mondo nel loro aspetto naturale e in quello particolare, come anche nei numeri, insomma in ogni cosa di natura, secondo Giamblico-(cfr. Giamblico, Il numero e il divino, a cura di Fr. Romano, testo greco a fronte, Rusconi, 1995) -sembra che trovino il loro compimento nell’accrescimento naturale che giunge fino a quattro e ciò che è peculiare e che contribuisce massimamente all’insieme armonico del risultato è il fatto che il numero 10 – che è gnomone e connessione/gnoomona kai sunochhen uparkhousan– risulta dalla somma del 4 con i numeri che lo precedono ma anche per il fatto che il 4 costituisce il limite della corporeità e della tridimensionalità. Infatti nel 4 sia come angoli che come facce si può osservare il solido più piccolo e che appare per primo, cioè la piramide, così come il corpo più piccolo percepibile, che è costituito di materia e forma ed è risultato tridimensionale consistente di quattro termini. Ne deriva che per avere una conoscenza sicura e scientifica della verità degli enti bisogna conoscere le quattro scienze matematiche 1. matematica 2. musica,3. geometria, 4. sferica. Il sistema stesso della gematria ebraica, dunque, non è lontano da tale impostazione di Giamblico!
Per questo motivo, professore, dunque, il passaggio dal sensuale allo spirituale, dall‘inintellegibile all’intellegibile si opera necessariamente con l’uso della ragione matematica omnicomprensiva come theologia?
Marco, il quadrato è il quadrato, figura razionale, utile a delimitare ogni luogo terreno , ogni cosa, ogni idea, anche per Giamblico (cfr. Teologia aritmetica, ibidem)! Le opere di Giamblico sono il fondamento della theologia come sunagoogh, summa pitagorica -cfr. B. Dalagaard, Gyamblique de Calcide, exégète et philosophe, Aarus,1972-.
La theologia dell’ aritmetica deriva, quindi, da Giamblico?
Certo , Marco, TA THEOLOGOUMENA THS ARITHMHTIKHS è opera di Giamblico che condiziona parte del pensiero magico e numerico-letterale e, quindi, ogni lettura medievale allegorica e la stessa gematria, con la pratica e con l’esercizio dei teurgi, esemplari per ogni tipologia di sacerdozio e pagano e cristiano. Infatti i cristiani in epoca costantiniana e poi teodosiana, influenzati o condizionati dal pensiero del filosofo platonico mettono insieme Theamata theia (visioni divine) e theoreemata episteemonika (osservazioni scientifiche) proprie dei teurgi in modo che Christos sia chreestos /utile perché l’élite sacerdotale sia guida morale, pari ai maestri di Teurgia!.
E’ un grande Giamblico?
Giamblico, nato intorno al 270 d.C.a Calcide di Celesiria, da nobilissima famiglia ituraica, secondo Eunapio (Eunapii Vitae sophisticarum, Romae,1956, V, 1,2,3 a cura di Giangrande), sembra che fiorì sotto Costantino il grande, morto nel 337 d.C., secondo Suda, e che fu discepolo di Anatolio un fautore di Porfirio, di cui fu discepolo, è stimato a corte presso Costantino anche se la sua opera, notevole, non ci è stata tramandata- direttamente- ma è conosciuta tramite estratti di Proclo e di altri Sui misteri egizi e caldaici (cfr. Angelo Filipponi in Capovolgimenti di strutture,significati e valori– Il quotidiano.It )
Ti dico solo che le sue affermazioni circa la spiritualità dell’anima sono determinanti per la costruzione della cultura giudaica e cristiana sulla psuchh in relazione all’intelletto e alla scala di valori degli elementi interposti tra le due entità: non è questa, comunque, la sede di una discussione su questo argomento: noi stiamo lavorando storicamente su un millennio prima, per definire il flamen dialis in epoca regia.
Giamblico, comunque, ritiene che l’uomo con le sue forze umane intellettive filosofiche non può conseguire Dio, ma lo può solo con la teurgia. Non per nulla l’imperatore Giuliano lo considera uomo divino e perfezione di ogni umana saggezza– ritenendo che già Platone in molti testi avviava alla mantica e filosofia teurgica, cosa che rilevano poi Proclo e i neoplatonici successivi come Simplicio e Filopono e Stobeo ( cfr. Lo “storico” Cristiano).
L’ Henosis– di cui si parla effettivamente in Misteri degli egizi – impossibile da conseguire come unione con Dio con l’indagine razionale,è realizzabile col sistema teoretico liturgico pagano, anche seguendo la mantica tradizionale: infatti nella trattazione dell’uno e della psuchh/anima si vede una serie di elementi intermedi tra le due entità per cui si giunge a Dio solo con la pratica teurgica cioè coi rituali magico-religiosi che autorizzano la comunione con gli esseri superiori divini ordinati gerarchicamente tra l’individuo terreno e il Kosmos!.
Insomma, professore, è Giamblico che riconnette la tradizione sacrale pagana con la divinità in una riscoperta funzionale dei riti arcaici romano-ellenistici, usati ora dal teurgo del IV secolo d.C?
La figura del teurgo, Marco, ha in sé i segni di quella pratica arcaica druidica e pagano- regia, etrusco-paleosabellica, ma sottende anche la funzione sacrale sacerdotale giudaico-cristiana.
Anche, quindi, la figura del flamen dialis, di istituzione regia, come il teurgo di Giamblico, Marco, ha un qualche valore spirituale, pathetikos, ma non so dire esattamente come possa esserlo. Comunque, ti aggiungo che in aramaico -gli iturei, antenati di Giamblico, erano aramaici!- si definisce con stra’ahra l’avversario (il diavolo/peirazoon) il male, il 666, l’altro punto di vista da tenere controllato, come oppositore al Theos e l’uomo lacerato tra il principio di bene e di male, in quanto nella creazione- secondo quanto tramandato da Enoch- la vita pulsa, spinta da due energie cosmiche quella distruttiva luminosa e quella costruttiva tenebrosa, pur essendo luce e tenebra fenomeni positivi poiché ambedue, creati da Dio, sono equivalenti come numero (aur/luce 207 -1 alef, 6 wau,200 resh-; tenebra/rtz 207- 200resh, 7 zain). Perciò la tenebra è luce che si spegne, la luce è tenebra che si illumina con la loro congiunzione danno come somma 414, la massima perfezione!
Professore, io non la seguo e, perciò, non volendo entrare nei calcoli cabalistici, improponibili, direi, assurdi alla comune razionalità e a me ingegnere, la invito a rimanere legato al tema, secondo la logica romana arcaica, anche se basata sui valori simbolici , secondo i procedimenti neopitagorici di Giamblico! Ripartiamo, dunque dal flamen dialis, che è un’istituzione arcaica, sacra per molte ragioni.
Certo, Marco, rimaniamo attaccati all’epoca regia! Dunque, Plutarco, che parla nelle vite di Romolo e di Numa del flamine, lo definisce in Moralia ( Quaestiones Romanae,III,) incarnazione animata ed immagine sacra del Dio – e considera l’aggettivo dialis per indicare il fedele di Zeus -da cui deriva il genitivo Dios– . Aulo Gellio – Noctes atticae X,15,1-32- riprendendo la lezione di Fabio Pittore, ne vede le funzioni e una serie di divieti e di doveri, comuni anche alla sua donna /Flaminica, per concludere con l’editto perpetuo del pretore circa i Flamini e le sacerdotesse di Vesta, che non devono essere forzati a giurare.
Del Flamine, Terenzio Varrone –II liber rerum divinarum- scrive: egli solo ha un berretto bianco e perché è il maggiore dei sacerdoti e perché deve immolare a Giove una vittima bianca!.
Ti aggiungo, Marco, che il flamen dialis, in quanto espressione della augusta figura di Zeus, essendo obbligatoriamente un patrizio, presenzia alle sedute del senato, ha diritto alla sella curulis e veste di toga pretexta-con striscia di porpora- ed è preceduto da un littore! Infine ti dico che, essendo una istituzione sacra del tempo di Numa (Plutarco, Numa 1,20) ha diritto a portare un copricapo apex, un berretto di pelle, sormontato da un bastoncino di legno, a cui è attorcigliato un filo di lana.
Sembra, secondo alcuni, che il termine flamen derivi proprio da questo filo del copricapo, anche se altri dicono che ha origine da flo/soffio, che indica l’atto di soffiare sacerdotale sul fuoco del sacrificio, in quanto deve fare il sacrificio rituale a Zeus.
Professore, oltre al flamen dialis, che è uno dei tre flamines maggiori, ci sono anche i minori?
Marco, i flamini maggiori tenevano in contatto i romani con la triade capitolina (Giove, Marte e Quirino) e, perciò, si chiamavano rispettivamente Dialis, Martialis e Quirinalis e, già con G. Cesare, il divino victor/nikhths, si ebbe anche il flamine Cesaralis: tutti erano nominati dal collegium Pontificum. I minori, 12 di numero, variabile, tenevano in contatto gli dei minori col popolo: il flamine Cereralis con Cerere, quello Florealis con Flora, quello Carmentalis con Carmenta , quello Portunalis con Portuno, quello Pomonalis con Pomona ecc. La sacralità di tutti era segno della concordia tra cielo e terra, simbolo di un’unione profonda tra la volontà divina e quella umana indissolubile, secondo la tradizione agricola mediterranea latino-greca.
Abbiamo qualche rappresentazione del Flamen dialis?
Io ne conosco tre: quella di Publio Scipione, figlio di Cornelio nella tomba di Scipione sulla via Appia, quella di Augusto nel fregio dell’Ara pacis ed quella di un ritratto di Lucio Vero Antonino con apex.
Professore, i flamini avevano qualche altra funzione?
Si. Marco ! quella del celebrare il matrimonio patrizio della confarreatio, oltre quella di mantenere unite le curie e di provvedere al culto dei penati.
Come si svolgeva la confarreatio ?
Marco, era un rito secondo la tradizione, già all’epoca di Romolo, e solo il flamen dialis poteva celebrare il coniugium di nobili imposto a due eguali per diritto : i due sposi si spartivano nella fase matrimoniale una focaccia di farro, alla presenza di 10 testimoni, con promessa giurata di condivisione dei beni e della vita stessa, dopo la fase della coemptio, che era un vero proprio passaggio di potere della potestas paterna a quella del marito. Il flamen dialis è garante della persona della sovranità della donna libera nella domus, per cui può dire Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia! Della funzione padronale della domina sono testimonianza i misteri della Dea Bona, una divinità matriarcale, innominata, chiamata in molti modi. che sono esemplari come espressione della libertà morale della romana, specie nei suoi riti , nella sua sfera femminile, nel suo campo muliebre, distinto rigorosamente da quello maschile.
Professore anche nei Lupercalia entra il flamen dialis?.
Certo, Marco .
La festa dei lupercalia del 15 febbraio ,- poi i cristiani molto tardi la cambieranno con la festa della Candelora, dedicata a Maria,- era una celebrazione pastorale intesa come purificazione del gregge e dell’urbs e quindi dello spazio del pomerio, all’intorno delle mura cittadine, dedicata a Fauno /lupus e sua moglie Fauna e si rievocava l’incontro dei gemelli, Romolo e Remo, con Faustolo che li trovava al Lupercale- una grotta del Palatino presso il Germalo, sacra a Pan Liceo, in cui la lupa aveva allattato i gemelli- e li portava ad Acca Laurenzia/Lupa, che si prendeva cura dei figli nati alla vestale Rea Silvia da Marte.
Un rito sincretico, dunque, Marco che raggruppava i miti della nascita divina di Romolo e del suo allattamento tra i pastori. Il nome deriva da due solidalizi di luperci,- quello dei Quintili e quello dei Fabiani, a cui si aggiunse in epoca cesariana quello dei Giuli,- che correndo intorno alle mura, dopo il sacrificio di capre ( e forse di un cane-strano-!) ad opera del Flamen Dialis, con la fronte segnata col sangue dal coltello insanguinato sacerdotale, vestiti con le pelli caprine, divise in due liste, pendenti ai lati,- come se fossero satiri/fauni- toccavano le pance delle donne, che incontravano, come augurio di fertilità (Ovidio, Fasti,II 282).
Augusto sembra che come flamen dialis sfrutta la sua libidine, a cui resta legato tutta la vita, secondo Svetonio che, –Augusto,LXXI -scrive: circa libidenes haesit, postea quoque, ut ferunt, ad vitiandas virgines promptior, quae sibi undique etiam ab uxore conquirerentur/ Persistette nella libidine, poi, sempre, piuttosto pronto, come riferiscono, a deflorare vergini che gli venivano procurate da ogni arte e perfino da sua moglie!
Svetonio aggiunge che la libidine Antonio la rinfaccia ad Ottaviano, moralista, nelle lettere, varie volte, e gli ricorda anche le cene segrete dei dodici Dei -Ibidem LXIX/ LXX- data la sua volontà di conoscere i segreti degli amici tramite l’adulterio con le loro mogli. Infine Antonio gli ricorda accuse vergognose, mosse anche da parte di Sesto Pompeo, di essersi prostituito al prozio e allo stesso Irzio in Spagna, tanto da paragonarlo ad un kinaedus – Ibidem LXVIII- Si ricordi che circolarono voci di omicidio sulla morte del console Irzio dopo la battaglia di Modena e la fine dell’altro console Pansa, ferito nel 43 a. C!.
Lasciamo da parte i vizi di Ottaviano ! E’ vero che Antonio – che fu il primo flamine di Cesare- fu anche un luperco giulio, augurante il regnum al dictator, desideroso di fare il bellum parthicum, trattenuto da un detto sfavorevole della Sibilla, nella festa dei lupercalia del 44 a.C.?
Si. Antonio, secondo gli storici, come magister del suo gruppo si presentò, dopo la corsa, con una corona a Cesare e come suo flamine lo voleva incoronare, coram populo, mentre il dictator rifiutava desideroso di averla in Senato, davanti ai patres che lo dovevano riconoscere basileus/Rex per avere gli auspici favorevoli alla impresa parthica, ritenuta dalla Sibilla non fattibile senza il titolo regale.
Cesare, il pius , figlio di Venus, martialis, non accetta, cosciente di meritare ufficialmente il titolo dal senato: infatti, entra nella curia per avere auspicia fausta e trova la morte, gli idi di marzo dello stesso anno, 28 giorni dopo i lupercalia, trascurando i signa nefasta di sua moglie Calpurnia!
Comunque, professore, trarre gli auspicia è connesso col mettere pullarium in auspicium cioè si fa classica divinatio, se si esaminano, col custode degli uccelli sacri o polli, le loro azioni nel momento del cibarsi o nel beccarsi tra loro, e si agisce di conseguenza politicamente specie, in caso di guerra o di tumulti cittadini!?.
La varietà augurale, comunque, Marco, è tale che bisogna esaminare i singoli corpi sacerdotali per comprendere realmente il fenomeno del trarre auspici, specie gli aruspici.
Chi sono gli aruspici?
Sono sacerdoti di origine etrusca che sono dediti alla aruspicina, una vera scienza , anche se si tratta di divinazione specifica, basata sull’esame scrupoloso delle viscere o del fegato. Sono quindi anche loro augures?
Certo, Marco, sono augures , non auspices, ma aruspices,- ar(u) fegato e spicio vedo-.
Gli augures guardando il numero, il grido, il volo, la direzione e l’ora dell’apparizione, oltre al numero e alla famiglia degli uccelli, al nitore del caelum, specie se sereno o nuvoloso o chiazzato senza nuvole dànno il loro responso, sulla scia di Romolo che, avendo visto 12 avvoltoi- animali puri nella loro impurità di rapaci che non uccidono ma mangiano gli scarti degli altri- conformandosi al verdetto celeste, prevale su Remo che ne ha visto 6: ogni segnale del cielo è una manifestazione del miraculum letto ed interpretato dal collegium sacerdotale!.
In De haruspicum responsis e nella orazione di Cicerone contro Clodio, che ha commesso vari crimini tra cui quello della profanazione di misteri della Dea bona, riservati a sole donne, mostra il valore delle corporazioni indignate contro il reo. Anche gli arvali insorgono perché lesi nella loro professionalità in quanto garanti della feracità della terra e della donna!
Ricordo vagamente un frammento del Carmen fratrum arvalium, me lo può citare? Mi può aggiungere qualcosa per meglio qualificare questa corporazione sacerdotale?
Certo. Marco.
Questi sono i versi della tradizione arvale:
Enos Lases Iuvate/neve lue rue Marmar, sive incurrere in pleores/ satur fu fere Mars limen sali sta berbes/ semunis alternei, advocapit cunctos / enos Marmar iuvato / triumpe priumpe triumpe triumpe triumpe
Il testo, trascritto in Latino, vale.
Nos Iuvate Lases/ proteggeteci o Lari (la s intervocalica non è ancora rotacizzata) neve luis ruinam, Mars, sinas incurrere in plures/ non permettere,o Marte, che la rovina della pestilenza si diffonda tra i più; Satur sis fere Mars/ sii sazio, o fiero Marte, limen sali/salta sulla soglia; sta verbera/fermati, batti ! Semunes-_deos- alterne (quisoee) invocabit cunctos/ ciascuno invocherà tutti gli dei ; triumpe triumpe triumpe triumpe, triumpe/batti il piede tre volte.
Il canto dei 12 fratres arvales è lustrale, purificatorio per i campi (arva)! I sacerdoti, portando i turiboli, incensavano in ogni direzione seguiti a debita distanza dai contadini, in processione, e passavano fra i campi coltivati facendo la tripodatio cioè una danza campestre per la lustratio agrorum al fine di impetrare, a primavera, buoni raccolti e un pubblico benessere con augurio per la salute del condottiero militare/de ducis salute o per la vittoria finale /de victoria al comandante.
Gli arvali, i saliarii ed anche i feziali – un corpo sacerdotale addetto ai riti augurali in caso di guerra da fare o di dichiarazione verbale da proporre erano corporazioni anticamente agricole, poi trasformatisi in militari, nel corso dei secoli, a seguito di un costituzione singola di cerimoniali specifici, che tipicamente li contraddistinguevano, anche con gli abbigliamenti.
Se gli arvali erano seguiti nelle rogationes agricole, i saliarii avevano il loro seguito in città dopo la trasformazione di Mamars agricolo in dio guerriero, dopo l’istituzione da parte di Numa dei XII Salii sacerdoti del culto di Marte, custodi dei 12 ancilia/scudi sacri, apparentemente eguali. In realtà uno solo si diceva caduto dal cielo, ma Il re ordinò ad un faber di costruirne altri 11 identici, confondendoli.
Per suo ordine, si costituì un corpo sacerdotale, addetto ai sacra ancilia, i cui portatori danzavano- salio vale danzo– seguiti da una processione di fedeli, durante il mese di Marzo, passando per le strade di Roma, a volte anche accompagnati dai feciali e da aruspici, se incaricati in caso di inizio di una guerra, di trarre auspicia dal fegato degli animali e di propiziarsi il favore divino con sacrifici, con danze e canti.
Professore, io ricordo vagamente anche un carmen saliare! Me lo può recitare?
Ti scrivo il testo : divom em pa cante/ divorum eum/iovem patrem canite; divum deo supplicate/divorum deo suplicate; / quome tonas leucetie, prai ted tremont quod ubique homunes deivi, conctum mare:/ o Zaul, o domine, es omnium pater; Patulei, Cloesiesi ianeus, es iane, duomus cerus, es oinus promelios Deivom recum.
Ti do una corretta interpretazione del triplice frammento, con traduzione: Deorun eum (Iovem) patrem canite, deorum deum suplicate/Cantate Giove padre degli dei e supplicate il dio degli dei /cum tonas lucis auctor, praetremunt te quot ubique homines divi, cunctum mare (quando tuoni o portatore di luce, si spaventano quanti sono in ogni luogo, gli dei e tutto il mare; O sol, o domine, es omnium pater/ o sole o signore tu sei a tutti padre / o Potulei,o Clusi, es ianitor, es Ianus /o Patuleo , o Cuseo- sono due epiteti di Giano- / tu sei colui che apre, tu sei Giano/tu bonus creator es, unus promedius (maximus) divorum regum /tu sei il creatore buono, tu sei unico massimo tra gli Dei re.
Grazie professore! Ora, per mia curiosità, vorrei che mi parlasse dei Feziali.
Marco, ho intenzione di parlatene in un’altra occasione per illustrarti la figura di un Fetialis, in un affresco dell’Equilino del III secolo av.C.
Per ora ti dico che essi formano una corporazione di 20 patrizi, depositaria del diritto relativo ai trattati di alleanza e all’atto della di guerra (ius fetiale). Sembra una normale corporazione sacerdotale simile ad altre di popolazioni sabine ed italiche, dello stesso statuto. Conosciamo i feziali da Polibio– St., III 25 – da Livio – Ab urbe condita I 24,32 IX 5 -, e da Gellio,- Noctes Atticae , XVI,4 ed anche da scrittori Cristiani.
Si sa che i fetiales, andavano a due a due, uno arava a nome del popolo romano e si chiamava Pater patratus, mentre l’altro era chiamato Verberarius perché portava una zolla di terra come portafortuna simbolica della patria. Quando arrivavano in territorio straniero ed entravano in città, facevano gli scongiuri e uno lanciava la lancia oppure affermava che rimetteva la questione al senato. Di loro si conoscono strani comportamenti e molte maledizioni e contro i nemici e contro il territorio, destinato alla rovina!
Grazie!
Dunque, professore, chiudendo il nostro lungo discorso su Ab Iove principium, posso dire che si rileva una profonda religio nella tradizione etrusco-latino-sabellica, e si nota una dipendenza dell’uomo arcaico dal divino, tanto da poter affermare che da tale volontà di pietas derivi la funzione sempre crescente, prima, del clero pagano, poi di quello cristiano, che ha condizionato storicamente l’uomo, come pellegrino sulla terra!.
Marco, penso che si possa solo dire che le corporazioni hanno funzioni propiziatorie tra il mondo del vivere quotidiano, terreno funestato da mali contingenti naturali, transeunti e quello ritenuto divino ed eterno della sfera celeste. Forse, oggi, nel terzo millennio, necessita un cambio di paradigmi in una ripresa della cultura sumerico-accadica, di uno stato umano primordiale naturalis, dove non contano affatto l’Ab Iove principium virgiliano né l’a Christo principium agostiniano.
Dunque, professore bisogna invertire la rotta del timoniere, kuberneths umano e terreno verso una realtà astrale,operando non più solo al pianeta terra e al sistema solare e galattico , e fare paradeigmata cibernetici, scientifici in direzione extragalattica non più secondo la conformazione alla volontà divina superiore, ad un equilibrio cercato dall’uomo occidentale pagano -italico mediterraneo, in modo simile a quello orientale, seppure con pratiche e forme diversificate a causa della millenaria cultura, rispetto a quella occidentale, più recente e barbarica!.
Certamente, Marco, non si deve più considerare la civiltà come un processo che va da oriente verso occidente in una costante e progressiva superiore acquisizione culturale, che cioè la cultura civile e sociale va dai Sumeri e dagli accadi, agli assiro babilonesi, ai persiani,ai greci ai Romani e alle potenze romano-cristiane, in un crescendo di esperienze e di miglioramenti economiche e di avanzata scientifica razionalizzazione fino ai contemporanei processi cibernetici mondiali. L’uomo, che vive sullo stesso pianeta terra, può godere oggi di una stessa civiltà, pur in diversi tempi e in diverse latitudini, contrassegnato da un continuo progredire anche se vi sono ancora zone in forte ritardo culturale!
Professore, in un mondo ormai piccolo villaggio, in cui la globalizzazione e il cambiamento climatico determinano (data l’avidità umana di alcune ristrette lobby, economico-finanziarie ebraico-cristiane, rispetto agli altri esseri animali e al sistema vegetale), catastrofi apocalittiche- di cui la recente pandemia è una prima forma di avviso-, si può affermare che solo gli studi planetari di cibernetica possono indicare nuovi percorsi e formare itinera graduali mediante signa per il futuro uomo – liberato dalle caste di sacerdoti, lettori di libri divini, sibillini, di Bibbie, di Aveste, di Corani,- guidato da équipes scientifiche che, con un vasto programma di ricerca interdisciplinare, matematico, possono dall’esame degli organismi viventi e di sistemi naturali ed artificiali applicare non l’ascesi mistica ma la conquista spaziale come nuova comunicazione tra viventi senza Mosè, Zaratustra, Budda, Christos, Maometto, secondo funzioni tipiche degli esseri viventi?.
Marco, questa è una tua affermazione, da ingegnere, io da vecchio-bambino posso dire quanto riesco a capire del valore della scienza e del pericolo delle caste sacerdotali, che con il sapere teurgico accalappiano le moltitudini!
Professore, vuole dire, comunque, che non c’è più bisogno di clero, di uomini con apex , che comunicano il presunto volere di un Dio, che forse neanche esiste, ma che c’è bisogno di conoscenza vera ed aperta per un popolo cosciente di essere un mortale terreno, come i tanti altri fratelli abitanti dell’universo, aspiranti ad una comunicazione paritaria universale, non ad una colonizzazione greco-romana-americana violenta! L’esperienza del Coronavirus del 2020 ha insegnato qualcosa in senso di fratellanza universale e di rispetto reciproco ai popoli in relazione al male dominante, al di là della religio, nello sforzo comune di salvezza, nella certezza di una vittoria conseguibile solo con la scienza!. Dunque, non più classi sacerdotali che insegnano- tutti siamo maestri!- se siamo scienziati, se cerchiamo di migliorare la nostra conoscenza e tendiamo ad astra, a congiunzioni non misteriose, né magico- mitiche, ma a reali comunicazioni al di là di confini solari e galattici. L’uomo è uomo, una creatura, che ha in sé entità divina, che, con l’errore, costruisce il suo cammino e scala il cielo, sapendolo non più popolato da Dei eterei, ma da elementi materiali, anche senzienti, di sostanza terrena, che hanno una propria storia anche loro soggetti ad uno stesso Fatum-eimarmenh, in quanto mortali.
Certo, Marco, la religio pagana, quella ebraico- cristiana-islamica e quella induista-buddista, nonostante i meriti, cedono il primato alla scienza, unica salvezza per l’uomo, unica fonte di benessere capace di comprendere il messaggio naturale nelle sue varie forme: non c’è sulla terra un’ oikonomia tou theou, un piano salvifico di un dio nella storia dell’uomo!
Professore, c’è solo un principium scientifico!?
Marco, col trionfo, però, della scienza c’è il rischio di rendere automa l’uomo e di privarlo della pars affettiva e sentimentale, la sua reale ricchezza, tanto sfruttata dalla religio!