“Il re saggio degli ebrei” di Mara bar Serapion

*Professore, ho letto Ilaria Ramelli Lettera di Mara bar Serapion in Stoici romani minori, Milano, Bompiani, 2008, pp. 2555-2598. Mi piacerebbe discuterne con lei, visto che lei stima molto l’autrice e che ha fatto ricerca sul 73 d.C. – cfr. Filopappo – anno di possibile scrittura del testo in questione, avendo lei letto anche Mara bar Serapion, Letter to His Son. Testo originale inglese e tedesco a cura di Annette Merz ed altri, Tubinga, 2014.

Marco, non ho competenze specifiche, se non quella storica sugli anni 70-73 d.C. in cui, dopo la distruzione del Tempio e la presa di Masada, il governatore della Giudea, Lucio Flavio Silva – un piceno di Urbisaglia – insiste nella repressione, sconfinando, alla ricerca di ebrei aramaici, per cui determina movimenti insurrezionali anche in Commagene, già sorvegliata dall’epitropos di Siria.

*Per questo Mara è separato dal figlio, come il suo re è separato dalla sua famiglia!

Mara è separato dal figlio a causa della guerra coi Romani: la sua città è andata distrutta e Mara, pur prigioniero, spera che i Romani scelgano di ridare la libertà alla sua gente e, perciò, invita il figlio a perseguire la via della virtù e della saggezza, allo scopo di affrontare meglio le difficoltà della vita. La saggezza, dice Mara, permette all’uomo di non perdere la serenità e di fidare in Dio, che può concedere una sorta di immortalità in quanto la vita ha un termine, ma la virtù dell’uomo saggio dura per sempre.

*Il discorso di Mara è poetico e davidico tipico dei Salmi, che sono espressione musicale della classe colta giudaica, poeti di corte, leviti, teologi, profeti amanti tutti di saggezza.

Marco, tu vedi la saggezza coniugata con la giustizia, e, quindi, come fonte della felicità, come si dice espressamente in Salmo, 1 e si precisa nei Salmi 2, 3 e 4, dove si evoca la figura del Christos col suo dominio universale, assistito dal Padre, signore che concede la vera pace. È così? Io, su tale base, ho scritto Gesù, meshiah aramaico, methorios, politikos, desideroso di mostrare la moderazione di un sovrano, che deve essere ago della bilancia, tra due grandi imperi!

*Mara, infatti, sembra seguire i Salmi in quanto elenca casi in cui coloro che hanno colpito i saggi sono stati puniti e la memoria dei saggi non è morta.

Mara fa tre esempi: uno ateniese in cui vengono esaminati gli ateniesi nei confronti di Socrate, l’altro Samio in cui sono condannati i sami nella loro condanna verso Pitagora e il terzo ebraico circa il loro re saggio.

*Da questi paradeigmata-exempla lei, professore, vede che gli aramaici, sconfitti, privati del Tempio, distrutto da Tito, conservsano la memoria di un re saggio, quel maran Jehoshua Barnasha, la cui impresa, recente, (18 ottobre 31-Pasqua 36 d.C.) alonata come quella arcaica di Pitagora (570-495 a.C.) e di Socrate (470-399 a.C.).

Marco, io ritengo che possa essere così, ma non è detto a causa della datazione: dalla morte di Socrate a quella del re saggio degli ebrei ci sono troppi anni – 435! – mentre tra quella di Pitagora e quella di Socrate solo 96 anni!

*Per lei professore, non è chiaro a quale messia-re unto Mara si riferisca: il termine saggio lo equipara, sulla base dei Proverbi davidici, al Christos, al personaggio che patì e morì sotto Tiberio!

Sono sorpreso inoltre che, dopo un avvenimento così tragico come quello della perdita del Tempio e della fine del sacerdozio sadduceo – sacri per un aramaico non solo gerosolomitano e giudaico, ma anche per gli aramaici dei regni confederati con la Parthia, da sempre fratelli, che hanno una comune lingua parentela, religione – si ricordi ancora un messia, morto in croce e si parli di dispersione ebraica-galuth!

 

Impero romano e parthico, dopo il 70 d.C.

 

*Professore lei mi vuole dire che c’è una propaganda orale sul re saggio degli ebrei, anche dopo la fine dl tempio, e che gli aramaici oralmente ricordano la vita e i miracoli del Messia in territori, come Osroene e il regno di Armenia sotto l‘auctoritas del re dei re, oltre che in quelli sottoposti definitivamente ai romani (Ponto, Bitinia, Cappadocia, Armenia minor, Commagene e Sophene).

Marco, conosco una lettera apocrifa di un certo Addai, oggi in Doctrina Addai (Codex Tchacos), che parla di una miracolosa guarigione ad opera di Gesù, verbale, di Abgar V-Abgarus, re lebbroso di Osroene (che, convertitosi, ebbe dall’apostolo Tommaso, un fazzoletto/mandylion, portatogli dal discepolo Taddeo, su cui era impresso il volto del Salvatore Christos/Signore-Messia), poi testimoniata dai Padri della Chiesa cattolica (cfr. Bardesane)

 

Codex Tchacos

 

 

*Quindi, anche dopo la fine del Tempio, tra gli aramaici, si parlava di Gesù, della sua impresa messianica, dei suoi detti-logia e miracoli?

Marco, secondo la testimonianza di Mara e poi di Bardesane, si può dire che la propaganda aramaica in siriaco, durò fino quasi agli inizi del II secolo, quando inizia una lettura greca del fenomeno messianico che ha due momenti, uno in senso mitico-eroico, secondo un’interpretazione filoniana e paolina, nelle sedi di Efeso e di Antiochia ed un altro dopo la galuth/dispersione giudaica da parte di Adriano (117-138 d.C.), in Alessandria, in senso mistico- teologico, secondo una concezione monarchiana divina del Christos logos dell‘Agia Trias/Santa trinità, uios incarnato, col Padre e con lo Spirito santo, upostaseis-persone della stessa natura divina eterna. Comunque, Mara, sembra testimonio sicuro che lui, come il Saggio, partecipe della saggezza /logos, è beato perché non cammina nel consiglio degli empi e non ristette nella via dei peccatori e non si assise nei consiglio dei beffardi ma, avendo il suo diletto nella legge del signore, in essa medita giorno e notte!

*Certo. Professore. Dio, infatti, ha punito gli ateniesi con la peste, i sami col mare e gli ebrei con la dispersione-sconfitta; Socrate è ricordato tramite Platone, Pitagora dalla statua a Giunone, e il re saggio dalle sue nuove leggi!

Marco, Le sue parole esatte sono queste: Quale vantaggio trassero gli Ateniesi dall’aver ucciso Socrate? Ne ottennero carestia e morte. O gli abitanti di Samo per aver bruciato Pitagora? In un momento tutto il loro paese fu coperto dalla sabbia. O i Giudei, per il loro saggio re? Da quel tempo fu sottratto loro il regno.
Dio vendicò giustamente
la saggezza di questi tre uomini: gli Ateniesi morirono di fame, gli abitanti di Samo furono travolti dal mare, i Giudei furono eliminati e cacciati fuori dal loro regno, e sono ora dispersi per tutte le terre. Socrate non è morto, grazie a Platone; né Pitagora, grazie alla statua di Hera, né il saggio re, grazie alle nuove leggi che ha stabilito.

* Ora io, leggendo il messaggio di Mara, penso a quanto lei mi ha detto nel suo discorso su Filopappo, nipote di Antioco IV (Cfr. Filopappo) e sulla sottrazione del regno agli ebrei.

Marco, io prima ho detto… dopo la morte di Nerone e la fine della familia imperiale giulio-claudia, la Commagene come la Iudaea – che già aveva iniziato la sua rivolta in epoca neroniana – e le regioni vicine all’Eufrate, aramaiche, abbiano fremiti di indipendenza da Roma in una rivendicazione della loro comune appartenenza alla stirpe mesopotamica – nel fatale 69, anno dei tre imperatori (Galba, Otone e Vitellio) -, ancora vivi nel triennio 70-73, in cui si afferma la figura di Vespasiano che è inizialmente titubante nell’accettazione della elezione militare di legati come Tiberio Alessandro e come Muciano, nonostante le predizioni di Giuseppe Flavio e di Tiberio Balbillo, ex governatore di Egitto, scienziato ed astronomo figlio di Trasillo, pur avendo il favore del team di Apollonio di Tiana – cfr. Vespasiano e il regno, ho poi aggiunto che la famiglia regale di Antioco IV, una volta svincolatasi dai giulii e dai claudii, pur portando impresso nei nomina ufficiali Giulio e Tiberio, sembra riprendere la logica tradizione seleucide di Antioco Epifane e di Archelao di Cappadocia, congiunta a quella arsacide del re dei re Vologese e, quindi, rientrare nell’orbita dell’impero parthico. Da qui i movimenti insurrezionali contro Roma, noti al governatore di Siria, che denuncia il re come traditore del foedus a Flavio Vespasiano, che è ancora ad Alessandria, incerto se accettare la nomina imperiale, fattagli da Tiberio Alessandro, governatore di Egitto, essendo ancora aperta la guerra tra i contendenti Otone e Vitellio, dopo la morte di Galba. Solo dopo la vittoria su Vitellio di Bedriaco, Vespasiano, seppure titubante, invia il figlio a completare la presa di Gerusalemme e dà l’ordine di distruzione del Tempio, mentre i suoi legati sono intenti ad assediare le fortezze di Macheronte e di Masada – che cadono rispettivamente nel 71 ad opera di di Sesto Cecilio Basso e nel 73 ad opera di Lucio Flavio Silva -. È questo un periodo storicamente difficile da decifrare specie per le incertezze di Vespasiano, fermo ad Alessandria – circondato da uomini di cultura come Apollonio di Tiana e da profeti come Giuseppe Flavio ed astronomi ierofanti come Tiberio Balbillo, che lo esortano a prendere il regno, anche se rilevano limiti nella sua stessa personalità, dimostrati sotto i giulio-claudi – e per i suoi primi timidi atti nelle relazioni internazionali col re parthico Vologese, con cui stipula un trattato di non interferenza, reciproca.

*Bene. Professore. Lei, comunque, afferma che in questo periodo, anno 72, Antioco IV, essendo attaccato da Lucio Perennio Peto, che invade la Commagene, fugge in Cilicia, altra parte del suo regno; perciò, mi chiedo se è possibile che Mara bar Serapion sia col suo re in Cilicia, mentre il figlio è rimasto in patria per combattere?

Marco, io non so dirlo. Tu cerchi di contestualizzare la vicenda di Mara bar Serapion, che è molto controversa – molti arrivano a porre lo scritto di Mara bar Serapione all’epoca di Caracalla ed oltre! – e che io non conosco bene! So, comunque, che il re, ricevute lettere da Vespasiano e da Vologese, si affida ai soldati romani e si rifugia a Roma, scortato da militari, che lo accompagnano dall’imperatore, che lo accoglie e gli concede perfino un vitalizio per mantenere il suo alto tenore di vita.

*Quindi, potrebbe essere possibile che anche Mara possa tornare a riunirsi, in qualche modo, al figlio, visto che ciò accade per Antioco e la sua famiglia, prevalendo la saggezza e non la superbia militare etnica.

Sembra, Marco, che i due – Callinico, nipote -, insieme a giovani aramaici, dopo aver resistito alquanto alle forze romane, si rifugiano da Vologese, in Parthia, prudentemente e saggiamente, dove sono accolti benevolmente, in quanto il re dei re ha già fatto un trattato col nuovo imperatore romano, Vespasiano, a cui scrive lodando nobilmente la lealtà dei re di Commagene nei confronti di Roma. Allora, Vespasiano autorizza il figlio di Antioco IV a vivere in territorio romano e a ricongiungersi col padre a Roma, dove giunge con tutti gli onori, poco prima della morte del padre. Dopo pochi mesi, Giulio Archelao Antioco Epifane si trasferisce ad Atene, dove ha beni, terre e fautori col figlio Filopappo, mentre la moglie torna ad Alessandria con la figlia, da poco nata, presso il padre Tiberio Balbillo, ex governatore dell’Egitto dal 55 al 59 che, avendo profetizzato il regno a Vespasiano, era, allora, stimato direttore della Biblioteca – c’è una stele con iscrizione della ristrutturazione da parte di Balbillo della Biblioteca alessandrina! -!

*Forse per queste notizie, indebitamente, ho pensato ad un’azione prudente fatta da Antioco IV e da Mara, concordata con altri di fede messianica, come quelli di Osroene e con Simeone, parente di Gesù. successore di Giacomo, fratello del re Saggio, fuggiasco.

Marco, tu parli in relazione, forse, ai ricordi che hai della Sapienza-sophia di Giovanni (1, 1-11) e di quella di Paolo (I Cor., 1.23-31) e non tieni presente la diffusione greca di tali testi, propri del regno di Antonino Pio (138-161 d.C.) e di Marco Aurelio (161-180 d.C.) – cfr. Frontone e gli antonini -. e, pensi che prevalga, perciò, la saggezza sulla scia ancora della saggezza del re saggio ebraico morto, come se Antioco IV e Mara bar Serapion fossero suoi seguaci. Non ti sembra azzardato? Non mi sembra opportuno dire che i versetti greci di Giovanni e di Paolo, che esaltano la sapienza umana in genere e quella storica giudaica possa autorizzare la formula dei Proverbi come annuncio di ricompensa per la rettitudine comportamentale e per la sottomissione quando si adombra la punizione per i superbi. come profezia di quanto accade realmente. Giovanni e Paolo inneggiano alla sapienza sulla base del Prologo dei consigli sapienziali 1, 2, 3. A mio parere, non puoi dire che la luce venuta, testimoniata da Giovanni, sia luce vera, Christos, che illumina ogni uomo/quello che veniva nel mondo/era nel mondo e che il mondo fu fatto/ per mezzo di lui/e il mondo non lo riconobbe in quanto venne nella sua proprietà/e i suoi non lo riconobbero.

*Professore, secondo me, anche l‘incipit è dei Proverbi, in quanto c’è la proclamazione di Dio creatore e principio di vita logos/verbum, molto vicino al pensiero di un Paolo missionario a Corinto, da lui cristianizzata insieme a Silvano e Timoteo.

Marco, il fatto che tu metta confronto e colleghi questi versetti con i proverbi sapienziali e con l‘incipit giovanneo, non è prova storica, ma solo conoscenza del testo biblico da parte di uomini detti cristhianoi, di lingua greca?

*Certo, professore, comprendo quanto mi dice, ma io vedo molta attinenza tra i testi, per quanto riguarda la conclusione paolina: noi predichiamo Gesù crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma per i chiamati sia giudei che greci è Christos potenza di Dio e sapienza di Dio in quanto la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini /ἡμεῖς δὲ κηρύσσομεν Χριστὸν ἐσταυρωμένον, Ἰουδαίοις μὲν σκάνδαλον ⸀ἔθνεσιν δὲ μωρίαν,αὐτοῖς δὲ τοῖς κλητοῖς, Ἰουδαίοις τε καὶ Ἕλλησιν, Χριστὸν θεοῦ δύναμιν καὶ θεοῦ σοφίαν.ὅτι τὸ μωρὸν τοῦ θεοῦ σοφώτερον τῶν ἀνθρώπων ἐστίν, καὶ τὸ ἀσθενὲς τοῦ θεοῦ ἰσχυρότερον τῶν ⸀ἀνθρώπων, specie se leggo quanto segue: Considerate, infatti, la vostra vocazione, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili/.Βλέπετε γὰρ τὴν κλῆσιν ὑμῶν, ἀδελφοί, ὅτι οὐ πολλοὶ σοφοὶ κατὰ σάρκα, οὐ πολλοὶ δυνατοί, οὐ πολλοὶ εὐγενεῖς·Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti/ἀλλὰ τὰ μωρὰ τοῦ κόσμου ἐξελέξατο ὁ θεός, ἵνα ⸂καταισχύνῃ τοὺς σοφούς⸃, καὶ τὰ ἀσθενῆ τοῦ κόσμου ἐξελέξατο ὁ θεός, ἵνα καταισχύνῃ τὰ ἰσχυρά,Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,καὶ τὰ ἀγενῆ τοῦ κόσμου καὶ τὰ ἐξουθενημένα ἐξελέξατο ὁ θεός, ⸀τὰ μὴ ὄντα, ἵνα τὰ ὄντα καταργήσῃ, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio ὅπως μὴ καυχήσηται πᾶσα σὰρξ ἐνώπιον τοῦ θεοῦ. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale, per opera di Dio, è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione/ἐξ αὐτοῦ δὲ ὑμεῖς ἐστε ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ, ὃς ἐγενήθη ⸂σοφία ἡμῖν⸃ ἀπὸ θεοῦ, δικαιοσύνη τε καὶ ἁγιασμὸς καὶ ἀπολύτρωσις, affinché, come è stato scritto, chi si gloria si glori nel Signore/ ἵνα καθὼς γέγραπται· Ὁ καυχώμενος ἐν κυρίῳ καυχάσθω.

Marco, tu ed io, due povere creature, siamo sul campo delle supposizioni e, se non vogliamo essere stupidi superbi, dobbiamo essere cauti nelle affermazioni, data la distanza dai tempi di scrittura e la nostra difficoltà a leggere le storie e i testi, che, nel corso dei secoli sono stati per di più interpolati e volutamente mistificati per diverse ragioni: siamo impotenti nelle ricostruzioni delle situazioni e degli episodi e della storia!

*Certo professore… però si potrebbe dire che nostra risultanza è la sicura propaganda aramaica orale col mandylion di Agbar V, ben documentata da Evagrio Scolastico e da Giovanni damasceno (675- 749).

 

Abgar V e il mandylion

 

Forse questo si potrebbe dire su Gesù maran-basileus-re, sophos/saggio e sulla memoria aramaica, tra gli aramaici di Adiabene, di Osroene e armeni di Parthia ed anche di Cappadocia, Ponto, Bitinia, Cilicia, di zone sottoposte alla romanitas e si potrebbe affermare che c’è presenza anche di una successiva propaganda in senso ellenistico in un ambiente, prima antiocheno ed efesino, mediante letture mitico-eroiche, e, poi, in ambiente alessandrino neoplatonico e gnostico, dove si sta costituendo la Santa Trinità, come già abbiamo detto in Oralità e scrittura dei Vangeli.

*Professore, non bisogna, comunque, trascurare – e si deve invece considerare – che in questa lettura christiana ellenistica c’è anche l‘apporto della cultura stoica ed aristotelica, specie di Seneca, Epitteto, Musonio Rufo e perfino di Marco Aurelio, con tutte le problematiche dei doveri/ta kathkonta, tipici del poliths spoudaios e sophos cfr. Conversazione sulle leggi di Pericle con Alcibiade ventenne.

Marco, tu tendi a concludere… coerentemente, io non lo farei e… mi asterrei in quanto conosco i limiti della mia preparazione su un settore di studi...tanto complicato e non decifrabile storicamente!