Vespasiano e il Regno

 

A mio fratello Luciano

 

Anche il tacere è un discorso!

 

Marco,  tu sai che ad Alessandria  Flavio Vespasiano, dopo aver avuto l’adesione di Tiberio Alessandro e poi di Licinio Muciano e il loro riconoscimento  militare del suo Regno, libera Giuseppe ben Mattatia.?

Non precisamente! Comunque, ho piacere  di sentire  parlare esattamente di questo episodio, da me poco conosciuto. Permetta però, che  chieda in quali mesi del 69 d.C.  Vespasiano rimane in città.

In  Guerra Giudaica, IV,10.1-10 Giuseppe Flavio mostra il periodo in cui Vespasiano  è ad Alessandria e sa dell’elezione di Vitellio  ad imperatore, rilevando il suo furore personale e quello del suo esercito dapprima e poi evidenziando i discorsi dei soldati e l’ intenzione del dux di chiedere con lettere l’appoggio di Tiberio Alessandro, governatore di Egitto e quello di Licinio Muciano, governatore di Siria.

Perciò,  si può dedurre da Flavio – oltre che da Svetonio (Vita di Vespasiano e Vita di Vitellio ) e da Tacito (Historiae,II,III,IV) da Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, V) e da Dione Cassio (Storia romana,LXIV ) ed altri – che resta in Alessandria dalla seconda metà di Giugno fino ai primi mesi del 70, in quanto i suoi eserciti si spostano, via terra, timorosi delle insidie del mare nella stagione autunnale,  mentre  lui riceve le delegazioni orientali,come imperator/autocrator,  pur facendo  nel frattempo qualche rapido trasferimento ispettivo verso la Giudea e la Siria.

Di questo si ha conferma da Tacito – Historiae  III e IV,- dove si parla dell’ arroganza di Primo Antonio e del  suo contrasto con Licinio Muciano e delle predizioni favorevoli a Vespasiano in attesa dei venti  favorevoli per la navigazione.

Vespasiano  già è visto come prediletto degli dei  in Historiae II ,78  a seguito degli auspici dell’astrologo Seleuco,  nel racconto del cipresso improvvisamente caduto e poi rialzatosi a notte, in tutta la sua maestosità, e specie per il miracolo del Carmelo in cui  Basilide,  sacerdote di un tempio del dio samaritano,  a Vespasiano, che faceva sacrificio,  prediceva, dopo aver esaminato le viscere,  che sarebbe stato il padrone del mondo.

Ad Alessandria, poi, avvengono due fenomeni paradossali che Tacito descrive nel IV libro, 81,1: in quei mesi in cui Vespasiano attendeva ad Alessandria il ritorno periodico  dei venti estivi, che fanno sicura la navigazione,  avvennero molti prodigi.

Tacito  enumera due  casi di malati che si presentano a Vespasiano chiedendo la guarigione  per ordine di Serapide, a loro apparso  di notte: uno  è quello del cieco e l’altro  dello storpio di una mano.

L’autore mostra la prudentia del dux che chiede ai medici  se la cecità e l’infermità dell’arto siano guaribili con mezzi umani e s’informa  da esperti e specie da Tiberio Balbillo – ex governatore dell’Egitto, neroniano,  il saggio, il  direttore  della Biblioteca, figlio di Trasillo, il mago di Tiberio!- circa il felice esito del  suo intervento ! .

L’imperatore, avuto parere favorevole, in quanto nel primo la forza visiva non è distrutta e può tornare, e nel secondo una pressione col piede potrebbe guarire il  malato, pensò che alla sua fortuna si aprissero  tutte le strade  e che nei suoi riguardi non ci fosse più nulla di incredibile/ nec quicquam ultra incredibile,  fra l’attenzione della moltitudine eseguì con serena calma le prescrizioni. Subito la mano dello storpio riprese le sue funzioni e il cieco vide la luce.

Testimoni oculari, conclude Tacito, rammentano entrambi i fatti, anche ora, che che non vi sarebbe più interesse a mentire.

Nel contesto di Alessandria, quindi, accadono prodigi incredibili e Tacito ne aggiunge un altro, quello dell’episodio di un altro  Basilide, cioè di  un venerabile sacerdote che compare improvvisamente mentre Vespasiano  visita il tempio di Serapide, pur essendo malato  e lontano dalla città 800 miglia.

Lo storico così chiude: l’apparizione fu considerata  un fatto sovrumano e dal nome di Basilide (Basileus-re ) comprese il senso del responso.

Anche Filostrato (170-249 d.C.) parlando di Apollonio di Tiana,  che allora era certamente il più famoso tra gli uomini per la filosofia e per la dottrina  pitagorica, scrive  di un ‘aura sacra in cui si trova  Vespasiano in quei mesi ad Alessandria (Vita di Apollonio di Tiana, V, 27-28).

Il tianeo sembra confermare quanto già preannunciato da Giuseppe Flavio (cfr Frontone e gli antonini),  che proprio allora, subito dopo l’acclamazione del 1 luglio 69 viene liberato, nel corso delle operazioni navali di partenza per Alessandria.

Vespasiano, unendo i vari episodi e  le varie situazioni miracolose e prodigiose, si sente veramente il sothr, voluto dagli Dei  per redimere il mondo romano dalle sue colpe e  liberarlo dalla guerra civile.

Professore, Alessandria è, dunque, la città in cui si realizza il sogno di Vespasiano, che decide di assumere il comando delle operazioni  militari, sulla base dei prodigi italici, di quelli ebraici ed ora di quelli egizi?

Certo Marco, è un momento magico e incredibile, di una fortuna che si manifesta concretamente al dux, ora convinto di essere destinato all’impero per volontà degli Dei. Molti  uomini concorrono a dare a Vespasiano questa certezza  circa il  favore  divino, a seguito di sondaggi popolari  sul nuovo eletto e sull’ imperatore in carica, dopo la morte di Nerone; tutti  osannavano per Vespasiano  e per la sua personalità  di moderato vir  e di civis austerus  contro l’esecrato Vitellio, uomo degenerato e smodato.

Ci sembra, quindi,  che da una parte la fonte giudaica di Giuseppe e da una altra quella del gruppo pagano-pitagorico di Apollonio concorrano alla acclamazione di Vespasiano ad imperator /autocrator come per una investitura divina, come un anticipo della elezione del migliore, tipica degli antonini, rispetto a Vitellio e a Nerone stesso, considerato degenere  giulio-claudio, espressione della vecchia monarchia seppure augusta.

Flavio, infatti, afferma che Vespasiano, essendo dalla sua parte la fortuna ( prochooroushs— ths tuchhs, Guerra giudaica, IV,10,7), non senza il volere di Dio, sale al principato e che un giusto destino lo fa signore del mondo.

Perciò,  lo scrittore aggiunge che l’imperatore,  in considerazione dei tanti prodigi avuti e in ricordo della  predizione,  fattagli  quando ancora era imperatore Nerone,  ritenne opportuno convocare  Muciano e  il concilio dei legati e degli  amici, essendo turbato per non avere  ancora liberato il suo prigioniero Giuseppe, dicendo: è una vergogna/ aischron estin…che chi mi predisse l’impero e fu ministro della voce di Dio sopporti ancora  la condizione di prigioniero e l’umiliazione di essere in catene. 

Vespasiano fa, perciò, togliere le catene e  lo licenzia con ricchi doni,  dando anche ai suoi generali la speranza di poter spartire la preda giudaica al momento opportuno.

Anche Tito, suo figlio,  approva la decisione del padre,  cosciente della nobiltà del personaggio, avendo già a  cuore la causa giudaica, essendo iniziata la convivenza con Berenice, la sorella di Agrippa II.

Sembra che Vespasiano faccia ciò ad Alessandria poco prima di trasferirsi  per brevissimo tempo a Cesarea e poi ad  Antiochia  e dopo aver dato il mandato a Tito  di  assediare Gerusalemme, quando già Antonio Primo, partito dalla Mesia, comincia a temere  di essere attaccato da Cecina Alieno, vincitore vitelliano  della battaglia di Bediacro contro Otone. (ibidem,13,2).

Se Giuseppe  è il profeta ebraico, Apollonio, secondo Filostrato, è  quello pagano-pitagorico che  spinge l’imperatore  all’azione contro l’immorale e ghiottone Vitellio.

In effetti Filostrato, dapprima, mostra come Vespasiano sia incitato da Eufrate e da Dione, ma anche da Demetrio  ad accogliere tra la sua cerchia di filosofi che lo seguono, anche Apollonio.

Chi sono professore i tre che ha nominato?.

Il primo, Eufrate di Tiro, è filosofo stoico,  i cui  pochi frammenti non autorizzano una definizione precisa. E’attivo in Siria e in Roma,  dove è in grande considerazione presso Plinio il Giovane, e muore suicida nel 119. E’ anche amico o uno delle cerchia di Apollonio, ma ha con lui una rivalità e, secondo Filostrato, anche invidia tanto da intentargli un processo sotto Domiziano insieme ad un egizio. Il secondo è Dione di Prusa (40-120) in Bitinia detto Crisostomo/ Bocca d’oro  per la sua perizia nell’arte retorica, nel corso di un lungo magistero durato dal 70 a 110 d.C: è scrittore famoso che  ha lasciato 80 orazioni, di cui abbiamo parlato qualche volta in senso politico, specie circa la costituzione monarchica.  Del terzo, Demetrio di Corinto, il cinico, è famosa la sua affabilità con serenità,  mai intaccata dagli amici romani, nonostante la franchezza nel dire  e l’attacco verso il potere  con Nerone e con  Vespasiano nel 71- che lo caccia in esilio- e con Domiziano. Di lui  si conosce la sua stretta amicizia con Seneca- che ne traccia un profilo e come filosofo e come uomo in De Beneficiis VI,1,3 e De providentia VII 31; e V,5 –  e con Trasea Peto, assistito fino alla morte, oltre che con Musonio e con  Apollonio, con cui condivide alcune battaglie politiche, specie, quella ultima  con Domiziano.

Sono questi, dunque, che consigliano Vespasiano a  conservare la costituzione /politeia  monarchica  per concludere la fase acuta delle guerre civili, iniziate con la rivolta di Vindice in Spagna?

In effetti  Eufrate e Dione parlano, uno  più a favore della democrazia  e l’altro più della monarchia,  secondo Filostrato, ma ambedue trattano della necessità di dare potere al popolo a cui far votare  la scelta tra democrazia e  monarchia – è chiaro che Demetrio sia dalla loro  parte e non da quella di  Apollonio che asseconda Vespasiano già disposto al regno  da altri segni e da altri suggeritori-.

Bisogna dire, Marco,   che la divergenza nel gruppo  è dovuta alla diversa lettura della storia e  della situazione e dello stesso animo umano.

I due, Eufrate e Dione, sembrano essere  simili a  Marco Agrippa che dà il consiglio di riportare alla libertà democratica repubblicana Ottaviano, mentre Mecenate consiglia Ottaviano di seguire l’esempio monarchico cesariano, in quanto consapevole  della necessità di un imperialismo difensivo  perché valuta pericolosa la politica aggressiva estera e in quanto ritiene il popolo, non più capace di gestirsi,  facile preda della demagogia tribunicia e il senato  ormai  irrimediabilmente corrotto.

Dione Cassio (St.Rom., LII,2-13 e LII,14-40)  scrive, a seguito del dibattito tra Agrippa e Mecenate:  da quando ci spingemmo fuori d’Italia, oltrepassammo continenti ed isole lontane e riempimmo tutti i mari e tutte le terre  del nostro nome e della nostra potenza non ci è toccato in sorte nulla di buono/oudenos chrhstou meteschhkamen: anzi cominciammo prima in casa  e dentro le mura con gli scontri tra fazioni avverse per poi portare, in seguito, questo malanno fino alle legioni; a causa di questi avvenimenti, la nostra città come una grande nave  da trasporto carica di una moltitudine di diverse razze e senza un timoniere è ora in balia delle onde  e scuote molte generazioni, agitandole qua e là come se non avesse la chiglia.

L’autore del III secolo aggiunge per bocca di Mecenate una esortazione ad  Ottaviano: non permettere  che essa rimanga oltre alla mercé della tempesta…e non lasciare che vada a squassarsi contro uno scoglio -Ibidem 16,2-.

Professore, la metafora della  nave è antica ed è già in Erodoto  che fa discutere gli uccisori di Gaumata sulla  necessità di una nuova costituzione da dare alla Persia,  dopo la morte di Cambise?!.

Certo, Marco  la metafora della nave, esistente,  è  ripresa da Dione di Prusa che ha presente la situazione del 69  e tutto il periodo giulio-claudio, comunque, mal interpretato e letto come si rileva in Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, V,27-41).

Al di là della questione sulla scelta  della forma di governo, Filostrato dedica all’analisi di Eufrate e di Dione molte pagine circa la situazione del 69, vista, però, dall’Egitto e specificamente da Alessandria, la sede della filosofia, della scienza, della tecnica.

Infatti sembra che Vespasiano,  dopo una breve assenza  per un’acclamazione militare  a Cesarea e per una riunione speciale  a Berito, ed un’altra ad Antiochia, (cfr. Frontone e gli antonini )  rimanga stabilmente ad Alessandria,  da dove guida  i suoi uomini impegnati nella guerra civile contro Vitellio, specie quelli di Antonio Primo, giunto in Italia  dalla Pannonia con la legione tredicesima, a cui si aggiungono poi altre come la settima galbiana  per un complesso di sei legioni (tre di Mesia, due di Pannonia ed una di Dalmazia).

Il  mandato,  comunque, non è rispettato da Antonio Primo: bisognava attendere a Verona l’arrivo di Licinio Muciano  prima di attaccare il nemico  (Cfr. Tacito. Hist. III,1-36), ed invece il legatus agisce prima di ricevere ordini, che sembrano sempre giungere tardivamente. Inoltre  da Alessandria il pericolo dei vitelliani è minimizzato, anche se Vitellio ha legati di grande  valore, seppure divisi da discordie e da invidie personali.

Perché Vitellio  non è stimato ed è, direi, sottovalutato  dagli storici, professore? Possibile solo per la sua immoralità?

Marco, c’è una reale  morale ragione che condanna universalmente il figlio di Lucio Vitellio,  che come legatus  tiberiano era stato impeccabile, funzionale ed abilissimo contro Artabano III.

Aulo Vitellio è uomo spintria,  da giovane, con Tiberio nel periodo di  Capri ( cfr.Caligola il Sublime)  e così macchiato,  è bollato dal popolo come caprino, perciò immorale, spendaccione, dilapidatore di patrimonio, gaudente crapulone, degenere,  nonostante la fama di militare del padre Lucio che, avuto il governatorato di Siria, grazie al culetto del figlio,  è legatus fortunato ed abile a vincere il re dei re  e capace di imporre il trattato di Zeugma nel 36 d.C, espletando in pieno il mandato imperiale di riportare l’ordine in Provincia con l’aiuto di Albani e Sciti, dopo aver punito i socii alleati dei parthi ( Areta IV,  Jehoshua, Monobazo ed Izate). Il padre, poi,  in epoca caligoliana e claudiana diventa ricchissimo e potentissimo in quanto  è  persona che sa adulare  e riconoscere come divino l’imperatore, abituando patres, equites  e  il popolo romano alla proskunesis orientale, che diventa pratica cultuale a Caligola-poi  fino a  Nerone-e alle sue statue: il figlio, sulla scia del padre- che durante la guerra britannica  raggiunge il vertice del potere a Roma dove svolge le funzioni  stesse imperiali –  fa carriera, nonostante l’ambigua personalità sessuale e l’ingordigia nei banchetti.

L’invidia  verso  la domus dei  vitelli è grande, anzi grandissima, dati la ricchezza  e il potere, cresciuto sotto Claudio e Nerone! Da qui la frase  volgare ambigua ed equivoca : I, Vitelli, dei romani sono belli/ va, o Vitellio, al suono della guerra del  dio Romano !.

Per Svetonio  –  Vitellio,  XIII – l’imperatore pranzava tre e talora quattro volte al giorno facendo distinzione tra colazione, pranzo, cena ed orgia,  riuscendo a sopportare ogni eccesso per l’abitudine a vomitare .. ogni banchetto costava non meno di 400.000 sesterzi.  La sua crudeltà è proverbiale: uccide chiunque  dopo averlo blandito, senza badare ai titoli, a volte attirandoli con la promessa di associarli al’impero, facendo fuori usurai, pubblicani e creditori, se gli chiedono la restituzione di cifre.

Famosissimo è il banchetto, offertogli dal fratello, che gli mette in tavola duemila pesci della migliore qualità e settemila uccelli, ma fa di meglio da solo con “lo scudo di Minerva”  che risulta una portata inimitabile  perché fa porre in un vassoio fegati di scari, cervella di pavoni e di fagiani, lingue di fenicotteri, lattigini di murene, portati per lui da ogni parte dell’impero, insaporiti col garum!

Divenuto governatore di Africa, non  demerita come amministratore  per due anni,  anche se si attira  per la sfacciata lascivia il disprezzo perfino di Galba che, comunque, lo fa governatore della Germania inferiore (Cfr. Svetonio, Vitellio).

E’ davvero un civis contaminato  dal potere ininterrotto con Tiberio, Caligola, Claudio  e  Nerone e  poi con Galba, sceso alla massima abiezione  morale  e, perciò, è esecrabile  rispetto  perfino a  Flavio  Vespasiano, che, pur essendo uomo  provinciale, taccagno,  sabino  conservatore, non  è certamente uomo onesto e  liberale,  anche se è civis che, comunque, si è barcamenato nell’amministrazione  pubblica perché si è tenuto lontano dalla corte e ha avuto potere militare senza effettivo merito, in un momento grave per Nerone,  che non ha  elementi  di ricambio fidati.

La celebrazione della fonte di Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana) che evidenzia le virtù  proprie di Vespasiano quires  e pater familias  sessantenne, con buoni figli,  già militari efficienti, presenta molti punti oscuri  rilevati in controluce, comunque, dall’autore, per bocca del Tyaneo, che esamina con Dione di Prusa e con Eufrate, e l’uomo,  che deve regnare, e il modus regnandi da adottare!.

L’uomo, che  Apollonio ha di fronte ad Alessandria, secondo lo scrittore severiano  è un personaggio  mediocre,  che non ha la supremazia neanche in  famiglia  dove Flavio Sabino lo sovrasta in quanto buon governatore di Mesia per 7 anni  e prefetto di Roma per 12 anni, guida seria  di coorti di pretoriani e di vigiles, uomo  moderato e parco nel versare il sangue dei cittadini – Tacito, Hist. III,75 che afferma  ante  principatum Vespasiani decus domus penes Sabinum erat/  prima del principato di Vespasiano, la dignità della casa era riposta nella persona di Sabino.

Ora, invece, tutto è cambiato a causa della alonatura della sorte: Vespasiano  è  quasi benedetto dalle moire e dalle necessitates, avendo già avuto una investitura ebraica  con una predizione  che si sta realizzando e concretizzando  con la definizione di Messia,  di unto del signore, destinato a pacificare il mondo romano: la liberazione di Giuseppe ben Mattatia e la sua assunzione del nome gentilizio Flavio sono prove  certe dell’attuazione dell’amphibolon  khrugma giudaico!

Sembra chiaro che Filostrato  nella scrittura del bios  sia influenzato, comunque,  da Dione di Prusa che tratta nella  I, II, III e  IV  Orazione della Regalità e nella  LXII della Regalità e Tirannide (cfr.  Dione di Prusa, 0razioni I,II,III  Sulla regalità e Orazione LXII sulla Regalità e tirannide  di  Gustavo Vagnone, Accademia dei Lincei, Bollettino dei classici Supplemento, 2012).

Nella stessa epoca di Filostrato  anche  Dione Cassio,   scrivendo  il libro  LII, fa  un trattato  che verte sulle discussioni tra Agrippa, Mecenate ed Ottaviano, prima di diventare Augusto ed assumere il potere.

Forse, professore, è un tema caro agli storici del III secolo perché  molti  hanno in mente i vari trattati sulla  monarchia Peri ths basileias, ellenistici, che si rifacevano a Erodoto,- che nel libro III,80-84   faceva discutere sul principato, sulla democrazia e sulla oligarchia  Dario, Otane e Megabizo-?

Certo, Marco,  sia gli scrittori flavi che  quelli antonini e severiani volendo denigrare la domus giulio-claudia non possono, però, fare a meno della figura augusta di Ottaviano, da cui hanno effettivo potere.

Comunque, mi può precisare il discorso di Apollonio e dei suoi amici  viventi e durante il regno Flavio e in quello antonino, per meglio capire il sistema severiano  per mia personale cultura?

Certo, Marco. Apollonio non è andato incontro a Vespasiano che entra ad Alessandria con i sacerdoti e con le autorità di Egitto a cui sono mescolati anche gli studiosi di ogni forma di sapienza e  i filosofi suoi amici.

L’imperatore, entrato da porta Sole, in città,  chiese allora: si trova qui l’uomo di Tiana? Si, fu la risposta, per renderci migliori.

E come si potrebbe incontrarlo?: Ho bisogno di lui!. 

Lo troverai al tempio, rispose  Dione, così mi diceva, quando venni qui.

Andiamo, concluse il re,  per pregare gli dei e stare insieme ad un uomo di valore.

Apollonio, il giorno dopo,  vede Vespasiano, che fa un sacrificio e che dà udienza ai notabili. Il sovrano, allora,  gli chiede, quasi in atto di preghiera: Fammi re!.

E lui risponde : già l’ho fatto  quando supplicavo di aver un sovrano giusto e nobile e saggio,  adorno  di veneranda canizie  e padre di figli legittimi; appunto te , invoco, dagli dei!.

Vespasiano è contentissimo di ciò e chiede: cosa pensavi dell’impero di Nerone?

Nerone certo sapeva accordare la cetra, ma disonorava l’impero  stringendo ed allentando troppo!.

La risposta è interpretata da Vespasiano:

tu, dunque, esorti il sovrano a tenere il mezzo?

Il tianeo aggiunge:

non io esorto,  ma il dio, che ha fissato che l’equo coincida col mezzo!.

A questo punto Apollonio  presenta i  suoi amici Eufrate e Dione  come ottimi consiglieri ed, allora, Vespasiano esclama : possa io regnare  su uomini sapienti e i sapienti su di me!.

In seguito Vespasiano prende Apollonio per mano e lo conduce a  palazzo, a Lochias,  e  confidandosi, mostra  la sua umana, semplicistica  condizione di privato che a 60 anni aspira al potere, desiderando spiegare le proprie ragioni: Certo ad alcuni parrà che io agisca in modo puerile, assumendo l’impero a 60 anni  di età.  Esporrò, dunque, le mie ragioni a te,  perché tu possa  ripeterle agli altri.

La sua esposizione verte : 1.sulla assenza di cupidigia  del denaro e sulla indifferenza o moderazione nella ricerca di onori e cariche;    2. sui rapporti con la divina  famiglia giulio-claudia accettata (e non criticata )  verso la quale non ha complottato neanche contro Nerone,  avendo lui una dedizione per Claudio; 3. sulla personale  afflizione nella constatazione dello scadimento dell’impero, passato da Galba ad Otone e ora  a Vitellio, un crapulone, un amante di profumi, un avvinazzato, uno  schiavo delle meretrici.

Ed infine Vespasiano arriva  a  dire di appoggiarsi ad Apollonio perché gli dei lo aiutino nella sua impresa di combattere contro Vitellio: viene usata da Filostrato una frase del codice marinaresco ek sou.. peisma  ballomai / getto da te una gomena per indicare che l’imperatore vuole confidare in chi più degli altri conosce il valore degli dei.(Ibidem, 29).

E’ scaltro come un agricoltore sabino, professore! E’ uomo intelligente,  come Berlusconi, dedito al culto degli dei, che sa  accaparrarsi  i sapienti di Alessandria  e li sfrutta per farsi proclamare anche dalla cultura  autokrator: oltre all’investitura religiosa ha ora anche quella dei filosofi! E’un politikos di rango che  si serve dei Media e della Tv, dopo aver avuto il riconoscimento dei banchieri alessandrini ebraici : tradisce, poi,  sia gli uni che gli altri!. E’ furbo come un Salvini col rosario!

Esamina bene la situazione, che, però, è ancora più complicata, Marco . Io sarei più cauto nel giudicare:  aspiro alla epochh/sospensione dal giudizio  e non approvo il mettere a confronto passato remoto e presente, improponibile in ogni caso!.

E’ vero professore: lei ragiona così!.io resto, comunque, nella mia opinione: Vespasiano è uno scaltro agricoltore, sabino, politikos raffinato! Comunque, seguiti a narrare del racconto di Filostrato!

Apollonio, Marco,  in modo ispirato, allora, dice, facendo una doppia predizione: Zeus capitolino, poiché so che  tu sei arbitro della situazione,  conserva il tuo favore  a questo uomo  e lui a te stesso. Il tempio  che ieri empie mani  bruciarono  è destino che da costui ti sia ricostruito!.

Da profeta Apollonio  vede  i fatti che poi accadranno al  fratello maggiore dell’imperatore, Sabino,  e a suo figlio Domiziano, l’incendio del tempio di Giove ad opera dei vitelliani e la morte di Vitellio spergiuro  e la successiva ricostruzione flavia del Tempio (Ibidem 30).

Perciò, approva  che  Vespasiano sia adirato e rabbioso nei confronti del miserabile  ghiottone  Vitellio, che è entrato a Roma  a suon di tromba  indossando il paludamento e  con la spada al fianco, tra le insegne e i  vessilli, circondato dai suoi compagni in divisa e dai suoi  soldati con le armi snudate ( Svetonio Vitellio XI).

Il tianeo è  con Vespasiano quando  giungono le  notizie sul primo atto di Vitellio, quello  di assumere il pontificato massimo,  giudicato  anch’esso atto esecrando perché fatto nel giorno della sconfitta dell’Allia: approva la sua reazione quando conosce il secondo atto anche esso infausto,  quello di nominarsi console per dieci anni, come Cesare,  e il terzo,  quello ancora più vergognoso di  fare un sacrificio espiatorio ai Mani di Nerone, suo benefattore!

Il periodo di Alessandria non è solo  un momento fortunato di consenso generale e di acclamazione popolare, ma è anche  di attesa  con paura per la sua famiglia impegnata a Roma, con Domiziano figlio minore e col fratello Flavio Sabino  e della sorte dei suoi eserciti ,impegnati  in ogni parte del mondo romano, in Spagna come in Britannia, in Mesia come in Italia, oltre alla  guerra giudaica non conclusa.

Certo, dopo l’assunzione di potere, la guerra civile è un ludus  difficile  da giocare  anche con i suoi partigiani, con  uomini che come Antonio Primo sono ambiziosi e desiderosi di acquisire subito meriti  per essere sul carro del vincitore con aureola,  anticipando i tempi e correndo rischi, che un dux prudens avrebbe potuto  e dovuto evitare,  essendo sicuro l’arrivo  delle truppe siriache di Licinio Muciano.

Ad Alessandria, l’imperatore attende l’esito della spedizione di Antonio Primo che, dopo una marcia, arriva nel suolo italico ed  è affrontato a Bedriaco presso Cremona dalle truppe di Vitellio che viene sconfitto e, data la distanza, non può impedire il saccheggio della città e  le stragi e la  distruzione.

La successiva marcia  verso Roma con l’entrata in  città dell’esercito vincitore, quando ancora i nemici trattano la pace, risulta pericolosa per il figlio e per il fratello.   Vitellio è spergiuro per natura  ed è uomo senza onore:  lascia Sabino che ha fatto la proposta di conciliazione, concedendo salva la vita a  patto di pagare cento milioni di sesterzi  alla presenza di una folla di soldati,  e rinvia la sua decisione di una notte, ancora desideroso di giocare le proprie carte!.

A  sera, perciò,  vestito a lutto, si presenta ai rostri  per leggere la formula di abdicazione su un foglio scritto in modo da coinvolgere il popolo e i soldati, suoi fedeli, e al mattino ripete la stessa scena per avere  consensi, nonostante le rimostranze di Sabino che invia il primipilare Cornelio Marziale  per ricordargli l’impegno  giurato (Tacito ibidem,70).

Infatti, poi, con l’aiuto popolare Vitellio fa assalire Sabino sul Campidoglio col nipote Domiziano  e dare alle fiamme il tempio di Giove Ottimo Massimo, mentre banchetta nella casa di Tiberio ( Svetonio  Vitellio, XV) ,

Nello scontro armato  del 21 dicembre muore Sabino,  mentre si salva a stento Domiziano.  L’arrivo delle truppe di Antonio  Primo, il giorno dopo, o il 23  a  Saxa Rubra ( Tacito, Hist.,III,79) volge la situazione a favore dei flaviani, che prendono ed uccidono  Vitellio, oltraggiato dal volgo, da morto, con la stessa viltà con cui l’aveva adulato da vivo/ vulgus  eadem pravitate insectabatur interfectum, qua foverat viventem  (Tacito Hist.III , 85,3) e  salutano col nome di Cesare  Domiziano (Ibidem,86,4).

In questa situazione si trova anche il filosofo  Musonio Rufo (Hist., Ibidem,81) che, comunque,  risulta inopportuno, col suo sproloquio filosofico, in senso democratico,  a tutti  e per poco non ci rimette la vita! .

Il senato, ricevuta una lettera di Vespasiano,  gli concede  con un  decreto tutte le prerogative abituali del  principe,  come colui che sembrava aver purificato il mondo.

Vespasiano allora  parla di sé per lettera  come di un principe  moderato e dello stato e del senato  con rispetto, ed ottiene il consolato insieme al  figlio Tito, mentre a Domiziano è concessa la praetura  col consulare imperium.

 Il senato, dopo la morte di Vitellio,  onora con le insegne trionfali Licinio  Muciano, col privilegio consolare Antonio Primo, con quelle pretorie  Cornelio Fusco ed Arrio Varo  e Elvidio Prisco uomo esaltato per la saggezza  stoica, genero di Trasea Peto/ cunctis vitae officiis aequabilis,opum contemptor, recti pervicax,  constans adversus metus / coerente con se stesso  nella pratica di ogni dovere,  sprezzante delle ricchezze, assertore tenace del giusto,  inaccessibile alle intimidazioni – Tacito, Hist.IV, 5.2-.

Messaggeri arrivano continuamente ad Alessandria per notificare quanto avviene in Italia e a Roma, mentre Vespasiano comincia a godere dei vantaggi del riconoscimento ufficiale del suo titolo imperiale in  Oriente e anche in Occidente.

Il  colloquio, descritto da Filostrato tra Vespasiano  ed Eufrate   è proprio di questo fortunato momento, quando già la situazione è  in mano all’imperatore, riconosciuto  da tutti, compreso Giuseppe Flavio, libero.

Mi descrive professore  il colloquio di Vespasiano con i singoli personaggi,  secondo la narrazione di Filostrato?

Subito, Marco.

Vespasiano ad Alessandria  è nel palazzo dei Tolomei, dove ora già riceve i notabili, fa udienze, emana decreti, svolge le funzione di imperatore  come se fosse a Roma, convinto dai miracoli di essere il salvatore venuto dall’Oriente per riportare la pax in Occidente, turbato dalla guerra civile.

Eufrate e Dione col Tianeo  sono ricevuti a corte dall’imperatore, che dice di aver già esposto i suoi motivi  al nobile Apollonio, che già ha informato gli amici  del colloquio privato avuto.

I  tre  replicano che  ritengono  giuste le ragioni imperiali ed allora l’imperatore aggiunge: oggi discuteremo insieme sulle decisioni prese perché io possa agire  nel modo migliore e secondo il vantaggio dell’umanità, dopo aver mostrato come da Tiberio fino a  Vitellio l’impero sia stato in mani sbagliate  di  romani degeneri e di viri malati o immoderati.

La conclusione di Vespasiano è la seguente: vedendo, dunque, miei cari, in quale discredito sia caduto l’impero a causa di questi tiranni, vi scelgo come miei consiglieri perché mi sappiate indicare come restaurarlo riscattandolo dall’odio  che per esso prova l’umanità intera.

Vespasiano, dunque, è già pronto al restauro, convinto della sua missione divina di autokrator  e dell’utilità  pubblica della sua impresa?!

Certo. Marco. Aggiungo che crede perfino in una missione per il bene del mondo. Ascolta,  però, la risposta di Apollonio, che  si fa da parte per dare spazio alla critica pesante prima di Eufrate e poi a quella più moderata  di Dione, che attenua i toni  censori: un flautista dei migliori soleva mandare i suoi discepoli dai musicisti più scadenti perché apprendessero  come non si deve suonare. Tu, mio sovrano, hai appreso come  non si deve regnare  da coloro che regnarono  in modo scellerato: come si deve regnare sarà l’oggetto della nostra indagine.

Attento, Marco, Il tianeo è uomo divino che conosce passato, presente e futuro, conosce l’animo umano ma intende fare indagine sul come regnare. Per meglio farti entrare in merito alla situazione ti preciso, Marco, che il colloquio  con l’imperatore  avviene per Filostrato  poco prima della notizia  della morte di Vitellio, quando Sabino ha fatto già la sua  proposta di abdicazione  il 21 dicembre, data  probabile.

Grazie, professore, andiamo avanti!

Mi sembra, comunque, che Apollonio  col suo dire accetti  già il Regno Flavio e che vuole solo indicare come  regnare, dare cioè un’alternativa al regnum negativo dei Giulio-claudi e del tiranno Vitellio.

Marco, in seguito, vedrai perché il tianeo parla così. Per ora senti il discorso dei suoi amici.

 Lo stoico Eufrate  non accetta il fare di Vespasiano ossequioso verso il Tianeo, proprio  dei  postulanti da oracoli, e si mostra irritato.

La sua irritazione è  nei  confronti di Apollonio che fa spectaculum col suo dare oracoli e di Vespasiano stesso che, senza accertare se l’azione del regnare debba farsi, chiede circa i modi  della realizzazione, prima ancora del fatto, convinto di dover restaurare un impero scaduto,  certo  che il  destino gli ha concesso il Regnum.

A me, Marco, sembra  giusto il suo  rigido pensiero  generale  stoico (non si deve adulare gli istinti, né acconsentire sconsideratamente  a quanti agiscono senza freno, ma, se davvero siamo filosofi, abbiamo il dovere di richiamarli alla misura!) e  doveroso  e il richiamo alla misura   e il rimprovero filosofico  sull’oggettività della realizzazione senza  l’accertamento della necessità dell’azione  (Occorreva  stabilire se convenisse  questa azione: ma tu ora chiedi di dirti in che modo essa andrà realizzata, senza aver ancora accertato  se si tratti di un’azione  che si deve compiere).

Eufrate  è polemico prima coi filosofi e saggi, che accettano l’elezione ad imperatore già di Vespasiano, quando, invece,  prima, bisogna stabilire se abrogare la monarchia o  ripristinare la repubblica e poi  in caso di  accettazione della monarchia, nonostante lo scadimento verificato dell’istituzione, indicare i modi di regnare.

Eufrate, comunque, opportunamente precisa: io sono d’accordo che Vitellio va deposto poiché so che  è un uomo turpe ed intossicato da ogni infamia. Altrettanto so che tu sei un uomo di valore e che ti distingui per il tuo nobile animo, ma sostengo che non devi correggere la situazione  prodotta da Vitellio, senza sapere ancora quale sarà quella che intendi creare tu!.

E’ discorso stoico tipico di Posidonio di Apamea(135-50 a.C.) che, partendo dalla dignità morale  dell’uomo,  esprime il pensiero politico di un parrasiaths che, pur con cautela, dice la verità,  contro perfino i saggi  eterodossi come Apollonio,  come i profeti  del tipo dell’ebreo Giuseppe, o come gli opportunisti sofisti come Dione di Prusa.

Per Eufrate  non si può accettare l’idea di Regnum, senza essere stata vagliata: quanto è nella mens /nous del dux deve essere manifestato ed esaminato prima dell’accettazione e del consilium !

Eufrate è scomodo come Musonio, che,  in nome della vera filosofia, da bastian contrario, pensa che  bisogna stabilire – se si vuole veramente indagare – se conviene questa azione cioè il regnare, da precisare in ogni dettaglio, e che non si può  farla senza tale studio  preventivo circa la correzione, mentre Vespasiano  la considera scontata e corretta  e già passa alla fase successiva, al modo di realizzare il suo principato.

Per Eufrate il sovrano nella sua ambizione già ha messo il diadema  grazie alla predizione del sacerdote ebreo, che ha  rivelato l’oikonomia divina e la funzione soterica dell’imperatore, indicando la predilezione degli dei  per l’uomo destinato al potere imperiale, ormai accettato dal popolo e dall’ esercito, dopo aver avuto implicitamente   anche l’assenso del Tianeo.

Insomma Eufrate dice che  bisogna fugare questo equivoco di fondo  e  mettere  sul piatto della bilancia la necessità di far abdicare Vitellio e nello stesso tempo  il piano  che ha in mente Vespasiano circa il principato e poi decidere: non è possibile fare abdicare Vitelio senza conoscere le reali intenzioni di Vespasiano!

E’ sotteso anche un attacco ad Apollonio, che ne  alimenta  le  aspettative,  in quanto conoscitore del futuro  e succube  del destino della famiglia flavia, come se il  fatum   personale fosse immutabile e che vana sia l’opera umana.

Eufrate mostra che solo nel confronto delle personalità  di Vitellio e Vespasiano  è favorevole al secondo: lo stoico  ha infatti un giudizio non certamente positivo  sull’uomo  e sul dux, rilevato come ambizioso, come vecchio opportunista,  ma vile di animo, fin da giovane,  per non avere  avuto  coraggio  di fronte a Caligola, a  Claudio e  specie a Nerone e  per essere vissuto nel  compromesso,  come fallito nelle proprie aspirazioni!

La sua preferenza tra i due imperatores è solo per la migliore apparente figura morale di Vespasiano,  messo a confronto  con un  mostro di corruzione come Vitellio!

Eufrate  coglie esattamente il carattere  senile di Vespasiano  che sfrutta il momento fortunato, ma ne mostra  la pochezza di animo, tipica   di  suddito  che nel periodo giulio-claudio   giustifica la propria condotta  dando la colpa alla   fortuna   o al timore di competitori superiori.

Da qui l’aperta accusa di viltà – seppure mitigata da una  forma di moderazione – perché ha temuto Nerone, l’uomo più vile ed inetto di tutti.

La sua requisitoria è feroce contro Vespasiano: il tentativo che osò Vindice contro di lui, per Eracle, spettava a te  più che a  chiunque altro. Avevi infatti un esercito, le forze che conducevi contro i giudei erano più adatte a sconfiggere Nerone.

Il suo è anche un attacco contro il  genos giudaico, già considerato gens taeterrima!

Quelli da gran tempo erano in rivolta non solo contro il popolo romano ma contro l’intero genere umano. Un popolo, che ha scelto l’isolamento  totale, che non divide con il resto dell’umanità né la mensa né le libagioni, né le preghiere, né i sacrifici, è più distante da noi che da  Susa e Battra o gli Indiani  che vivono al di là di questi paesi!.

Giudica perfino negativamente la  azione di Vespasiano  antigiudaica: non aveva senso alcuno punire la loro rivolta, anzi era meglio non annetterli neppure!.

Aggiunge  che  tutti  gli uomini avrebbero voluto uccidere Nerone con le proprie mani  perché beveva il sangue degli uomini e cantava in mezzo alle stragi e afferma che lui tendendo le orecchie alle  sue imprese giudaiche rifletteva  quando gli dicevano che avevi ucciso 30.000 giudei in una battaglia e  50.000 in un ‘altra: cosa fa quest’uomo?. non c’è qualcosa di più importante?

Professore, sembra  che Eufrate  non consideri affatto una grande azione l’aver sconfitto gli ebrei che, d’altra parte, sono  una stirpe non integrata nel Kosmos romano ellenistico e ritiene   inutile  la stessa annessione.

Certo Marco. Devi, però,  considerare che i fatti storicamente  sono lontani e che Filostrato conosce  anche l’ annientamento del popolo giudaico ad opera di Adriano.

Comunque,  alla fine, attenuando la sua requisitoria, Eufrate dice: ben  hai  identificato in Vitellio  una copia di Nerone e muovi contro di lui;  fa quello che hai deciso  poiché è un’azione meritoria,  ma il  seguito deve essere questo.

Questo, Marco, è subito detto con franchezza:  i romani prediligono il regime democratico  ed hanno acquistato gran parte del loro potere   quando erano una repubblica. Metti fine  alla monarchia di cui hai detto tali cose. Rendi ai romani il governo del popolo  e a te la gloria  di aver iniziato  per loro un tempo di libertà….

Quindi, Eufrate,  indicata la preferenza dei romani, esorta Vespasiano a ridare la forma repubblicana  e con due imperativi  chiede, se vuole avere la gloria di essere i primo a ripristinare il sistema, di mettere fine alla monarchia degradata e  di rendere al popolo la libertà.

Apollonio nel frattempo che fa, nel corso della critica  di Eufrate?

Niente.  Sembra guardare Dione e lo  invita a dire il parere, sicuro di avere un qualche suo consenso, conscio della moderazione del sofista, che sa barcamenarsi davanti al potere  con la retorica, anche  se nota una certa adesione al pensiero dello stoico.

Infatti Dione, presa la parola,  sintetizza il suo pensiero politico e monarchico  in relazione alla sua opera, già nota,  essendo sostanzialmente  concorde  con Eufrate, anche se  ha qualche  frase di dissenso.

Insomma  Dione ragiona secondo un opportunismo politico  in quanto è cosciente che  Vespasiano è ormai il signore di Roma e nel contesto retorico alessandrino fa il suo trattato monarchico  su una base,comunque, di critica stoica.

Così  infatti esordisce: anch’io avrei suggerito  che era molto meglio  deporre Nerone,  anziché soggiogare i Giudei: tu invece davi l’impressione di adoperarti perché  mettendo rimedio ai guai della sua situazione se ne rinforzava il potere su tutte le vittime del malgoverno.

Sull’impresa contro Vitellio dice: approvo.. e giudico merito più grande  impedire il sorgere della tirannide che porre fine ad una già affermata…

E poi afferma: la democrazia mi piace; e invero questo regime è inferiore all’aristocrazia, ma per i sapienti è di gran lunga preferibile alle tirannidi e alle oligarchie.

Dione aggiunge: temo che  questa serie di tiranni abbia ormai corrotto i romani  al punto di rendere difficile  il mutamento e che essi non sappiano più essere liberi né sollevare lo sguardo alla democrazia al pari di coloro che dall’oscurità mirano verso la luce viva.

Perciò concorda con Eufrate  e dice che Vitellio deve essere cacciato dal potere e quanto prima,e che Vespasiano avrà la meglio facilmente in caso di guerra  e  dopo la vittoria  dovrà affidare  ai romani la scelta della loro costituzione e se dovessero scegliere la democrazia, il retore, deciso, dice: concedila!

Allora per il retore questa concessione darà più gloria  di molte tirannidi e di molte vittorie olimpiche tanto da avere dappertutto statue  di bronzo ed encomi quali non ebbero  Armodio ed Aristogitone ( i due tirannicidi di Ipparco!).

Questa è la sua conclusione: se dovessero preferire la monarchia a chi altro se  non a te tutti decreteranno il regno? A te più che ad un altro daranno ciò che già avevi.

I due consiglieri hanno dato nel complesso lo stesso  consiglio: dopo la vittoria  bisogna dare la possibilità di votare al popolo, che è il vero  padrone politico e giudice,  secondo l’etica  platonico-stoica!

Certo, Marco,  i due hanno inteso la loro funzione di consiglieri e il termine consiglio come se fossero in un sistema democratico e come se  si trovassero in un senato precesariano e non davanti ad un uomo che, avendo  già vinto,  ha il plauso militare e popolare, vuole sentire pareri ma cerca solo applausi  e fa la sceneggiata per avere ulteriore consenso.

Infatti  il loro pensiero è   quello della  vecchia theoria politica -specie quello di Eufrate- mentre il consilium  di Apollonio  è quello di una praxis politica.

I due teorizzano senza tener presente  l’effettiva situazione del  dicembre del 69, che è già in risoluzione,   secondo le leggi del militarismo, applicate da un nikeths/vincitore: la  loro via non è percorribile  come già dimostrato nel dopo Caligola quando Senzio Saturnino ed altri proclamano il ritorno alla repubblica ed inneggiano alla libertà democratica!. La ventilata costituzione repubblica dura neanche un giorno e crolla al momento dell’ acclamazione militare pretoriana di Claudio imperator, favorita anche dalle milizie giudaiche presenti  col re Agrippa I,  civis iulius, di rango pretorio.

Apollonio, invece,  che conosce  storia e  i fatti del presente e vede, da profeta, il futuro (non la cacciata dei Filosofi del 71!) ha un quadro più chiaro della situazione e  sa orientare dando consiglio in nome dell’utile comunitario, ingannato, comunque, dalla struttura fisica massiccia e dal collo taurino di flavi, capace di mascherare l’estrema determinazione al potere con la bonomia dell’aspetto.

Egli, perciò,  dissente dagli amici, -che non comprendono l’uomo, il duce, il padre, e neanche i  fedeli partigiani – vedendo in Vespasiano  l’eletto da Dio,  che si sente investito dal numen  e che crede in un destino radioso per lui e per la sua famiglia.

Senti, Marco,  come il tianeo entri  in empatia con Vespasiano, rimasto sconcertato davanti al consilium  di Eufrate  e di Dione, come se lui imperatore dovesse essere distolto dalla sua risoluzione proprio lui, che è tale ormai di nome e di fatto.

Il suo inizio è questo:  a me pare che siate in errore proponendo di voler sopprimere la monarchia  quando ormai le cose sono decise;   vi compiacete in chiacchiere puerili ed inadeguate alle circostanze.

Il tianeo fa un punto situazionale,  reale, immedesimandosi in Vespasiano-  già vincitore contro Vitellio, che ha un esercito a lui fedele e ha figli  indocili, come Domiziano, che si attendono di ereditare  l‘oikos paterno, il regno conquistato anche con il loro sacrificio e benefattore  dell’umanità- ed afferma che  il discorso di Eufrate e  di Dione potrebbe aver successo perché le sentenze dei filosofi  hanno effetto sugli ascoltatori, che sono dediti alla filosofia, ma in situazione reale contingente  diverso deve essere il consiglio, che è pratica non morale.

Così, infatti, sentenzia Apollonio, secondo Filostrato (ibidem35): se fossi io ad avere il potere che detiene questo uomo, e vi chiedessi in quale modo  fare del bene all’umanità e voi mi deste un tale vostro consiglio, potrebbe aver successo.

 ll tianeo, poi, passa  dal piano privato a quello di un uomo pubblico ed afferma che essi  consigliano un magistrato, un console, un  uomo avvezzo a comandare,  sul quale incombe la morte  una volta che deponga il suo potere.

Apollonio da questa angolazione concreta politica, invita a non biasimare  se il console  non respinge i favori della sorte e li accetta quando vengono e chiede consiglio  sul modo di usare secondo saggezza ciò che possiede.

Calzante ed efficace è l’esempio dell’atleta: come se noi,  vedendo un atleta dall’animo gagliardo, di alta statura  e fisico possente,  che avanza verso Olimpia percorrendo l’Arcadia, ci presentassimo a lui per incitarlo contro i suoi avversari, ma  gli suggerissimo, una volta che abbia vinto le olimpiadi, di non lasciarsi proclamare vincitore né di porsi in capo la corona di oleastrodaremmo l’impressione di parlare a vanvera e di prenderci beffe delle fatiche altrui.

E poi  attualizza e concretizza il suo pensiero   facendo una considerazione parallela:  così considerando l’uomo che ci sta di fronte, le forze  di cui dispone e le bronzee armature che rifulgono nel suo esercito e la cavalleria che lo segue, e la sua stessa nobiltà e saggezza ed attitudine a  realizzare i  suoi propositi, accompagniamolo  nell’impresa a cui si è accinto con parole ben augurali e con garanzie più propizie di quelle che avete espresso.

Ed per concludere aggiunge  al fine di chiarire la situazione familiare del dux : voi non avete considerato che egli è padre di due figli già condottieri di eserciti.   Se non dovesse  trasmettere loro l’impero  diventerebbero i suoi più accaniti nemici  e cosa altro gli rimarrà allora se non la prospettiva di entrare in guerra con la propria famiglia?Accettando l’impero invece…sarà onorato da loro e si sosterrà su di loro ed essi a loro volta  su di lui, Saranno  le sue guardie del corpo, per Zeus,  non gente assoldata né costretta a forza  che simula lealtà solo sul volt , ma gli uomini  più affezionati a lui e cari.

Ed infine conclude il suo pensiero in modo personale: a me non importa  di alcuna forma di governo poiché vivo agli ordini degli dei, ma non voglio che l’umano gregge  perisca per mancanza di un pastore  giusto e saggio -Cfr.  A. Filipponi, Il politico o Giuseppe- : un solo uomo eminente per virtù trasforma la democrazia  nel governo del  migliore e così il potere del singolo, quando  sia in tutto rivolto verso l’utile comune, è governo popolare.

Apollonio  circa l’accusa di Viltà, rivolta a Vespasiano afferma che anche essi possono essere così definiti ed anche lui  che, però, in effetti ha sobillato Vindice- suicida, dopo il fallimento della sollevazione militare-  ed ha contrastato Ofonio Tigellino  e così conchiude: non pretenderò con questo  di aver abbattuto il tiranno né accuserà voi di debolezza riguardo all’ideale del filosofo  perché non aveva fatto nulla di simile.  L’uomo amante della sapienza  deve dire ciò che gli sta in mente , ma deve prestare attenzione a non parlare come uno stolto o un invasato.

Poi,  riprendendo il discorso dell’uomo politico, di un console che si propone di  abbattere il tiranno  in primo luogo deve disporre di piani precisi , onde iniziare di sorpresa l’azione  ed inoltre deve aver una motivazione atta ad evitare ogni accusa di spergiuro-  per scusare l’imperatore di non aver complottato contro Nerone- aggiunge: Se infatti vuole portare le armi contro l’uomo che gli ha dato il comando di un esercito, a cui  ha giurato di prestare il consiglio e l’azione nel modo migliore, occorre in primo luogo che si giudichi di fronte agli dei  dimostrando che, secondo giustizia,  viola il giuramento. Inoltre ha bisogno di molti amici  poiché a tali imprese  non si muove senza  ripari e fortificazioni e di grandissime ricchezze,  onde conquistare a sé  i potenti, per di più levandosi contro l’uomo che possiede tutto  quanto esiste sulla terra.

La sua conclusione definitiva è la seguente ed è basata  sulla differenza di ruoli tra un sapiente come loro e un  politico come Vespasiano: prendete come volete queste mie parole: non mettiamoci  a giudicare ciò che quest’uomo ha progettato, a quanto pare,  e la fortuna  gli ha  accordato prima che scendesse in lotta.

Perciò ribadisce la sua solidarietà all’imperatore e contrarietà ai suoi amici :  L’uomo che ieri regnava incoronato dalle città  nei templi  di questo paese , che mirabilmente  ed imparzialmente regge  lo stato secondo voi  oggi dovrebbe annunciare pubblicamente  che per il futuro  si ritirerà a vita privata e che ha preso il potere in un momento di follia? Portando a termine il suo progetto  avrà come fedelissima scorta  coloro in cui confidava quando lo concepì ,ma altrettanto rinunciando ad esso  troverà in loro l’ostilità di chi ha perduto ogni fiducia.

Qual è il comportamento di Vespasiano nel corso del discorso di Apollonio?

L’imperatore è molto soddisfatto perché vede che il tianeo era come uno che abitava la sua mente  e felicemente esprimeva il suo pensiero. 

Ed  afferma: io ti seguo perché quanto viene da te ritengo ispirato dalla divinità; dunque, insegnami ciò che deve fare il buon sovrano.

Professore, ora Vespasiano chiede forse ad un uomo divino, ispirato da dio, come deve comportarsi un buon sovrano e quindi  chiede un paradigma operativo concreto  per avere un modello nuovo di  Basileus,  di nomos empsuchos  secondo una connotazione culturale ellenistica  pitagorico-platonico stoica, basata sull ‘agathos in quanto chrestos?

La risposta di Apollonio è netta e non lascia spazio ad una lettura filosofica, ma autorizza solo un rapporto tra sovranità  umana e bontà divina, lasciando intuire l’impossibilità di tradurre l’ineffabilità divina, perfino, con la funzione imperiale,  secondo tutta la precettistica del III  secolo a.C, propria dell‘Inno a Zeus  di Callimaco.

Apollonio afferma che gli è chiesta cosa che non si può insegnare: la regalità è la cosa più grande che esista tra gli uomini, ma non si insegna!.

Comunque,  subito dopo, comincia a  dare  con un’impostazione  prescrittiva, un  eptalogo  sul  retto agire di buon re dopo aver affermato: ti esporrò tutto ciò che  a mio parere  devi fare per agire rettamente.

Me lo può indicare, professore?

1. Considera  ricchezza non i tesori che si usa riporre -sono sabbia- né il denaro che ti proviene da uomini che piangono sulle tasse- è oro falso e nero quello che viene dalle lacrime-. Userai delle tue ricchezze soccorrendo i bisognosi ed assicurando il possesso  dei propri beni ai ricchi.

2. Trema  di fronte al potere assoluto, di cui disponi, perché così ne farai un uso più moderato.

3. Non recidere -essendo ingiusta  la sentenza di Aristotele- le spighe più alte ed eminenti, elimina piuttosto il malvolere come il loglio dal grano.

4.Da chi cospira, fatti temere non  perché punisci, ma perché punirai.

5. La legge… regni pure su di te:  sarai più saggio legislatore, se non trasgredisci le leggi esistenti .

6. Onora gli dei più di quanto hai fatto finora: hai ricevuto da loro grandi favori e grandi favori invochi  nelle tue preghiere.

7.Tratta da re gli affari attinenti all’impero, ma da privato le cose del corpo.

Poi Il tianeo  tratta di precetti generali, dopo aver mostrato il dovere di  educare i figli – ne hai due  giudicati valenti!- mediante  l’  esercizio della propria autorità di pater familias  fino a minacciarli  di non lasciare loro l’impero  se non continueranno ad essere buoni ed onesti inculcando loro che l’impero non spetta di diritto come eredità, ma come premio della virtù.

Aggiunge, in questa precettistica, che  non c’è bisogno di dare consigli  a proposito del gioco,  del vino,  dell’amore  e della rinuncia di questi vizi, considerata la  moderata predisposizione personale.

Apollonio fa poi un punto situazionale sui piaceri che in Roma hanno cittadinanza che sono molti e vanno eliminati ed infine tratta  delle difficoltà di ridurre un popolo  a completa saggezza  occorrendo introdurre poco a poco  misura negli animi, ora correggendoli  scopertamente, ora  senza farsi notare.

In conclusione, colpisce la piaga del lusso e dell’insolenza  dei liberti e degli schiavi– la burocrazia congenita con lo stato-.

Filostrato usa il noi e il congiuntivo esortativo per indicare la  necessità di un’unitarietà di azione da fare dall’imperatore, dal senato e dalla famiglia e dai singoli cives: mettiamo termine al lusso e all’insolenza dei liberti e dei servi ….avvezzandoli a pensieri tanto più umili, quanto più potente è il loro padrone.

Apollonio chiude il suo discorso col ricordo  personale- nel periodo in cui viveva nel Peloponneso – di un governatore della Grecia che reggeva la provincia senza sapere il greco, mentre i greci non comprendevano alcunché di quanto diceva.

Il risultato di tale prefettura fu: (il governatore) per lo più ingannava ed era ingannato; gli assessori e i membri del suo tribunale  facevano mercato delle sue sentenze abusando del governatore  come se fosse uno schiavo.

Di conseguenza fa la critica dei governatori per sorteggio e dice : io sostengo che si debba mandare soltanto chi conviene  al paese toccatogli per sorte, per quanto lo consenta il sistema. Chi parla greco regga i popoli  di lingua greca, chi  parla latino  amministri i popoli che  parlano questa lingua e i loro affini.

Marco,  ora ho  finito il mio discorso su Vespasiano e il regno, ed ho fatto l’ esame  questa volta, non secondo Giuseppe Flavio, ma secondo Filostrato.

Grazie, professore. Io ho ancora, però,  qualche curiosità.

Chiedo come Apollonio si comporti, poi, con  gli amici e come Vespasiano si  comporti con Apollonio.

Secondo Filostrato, Apollonio, già adirato con Eufrate, prima della controversia circa il principato, si distacca sempre più dall’amico, che  arriva perfino ad alzare il bastone contro, anche  se placa la sua ira;  alla fine del regno di Domiziano  ci sono ancora tra loro  screzi e polemiche, utili ai fini dell’accusa contro il tianeo.

Con Dione la riappacificazione avviene tramite Vespasiano che, convinto dalle parole del sofista, ottiene di farli conversare di nuovo fra loro  e li premia entrambi. Con Demetrio  il rapporto rimane sempre stretto ed anche durante l’accusa e il processo  di fronte a  Domiziano.

Apollonio  (e gli altri ) e Vespasiano si lasciano molto cordialmente tra abbracci e doni: l’uno va  tra i Ginni di Africa e l’altro a Roma  Dopo la separazione  Filostrato  informa: né si incontrò più con lui ..sebbene l’imperatore lo invitasse e gli scrivesse ripetutamente a tale proposito.

Lo scrittore, allora,  parla delle ragioni per  cui  il tianeo  interrompe la comunicazione con l’imperatore.

La ragione è la Grecia, per Filostrato: Nerone aveva restituito la libertà alla Grecia con un atto di saggezza a lui insolito: le città erano così tornate  alle loro tradizioni doriche ed attiche  e tutto rifioriva grazie alla concordia. Ma Vespasiano, quando vi giunse (dall’Egitto!), annullò tutti questi provvedimenti con il pretesto delle rivolte  e di altri fatti. che non giustificano certo tanta ostilità.

Subito Apollonio gli scrisse tre lettere, una dietro l’altra:

Apollonio saluta Vespasiano imperator. Hai asservito la Grecia e, a quanto si dice, ritieni di aver più potere di Serse: non ti accorgi di averne meno  di Nerone: Nerone,infatti, lo aveva e vi rinunciò. Sta bene.

Apollonio saluta Vespasiano imperator. Se sei tanto ostile ai greci  da asservirli  togliendo  loro la libertà, che bisogno hai della mia compagnia? Sta bene.

Apollonio saluta Vespasiano imperator. Nerone per gioco liberò i greci, ma tu li  hai sul serio  ridotti in schiavitù. Sta bene.

Vespasiano non è, dunque, quello visto e considerato da Apollonio  ad Alessandria, se  subito dopo, Apollonio stesso rompe l’amicizia, si astiene dal collaborare e non vuole più incontrarlo?

Certo. Marco. Apollonio  vede oltre il presente, ma non  con la stessa intensità,  ora  dopo sei mesi, vede altro come la cacciata dei filosofi nel 71 e può  meglio comparare  il regno dei giulio-claudi con quello completo dei Flavi.

Professore, può davvero Apollonio vedere tanto ?!

Non lo so, Marco.

Potrebbe, comunque! Le sue doti sono di un anhr theios.