Niceta e il Te deum

 

A Niceta Cosi, mio caro consuocero, con grande affetto

 

 

Vieni dalla Terra, Vieni in Cielo, Vieni (Vita di Apollonio di Tyana, VIII, 30)

Chi è Niceta di Remesiana?

Non credo che tu lo conosca,  Marco. Te ne voglio parlare perché è un dardano,  di cultura  latina,  cattolico, un compositore di inni religiosi, un cristiano moderato.

Conosco i troiani come dardani: mi dica dove si trova la Dardania ?

La Dardania faceva parte della Mesia (in quanto  è zona balcanica posta tra Kosovo Albania e Macedonia)  poi con Diocleziano  diventa regione  dell’Illirico.

Una delle città di maggior rilievo è Naisso (Nis in Serbia), luogo dove  Claudio II, il gotico, annienta i Goti nel 268,  e dove nasce a Costanzo Cloro,  nel 274,  il figlio Costantino da Elena.

Perché mi vuole parlare di Niceta di Remesiana ?

Per molti  motivi, che restringo a tre: 1. per dimostrare che il Te deum è opera sua e non di Ambrogio; 2. per mostrare le tecniche dell’innografia nel IV secolo  in una zona  contesa  tra pars orientale e pars occidentale, diventata di lingua latina; 3. per evidenziare come l’innodia non sia sola una pratica privata ma pubblica, usata per la liturgia, specifica per la celebrazione dei martiri, di cui si riscoprono le ossa, all’atto della tumulazione o della consacrazione delle reliquie, cfr. Ambrogio, grates tibi, Iesu,novas per il ritrovamento dei resti di Gervasio e Protasio ( S. Ambrogio Inni, Fabbri editori  a cura di A. Bonato,1997).

Si è, dunque, in un clima teodosiano di affermazione del cristianesimo triumphans e della ricerca dei martiri cristiani per la consacrazione degli altari! Bene. Mi dica ora chi è Niceta?

E’ un civis romanus  di rilievo (335 -414) che ritiene che con l’innografia si possa  migliorare il credo cattolico – i cristiani del IV e V secolo si servono degli inni per la liturgia, ma vanno cercando forme e formule nuove innodiche, adattate  al ritmo, incuranti della prosodia,e della metrica  in un libero rimaneggiamento dei salmi e dei cantici  dell’Antico Testamento, in una ripresa degli spunti innografici del Nuovo testamento collegati col Magnificat/Megalunei  cfr Luca 1,46-55 di Maria, che esalta rendendo grande in cuor suo il Signore-in un servitium dei comunitario e privato.

E’ Niceta un uomo, provincialis, moderato nei confronti di pagani ed ebrei e   di ariani: conosce anche  Anicio Paolino, di Nola (355-431) -figlio del governatore di Aquitania, governatore anche lui per  acclamazione popolare  in Spagna,-  e sua moglie Therasia, il loro sistema di vita cenobitico-  Cfr.  Gens Anicia – e  ha  relazioni con Damaso e  Gerolamo,  con Ambrogio ed Agostino e perciò dovrebbe aver una carica ecclesiale.

Non è, dunque, uno sconosciuto cantore di inni, barbarico, anche se dimenticato da  Girolamo in  De viris illustribus?.

No . Sembra  perfino conoscere lo spagnolo Aquilino Giovenco, lodato anche da  Girolamo( vita 84) come capace di tradurre alla lettera i vangeli, anche se abbelliti dal suo estro poetico,  data la sua abilità nell’usare l’esametro e considerata  la ricerca dell’effetto retorico e  della facile esemplificazione dei detti, scritti per l’edificazione morale dei credenti.  

Niceta  dovrebbe essere, invece,  considerato come iniziatore dell’innodia  o come uno che è stato capace di innestare sugli inni omerici  l’inno cristiano, in  lingua latina,  in una zona connessa anche  ai luoghi  di un’area  pagana o  ariana.

Niceta appare già lontano dalla forma dei primi cristiani che seguono il principio paolino (Colossesi, 3,16) in quanto   ancora legati ai salmi ebraici,  rimasti  nella stessa concezione del dio giudaico da amare e temere,  proprio della scuola alessandrina che si è distinta col Protreptico   e col  Pedagogo di Clemente Alessandrino,  che ha una coscienza innica  lirica del canto secondo una linea  dossologica ed eucologica.

Sembra che Niceta  si distacchi dalla musica  sinagogale, comunque,    e mostri un legame con quella pagana  cfr E. Wellesz, la musica cristiana nei primi secoli dell’età volgare in Musica medievale fino al  Trecento  Milano 1963.

Il poeta,  insomma,  innova l’inno sacro  secondo una doppia lettura del termine,  mettendo insieme  Canto  ebraico e quello pagano, già fuso con l’innografia greco-ellenistica con l’inno latino- Carmen saeculare oraziano – a voci alternate, con chiusura corale  cfr .C. Magazzù, Dieci anni di studi di Paolino di Nola ( 1977-87) in Bollettino di studi latini 1988.

D’altra parte il termine umnos deriva da una doppia radice  quella di  umneoo/ canto  e quella   di uphainoo /tesso un canto,   da cui uphh tessuto: l’inno cristiano, quindi, risulta  un canto, tessuto, come una tela,   per un eroe (o  per un dio)  che viene celebrato  in ricorrenze del genetliaco o della morte, specie per i martures. 

Sembra che ambedue le derivazioni attestino  un preciso atto di religiosità e  un momento liturgico, misto di intreccio di canto e di tecnica aedica, accompagnato dal suono della cetra, che sottende una composizione tramata, fatta al telaio, da artisti professionisti, che sfruttando la coralità popolare del choros e  la voce di un solista , sanno servirsi della strofe e dell’antistrofe e di una chiusura corale.

Professore, mi vuole dire, cioè, che  nel IV secolo già l’innodia cristiana funziona perfettamente in quanto  si conoscono gli effetti retorico- ritmici dell’ anafora e dell’ anadiplosi,   del chiasmo  e del sistema del parallelismo  simmetrico, del poliptoto,  tipico dell’innografia greco -ellenistica e di quella pagano-latina?

Marco,  l’inno in quanto ha l’incipit tipico di una invocazione  con gli attributi del dio o eroe cantato, è già  nell’innografia pagana (negli inni omerici e in quelli di Callimaco –Artemin …umneomen, thi tocsa lagooboliai  te melontai … cantiamo Artemide a cui sono cari l’arco e la caccia delle lepri  . cfr  Callimaco, Umnoi III) e in quella cristiana con lo stesso Padre nostro/ Pater hmoon, o en tois ouranois  di Matteo, che, seguendo  i salmi- che sono tehillim Lodi/inni– sfrutta l’anafora di sou (agiastheto to onoma sou, eltheto h basileia sou/ genetheto to thelema sou ).

Ricorda, Marco,  che si è nell’area sacra, templare, e all’atto di una professione di fede,  nella preghiera/euchh di salvezza  dell’uomo creatura al Dio Creatore,  secondo due  direttive quella della l’esaltazione del nome di Dio e quella  del suo timore!.

I cristiani, avendo avuto esempi dalle sinagoghe ebraiche in cui inizialmente pregano, poi, staccandosene riprendono il testo del vangelo greco  di Luca con traduzione latina  col Magnificat  con  Benedictus, col  Gloria e Nunc dimittis , Alleluia ed altri  connessi con Paolo in lingua latina (Efesini 5, 16.9 ), ed iniziano- non si sa esattamente in quale sede – a cantare  e a salmodiare servendosi dell’accompagnamento musicale della  cetra.

Professore, da quanto dice c’è, dunque, un fenomeno innodico greco ed uno latino   e quindi  è propenso a credere che ciò sia tipico del periodo postdioclezianeo in una volontà di ringraziamento per la fine della persecuzione e l’avvento di una nuova era .

Certo, Marco  la salmodia greca  e l’innografia ellenica precedono le corrispettive forme  latine, che sono successive alla Tetrarchia, costituita da Diocleziano, che con la sua feroce persecuzione sembra annientare il primo cristianesimo, che, invece, torna a vivere, come risuscitando,  grazie al sangue dei suoi martiri, ora celebrati, con la nikh/vittoria  di Costantino.

Quando effettivamente  il canto latino, dunque, ha una sua fisionomia,  una forma propria  nella liturgia cristiana occidentale, divenendo una pratica di devozione non solo privata ma anche pubblica?

Per alcuni ( G, Del Ton, Gli inni di S, Ambrogio, Como 1940  e  J. Fontaine, Naissance de la poésie dans l’Occident Chretien. Esquisse d’une histoire de la poesie chretienne latine du III au VI siècle, Paris  1981) solo dopo Vittorino di Petovio  (250-304)  e specie dopo Ilario di Poitiers (310 -367) esiste  nell’inno  un pensiero teologico  cristiano, con un clero organizzato che  officia  pubblicamente e fa liturgie in Occidente secondo la regole  di Ireneo di Lione , entro cui si configura e si  struttura  la innografia latina.

Infatti dopo l’esilio in Oriente di Ilario, in mezzo agli ariani, ci sono prove  reali di innografia  in cui  c’è un  reale servitium fidei, che si esprime con inni e canti, cantori ed artisti,  in quanto il santo  è convinto nel  Trattato sui Salmi che qualunque cosa si legga nei salmi si riferisca a Christos e prefiguri significatamente  la sua venuta, la passione, il suo regno, adombrando anche  il mistero  del suo corpo/Chiesa.

Tutto questo diventa espressione di una  testimonianza  sicura e  chiara in Atanasio  (Vita di Antonio)- dove si legge che i monaci di Nitria usano cantare  i capisaldi della loro fede con salmi ed inni– che nel suo esilio in Occidente diffonde il sistema innodico greco nell’organizzazione sistemica ecclesiale, già propria del patriarcato alessandrino.

Il Te deum di Niceta diventa  così  un esemplare canto liturgico occidentale ben fuso con quello atanasiano,  in quanto attualizza il credo  atanasiano e la sua innografia  nel  contesto dardanico di confine tra le due partes dove le paure dell’ avvento del demonio, che si incarna  nei visigoti invasori, sono maggiormente sentite.

Da qui la preghiera-ringraziamento  a Dio  che si degni di  assistere la chiesa riunita in canti nella prova e di liberarla dalle forze demoniache.

Professore, io non conosco il testo del Te deum, me lo  può dire, visto che lei lo sa a memoria, da quando era chierichetto, e che lo ha cantato molte volte nei  cinque/ sei anni  negli anni cinquanta.

Subito, Marco! Ecco il Testo con semplicissima ed elementare traduzione e commento:

Te deum laudamus/ Te dio lodiamo

te dominum confitemur /Te dio confessiamo

te aeternum patrem omnis terra veneratur/ Te eterno padre tutta la terra venera

Nota la ripetizione di te  in sede princeps, che è tipica come anafora di se greco sia pagana che cristiana, in un’epoca monarchiana, di un dio uno,  signore e padre eterno come Zeus,  e sembra connessa con lo shemà israel, Adonai eloenu, Adonai echad.  Rileva che il  duplice te -anadiplosi- ha come soggetto noi, mentre il successivo te ha come soggetto omnis terra per evidenziare il concerto universale terreno alla lode del Signore, cantata dagli uomini.

Tibi omnes angeli /A te tutti gli angeli

tibi caeli et universae  potestates/ A te anche  tutte le potestà del cielo

tibi cherubim et seraphim incessabili voce proclamant: A te i cherubini  e i serafini cantano, standoti davanti,  con voce incessante

Il tibi anaforico simile a soi  è probabilmente antico  ed è ancora ebraico e rimanda ad un periodo in cui ci sono le connessioni con la sinagoga,  che inneggia a Dio, celebrato non solo in terra ma anche nei cieli  da tutte le gerarchie angeliche con voce incessante (cfr. Ezechiele e Matteo incipit  del padre  nostro con la benedizione del nome divino).

Sanctus sanctus  sanctus /Santo santo santo

Dominus deus sabaoth /Il  signore dio degli eserciti.

Anche il sanctus è  in relazione al trisagion, ma nell’Illirico ha ora una nuova funzione celebrativa,  connessa con la esaltazione divina di Costantino non più glischros viscido come  un verme trachala -epitome De Caesaribus 41,16- ma anhr theios, favorito dal dominus deus sebaoth, ora tredicesimo apostolo, dopo Nicea, ministro di un Dio militaristico, sempre nikeths Vincitore/ Sol invictus, Neos Theos .

Pleni sunt caeli et terra maiestati gloriae tuae/ I cieli e la terra sono pieni della maestà della tua gloria 

La visione del cielo e della terra pieni della maestà della divina gloria è il compendio del canto angelico, che esprime anche la manifestazione di Dio in ogni luogo terreno con la sottesa presenza  (Shekinah).

Te  gloriosus apostolorum  chorus/ Te il glorioso coro degli apostoli

Te prophetárum  laudábilis númerus/Te il numero lodevole dei profeti

 Te mártyrum candidátus  laudat exércitust/ Te il bianco esercito dei martiri loda. 

Te per orbem terrárum / Te per il mondo

sancta confitétur Ecclésia,/ la santa chiesa confessa 

Patrem imménsæ maiestátis; /come padre di immensa maestà

venerándum tuum verum  et únicum Fílium; come unico e tuo vero venerabile figlio 

Sanctum quoque Paráclitum Spíritum/ come anche santo paraclito spirito . 
Qui l’anafora (triplice ripetizione) di te  è usata prima per indicare  che il coro glorioso degli Apostoli e il numero lodevole dei Profeti  e  il bianco esercito  dei martiri che  lodano Dio, a cui viene aggiunto un altro te il cui soggetto è la santa chiesa,  che confessa per tutto il mondo romano  unificato da  Costantino  il Dio uno  e trino ( le persone-ipostaseis  sono viste nella potestà immensa del Padre, del venerabile  unico e vero  figlio  e dello spirito Santo Paraclito).

Marco, nota l’uso di Paraclito (paraklhtos ad -vocatus, chiamato vicino) ancora considerato protettore  come Upostasis  di Spirito  Santo inviato solo dal Padre!.

E’ un’affermazione della diffusione cristiana cattolica nel mondo di epoca teodosiana dopo il concilio Costantinopolitano del 381, secondo le formulazioni tipiche di Gregorio di Nazianzo, poi subito enunciate con un incipit  di strofa di Tu ripetuto per cinque volte con funzioni, però, diverse.

Tu rex glóriæ,  Christe. Tu,o Cristo, sei il re della gloria
Tu Patris  sempitérnus es Filius./ Tu sei il figlio sempiterno del Padre  

Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem,  Tu destinato a prendere il compito di liberare l’uomo

non horruísti Virginis úterum/ non hai avuto orrore dell’utero della Vergine. 

Tu, devícto mortis acúleo, / Tu  dopo aver v
into la spina della morte 
aperuísti credéntibus regna cælórum./hai aperto ai credenti i regni dei cieli

Tu ad déxteram Dei sedes,  in glória Patris/Tu siedi alla destra di Dio nella gloria del padre
Iudex créderis  esse ventúrus./ Tu  sei creduto destinato a tornare come giudice 

Se prima c’è la ripetizione quadruplice di Te ora la ripetizione con poliptoto di tu è quintupla  sul Christos Kurios  come re di gloria, come  figlio dl padre sempiterno, come dio venuto a liberare l’uomo, che non ha avuto timore e vergogna di entrare nell’utero di una vergine- si  sta preparando il clima che partorirà la definizione della theotochos ad Efeso 431!-   come chi ha aperto  il regno dei cieli dopo aver  vinto l’orrore della morte, come dio che siede alla destra del padre nella sua gloria in quanto creduto  giudice degno di venire  a giudicare i vivi e i morti alla fine dei tempi.

Insomma Marco, qui c’è tutta la formulazione del Credo  costantinopolitano di Gregorio di Nazianzo cfr. Amici cristiani perché  diciamo Credo?

Te ergo, quæsumus; tuis fámulis súbveni,/ Te,dunque preghiamo cantando; soccorri i tuoi servi, 

quos pretióso sánguine redemísti/ che hai redento col tuo prezioso sangue
ætérna fac cum sanctis tuis in glória numerári /e fa in modo che siamo iscritti nel numero dei tuoi santi nella eterna gloria.

Rileva, Marco, l’uso isolato  di te che è connesso idealmente in modo riassuntivo con il precedente pensiero e che è collegato con benedicimus te (tibi) , dopo altre quattro invocazioni.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine/ salva il tuo popolo, o signore,
et bénedic hereditáti tuæ/ benedici la tua eredità.  
Et rege eos,  et extólle illos usque in ætérnum/reggili ed innalzali in eterno . 
Per síngulos dies benedícimus te;/ Te benediciamo ogni giorno
et laudámus nomen tuum in sæculum /Lodiamo il tuo nome nei secoli ,  

et in sæculum sæculi/ nei secoli di secoli.

Dignáre, Dómine, die isto/ degnati o signore oggi   
sine peccáto nos custodíre / di custodire noi senza peccato
.

Il nucleo della richiesta  è  dignare, domine, die isto   Degnati imperativo di dignor, o signore, oggi, in questo giorno: si conclude la supplica   con la richiesta   di custodire noi preganti   di questa chiesa  dardanica senza peccato  con la supplica biblica  del miserere nostri in anadiplosi /Kyrie, eleison)

Miserére nostri, Dómine,  miserére nostri/ abbi pietà di noi, Signore, abbi pietà di noi.

Marco, rileva da una parte il parallelismo simmetrico  di verbo-pronome  con la ripetizione del sintagma in sede princeps  e sede extrema  e  la centralità di Domine, Kyrie-Adonai, da un’altra .

Le due ultime suppliche,  in congiuntivo esortativo, sono: sia fatta comunque, la tua misericordia intesa come volontà pietosa su di noi  perché  abbiamo sperato in te, nostra salvezza: è una conclusione oggettiva, come preghiera con supplica e ringraziamento comune.

La positio extrema di  in te,   di chiusura, sul piano di nos  plurale, di preghiera comunitaria,   autorizza a mettere in sede princeps  in te  che aumenta valore, ora,  per la ripetizione marcata,  all’istanza personale  dell’orante scrittore, espressa in prima persona sottintesa,  anche lui  pieno di speranza nel Signore  e nella sua misericordia ( poliptoto di miserere/ misericordia ) che chiede  di non essere confuso in eterno.

Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos/ Che sia fatta la tua misericordia su di noi 
quemádmodum sperávimus in te/e  perciò abbiamo sperato in te
In te, Dómine, sperávi:! In te ,o signore, ho sperato 

non confúndar in ætérnum /che io non sia confuso in eterno.

Dunque, professore , l’inno  ha valore comunitario e personale  ed è preghiera-ringraziamento a dio, scritto in uno specifico momento di phobos, quello del  passaggio dei goti invasori  e perciò non può essere di  Ambrogio, morto il 397.

E ‘ un inno da attribuire a Niceta , Marco: non è mia, comunque,  l’attribuzione allo scrittore dardano,  ma è vecchia di oltre un secolo  ( cfr S . Eward Burn, Niceta of Remesiana, His life  and books, Cambridge 1905).

Per me Ambrogio, tra l’altro,  è troppo velenoso con gli ebrei come si evince dall’episodio dell’incendio della  sinagoga di  Callinicum /al Raqqa sull’Eufrate: Il vescovo milanese scrive a Teodosio  di punire il governatore, che ha fatto ricostruire ai cristiani, a loro spese,  la sinagoga da loro distrutta nel 388!

Ambrogio  ha coscienza della vittoria cristiana e ne vuole godere da vincitore: non gli interessa la pacifica convivenza a differenza dell’imperatore!

Cosa avrebbe detto e  fatto davanti ad un Alarico distruttore ariano di comunità cattoliche, eletto  da Arcadio nel 398 magister militum in Illiricum, l’anno dopo la sua morte!.

Il suo odio per gli ariani è ancora più profondo di quello contro i giudei e i pagani ! E’ questa la realtà delle dioikeseis cristiane, ricche  ed ostili, ai pagani,  ai giudei e ai barbari cristiani ariani.

Professore, l’integralismo cristiano ortodosso  fa stragi in nome di Dio!

Sembrerebbe.