Nerone e lo stoicismo

Virtus italica contrastiva: Statale inefficienza, efficienza popolare

Carne avvezza a soffrire, dolore non sente (Ignazio Silone, Vino e pane). Cafone e contadino… scarpe grosse… cervello fino!

 

Per Luciano Perelli (Nerone, Lattes, Torino, 1968) le tre fonti su Nerone di Tacito, di Svetonio e di Cassio Dione, che noi abbiamo, sono intrise di stoicismo, in quanto sono espressione dei circoli intellettuali dell’aristocrazia, che hanno il culto dell’antica libertà repubblicana e propagano l’odio per la tirannide.

*Noi, però, pur rilevando una volontà imperiale di livellamento, conosciamo la fonte giudaica di Giuseppe Flavio – basilare per tutte le altre, oltre che per quella successiva, cristiana che ritiene l’imperatore Anticristo – e, quindi, possiamo rilevare non solo la mancata rassegnazione senatoria nel limitato mantenimento delle antiche cariche, comunque, condizionate dal potere imperiale, ma anche la potestas ed auctoritas imperiale/l’exousia e l’ousia dell’autokratoor che, non più bisognoso della cooperazione dei patres, ha esigenze universalistiche, dovendo accentrare il potere per contenere gli interessi delle nuove classi e delle varie popolazioni, in un territorio di immense dimensioni, a seguito di profonde trasformazioni sociali!

 Marco, gli imperatori di casa giulio-claudia, dopo Caligola, appaiono deferenti verso il senato, solo agli inizi del loro principato e, poi, indipendenti, totalmente decisi a sacrificare l’apparato senatorio repubblicano ai fini dell’affermazione dell’assolutismo, in una volontà di livellamento di tutte le classi sociali, gregge di fronte all’unicità della maestà sovrana divina imperiale. 

*Ecco spiegate le ragioni della letteratura circa il bios di Caligola, di Claudio e di Nerone, visto come vita quasi perfetta all’inizio e poi come degna di un mostro per Caligola, come di un servo delle donne e dei clienti, per Claudio, e come di un megalomane artista, matricida ed uxorida, per Nerone, nella sua seconda parte di regno!

Marco, Tacito, eppure, si propone di scrivere sine ira et studio e, quindi, non falsifica i documenti e neppure omette le notizie favorevoli al monarca, ma interpreta e si mostra ostile tanto che la veridicità delle fonti non risulta imparziale poiché l’autore, non avendo fatto ricerche di archivio, si rifà solo a notizie di altri, seguendo il criterio di verisimiglianza, senza effettiva valutazione, avendo grande nazionalismo e impostazione stoico-aristotelica per una lettura retorica, psicologicamente articolata.

*Lei, professore condanna perfino il sistema annalistico tacitiano, spesso confusionario, in quanto l’autore disperde la materia fattuale dando frammenti psico-morali, non autorizzando il lettore nella valutazione episodica e neppure lo orienta nell’esame ma lo condiziona secondo il suo pensiero stoico per un ritorno alle origini romano-italiche. Tacito, infatti, fa luce sull’attività senatoria, sulla vita nobiliare romana e sulle operazioni del principe a Roma e nella politica estera senza degnare di uno sguardo il popolo e le varie classi sociali in agitazione continua per i bisogni quotidiani, incurante delle masse provinciali, di cui rileva sole le élites, desideroso di fare la sua historia!

Marco, Tacito fa una rappresentazione artistica, con narrazione molto retorica, non storica, intenzionato a mostrare negativamente il fenomeno di un progressivo decadimento morale latino: la sua historia ha un ideale etico politico, tipico di una tradizione gentilizia repubblicana!

*Tacito, per lei, dunque, è convinto assertore che la virtus romano-italica è scomparsa con la degenerazione dell’aristocrazia e che si devono disprezzare schiavi e liberti, plebei che hanno fatto scalata sociale e perfino gli equites, eccessivamente arricchiti, memore dei tempi antichi quando ancora esisteva la rigida divisione in caste, ed viveva il civis romanus che curava solo il foro e la guerra, in quanto uomo dedito al negotium, rifiutante l’otium, impegnato a fare grande la patria!

Marco, per Tacito essere conservatore significa avere nostalgia del passato incorrotto repubblicano, tornare ad uno stato sognato come sacro e santo rispetto ai tempi nuovi corrotti e degenerati, quasi un ritorno all’austerità delle mitiche leggi delle dodici tavole!

*Ecco perché Tacito guarda in modo ammirato i costumi dei Germani e la loro naturalezza, avendo memoria dei costumi naturali agricoli romani quiritari, arcaici, simili nella loro rusticità! lo scrittore rifiuta la realtà sociale dell’impero, ora livellata come gregge sotto un pastore unico/eis koiranos, ora tesa al cosmopolitismo, moderata come massa, amalgamata dai piaceri, propagandati come beni civili, nonostante i vizi dell’intemperanza plebea, vedendo il colpevole in Nerone, che col suo esempio negativo di giovane scapestrato e di puer scandaloso, vizioso, ha portato il vir all’otium, effeminando anche i patres, liberati dal dovere del negotium ed esentati dall’esercizio delle armi.

Marco, Tacito non valuta positivamente Nerone avendo avuto un’educazione senatoria stoico-aristotelica, basata sul negotium e ligia al prisci mores dei patres, repubblicani.

Villa romana in un affresco di Pompei

*Io penso di avere capito bene il suo pensiero revisionistico che è in linea con quello di tanti altri critici come C. Marchesi (Tacito, Messina, 1924), J. Vogt, Tacitus und die Unporteilichkeit des Historikers, Stoccarda 1936) M. A. Levi, (Nerone e i suoi tempi, Milano, 1950) e E. Paratore (Tacito, Milano, 1951) ed altri, da lei a me segnalati. Ora vorrei, però, rivedere insieme i punti salienti della vita di Nerone imperatore, per orientarmi meglio nella valutazione del suo stesso operato, anche se condivido quanto già scritto da lei sulla figura dell’ultimo imperatore della domus giulio-claudia, come di un personaggio propenso alla pace e non a guerre di conquista, se non a quelle di frontiera, nonostante le lamentele dei cives, desiderosi di ampliamento territoriale e di nuove conquiste con un rinnovato slancio militaristico, secondo le antiche virtutes romane, che imponevano con la vis della guerra la democrazia e poi la libertà dando una nuova forma di civiltà a chi ne era privo, con pretesa di un kosmos nuovo.

Marco, la critica ha seguito molto le motivazioni che le casate successive hanno addotto specie quella flavia e antonina, di cui Tacito più degli altri storici, è testimone in quanto ne è succube in nome di una visione nazionalistica, essendo chiuso in una sua volontà di ritorno all’epoca repubblicana e ai prisci mores, incapace di vedere la realtà in evoluzione del tempo neroniano, dei crescenti bisogni sociali nuovi e della necessitas di un nuova forma, quella monarchica assoluta ellenistica, unificante Oriente ed Occidente. Insomma Tacito è veramente deluso in quanto pensava che la giustizia e la amministrazione tenute saldamente da Caudio e dai suoi liberti ora fossero restituite al pubblico controllo senatorio, dovendo constatare che sotto il nome di Nerone, era propagandata una conciliazione tra principato ed oligarchia, quasi si volesse un ritorno alla politica augustea come difesa delle prerogative della antiche magistrature repubblicane secondo precise procedure legali, già collaudate sotto Tiberio e Caligola!

*Bene, professore! Siccome tutto risulta una farsa, ritengo opportuno, allora iniziare con la revisione del primo quinquennio della vita di Nerone imperatore, poi quella dell’anno 62 d.C. e infine l’ultimo periodo, segnato dalla corsa verso l’immoralità e la tirannide, quando il giovane inclina alla compagnia dei peggiori elementi, essendo nelle mani di Ofonio Tigellino e di Poppea Sabina, che, nella loro ambizione, accendono le passioni per sfruttare la naturale bonomia del carattere del principe.

Marco, tu vedi la politica neroniana dal 62 al 68 d.C. come quella di un megalomane artifex, esaltato dal plauso del popolo romano-italico e da quello greco-orientale, manovrato da consiglieri perversi, come in una tragedia senecana, ma, secondo me, non è questa la reale figura di un principe riformista, che segue l’esempio dello zio, divino pastore del gregge come Caligola, geniale nelle sue intuizioni, seppure non educato alla visione di insieme e alla decisionalità in situazione, essendo stato troppo a lungo sotto la protezione vigile di madre e di magistri, impedenti l’errore, basilare in una normale crescita! Comunque, condivido che il periodo quinquennale è un falso, propagandato come ostentazione della tradizione quiritaria e rispetto per l’aristocrazia, che si manifesta solo con scambi di ruoli e col dare responsabilità ad uomini nuovi, mentre scompaiono altri, come il liberto Narciso, quando vengono favoriti provinciali, popolo minuto e militari, grazie ad una politica finanziaria molto dispendiosa, divenuta, infine, disastrosa, a causa della svalutazione dell’aureo e poi del denario!

 *Secondo lei, quindi, niente cambia se non i nomi, di ministeriales: a Narciso, a Callisto e a Polibio ora subentrano Pallante e Felice, Ermafrodito con Seneca filosofo-precettore e con Afranio Burro, capo pretoriano, mentre l’imperatore e sua madre Agrippina accentrano il potere, pur mostrando deferenza verso il senato e le forme costituzionali: figlio e madre fanno opportuna propaganda di clemenza e di filantropia, apparendo figure soteriche ma in effetti tutelano la loro immagine e fanno morire avvelenato gradatamente per non destare sospetti, data la cagionevole salute e le continue epilessie, il quattordicenne Britannico, figlio dell’imperatore, e rinsaldano i vincoli familiari con Claudio, grazie al concordato matrimonio tra il giovane Domizio e Claudia Ottavia. Anche Tacito, quindi, crede in un quinquennio felice e lo mostra secondo canoni letterari già consueti, anche se sa che tutto è un’esaltazione del principato, che segue la necessitas di un mantenimento di un’istituzione conservatrice senatoria, mentre si prende reale possesso del potere autocratico, quando la vecchia aristocrazia è decimata e risulta chiaramente degenerata, incapace di riprendere le redini dello stato.

 Marco, Tacito è dalla pars aristocratica e rileva non la iustitia del principato ma le sue forme di grandeur con le spese pazze e le pose istrioniche,di un imperatore liberale e munifico seppure talora moderato, capace tuttavia di sperperare i beni pubblici con i suoi marcati atteggiamenti provvidenziali secondo l’insegnamento di Seneca, che è un campione del doppio gioco, tipico esemplare ispanico apparentemente austero ma opportunista profittatore, da una parte vir mascherato di moralismo e da un’altra complice dei delitti giovanili del giovane principe che già nell’elogio funebre del defunto pater, evidenzia un clima di ipocrisia, mentre si fanno processi contro governatori concussionari e si fanno decreti popolari per l’abolizione delle imposte indirette e si reprimono gli abusi dei pubblicani.

*Da qui, dunque, dopo la morte di Britannico, l’allontanamento della madre Agrippina, che osteggiava l’amore del figlio per la liberta, Atte, e lo rimproverava di accantonare la moglie Ottavia, sua protetta, e che aveva imposto Pallante come amministratore delle finanze, uomo caro all’esercito e ai circoli letterari della capitale e che già formavano leghe fra loro, che poi sarebbero divenute congiure, a cominciare da quella di Rubellio Plauto, inviso a Seneca e a Burro, infastiditi, inoltre, dalla presenza invadente della reggente madre!

 

Tra potere e vanità: donne e imperatrici dell'antica Roma | Musei Capitolini
Agrippina, Villa Albani, Roma

 

Certo, in questo clima matura la licenziosa vita di Nerone imperatore, che è lasciato libero nella ricerca dei piaceri, purché eviti intemperanze pubbliche scandalose, specie quando, innamoratosi di Poppea Sabina, trascura sua moglie contro il volere della madre, che nota il carattere spregiudicato dell’amante che, con costumi asiatici e filoebraici, esorta il principe a rompere con la tradizione romana e a rinnovarla con tendenze estetiche diremmo oggi decadenti superomistiche, venate di misticismo orientale, al fine di instaurare uno spirito tirannico ed immorale, divenuto imperante subito dopo la cacciata di Seneca e la morte di Burro nel 62 d,C.

*Questo è un’esagerazione vistosa adolescenziale di un artista, che vive, comunque, in una società decadente, in cui è radicata la tirannide che è sostenuta dal connubio tra moralità privata e moralità pubblica, in cui si rifugia il giovane principe scapestrato e immorale, pieno di vizi, dedito alle orge, a bravate puerili, impegnato in amori illeciti ed intemperanze segrete tanto che Tacito dice che lo stesso Nerone cerca di coprire i delitti e di nascondere le vergognose relazioni. Hactenus/Fin qui Nero flagitiis et sceleribus velamenta quaesivit, Annales, XIII, 42, 1.

 Eppure la storia ci ha tramandato anche la figura contraddittoria di un giovane Nerone che, a sera, medita ed afferma di aver perduto un giorno per non aver fatto buone azioni!

*Professore, anche il magistero di Seneca è equivoco come anche il mandato di Pompeo Paolino, suo suocero, prefetto dell’annona, incaricato di rifornire l’Urbe delle derrate necessarie alle distribuzioni di olio, vino e frumento alla plebe e di altri suoi protetti e dello stesso Burro, che, non sempre essendo ligi al loro dovere, in quanto pensano al proprio interesse, accettano come morigerato un imperatore, pur se palesemente dedito ad orge e scostumato!

Comunque, le figure di Atte e di Poppea potrebbero essere state cambiate e trasformate al fine della dimostrazione dell’istrionicità dell’imperatore, che fa continua sceneggiata di sé artista, proprio quando il giovane indulge alla sua natura, imitatrice dello zio Caligola e di costumi egizi, marcata dalle fonti cristiane che fanno di lui il primo persecutore, uccisore di Pietro e Paolo cfr. Ma… chi può andare a Roma, veramente in epoca neroniana? e La conversione di Paolo! Una sceneggiata aramaica!?, KDP, 2022.

 

Lotta tra gladiatori
Corse con cocchi

 

*Poppea Sabina tacitiana è donna che rovina Nerone e ne fa un suo schiavo, vista la sua superiore cultura e la vicinanza con le donne ebraiche della corte comunque, morigerate, note per il loro rispetto per la legge e conformi al sistema tradizionale giudaico, secondo il giudizio di Flavio, che ne fa perfino una timorata di JHWH, sempre amata e rimpianta dal marito, che pur l’uccide incinta, con un calcio al ventre, durante una crisi isterica, a seguito di un futile litigio: il principe poi le fa tributare onori divini e imbalsamare il corpo ed infine sposa, dopo averlo evirato, il liberto Sporo, che ha qualche somiglianza con la defunta e che è compagno/comes nel viaggio in Grecia secondo Svetonio – cfr. Vita di Nerone, 28, 1-2; 29, 1; 46, 1 – ed altri storici!

I letterati ti hanno condizionato col loro racconto retorico morale e con la condanna delle imprese teatrali e canore del principe, che va stupidamente perfino alla ricerca del tesoro di Didone e che partecipa alle gare quinquennali, senza curare la figura dell’imperator, guerriero e conquistatore tutto preso nella volontà di cambiare la romanitas e di ellenizzarla secondo canoni anche egizi, cercando l’amalgama proprio nella cultura comune romano – greco – egizia, senza accorgersi di autorizzare così il disdegno dei patres, che, in nome della tradizione sacrificano anche la vita come Trasea Peto e Petronio arbiter e Seneca, in un disprezzo della sua politica, dopo aver perfino congiurato contro di lui. In questo modo tu passi subito alla congiura, che viene scoperta solo più tardi dopo il 62 – l’anno in cui il principe cambia direzione politica e metodi di governo a seguito della morte di Afranio Burro per malattia ! -. Infatti Nerone si circonda di uomini con Ofonio Tigellino, uomo spregiudicato e consigliere privato pretoriano preferito rispetto a Fenio Rufo, capo del pretorio anche lui, personaggio onesto ma debole, rispetto al collega perché colluso con Poppea Sabina, per cui Seneca si allontana dalla corte, temendo il peggio e si rinchiude nelle sue ville senza cercare di impedire la tragedia del matricidio e il ripudio di Ottavia e la sua stessa uccisione, dopo l’accusa di adulterio con Aniceto, capo della marineria di Miseno, suo custode a Pandataria/Ventotene. Noi possiamo capire qualcosa dai discorsi, riportati da Tacito per trattenere a parole Seneca, a corte, da cui traspare l’animo di carnefice di Nerone, impaurito dalla fama a Roma di Ottavia e dall’amore popolare per lei e condizionato da Poppea che sembra aizzarlo all’uxoricidio.

 

busto ritratto di Poppea scultura post 1857 - ca 1920
Poppea, Firenze, Galleria Uffizi

 

*Forse, professore, è così, ma io rilevo anche come alle promesse fatte dall’imperatore si succedono fatti di dispotismo imperiale, che risulta odioso ai sudditi romani, che non accettano la politica teatrale, canora e neppure circense, di stampo ellenistico, siriaco-egizio, seleucide e lagide, di cui emblema è propria Poppea Sabina, anche dopo l’incendio di Roma e la ricostruzione dei quartieri, insieme con l’erezione del Colosso Neroniano e con la faraonica dimora imperiale della Domus aurea oltre che alla costosissima elezione del principe Tiridate, venuto dall’Armenia, a spese dello stato!

Marco, giustamente rilevi che il popolo pensa ai suoi bisogni quotidiani e non alla magnificenza dell’accoglimento di un principe straniero, che si fa incoronare dall’imperatore romano e non dal fratello re dei re parthico, e sembri accennare a rivolte contro il principe matricida, pronto già all’uxoricidio, deciso ad annientare la congiura di Gneo Calpurnio Pisone, che ha come sostenitori Fenio Rufo e 19 senatori, scoperti per l’imprudenza di Epicari che fa propaganda presso i marinari di Miseno e a seguito dei processi contro Scevino cfr. Tacito, Annales, XV, 53, dopo le incertezze dei congiurati e del capo e la denuncia di Milichus, sollecitato dalla moglie.

 *Non le sembra di vedere troppi elementi ebraici nello storico latino che tratta della congiura? 

Marco tu pensi che io, siccome rilevo in Poppea un timorata di Dio, necessariamente giusta e pia, sia propenso a credere ad un gruppo di ebrei liberti, spie al servizio di Epafrodito, segretario a libellis per le pratiche giudiziarie ricordato anche da Svetonio (Nerone, 49) e da Flavio (Bios, 430) e da Luca – cfr. Lucius Grassius Tertius = Tertios o grapsas paolino? -.

*Professore, Milichus tacitiano rimanda a Malkhut/regno ed è nome che conosco dalla lettura del suo Giulio Erode il filelleno – I e II, KDP, 2022 -, legato a Baba/abba(?) e che potrebbe essere con altri uno dei settanta discepoli di Christos, l’aramaico Jehoshua Barnasha!

Birbone! non ti sfugge nulla!

*Ho lavorato con lei sulla congiura di Pisone che è come Tacito, anche lui un conservatore, chiuso in una torre di avorio e moralista, quindi, uomo che interpreta, riportando i fatti, temendo perfino gli eversori e congiurati antitirannici, anche loro narcisisti. Professore, il pessimismo tacitiano deriva forse dalla coscienza della fine non solo della costituzione repubblicana ma anche della necessitas della basileia, e dell’impossibilità per senato, popolo ed esercito di costruire un nuovo sistema alternativo a quello neroniano, moderno, seppure con le megalomanie singolari dell’imperatore, come appare chiaro nelle discussioni per il Regno di Vespasiano ad Alessandria, da lei mostrato in Vespasiano e il regno e in Incitato, il cavallo di Caligola, dove i cenni libertari sono accantonati a favore della monarchia severiana, dopo il colloquio di Mecenate con Agrippa ed Augusto, ricordato, come tenuto nel 27 a.C. dai tre amici, da parte di Dione Cassio.

Marco, è ricorrente la volontà di cambiare circa la monarchia assoluta, anche dopo gli illirici, fino a quando Diocleziano non attua la Riforma Tetrarchica nel 305 d.C.

*Professore, nel corso di una grave crisi finanziaria, ogni azione megalomene di Nerone, dopo la congiura e le morti esemplari degli oppositori, risulta un capriccio infantile, una voglia giovanile, un’operazione sballata come ogni altro tentativo riformistico specie durante i torbidi del biennio 66-67 d.C., nel periodo di assenza dalla capitale dell’imperatore citaredo in Grecia, da cui forse il sovrano sperava di risollevare l’economia romana con i trionfi artistici, con l’opera del taglio dell’Istmo di Corinto e con la concessione di libertà ai protoi ed esenzione dalle imposte per i greci!

Marco, Filostrato (in Apollonio di Tyana) fa dire nel 70 d.C. da Apollonio di Tyana a Vespasiano, che se Nerone, che pur aveva exousia, la rifiutò e, comunque, diede libertà per gioco ai greci, lui invece sul serio la tolse loro, credendo di avere potere. Il mago tyaneo mostra il principe giulio claudio immaturo, ma già preannuncia il sistema esoso del successore, mulio sabino, intenzionato a rimettere in ordine l’impero, danneggiato dalla megalomania neroniana, avendo capito il disagio dei contadini-cafoni rurali conservatori, che è gregge, distinto dai comitatus, essendo ormai la società romana cambiata! Nerone già nel corso del viaggio in Grecia ha perso il contatto non solo con le masse romane latine e campane che pur sono state favorite con molte elargizioni di frumento e che godono di privilegi grazie agli acquedotti, con Terme, musei e biblioteche, ma anche con quelle italiche e gallo ispaniche che già avevano avuto rappresentanti in senato, e che ora hanno formato comitatus segreti antineroniani come opposizione ad un imperatore ellenico, non romano, davvero immaturo uomo non educato alla parsimonia e al sacrificio secondo il quiritarismo!

*Mi vuole dire che, dopo Caligola, al livellamento delle creature, formanti il gregge di upotagmenoi/sudditi, rispetto al poieths/creatore, si sono costituiti comitatus di ministeriales, di uomini che seguono ed accompagnano l’imperatore augusto nei viaggi a vario titolo, come comites consiglieri di origine regia orientali e come compagni viatores plaudenti, normalmente fidi in quanto ancora incerti nel ministerium e servizievoli esotto Caligola e Claudio, ma infidi e pronti a tradire a deficere a Nerone ad Vindicem/ad Galbam a passare dalla parte di Nerone a quella di Vindice e di Galba tra la fine del 67 e il 9 giugno del 68, al ritorno del principe vanesio dalla tournée trionfale greca.

*Marco, il gregge ora è diviso in comites latifondisti – che sono uomini di finanza latini ed orientali, equites, senatori, proprietari di fondi e di villae e che sono collegati tra loro coi militari gallicoispanici i cui legati sono anche in Africa, deposito di frumento – e in salariati e piccoli possessori di campi, rurali che possono innescare processi rivoluzionari, se affamati. Infatti avviene che Galba, all’inizio della primavera del 68, fa impedire al suo legatus Lucio Clodio Macro ai nauarchoi di accedere ai granai africani, per cui l’Italia e Roma risultano affamate e in città vi sono scontri armati, che Nerone non può frenare, non avendo liquidi, essendo tornato da poco dalla Grecia, in fretta, senza risorse liquide finanziarie. Allora la situazione precipita perché Tigellino, il capo pretoriano tradisce ed abbandona l’imperatore, sollecitato da Nimfidio, quando già il senato ha decretato che l’elezione militare di Galba è legittima, favorendo così il suo lento venire trionfale nella capitale, quando già tutti hanno lasciato al suo destino il principe!

Morto Nerone, il 9 giugno 68, suicida a 32 anni, aiutato ad uccidersi da Epafrodito e sepolto dalla fedele Atte, che lo segue fino alla fine con pochi augustiani, il popolo si schiera a favore di Servio Sulpicio Galba, imperatore, quando cominciano ad arrivare le navi dall’Africa, inviate da Macro per ordine del dux ispanico, di cui è legatus africano e quando già circolano voci di pretendenti al trono con indicazione dei nomi di Otone e di Vitellio, mentre Vespasiano è incerto nella conduzione della guerra contro i giudei, avendo avuto il mandato da Nerone nel 67 d.C., dopo la sconfitta subita da governatore di Siria, Cestio,  a Bethoron!

*In questa situazione caotica, che fine fa Tigellino? Cosa succede a Vespasiano?

Ora esiste una rivolta nella pars occidentale, contraria alla casa giulio-claudia che ha cercato di ellenizzare Roma e l’Occidente, senza calcolare i tempi necessari del decondizionamento e l’arretratezza culturale delle masse – in cui non è ancora entrato nemmeno in superficie il fenomeno christianos, non essendo venuto Pietro a Roma ed essendo Paolo, giunto di nuovo in città dalla regione ispanica, da dove è iniziato la rivolta antigiulio/claudia, in un momento di tragici eventi! -. Dopo il tradimento, Tigellino si dimette e favorisce la candidatura a capo pretoriano di Ninfidio, per cui Galba non ne ordina l’uccisione – che, però, poi, viene eseguita a Sinuessa, da Otone, l’ex marito di Poppea – e non prende in considerazione neanche il pericolo della candidatura imperiale di Vespasiano, che, comunque, interrompe l’attività militare, in attesa di ordini nuovi. 

*Lei ha trattato il regno di Vespasiano in molti articoli della sua opera, leggendo i fatti da un’altra angolazione, dalla parte del vincitore della guerra giudaica, che, favorito dagli eserciti orientali di Licinio Muciano, di Tiberio Alessandro e di Antonio Primo sconfigge Vitellio e diventa sovrano in Roma, lui ex mulio, ora celebrato soothr/salvatore del mondo occidentale dalla guerra civile, pacificatore ecumenico, risolutore della crisi economicofinanziaria con gli aiuti ebraico-alessandrini, oniadi.

Marco, Vespasiano  Flavio  è un italico , un lavoratore  agricolo di Cotilia, che ha saputo risanare perfino il proprio patrimonio dissestato, grazie alla liberta Cenide,  e  dall momento del so arrivo a Roma da Alessandria, col denaro ebraico,  cerca di risanare il debito pubblico dello stato neroniano e salva l’imperium romano, imponendo sacrifici a tutti e tasse anche per …pisciare! .

*Professore, oggi, proclamazione del nuovo papa, americano,  Leone XIV, dobbiamo forse sperare, data la grave  crisi finanziaria del  Vaticano, nella fine della Romanitas dell’Una, Santa, Apostolica,  Cattolica, Chiesa, Corpus  Christi!?