Ma… chi sono veramente Filone, Gesù Christos, Simon Pietro, Paolo, Giuseppe Flavio?

Chi è grato è certamente ricco di Humanitas

 

*Professore, che cosa mi vuole dire questa mattina?

Voglio farti conoscere, davvero, la storia di alcuni uomini: tu li conosci solo come personaggi caratteristici di una vicenda christiana, retoricamente descritta, come esseri, santificati, fuori del tempo, esemplari modelli di vita, mentre sono tutti autentici cives (eccettuati Gesù Christos e Simon Cefa) ellenizzati e romanizzati, che hanno un’idea religiosa, oggi detta christiana, con una cultura retorica di radice giudaico-militaristica, tipica di uomini, che hanno interpretato la parola divina-logos, in modo sincretico, confuso, falsificando la lettera, mal tràdita-tramandata, in un dato momento storico, senza un vero testo di base, per fini personali e politici, con volontà di far prevalere un proprio credo, facendo omaggio imperiale ed ecclesiale, in relazione alle situazioni di un preciso tempo!

*Professore, mi vuol dire che senza testo non si può neanche parlare e tantomeno predicare, se non il vuoto, e che, prima di aprire bocca, occorre che ci sia un testo, come memoria degli attanti-parlanti, su una base reale di logia tou Kuriou -detti oracolari del Signore, storicamente registrati, non quelli costruiti tardivamente per la formazione dei posteri, indicanti il messaggio reale del Christos, di un uomo, acclamato Messia non di uomo/Dio- di un mitico redentore dell’uomo peccatore, figlio di Adamo, un Figlio dell’Uomo, morto in croce, dopo sofferenze patite sotto Pilato, in epoca tiberiana, secondo il credo niceno/costantinopolitano, di un qainita-costruttore, costretto anche alla difesa della patria, una volta divenuto maran-re aramaico, connesso con la cultura aramaica ed iranica, in una guerra contro i romani,- che gestivano, da padroni la terra giudaica e il Tempio, da quasi un Secolo, e che non tolleravano alcuna interferenza di Artabano III, re dei re parthico, datore del titolo di re – cfr. Gesù Christos -! lei  dice  di fatti reali, storicamente studiati, connessi e valutati!

Marco, tu parli chiaramente di un testo evangelico e di una tradizione christiana, tipici della tua formazione!

*Certo, parlo da christianos, in relazione all’educazione ricevuta fin da bambino, da una famiglia cristiana ed ora, a seguito del suo insegnamento storico, leggo diversamente il dogmatismo religioso. Nessuno, per lei, può realmente dire quando esattamente è sorto il cristianesimo primitivo e nemmeno dove esattamente – troppo pochi, e non storici, sono gli indizi circa Antiochia (43/44), circa Roma (morte di Paolo e Pietro, 66/67/68), circa Efeso, intorno a Giovanni evangelista, o circa Alessandria, nel Didaskaleion cristiano di Panteno, Clemente ed Origene!- e tanto meno da chi è stata costruita la prima ecclesia veramente cristiana, perché non conosciamo la storia reale dei giulio-claudi, dei flavi, degli antonini e dei severi, né i fatti di un malkuth ha shemaim/regno dei cieli– segnati da una rivolta/stasis antiromana postseianea, di un regno messianico di circa 5 anni (32-36), spazzato via dall’impresa antiparthica di Lucio Vitellio e dal trattato di Zeugma, che ripristina l’ordine nell’impero romano orientale, – e neppure  conosciamo il sistema viario terrestre e marittimo romano con le paroichiai, coi loro gestori, funzionari pubblici, nemmeno quello italico, se non in modo generico: noi crediamo e diamo per scontato, come vero, ciò che ci è stato insegnato fin da bambini, impressionati dalla magia del mistero religioso, incapaci di porci dubbi di nessun genere!.

Certo, non essendoci un sicuro testo, come parola di Dio, si è presa per certo la formulazione del Credo del IV secolo, costantiniano-teodosiano, dopo quasi 350 anni dalla morte di Gesù Christos, e sulla base di una storiografia cristiana agiografica, si è esaminato il periodo di quasi tre secoli e mezzo, senza veri documenti, occidentali  se non quelli della tradizione latina imperiale dominante, uniti a quelli greco- ellenistici della stessa epoca, orientali.

*Professore, io, oggi, mi chiedo anche perché e come si è costituita una religione che ha privilegiato l’aspetto spirituale, anche se ha voluto effettivamente persuadere il popolo, ignorante e teso all’immagine, in nome di un Dio Pathr, che ha inviato, in epoca augustea, nella pienezza dei tempi, il proprio figlio sulla terra, in territorio giudaico, per redimere l’uomo peccatore, col sacrificio della stessa vita – di cui poco o niente si sa in quanto oscura fino a 30 anni, fino alla inverosimile predicazione di amore in un contesto di guerra esterna ed interna, con scontri feroci tribali e stragi da ambedue le parti contendenti, e all’arresto, dopo una breve parentesi regia, messianica, con una morte infamante sulla croce – divenuto simbolo di vittoria/nikh, a cui viene fatta seguire un’assurda resurrezione dai morti con ascensione al cielo e con la venuta di un misterioso Spirito Santo, in forma di fuoco, sui discepoli, terrorizzati, apostoloi/inviati, comunque, a predicare il suo vangelo rivoluzionario di pace e di amore come messaggio apostolico, incompreso dai pagani, che considerano per decenni ogni cristiano, un mangiatore di carne umana, testamentario – dato l’ordine del maestro di cibarsi della sua carne e di bere il suo sangue – un uomo, incestuoso, abituato all’amore libero, tanto da accoppiarsi fra parenti e perfino con la madre, in segrete riunioni conviviali, animalesche, un derelitto della società, che spera di diventare da ultimo primo con l’aiuto di un Dio, padre misericordioso che, oltre tutto, premia il suo fedele, preparando un regno in cielo a chi vive, sperando, anche se macerato, in terra, dal dolore della sofferenza quotidiana!

Marco, se facciamo attenzione, rileviamo, nelle specifiche situazioni, che il primo, passato per christianos, da ebreo, è Filone, un giudeo-alessandrino-egizio, un mercante e trapezita, un filosofo neoplatonico, un oniade, in guerra con Gaio Caligola, proclamatosi nomos empsuchos/legge vivente e venerato in tutto l’impero come theos/numen, intenzionato a punire o limitare il potere finanziario-economico del mondo ebraico, aramaico ed ellenistico, connivente col regno parthico da secoli, in quanto connesso per sangue, lingua e religione; il secondo, Gesù, un messia, qainita, giudeo galilaico in guerra con Tiberio e coi pretoriani reggenti, Seiano-Macrone, mentre Paolo, un retore visionario di Tarso, un esaltato civis romano, educato farisaicamente in Cilicia, di stirpe beniaminita, imparentato coi figli di Erode, ha davvero un suo vangelo ebraico, farisaico, basato su un Christos crocifisso, figlio di Dio, logos-parola divina-seraf-scintilla di fuoco, venuto a redimere l’umanità mediante charitas/agape – grazie alla calata della Spirito Santo – diffuso in Oriente ed anche in Occidente, un predicatore missionario senza qualifica apostolica, operante senza profitto personale alcuno, perfino a Roma, dove arriva in occasione della sua prigionia, per incontrare l’imperatore Nerone, a cui si è appellato per aver giustizia, in un processo mai fatto, perché poi rinviato in patria, dopo due anni!

*Ha tralasciato, di proposito, Simon Cefa e non ha parlato di Paolo, decollato, dopo qualche anno dal rilascio, a Roma, dove in epoca neroniana arrivano molti, ambasciatori e re, perfino, per l’incoronazione, dopo lunghissimi ed avventurosi viaggi?

Non posso perdere tempo a  parlare di un pescatore del lago di Tiberiade galilaico-ituraico, figlio di un Giona, mai venuto a Roma, con la sua numerosa famiglia! sarebbe scioccoe ridicolo trattare di un personaggio fatto sulla carta, a tavolino, evangelico sommo sacerdote di un’ecclesia, mai esistita, come comunità romana, se non come succursale antiochena, nel II secolo, di tanto in tanto controllata da ispettori orientali, capitati nella capitale del mondo, perché inquisiti dagli imperatori antonini o severiani!. Neanche prendo in considerazione una migrazione di una famiglia italica con trasferimento presso parenti della stessa tribù con desiderio di inurbarsi, in mezzo a tanti morti di fame, populares romani, liberti, clientes, parassiti! che potrei dire di una famiglia  galilaica a Roma? come potrei  pensare di ipotizzare un trasferimento di un’anonima famiglia del lago di Tiberiade a Roma, capitale dell’impero? Cosa andava a fare Roma un analfabeta pescatore galilaico, dovendo pagare un viaggio marittimo della durata di mesi, pericoloso, coi risparmi di tutta la vita? Veniva a pescare carpe e lucci coi pescatori del Tevere, i più miserabili di Roma, mai sentiti da nessun politico!? Veniva a fare lo straccione lottando per un tozzo di pane con italici (sabini, sanniti, marsi, umbri, etruschi), morti di fame, presunti cittadini romani, che facevano i mestieri più umili, fatti da schiavi, malmenati da altri poveretti, che non volevano la concorrenza, o dai vigiles o dai pretoriani che, in caso di tafferugli, sapevano solo uccidere quelli dei quartieri miserabili, specie se stranieri? Veniva ad elemosinare chiedendo il pane quotidiano ai contribuli delle sinagoghe romane, transteverine, quasi tutti ricchi e benestanti, di famiglia sacerdotale, discendenti degli asmonei, giunti ad ondate nei 126 anni del loro contestato potere gerosolomitano? Avrebbe implorato, invano, ai figli, nipoti e parenti di Erode il grande, sistemati nei quartieri migliori ed amici degli uomini di corte? Il fenomeno, registrato da Giovenale (60?-129? d.C.) dell’Oronte, che si riversa nel Tevere, è successivo di almeno 25 anni/iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes/ et linguam et mores et cum tibicine chordas/ obliquas nec non gentilia tympana secum/uexit et ad circum iussas prostare puellas/ ite, quibus grata est picta lupa barbara mitra/ già da tempo il Siro Oronte defluisce nel Tevere e porta con sé lingua, costumi, flautisti con corde oblique, tamburi con ventre concavo, e prostitute per il Circo. Andate voi, cui è gradita una puttana con mitra pitturata (Satire, 3, 62-66)! A che parlare della morte di Paolo, tornato a Roma, dopo un nuovo imprigionamento ad Efeso e processato come reo di un crimen, a noi sconosciuto, arrivato non si sa quando ed insieme a chi: cosa dire di lui, apostolo delle genti se a Roma non esistono christianoi e se non ci sono persecuzioni, se non per i filosofi! Non è meglio dire qualcosa di Giuseppe di Mattatia, un uomo di stirpe sacerdotale, storico, scrittore di molti libri, che davvero proprio nel 64 d.C. arriva in Italia, come legatus/ambasciatore con delega sinedriale e con lettere commendatizie romane, di circolazione in tutto l’impero romano, senza doversi presentare a ministeriales, burocrati servili incaricati degli uffici di ogni provincia, in cui si trovava a passare, fornito di chartulae di credito (da presentare in banche greche o latine) e di borse, piene di dracme, per le spese quotidiane viatorie, giunto, dopo un naufragio nell’Adriatico ed una rocambolesca salvezza, insieme ad altri ottanta, a Pozzuoli, e lì, fermatosi, per poi partire verso la villa di Poppea Sabina, poco distante, senza arrivare a Roma?

*Professore, mi vuole dire che Giuseppe di Mattatia, arrivato a Pozzuoli-Dicearcha, su una nave cirenaica, non va a Roma, caput mundi, alla corte di Nerone?

Marco, cosa pensi? Andare a Roma da privato ha un valore (cosa possibile, al momento, anche se pericolosa e difficile per uno straniero/csenos, che ha la voglia di un provincialis burino di vedere l’Urbe e le sue meraviglie!); andare a corte, ne ha un altro, se si è politici, e, in tal caso, bisogna attendere mesi per avere un’udienza da parte dell’imperatore o di un suo delegato, rappresentante- cliens patrocinatore, a seguito di una lunga indagine, da parte di Gaio Ofonio Tigellino, il crudele capo del pretorio!. Neanche immagini quanti ambasciatori sono stati fatti fuori nel tragitto terrestre da Pozzuoli a Roma, specie in epoca repubblicana, mentre in epoca imperiale ci sono stazioni di servizio come quella di Tre Taverne, con compiti esplorativi e di identificazione, prima di autorizzare l ‘ingresso in città e di ottenere dai legati pretoriani il certificato di residenza, valido un anno, da rinnovare presso la postazione militare più vicina, al domicilio provvisorio.

*Professore lei mi vuole dire che tra il 64 ed primi giorni del 66 d.C., Nerone ha vari impegni e progetti – oltre a quelli militari, oltre all’ordine pubblico e alla ricostruzione di Roma, dopo l’incendio – ed ha affari privati artistici, e deve fare preparativi per un viaggio culturale, desideroso di laurearsi come aedo e ballerino, con un pubblico greco, ed ha ideato un matrimonio sui generis con Pitagora, suo assaggiatore-marito, mentre la regina designata, ancora non sposata, incinta dell’augusta Claudia, (poi morta infante) è ritirata nella villa di Oplontis, dove muore misteriosamente come augusta incinta, quando il divino marito fa un altro matrimonio, quello con Sporo, un efebo evirato, mentre attende l’arrivo di Tiridate, maran di Armenia maior, desideroso di farsi incoronare basileus, per legittimare il suo titolo, con una cerimonia greca, a Roma.

Certo Marco, sei bravo e conosci bene la storia neroniana!. Ricordi il matrimonio con Pitagora un assaggiatore – coppiere, descritto da Tacito, che parla di un vero matrimonio in cui l’imperatore, quando ancora è vedovo di Ottavia, figlia di Claudio, fa da vergine donna e si abbassò, fino al punto da sposarsi con uno dei membri di quell’indegno gruppo, di nome Pitagora, eseguendo tutti i riti formali del matrimonio regolare. Il velo da sposa è stato messo sull’imperatore; la gente ha visto i testimoni della cerimonia, la dote di nozze, il divano e le fiaccole nuziali. Ricordi che, anche, dopo la morte della figlia e di Poppea, fa un matrimonio con Sporo – che ha sembianze femminili simili all’augusta, compianta- con funzioni maritali, in un clima di congiure e di tradimenti come quello di Annio Vinuciano, genero di Gneo Domizio Corbulone che, con l’impresa armena pur con alterne vicende, a seguito della sconfitta a Rhandeia di Lucio Cesennio Peto, governatore di Cappadocia, risolve il problema dell’Armenia, data a Tigrane, figlio di Alessandro, nipote di Erode, destituito da Vologese, figlio di Vonone, re di Parthi che, dopo un trattato, autorizza il viaggio del fratello maran, successore del romanizzato nipote del cappadoce Archelao, sconfitto e detronizzato, per la legittimazione del titolo regio, con terminologia greca, come basileus e con incoronazione a Roma ad opera di Nerone, come fosse un principe vassallo.

 

Il regno di Armenia nel 66 d.C.

 

*Professore, è registrato storicamente il viaggio di Tiridate ?

Certo Marco. Si conosce ogni cosa da Dione Cassio (St., 63, 1-4): Tiridate venne condotto a Roma e portò con sé non solo i propri figli, ma anche quelli di Vologese, re dei parthi, di Pacoro, re di Medi e di Monobazo re degli Adiabeni, tutti al seguito di una processione, simile a quelle trionfali, che attraversò il territorio dall’Eufrate in poi, dopo che Corbulone si era accordato nel 63 a Rhandeia (Tacito, Annales, XV, 28, 2-3). Si sa che Tiridate era nel pieno della gioventù, una figura notevole per giovinezza, bellezza, stirpe ed intelligenza, ed era accompagnato dall’intero apparato della servitù e della scorta reale, seguita da tremila cavalieri parthi e, separatamente, da molti altri romani (Paolo, di nuovo arrestato, ad Efeso, è tra questi?). Si sa da Dione Cassio (ibidem, LXIII) che tutte le popolazioni lo accoglievano nelle città decorate con magnificenza, dovunque, in Asia e i cittadini, festosi, inneggiavano gridando parole di auguri e devozione fino in Tracia, avendo con sé la regina, la moglie che portava un l’elmo al posto del velo: essi preferivano il viaggio terrestre, a cavallo, a quello marittimo – che contaminava l’ambiente!- anche se poi nel ritorno fecero un breve tragitto sul mare da Brindisi a Durazzo, da dove ripresero il viaggio terrestre in cui poterono visitare le città asiatiche e vederne la grandezza, ammirando teatri, anfiteatri circhi, basiliche, templi, ippodromi, mura ed acquedotti.

*Professore, è vero che portava con sé anche i magi in quanto lui stesso era sacerdote di Mitra e di cultura magica e faceva cene magiche/coenae magicae, a detta di Plinio il Vecchio (St. Nat., XXX, 6-17) che contesta il sistema magico come non scientifico, non naturalistico, ma solo astrologico, in una condanna del loro quadruplice genere di divinazione (terra-geomanzia, aria-aeromanzia, fuoco-piromanzia, acqua-idromanzia), chiaramente evidenziato in epoca neroniana, quando si volle copiare tale culto e si seguì per l’incoronazione di Tiridate il rituale dell’incoronazione di Mitra ad opera dl dio Sole, visibile ancora nei bassorilievi templari mitraici (cfr. Svetonio, Nerone, 51, 1).

Marco, la visita di Tiridate fu costosissima per i cives dell’impero romano, in quanto il viaggio durò nove mesi, dalla Tracia in Italia, fino all’incontro, fissato a Napoli, con Nerone!

*Professore, pagò l’imperatore di tasca propria le spese di viaggio a tanta gente?

Marco, Si. Nerone pagò coi denari aurei del fisco imperiale. Appena Tiridate giunse a Napoli, al re fu inviato un carro, come fosse un pubblico funzionario, un magistrato, con una coppia di cavalli, per fare le ultime miglia per arrivare a Roma e questo fu a disposizione anche per il periodo che rimase in Campania, quando si fece a Pozzuoli un gioco gladiatorio – forse, femminile, in ricordo delle Amazzoni! – curato da un certo Patrobio, un ricco liberto a cui Tiridate fece regali e si prestò a dare una pubblica prova parthica di tiro con l’arco insieme ai suoi tremila cavalieri. Il viaggio era costato tantissimo, in quanto tutti disponevano, gratuitamente, di tutto quello che era necessario, al punto di fare affidamento su uno stanziamento giornaliero di 800.000 sesterzi, da parte del tesoro …to hmerhsion avalooma tooi dhmosiooi logistheenai e tutto ciò per i nove mesi della durata del viaggio/touto ep’ennea mhnas, ois oodoiporhsan, omoioos egeneto. Per l’incontro napoletano Tiridate raggiunse la località passando attraverso il Piceno/dià Pikentoon es Nean polin auton aphiketo.

*L’incoronazione doveva essere preceduta da un atto formale di sottomissione, quindi, di proskuneesis. Non è così, professore?

Certo, Marco, dopo le manifestazioni a Pozzuoli, il principe partho non consegnò la sua spada – come prevedeva il cerimoniale di venerazione all’Augusto! – ma se la fece legare e fissare al fianco – è un guerriero che ha giurato che non deve mai dare la sua spada a nessuno! – poi si inginocchiò a terra e, con le mani giunte, si rivolse a lui, chiamandolo signore e lo venerò/ kaitoi kai es ghn to gonu katheis kai tas kheiras epallacsas, despothn te auton onomasas kai proskunhsas. Questo avvenimento, registrato sotto il consolato di Gaio Telesino e di Svetonio Paolino, anno 66, è considerato da Tacito (Annales, XVI, 14, 1) come degno di grande gloria, mentre viene denigrato il contemporaneo trionfo nel circo dell’imperatore come kitharooidos e, poi, anche come auriga.

*Professore, ma… Tiridate fu condotto a Roma?

Si, a Roma, Nerone gli pose la corona in testa /to diadhma autoooi epetheeke, avendo fatto decorare la città di luci e di ghirlande, facendolo festeggiare fino al Foro, dove aveva predisposto, durante la notte e di prima mattina una splendida scenografia per la sua entrata nel Foro, con la veste trionfale/thn estheeta thn epinikion, scortato dal senato e dai pretoriani. Salito sui rostri si sedette sul seggio curule, da dove vedeva il centro dell’area, occupato dalla popolazione cittadina, divisa in base al rango, vestita di bianco e con la corona d’alloro e il restante spazio, tenuto dai soldati che risplendevano nel lor armamento al punto che le armi e le insegne abbagliavano la vista, e i tetti gremiti da bambini e popolino. L’imperatore aveva stabilito che Tiridate e il suo seguito passassero attraverso due file di fanti, schierate l’una di fronte all’altra per ripetere quanto fatto e detto precedentemente, davanti a lui, ora, però, davanti a tutto il popolo romano, a dimostrazione della sua grandezza!

*Sono riportate critiche al comportamento di Nerone citaredo e parte dei discorsi intercorsi tra i due sovrani?

Marco, i letterati anti giulio-claudi rilevano che Tiridate biasima Nerone, un ellenizzato femmineo e il suo sistema di vita stravagante, anche se opportunisticamente non lo mostra, dovendo dipendere da lui ed averne incoronazione, e che rimprovera perfino Corbulone, un romano militare di vecchio stampo, meravigliandosi che possa obbedire ad un citaredo: in effetti il partho dice la stessa cosa di Budicca britanna, che vede l’imperatore come un effeminato musicista, uomo che si imbelletta indegno di governare tanti popoli!. C’è un conflitto culturale tra un ellhn con la paideia e un barbaros con la cvaranah – eguale a quella della musar aramaica, di derivazione achemenide – cfr. M. Pani, Roma e i re d’Oriente (Cappadocia Armenia e Media Atropatene), Bari 1972; J. Gaggé, Les Cesares et les rois d’Orient et les mages, Parigi, 1968; C. Nicolet, L’inventario del mondo Geografia e politica alle origini dell’impero romano, trad. it., Bari, 1989 -, per cui le loro parole sono in relazione alla propria concezione imperialistica dei due sovrani. Ecco quel che dice Tiridate, presentandosi e dicendo il suo nome con orgoglio, mostrando la discendenza da Arsace, in quanto figlio di Vonone, fratello di Vologese e di Pacoro, e suo servo, aggiungendo: io sono venuto da te mio Dio, per adorarti, come faccio con Mitra, e sarò ciò che tu mi assegnerai: tu sei il mio fato e il mio destino/…sos de doulos eimi, kai elthon te pros se, ton emon theon, proskunhsoon se oos kai ton Mithran, kai esomai touto o ti an su epiklooshis, su gar moi kai moira ei kai tuchh! Ecco la risposta di Nerone che gli dice che ha fatto bene a venire a trovarlo e a trattare di persona con lui: a gar oute o pathr katelipen oute oi adelphoi dontes ethrhsan, tauta egoo charizomai kai basilea ths Armenias poioo, ina kai su kai ekeinoi mathoosin oti kai aphairesthai basileias kai dooreisthai dunamai/quelle cose che né tuo padre ti lasciò né i tuoi fratelli preservarono per te per fartene dono io queste concedo e ti dichiaro re di Armenia affinché tu ed essi insieme a te sappiate che è in mio potere il togliere e donare regni, e così dicendo gli pose il diadema in testa, tra fragorose acclamazioni popolari. Sappi che i festeggiamenti pubblici durarono anche dopo l’incoronazione e la scena fu quella del teatro di Pompeo, per l’occasione interamente dorato, tanto che quel giorno fu detto il giorno dorato. Poi, Nerone a Tiridate, dopo aver pagato le spese di viaggio, regalò 50 milioni di sesterzi – secondo altri, doni stimabili in 200 milioni – e gli concesse di poter ricostruire Artaxata e fortificarla dandogli anche un nutrito gruppo di dhmoiurgoi-artigiani specializzati infortificazioni. Per avere una pallida idea delle spese neroniane, fatte per l’incoronazione di Tiridate parthico – cfr. Un curioso spiritoso epigramma – 2015! -, dove mostro la spesa di un viandante sannita, versata ad una stabularia-ostessa, che concede pasto (pane, acqua e companatico) e camera con puttana all’uomo, e al mulo fieno, al prezzo di 3 sesterzii e mezzo, circa tre quarti di un denario!

*Professore, solo a Tiridate fu concesso una coppia di cavalli con carro da magistrato o anche ad altri?

Marco, fino a Nerone, a nessuno era stato mai concesso se non a generali che tornavano da grandi vittorie militari destinati al trionfo in epoca repubblicano o a duces unanimemente rispettati dal popolo dal senato e dall’imperatore, come Lucio Vitellio, vincitore di Artabano III, costretto subito alla proskunesis -umiliante per un romano e greco- davanti a Gaio Germanico Caligola, geloso della popolarità di un legatus nikeths, che, per salvare la vita e seguitare a fare carriera politica, diventa esemplare cortigiano, secondo l’uso orientale! Per capire gli ambasciatori in missione a Roma, ci riferiamo alle due opere di Filone alessandrino – in Flaccum e Legatio ad Gaium, da noi tradotte – ma teniamo presente anche l’opera di Giuseppe Flavio In Apionem (cfr. In difesa degli ebrei, a cura di Francesca Calabi, testo greco a fronte, Marsilio, 1993). Noi abbiamo rilevato Filone – che insegue, dopo l’arrivo a Pozzuoli, a Roma, l’imperatore, che è alla ricerca di una villa per un provvisorio domicilio, e per l’Italia centrale, per avere assegnata una data certa per il processo, sempre differito, così da poter riferire sull’eccidio ebraico del 38 – ed anche all’opera del grammatico e commentatore omerico Apione, amico di Tiberio e suo cembalo, altro ambasciatore, inviato a difendere il popolo alessandrino e lo stesso governatore Avillio Flacco e a mostrare la mancanza di pietas nei confronti del culto divino di Panthea- Drusilla, da parte dei giudei, che sono empi anche rispetto ai riti divini della maestà imperiale! Sembra che gli ambasciatori si spostano a spese proprie, senza alcun contributo romano e hanno la protezione di guardie private, certamente coordinate, dietro pagamento, a quelle dei vigiles urbaniciani o dei pretoriani o anche dei germani – il nuovo corpo da poco costituito dall’imperatore, dopo la morte di Macrone -.

*Io seguo… ma non avendo vera competenza, come Andrea, su questo argomento, accetto ogni cosa e mi comporto come sempre. Su Giuseppe ambasciatore ho maggiore conoscenza circa la sua venuta in Italia, ma sono sorpreso che non vada a Roma, dopo un travagliato viaggio marittimo.

Per Giuseppe di Mattatia, inviato dal sinedrio per trattare la liberazione di sinedriali, ancora in attesa di processo, tenuti per cautela in prigione già da anni, dal periodo di M. Antonio Felice, non è conveniente andare a Roma, in una città caotica e pericolosa, la capitale del mondo senza adeguata protezione, per lui è preferibile dirigersi alla villa dell’augusta, specie dopo l’incontro con Alituro, un mimo ebraico vivente a corte, presso la regina, timorata di Dio (cfr. Bios, 3, 13-16, in G. Flavio, Autobiografia, Introduzione Traduzione e Note di Elvira Migliario, Bur, Testo greco a fronte, 1994).

*L’Augusta è in zona campana, all’epoca?

Si, a Oplontis Poppea ha una villa ancora oggi visibile a Torre Annunziata – cfr. G. Crassius Tertius in www.angelofilipponi.com.

Flavio, invece che a Roma, sede dell’imperatore, ancora itinerante e senza casa, come legatus sinedriale è consigliato di andare piuttosto dalla regina, i cui uscieri sono più corruttibili, se pagati, essendo più facile l’accesso in Campania che nella capitale, già divorata dalle fiamme di un incendio, (in assenza di Nerone, richiamato da Anzio, per una pianificata riqualificazione cittadina popolare intorno al suo Colosso – dove oggi è il Colosseo – e per la costruzione di una reggia sul colle Oppio). Ad Oplontis, dopo qualche mese di attesa, Giuseppe di Mattatia tratta, avendo tasche piene di dracme, grazie alle carthulae dei trapeziti campani oniadi, per liberare i sacerdoti/tous iereis lutheenai mai processati e riportarli in patria, dopo esborso di denarii non per l’augusta – che si è interessata del caso gratuitamente e l’ha risolto di persona, e fa all’ambasciatore grandi regali megala doorea -, ma per i tanti maestri di palazzo, liberti incaricati di prenotare le visite (Bios, 3.16).

*Professore, so che anche Paolo approda a Pozzuoli (Atti degli Apostoli, 28, 13) e poi va a Roma, forse un paio di anni prima?

Marco, se leggi attentamente la narrazione di Luca circa il viaggio dell‘apostolo delle genti verso l’Italia, circa la tempesta e il naufragio, sempre in Adriatico, circa l’arrivo a Malta e poi a Roma, rilevi punti di contatto col racconto di Bios flaviano, opera scritta intorno al 94, insieme ad Antichità giudaiche e In Apionem!

*Capisco, professore, che questo fa pensare ad una diversa datazione del Vangelo lucano e degli Atti, per cui sembra un’imitazione la narrazione avventurosa di Paolo, prigioniero scortato dal centurione Giulio della coorte augusta, partito da Adramitto in Eolide, di fronte a Lesbo, dopo esservi giunto da Cesarea marittima nel periodo già di mare chiuso, cioè da novembre a marzo, per approdare a Sidone e per procedere da lì, sotto Cipro, attraversando il mare di Cilicia e di Pamfilia fino a giungere a Mira di Licia, dove trova una nave alessandrina che giunge, con difficoltà, a Cnido in Caria, da dove navigando sotto Creta, arriva a kaloi Limenes – presso cui è la città di Lasèa -.

Marco, tu parli, ma non conosci bene i luoghi. Io posso essere un po’ più preciso perché a Cnido ci sono stato, venendo da Marmaris, e ho rilevato quanto sia difficile la navigazione ed ho ammirato la bellezza del porto naturale e la posizione del Teatro romano! Ti faccio vedere una foto scattata dalla collina di fronte alla dorsale del Triopio, da mia moglie, e un’altra di Kaloi Limenes/Buoni porti, da me fatta, mentre venivo da Matala.

 

Cnido, il porto, il Triopio e il teatro

 

Spiaggia attuale di Buoni Porti-Kaloi Limenes

 

*Belle foto! È una zona davvero ventosa?

I marinai greci dicono che le folate di vento di Matala sono micidiali perché scagliano gli sfortunati sugli scogli. Comunque, Paolo non vuole muoversi da lì, ma il centurione è persuaso dal capitano e dall’armatore, che vogliono invece arrivare a Fenice, oggi Loutro, per potervi svernare e passare al sicuro tre mesi. Infatti è una località, che, data la buona posizione geografica, in quanto posta a nord-ovest e sud ovest, ha ancora un buon porto per trascorrervi l’inverno.

*Professore, conosco bene l’episodio e so che la speranza è delusa da un euroaquilone, che si scatena sull’isola: la nave, già priva di marinai, fuggiti su una scialuppa, incagliatasi, dopo 14 giorni di burrasca pur essendo stato gettato a mare il frumento, è in bilico coi 276 naufraghi, che, scesi, poi, chi a nuoto, chi attaccato a pezzi di legno, arrivano tutti, a riva, a Malta e da lì, dopo tre mesi, trovata una nave alessandrina con l’insegna dei Dioscuri, costeggiando, arriva a Siracusa, dove rimane ferma per tre giorni per poi ripartire e giungere a Reggio, costa costa, e dopo due giorni infine arriva a Pozzuoli.

Marco, conosci bene il il tragitto di Paolo e quindi sai che che da Pozzuoli, dove è accolto e resta per sette giorni – c’è un’iscrizione al porto di Pozzuoli!- da dove riparte per Roma, dirigendosi verso Foro Appio (Orazio, Satire, V) e alle Tre Taverne, circa 40 km da Roma, dove una postazione militare fa ispezioni e indagini sull’arrivo delle persone che, ben schedate, entrano nell’urbe con salvacondotti avuti dopo giorni di attesa, col sigillo di Gaio Ofonio Tigelino, capo del pretorio.

*Paolo entra col permesso avuto dal nuovo capo del pretorio, Tigellino, che, dopo la sostituzione di Afranio Burro, ha potere assoluto, e quindi valuta, interrogando la guardia al fianco del giudeo e lo dota di uno scritto con la concessione di poter aver relazioni coi protoi giudaici delle 5 sinagoghe?

Certo. Paolo così può comunicare coi contribuli giudaici – che affermano di non conoscere i christianoi, anche se hanno sentito chiacchiere su uomini, i quali, in ogni luogo, trovano opposizione/ περὶ μὲν γὰρ τῆς αἱρέσεως ταύτης γνωστὸν ⸂ἡμῖν ἐστιν⸃ ὅτι πανταχοῦ ἀντιλέγεται.(ibidem,28,22,)- ed ottiene poi il permesso con l’autorizzazione a rimanere a Roma /μένειν καθ’ ἑαυτὸν σὺν τῷ φυλάσσοντι αὐτὸν στρατιώτῃ (At, 28,16).

*Professore, il cristianesimo sembra un fenomeno orientale, non romano!. All’epoca, comunque, arriva anche Apollonio di Tyana? il suo viaggio non coincide con quello di Flavio, che si ferma a Pozzuoli nella primavera 64 d.C., forse qualche giorno prima, mentre lui va a Roma con molti discepoli-38!- ma poi a Tre Taverne viene fermato per avere il permesso di entrare con un numero selezionato di seguaci?

Marco, parte dei discepoli del tyaneo si impaurisce e lascia il maestro, che, avuto il permesso di soggiorno, entra con l’autorizzazione di risiedere presso il collegio sacerdotale di un tempio, dove sembra rimanere oltre un anno, se nel 65, l’anno dopo, risuscita una fanciulla, mentre l’amico Musonio Rufo è condannato ai lavori sullo stretto di Corinto dal capo pretoriano cfr. Gesù di Nazaret ed Apollonio di Tyana; Musonio Rufo e Apollonio di Tyana in ww.angelofilipponi.com

*Professore, in conclusione, questa mattina, lei mi ha voluto mostrare come Roma accolga i tanti e diversi visitatori, ben coscienti di dover fare un viaggio difficile e di dover chiedere i permessi di entrata in una città di 1.500.000 abitanti, metropolis italica, capitale del mondo, dove vive l’imperatore con la classe dirigente senatoria.

I tanti, che vengono, hanno motivazioni socio-economiche commerciali o filosofico culturali o religiose, tutti, comunque, cercano di integrarsi, come cives romani, in una città cosmopolita dove ancora predomina l’etnia italica, anche se già in epoca neroniana la tradizione occidentale sta per essere vinta da quella orientale, specie siriaca, che, nonostante il potere della classe dirigente italico-gallo-ispanica, comincia ad elaborare un sistema ‘ideologico mitico-mistico, con opportuni paradigmi operativi messianici sacerdotali, tra cui quello di Flavio, che è sacerdote, schiavo- profeta -interprete liberato da Vespasiano, abile a formulare una concezione letteraria nuova di sacro romano impero – una theoria papale successiva, applicata da Leone III nell’anno 800 d.C., in onore di Carlo Magno, un maggiordono franco da poco eletto re legittimo come figlio di Pipino -, sulla base del potere giudaico asmoneo di iereus e di hgemoon, congiunto alla sua esperienza sacerdotale e militare, in una celebrazione del soterismo flavio, per un nobilitazione di una famiglia plebea, privata, rispetto a quella aristocratica, titolata, giulio-claudia, come legittimazione della sua ascesa all’impero.

*Professore, questi uomini, di cui lei mi ha parlato, hanno tutti lasciato una traccia, ben visibile nella storia, che si è svolta secondo un’oikonomia tou theou, in nome di Roma e di Augusto, su cui, poi, l’ecclesia petrina cattolica ha elaborato il suo piano teocratico, facendo apparentemente operazioni spirituali, pneumatiche.

Certo, Marco si realizza, però, il passaggio indebito ed immorale da Historia ad Upourgia/ossequio cortigiano e a panourgia/raggiro, secondo un processo secolare di predominio dei sacerdoti sui laici, che ha segnato negativamente l’humanitas!