Le opere parlano – le parole non occorrono – sono gocce loquaci di fuoco, lingue vive di natura ardente!
*Lei, professore, mi ha sempre parlato del difficile mestiere di traduttore, specie nel Cinquecento, in un clima Controriformistico (1545-1563), in cui vivono quelli che nascostamente aderiscono al luteranesimo e quelli che, essendo filocattolici, si oppongono agli autori della stessa Riforma e ad Erasmo, controverso, accusando letterati, come loro, che fanno traduzioni.
Marco, ti riferisci a Lodovico Castelvetro (1505-1571) e a Pietro Lauro Modenese (1510-1568) o ad altri?
*Ho sentito dire, o letto in qualche parte, che Lodovico Castelvetro, inquisito come eretico, accusa Pietro Lauro Modenese, traduttore di Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio – una sua copia l’ho vista nel suo studio – di luteranesimo. È possibile?
Marco, non è facile entrare in merito a due grandi traduttori, che per motivi familiari sono costretti a vivere di traduzioni e a rimanere nel sistema cristiano cattolico, celandosi, specie negli anni iniziali del Concilio di Trento (1545-1563) – le accuse reciproche potevano diventare tragedie, a causa dell’Inquisizione, che condannava anche a morte! -. Prima, perciò, bisogna entrare in merito alle due figure di letterati, oggi sconosciuti, ma all’epoca noti nell’ambiente veneziano, tipografico, in cui vivono e poi verificare il fatto dell’accusa cfr. S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, I-II Roma 1890-95; I. Affò, Memorie di tre celebri principesse della famiglia Gonzaga, Parma 1787.
*Lei mi ha parlato della poetica di Orazio di Lodovico Castelvetro, accennando alla polemica sul vero storico e sul vero poetico in un’opposizione al credo cattolico, sacerdotale, propria di un uomo vicino alla riforma protestantica.
Forse dovrei parlarti più a lungo di Lodovico Castelvetro, eretico condannato all’esilio, che rileva l’impossibilità di dire il vero – se si fa opera di diletto a chi legge, a fine edificatorio morale o consolatorio, specie se si opera su un piano retorico – in quanto assertore di un fare storia e di un tradurre, senza ideologia, possibilmente verbum e verbo/parola da parola in lingua volgare cfr. Girolamo e la traduzione in www.angelofilipponi.com
*Mi dica e mi aggiunga qualcosa, se le pare opportuno: io ascolto volentieri quello che mi dice circa la rinascita del volgare in epoca tridentina, in ambiente fiorentino e padovano, ma anche modenese!
Marco, io ti dovrei parlare del contesto di Venezia, all’atto del tradurre di autori che operano per i tipi dei discendenti di Aldo Manuzio o di un Gabriele Giolito dei Ferrari o di altri, che, avendo ottenuto privileggio, possono stampare impunemente specie se hanno la protezione di qualche nobile, come Lionora Gonzaga de la Rovere duchessa di Urbino o come Renata d’Este, duchessa di Parma.
*Quindi, Castelvetro è uomo che cerca il vero e non il verisimile, senza adornamento, anche traducendo, come tanti altri che ora operano la traslazione/traslatazione – il trasferimento verbale dalla lingua greca, non in latino, ma in volgare, lingua di maggiore diffusione.
Marco, chi segue, comunque, regole, pur ragionando di versi e di rime, pur scienziato della parola volgare, pur procedendo come filologo e grammatico, anche se accusato di non aver capacità creativa in quanto purus grammaticus purus asinus, seppure sempre critico nei confronti di altri e specializzato in diatribe letterarie e nell’arte del contraddire, può apparire traduttore “infetto“, essendo abile ad arare vari campi, ad un lettore che interpreta la parola volgare, candidus e fidelis! Se ti parlo della traduzione della Lettera di S. Paolo ai romani (cfr. Lettera di S Paolo, tradotta ed esposta da Lodovico Castelvetro, a cura di A. Barbieri, Olschki, 2021) è possibile rilevare come il traduttore espone la lettera nel suo reale valore letterale, secondo la sua visione circa il pensiero paolino – a cui ho accennato senza citarlo in La conversione di Paolo. Una messinscena aramaica?, KDP, 2022 – cui viene fatta esegesi biblica cattolica allegorica, che risulta un’ aggiunta del Signore, a favore della tradizionale patristica interpretazione romana!
*Ora capisco qualcosa sullo stravolgimento cattolico allegorico ed anagogico, avendo già letto il vero manzoniano controriformistico e l’arte del caratterizzare nel Manzoni. Perciò, vorrei approfondire la vita di Pietro Lauro modenese e capire meglio la sua opera infetta da protestantesimo e la ragione per cui viene accusato da un corregionale in ambiente veneto, già lui stesso inquisito come eretico.
Marco, la notizia la conosco da Gerolamo Tiraboschi, gesuita, autore di una contestata Storia della letteratura italiana (1731-1793), che parla dei due modenesi, stando lui, confinato, in ambiente modenese! Il letterato ne dà notizia, ma sembra farla rimangiare subito al Castelvetro, che l’ha formulata, tanto da fargli dire: l’ho per lutherano de audito, ma non so niente perché Lauro fu considerato infetto! Pietro Lauro modenese mi appare un traduttore multigenere, forse non grande letterato e filologo, come si voleva all’epoca secondo i canoni del Bembo, Sadoleto e Nifo, ma certamente buon traduttore e conoscitore di latino e greco, oltre che di spagnolo.
*Per lei, traduttore, è un buon traduttore, migliore di tanti autori contemporanei che hanno tradotto da testi inglesi Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, senza tenere presente il testo greco.
Marco, ad uno che vive con le traduzioni e le ripetizioni ad elementi delle classi dei nobili e dei mercatanti e che non ha altra retribuzione certa, non sfugge quanto sia difficile rendere esattamente un lemma, una frase, un periodo greco, impossibile perfino in lingua latina, data l’inferiorità lessicale dottrinale occidentale, marcata e già rilevata dai Padri della Chiesa orientale ed ora dai dotti di Mistrà, peloponnesiaci, greco-ortodossi, presenti in Italia e specie a Padova e a Venezia.
*Professore, quindi, a Lauro modenese non è facile rendere il termine greco con uno equivalente volgare e tanto meno seguire il gioco della retorica greca, sottesa in un testo dell’ ultimo decennio del I secolo d.C.?
Marco, a me sembra che il traduttore, avendo commissione di divulgare, sa volgarizzare il piano del contenuto storico di generazioni ebraiche, ma non possa curare il lavoro filologico scientifico di Antichità giudaiche, testo scritto da maestri di retorica, il cui piano dell’espressione è quello di scrittori stoico-aristotelici, connesso col lessico platonico filoniano-senecano, dello stesso periodo del Peri Upsous, anche se si serve del volgare – seppure illustre legato al Boccaccio per la prosa e al Petrarca per la poesia -, ben conscio che la lingua popolare fa aggiunte, raddoppia, sottrae ed ha consueti i fenomeni di aferesi, sincope e apocope e scambi ed inversione tra dentali t/d e labiali p/b-v e gutturali con forte iniziale aspirazione c/ch- h (esempi ‘Ndo’/(A)nto(nio), Betto/Be(nede)tto ecc.).
*Dunque, lei ritiene che la traduzione di Lauro modenese, volgare, non possa essere del tutto attendibile, non solo per la sua infezione luterana, ma anche per l’impossibilità di rendere esattamente con l’eloquio volgare una lingua come quella greca, scritta per di più da retori di corte.
*Marco, per me, comunque, Lauro modenese rende meglio di tanti traduttori contemporanei il significato di termini tecnici greci perché ha una maggiore conoscenza del lessico greco, convinto di dovere essere chiaro per mercanti e nobili cristiani veneti, suoi lettori, che fanno affari con uomini del Peloponneso e con bizantini.
*Ecco perché proliferano gli editori in Venezia in quanto sono numerosi i lettori, data anche l’apertura mentale dei politici della Repubblica, che hanno relazioni statali privilegiati non solo in Italia, ma anche con la Francia e con la Spagna e con cristiani (protestanti, ortodossi e cattolici) ma anche con arabi.
Marco, io conosco, oltre gli eredi editori, stampatori, di Aldo Manuzio, Gabriele Giolito, Baldassar Costantini, Vincenzo Valgrisi e Michele Tramezino, che sono datori di lavoro di Lauro modenese per circa un ventennio, e prima e durante il lungo periodo della controriforma, e forse anche nel quinquennio successivo, fino alla sua morte. Lauro modenese traduce di tutto, dai testi di Oneirocritika a quelli di agricoltura, da quelli di medicina a quelli di diritto e di architettura, da quelli di storia antica a quelli di storia contemporanea, avendo competenze linguistiche di lingua latino-greca e volgare ma anche di spagnolo.
*Mi può fare un preciso e dettagliato elenco, dopo avermi mostrato meglio la situazione linguistica in Venezia, dove è in voga l’arte del tradurre in volgare?
Marco, sembra che Lauro Modenese tenti perfino di recuperare la lingua d’oc, oltre al volgare, quando si parla in latino e in greco, preceduto forse da autori meridionali attivi anche a Venezia, che, poi, riuniti in Accademie, aspirano a formare una lingua nazionale volgare con Giovanni Andrea Gesualdo (1496-1556) e con Antonio Sebastiano Minturno (1500-1574), vescovo di Ugento, in competizione coi cruscanti fiorentini, secondo i canoni petrarcheschi e boccacceschi dell’imitazione bembesca.
*Dunque, professore, avendo avuto una formazione plurima, da una parte, scientifico -medica e, da un’altra, agricola, oltre che giuridico-morale, sollecitato a prendere le commissioni dai tipografi per soddisfare i bisogni della numerosa famiglia, dopo il trasferimento da Modena a Venezia e la scelta di campo di traslatare in volgare, maggiormente richiesta dagli editori dal 1540, Lauro modenese è esemplare uomo della Controriforma, pur con qualche contraddizione, per cui la sua opera potrebbe essere spia di un sistema di vita, seppure non coerente, ma utile per la comprensione del fenomeno tridentino, in quanto appare letterato completo, capace di miscère dulce et utile, di fondere platonismo ed aristotelismo, sopravvivendo pure alle leggi dell’Inquisizione.
*Professore, poco prima del Concilio tridentino, dunque, ci sono già editori che cercano di divulgare le ragioni della Riforma e i principi basilari della Controriforma secondo i canoni di Paolo III Farnese (1468-1549)?
Non so se è così come tu, Marco, dici, ma so che Lauro modenese accetta di tutto per circa un ventennio, pur di lavorare, cambiando tipografo, passando da Gabriele Giolito a Baldassar Costantini nel decennio, 1540-50, servendosi anche di altri, facendo scelte opportune, andando ora da Tramezino ora da Valgrisi- forse a seconda del pagamento – per poi giostrare sulla base delle protezioni nobiliari e degli argomenti da trattare.
*Professore cosa significa esattamente con privileggio?
Marco, si vuole dire “con privileggio” che l’autore ha uno speciale onore, concessogli, grazie allo stampatore, di potersi sottrarre agli obblighi, cui sono tenuti gli altri, beneficiando di una personale licenza, con un particolare titolo, connesso con la fama di pubblicazione, tutelata da leggi che garantiscono la programmazione editoriale, la libertà del traduttore, le stesse vendite, soggette ad operazioni speculative, e il profitto della stampa, in quanto viene bloccata l’iniziativa di competitori, finché non si smaltiscono le rimanenze. Sembra che l’editore Vincenzo Valgrisi sia il primo a ricorrere a una politica protezionistica nei confronti di gran parte delle sue edizioni. Infatti, quasi un terzo dei titoli da lui pubblicati a Venezia in questo periodo è sottoposto a protezione legale. Anche gli altri, allora, si adeguano, costituendo una classe di privilegiati impegnati nella traduzione, nel commento o nella correzione di opere antiche, con un interesse particolare verso la medicina e la botanica, oltre che per la letteratura, distinguendosi tra loro per certe scelte, particolarmente curate per carta di qualità, per materiale tipografico di pregio, per corredi illustrativi e per il genere della traduzione in volgare su modelli non più solo classici greco-latini, ma anche autori volgari o spagnoli.
*Cosa mi vuole dire, professore?
Voglio dire, Marco, che si cerca di nobilitare la lingua volgare imponendo le regole e i criteri, applicati ai testi latini e greci, propagando l’idea di un fiorentino favellare e di un esercizio poetico e letterario sugli autori nazionali come Petrarca e Boccaccio, classici da imitare, ad esclusione di Dante, che, secondo Vincenzo Borghini (1515-1580) sono modelli di poesia e di prosacfr. Giuseppe Toffanin, Il cinquecento, Vallardi, 1965.
*Quindi, per lei, le traduzioni di Castelvetro e di Lauro modenese sono frutto di questa volontà di rinascita della lingua volgare in un momento in cui il letterato è trilingue e la traduzione in lingua volgare rispetto all’uso costante di tradurre dal greco in latino è inferiore letterariamente e stilisticamente, solo per la non raffinata forma linguistica volgare.
Marco, il tradurre è quello stesso del sistema erasmiano, ora applicato al volgare con le deficienze strutturali lessicali e semantiche, comunque utili per la diffusione volgarizzata dei contenuti ai fini informativi dottrinali cattolici. Marco, ti cito solo alcune opere in modo da farti entrare nella logica degli autori del Cinquecento come Pietro L’aretino (1492-15569- cfr. De l’humanità del figliuolo di Dio in www.angelofilipponi.com – e di altri autori cfr. P.G. Ricci, I moralisti toscani del Cinquecento, Firenze, Le Monnier, 1958; L. Firpo, Lo stato ideale della controriforma, Bari, Laterza, 1957; D. Cantimori, Prospettive di storia eretica italiana del Cinquecento, Bari, Laterza, 1960. Il primo lavoro di Lauro modenese, comunque, è la traduzione di Oneirokritika/Interpretazione dei sogni di Artemidoro di Daldi col titolo di Artemidoro daldiano, philosofo eccellentissimo dell’interpretazione dei sogni novamente di greco in volgare tradotto per Pietro Lauro modenese, in Venezia, Gabriele Giolito de Ferrari 1542, con dedica all’ambasciatore spagnolo Diego Hurtado de Mendoza (l’opera, oggi, testo greco a fronte, è a cura di Angela Giardino, introduzione di Giulio Guidorizzi, Bur, 2006). Dell’anno 1543 ci sono molte traduzioni: De agricoltura-geoponica di Costantino VII Porfirogenito ed anche Chronica, in cui comprendesi il computo degli anni, i mutamenti di regno e nella religione ed altri successi. Aggiuntovi la guerra belgica ed altre cose all’istoria seguenti; I cinque libri di Beroso, sacerdote caldeo e I fatti del Magno Alessandro di Arriano. Del 1544 è la prima traduzione per V. Valgrisi di Giuseppe Flavio Antichità giudaiche, mentre la seconda è per Baldassar Costantini del 1549, a cui seguono Colloquia erasmiana, oltre alle traduzioni per Michele Tramezino Historia di Egesippo e delle valorose imprese degli ebrei nell’assedio di Gerusalemme oltre a De inventoribus rerum di Polidoro Virgili (un autore latino urbinate) per V. Valgrisi. Per M. Tramezzino sono anche Moralia-Platonichae quaestiones di Plutarco, col titolo di De le piacevoli ed ingeniose quistioni di Plutarcho oltre a Historia del valorosissimo cavallier della Croce e i Dieci libri di architettura – De re aedificatoria di Leon Battisti Alberti, in cui tra l’altro, Lauro modenese difende questa bella e laudabile impresa del tradurre testi antichi nel nostro volgare idioma, e ritiene “felice” la sua epoca, evidenziando la tanta commodità che può venire a molti elevati spirti, poi che è tolto così fatto impedimento de la lingua che copriva loro… i misteri di tante scienzie.
*Grazie professore. A me questo articolo ha aperto un mondo del tutto ignoto e forse ha incuriosito tanti altri, profani come me!