Catacombe di Santa Domitilla. Nel 1957 un gruppo di vescovi e cardinali progetta il ritorno alla Chiesa evangelica e Il Cardinal G. B. Montini dice:
Qui affondò le sue radici nella povertà, nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza di ingiuste e sanguinose persecuzioni, qui la Chiesa fu spoglia di ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu EROICA
Teologia e paradosso
Breve tempus aetatis, satis longum est ad bene honesteque vivendum Cicerone, Cato maior, 19, 70
Nella letteratura greco-latina, dalla fine del I secolo e per tutto il secondo secolo d. C., domina, grazie ad un equivoco sistema politico, to paradoxon, l’elemento miracoloso e con esso la retorica e la bugia: Plinio il Vecchio, i Vangeli, Marziale, Svetonio, Plinio il Giovane, Tacito, Giovenale, Apuleio, Musonio, Plutarco, Erode attico, Giustino e Luciano ne sono i testimoni più illustri, a diversi livelli, come anche Erma (e lo scrittore di Lettere pseudopaoline agli ebrei e ai romani ), Giovanni il presbitero, Marcione.
Sono messi insieme e comparati pagani (occidentali ed orientali) e cristiani e scismatici, operanti in Roma, in modo da poter ricreare nel preciso contesto romano, i tanti e vari contributi letterari e culturali, vivi nella capitale dell’impero, divenuti popolari, data l’integrazione di molti provinciali, specie asiatici, in un momento specifico di traviamento della tradizione e dell’insegnamento del Christos, nel passaggio dall’apostolicità evangelica ai padri apostolici, intenti a costituire una base apostolica per l’ecclesia romana, senza reale storia, in quanto succursale Antiochena, con legami fraterni con la comunità efesina.
La catena dei padri apostolici è utile/Krhsth per la formazione del muthos di Pietro, personaggio mai venuto in Italia (a Roma) e di Paolo, civis subito dimenticato dopo il suo passaggio romano del 60-62 d.C. ed oscurato, dopo la morte del 67, per quasi due generazioni.
La morte di Paolo, nel 67 o 68 d.C., quasi coincide col caos della morte di Nerone e del regno breve dei tre imperatori nel 69 d.C.(Galba, Vitellio, Otone) e con l’avvento miracoloso della domus Flavia, nella figura di Vespasiano, soothr, venuto dall’Oriente.
In così grandi avvenimenti di portata universale il pensiero controverso cristiano del civis ebraico, Paulus, un tarsense romanizzato, emporos/commerciante, neppure accettato dai confratelli, si perde nella palude del passaggio breve ( di un biennio- in condizione di prigioniero legato per una mano ed un piede ad un miles carceriere- ) da una dinastia imperiale ad un’altra e serpeggia nella capitale dell’impero solo tra ebrei orientali e qualche rara famiglia di pagani, timorati di Dio ( non più di 60.000 individui tra giudei -in nettissima maggioranza-, giudeo-cristiani e pagano-cristiani).
I cristiani romani, specie Clemente, riprendendo Paolo, lo avvicinano a Musonio per il pensiero sull’etica matrimoniale e sul femminismo (cfr.Musonio, Diatribe, a cura di Ilaria Ramelli, Bompiani,2001), ammirato e rispettato da Clemente Alessandrino e da Origene come maestro, modello di vita irreprensibile …
Per Alberto Pincherle (Introduzione al cristianesimo antico, Laterza 1992) è questa dei Padri apostolici una letteratura primitiva subapostolica, di congiunzione con quella degli Apologisti.
Essa forma un corpus, vario per argomenti e stile, costituito da Didachè o Dottrina dei XII Apostoli alle genti, l’Epistola di Barnaba, Lettera di Ignazio di Antiochia, Lettera di Policarpo di Smirne, quella di Clemente romano (oltre all’omelia II Clementis, non del pontefice), il Pastore di Erma, la Lettera a Diogneto e i frammenti superstiti di Papia…
Lo studio di questo materiale, comparato con le fonti classiche, storiche e letterarie e con la cultura ebraica precedente l’opera di Giuda ha Nasi… sottende un tentativo di revisione circa il cristianesimo primitivo, cioè l’antiocheno Regno di Dio (H basileia tou theou ), secondo gli orientali, che creano le basi del primato petrino nel momento della Seconda sofistica... facendo un’altra lettura di logos, connesso con l’apologia di Aristide ad Adriano, con le due apologie di Giustino ad Antonino il Pio, con il discorso ai greci di Taziano e con l’ambasceria per i Cristiani di Aristagora a Marco Aurelio e a Commodo (cfr. Celso, Il discorso vero, a cura di Giuliana Lanata, Adelphi edizioni, 1987) ….
Per noi, quindi, è fondamentale, (per capire qualcosa) prima, cercare di ricreare il contesto romano in relazione ai documenti letterari e storici e, poi, immettere la tradizione dei patres apostolici, dopo aver stabilito storicamente l’età dei tre vangeli sinottici, (come abbiamo già fatto in I vangeli, Sondergut di Luca e Matteo ed altri articoli ) e rilevato la non autenticità di Lettera ai Romani e di Lettera agli ebrei di Paolo…
Lasciando da parte, per ora, i Vangeli di cui abbiamo già trattato, per noi, la prima e l’ultima lettera di Paolo- che sono per secoli sembrate incerte per paternità- sono lettere non paoline, scritte per lo meno dopo la I lettera Clementina, che è del 95 d.C,..
Senza entrare in merito al problema, di cui già abbiamo parlato, diciamo solo questo: per la Lettera agli Ebrei, già Clemente romano, la cita senza parlare dell’autore, mentre Clemente alessandrino la considera sostanzialmente di Luca in Hupotuposeis ( Eusebio, St, Eccl.,6,14,1-4 ) e Tertulliano l’attribuisce a Barnaba.
Aggiungiamo che Girolamo, Agostino ed altri sono molto dubbiosi circa la paternità. Chiudiamo, infine, dicendo con Eusebio, che conclude così, chiedendosi: Ma su chi abbia scritto la lettera solo Dio conosce quale sia la verità. Eppure lo storico fa questa affermazione, dopo che ha mostrato le differenze stilistiche e il sistema scrittorio di Paolo e quello dell’autore dell’epistola, scrittore successivo che ha preso appunti e li dispone secondo una sua logica e con un tecnica superiore di molto a quella paolina…
Aggiungo (facendo ipotesi per la datazione della lettera pseudopaolina ) che nella lettera agli Ebrei, IX,14, si parla di Spirito santo allo stesso modo di Erma, che, nel Pastore (Similitudine V, 6,6-7 ed anche Similitudine IX 1.1) rileva l’assunzione della natura umana di Cristo (senza mai nominarlo) come servo destinato a lavorare e a soffrire, meritevole di un premio come ogni uomo, in quanto carne abitata dallo Spirito santo, degno di adozione, mentre rappresentail Figlio come Spirito santo, a cui è sottoposta l’umanità. Certo il linguaggio dello pseudo Paolo è molto più alto rispetto a quello di Erma , segno di due differenti codici e culture: l’uno retoricamente sublime, l’altro popolarmente umile!
La lettera ai romani ci risulta, dopo studi su Agostino (Esposizione della lettera ai romani) su Erasmo da Rotterdam e su altri attenti studiosi della lettera, che essa è utile alla dottrina christiana e serve come il vangelo più puro: infatti c’è tutto il disegno teologico e storico della redenzione, in una dimostrazione che la torah/legge ebraica è finita con le sue prescrizioni e che ora c’è la Chiesa cristiana che sostituisce la sinagoga e che insegna che, con la fede nel Christos venuto, l’uomo è giustificato in stretta connessione con Luca (in opposizione a Matteo)…
Lo scrittore della lettera Paolina, cioè, sancisce con questa lettera che tutti i pagani possono aver la fede per salvarsi e che anche gli ebrei vi possono partecipare, in senso universale, secondo i propositi della Chiesa romana, del VI secolo (Cfr. Domus Anicia), ben connessa con quella del periodo di Damaso, autodatandosi con l’ambiente di Girolamo…
I figli di Adamo che hanno peccato e meritato la giusta vendetta di Dio devono essere giustificati prima di riconciliarsi con la dike divina, con la Iustitia secondo diritto romano; ciò ancora di più autorizza la datazione alla fine del quarto secolo, considerato il nutrito numero di copiatori latini, librarii…
Il pensiero, comunque, katholikos è alessandrino, di Origene (Cfr Origene, I pensieri, a cura di M. Simonetti, Utet, 2010 ) che ribadisce la giustificazione mediante la fede e che la venuta del Christos, morto e risuscitato, ristabilisce il patto tra Dio e l’uomo, producendo la salvezza universale…
Prima di tutto questo lavoro è opportuno, comunque, iniziare la trattazione con una visione generale letteraria, retorica, ed una culturale, filosofica, del periodo antonino, in modo da evidenziare la realtà storica imperiale del II secolo, con cenni ai primi decenni del III secolo d.C…Il II secolo è il secolo dei bugiardi e della bugia, dei retori, dei copisti, dei chiacchieroni, dei letterati prezzolati, degli schiavi eruditi, comprati per ricopiare testi, di una massa di imbroglioni, adulatori, ambiziosi, maghi, sacerdoti di divinità minori, piovuti dall’Oriente a Roma in cerca di fortuna, costretti dalla fame all’adulazione e al servitium dell’aristocrazia senatoria romano-italica imbelle, già sostituta da quella gallica ed ispanica, quando già è pronta quella illirica, dopo la parentesi severiana…Si verifica la formazione di un gruppo di orientali di diversa scuola, ma tecnicamente forniti di strumenti comuni di dialogo, di persuasione, di retorica tali da essere maestri per gli occidentali e per la cultura latina, nettamente inferiore, ancorata al bonum ciceroniano- quintilianeo, senza le connessione al funzionale utile/ khrhston e al gluku /dulce …Roma imperiale, caput mundi, è veramente il teatro della decadenza in senso socio-morale, economico-militaristico, finanziario, proprio per il predominio culturale orientale (ellenico-siriaco): la denuncia latina di Giovenale e quella greca di Luciano hanno due diverse connotazioni in relazione al genos di appartenenza, ma evidenziano un degrado morale complesso e con esso lo sfacelo della tradizione agricola occidentale, perno della religiosità naturale romana sotto gli antonini, imitatori della domus giulio -claudia, congiunta per successione maschile, tramite adozione come fannoTraiano ed Adriano tramite la linea femminile, perseguita poi da Antonino il Pio (adottato in extremis dopo la morte prematura del Cesare Elio Vero) e da Lucio Vero e da Marco Aurelio, che da in sposa Lucilla al fratello adottivo…
Nel contesto antonino, il fervore sociale nella Capitale è parossistico; lo scontro culturale tra occidentali ed orientali è a favore degli hllenes/graeculi innovatori, rispetto ai rustici latini, ancorati ai vecchi sistemi di trasmissione culturale orali, tradizionali, alla rara copiatura fedele dei testi, solo a livello pontificale o giuridico….
Ora non solo nelle case patrizie ma anche nei centri religiosi cittadini, sia cristiani che isiaci e mitraici ci sono copiatori che con abilità fanno circolare testi e copie dei vangeli, dei vari credi religiosi curati da santoni, per la discussione pubblica…
Le copie greche e siriache di testi sconosciuti si moltiplicano mentre emergono gli scandali finanziari, il fallimento di banche, le dispute tra correligionari, le diatribe ciniche, le opposizioni tra i diversi sacerdozi orientali, concorrenti non solo tra loro, ma anche con quelli egizi: Roma diventa anche il centro dei contrasti religiosi come se dalla sua conquista derivasse il primato dei vincitori, impegnati, quindi ,a sfoderare ogni mezzo per il proprio fine, di fronte al pontifex maximus, impotente ad arginare la fiumana dei riti orientali, delle mode misteriche, dei sacerdoti e della letteratura mistico-paradossale…
La bugia, specie se paradossale, diventa un veicolo di successo a livello popolare: i facitori di copie, con abrasioni opportune, con spostamenti sillabici, con aggiunzioni, dove possibile, sono ricercati tanto più sono abili nella falsificazione; ogni magister, sapiens, risulta un parolaio che attira caterve di devoti; il Pantheon non ha nemmeno la possibilità di annoverare più le tante divinità straniere piovute col loro crisma di santità, nella capitale, sbalordita quotidianamente dall‘ eccesso…
Roma è la torta privilegiata di un clero orientale impegnato ad organizzare una sede romana ecclesiale, sullo stampo di quella antiochena, e a strutturarsi secondo le regole amministrativeebraiche, seguendo l‘esempio degli oniadi ad Alessandria, prototipo della superiorità culturale giudaica in Egitto, specie ora christiana organizzata secondo diagrammata alessandrini verticistici monarchici…
Il susthma christianon catholikon è uno dei tanti che cerca di attirare l’attenzione della corte e delle classi dominanti facendo a gara con il culto di Iside, con quello del Sol Invictus, con quello di Mitra: Roma è una terra da conquistare per una marea di sacerdoti che si servono di retori, copisti, letterati in genere, che si esprimono mediante il paradosso, come tecnica di approccio, specie se ci sono eventi naturali, inondazioni del Tevere, terremoto, incendi, peste – che divampa in città per mesi nel 167.d.C. causando perfino 5000 morti in un solo giorno-…
La II sofistica non è, quindi, solo un fenomeno letterario o culturale, come dicono i critici, ma è un altro modo di conquistare l’Urbe da parte di orientali che, mediante la retorica, operano a livelli popolari, per avere un tenore di vita migliore di quello che avevano in patria, in relazione alla maggiore possibilità di denaro e alla ricchezza dei cittadini della capitale dell’impero: come sofisti seguiti da discepoli, sanno manovrare le masse, attirano gli uditori col logos conferenza, con una valanga di fatti quotidiani, curiosità, indiscrezioni, pettegolezzi. (Cfr Filostrato Vite dei Sofisti, a cura di Maurizio Civiletti, Bompiani 2002).
Si realizza col professionismo della parola non solo il successo delladeclamazione, ma anche la partecipazione alla vita della provincia, della città di origine, della capitale stessa imperiale, grazie ad un’attività sociale e politica tanto che i retori diventano euergetai benefattori e, a volte, perfino sooteres salvatori dei propri concittadini, risultando mediatori tra il potere centrale e le masse cittadine. Alcuni sono segretari personali dell’imperatore come Avidio Eliodoro per Adriano, Caninio Celere per Adriano ed Antonino il Pio, Alessandro Peloplatone per Marco Aurelio, Adriano di Tiro per Commodo.
I Sofisti, svolgendo la funzione di salvaguardia dell’identità ellenica e di promozione del consenso nei confronti della realtà politica romana (Cfr. Filostrato, cit) risultano i promotori di una cultura universale comune e creano le premesse di una civiltà nuova romano-ellenica, in un abbattimento dei singoli nazionalismi, uniformando l‘oikoumene, in un superamento dell’ideologia delle gene, nella comune coscienza della civitas /politeia romana.
Raffaele Cantarella (La letteratura greca dell’età ellenistica ed imperiale,Sansoni, Firenze 1968) meglio di altri critici, comprende il fenomeno a Roma di una orientalizzazione mediante lo studio della II sofistica, senza rilevarne la grande funzione socio-culturale unificatrice, pur nell’eccesso e nel paradosso.
L’autore storicamente la precisa, tra l’altro, (in una prima fase che interessa a noi) tra il Regno di Adriano 117-138 e quello di Gordiano III 244 d.C. ), letterariamente, come dottrina del perfezionamento della parola retoricamente studiata ed artisticamente selezionata, in modo arcaicizzante…
Per Cantarella il fenomeno, uscito fuori dalle mura delle scuole accademiche del periodo flavio, sostituisce il teatro con lo spettacolo della declamazione e dell’improvvisazione dialettica da offrire alla classe dei protoi raffinati (senza disdegnare il popolo medio-alto equestre indottrinato) senza alcuna competizione con i ludipopolari dei mimi dei pantomini e dei gladiatori- anch’essi utili alla integrazione sociale-.
Chiaramente lo studioso accenna alla situazione di competizione spasmodica tra letterati, tra imbroglioni, tra parassiti, clientes che si ingegnano a creare la propria fortuna con la ricerca del plauso popolare, tramite la raffinatezza dell’eloquium e l’adulazione dei patres…Tutto è conforme, comunque, all’eredità della tradizione greca che parte dal Protagora di Platone (Cfr. Protagora a cura di Maria Lorenza Chiesara, BUR, 2010 ) secondo la testimonianza di Girolamo, Lettera 128,1,4. Infatti come i maestri tracciano le righe (upograpsantes gramma) per aiutare il discepoli e gli dànno la tavoletta per scrivere seguendo la traccia dell righe, così poi il legislatore costringe ii neos a governare e ad essere governato facendolo attenere alle leggi scritte con le sanzioni…
Perciò, l’educazione greca è volta a seguire le orme tracciate già e quindi, ad imitare chi ha già scritto: da qui la differenza di significato tra grammai le linee tracciate dai maestri e i grammata le lettere da incidere, senza segni di interpunzione, per cui lo schema risulta lo stesso metodo, con lettere maiuscole, che poi si attesta nella scrittura del testo latino in Roma e in tutto Occidente in epoca imperiale…
L’oratoria epidittica (demonstrativum dicendi genus Quintiliano, Institutiones, III,5,13) risulta così logos, una conferenza per illustri intenditori, impostata come encomio, utile alla formazione di una classe dirigente, che costituisce la base stessa elettiva del principato antonino, come senato e fasce elitarie di liberti e di equestri di livello finanziario, amministrativo e militare…
L’oratoria epidittica non solo celebra i momenti salienti dell’impero nelle varie città di provenienza degli scrittori, ma anche nelle melétai stesse, che sono declamazioni ,in cui il sofista da attore upokriths incarna un tipo di personaggio storico recitando la pars in relazione ai tempi e ai luoghi, facendo rivivere episodi storici, alternando controversiae di genere giudiziario a suasoriae di tipo deliberativo, creando un clima universale comune così da amalgamare i popoli nella comunicazione delle usanze greche e nelle rievocazioni storiche …
L”encomio paradossale (l’encomio della Mosca di Luciano) è centrale nella cultura della seconda sofistica tanto da diventare un fenomeno sociale: gli oratori sono oggetto di venerazione, diventano attori celebri, uomini di spettacolo, come i pantomimi e gladiatori, mandano in delirio le folle di raffinati cultori, sono esaltati come eroi, esseri divini, di cui si prendono reliquie, si chiedono autografi, si coniano appellativi (Dione di Prusa Crisostomo.)…
Gli encomi sull’amore, sull’agape cristiano e su altri argomenti poi saranno retoricamente strutturati in seguito nel IV e V Secolo d.C. (Cfr. Il vescovo Sinesio)...
Luciano, più di ogni altro letterato di lingua greca, risulta l’emblema dell’uomo del II secolo, in quanto evidenzia con la sua vita un iter che va dalla ricerca del successo fino alla filosofia e, quindi, ad un razionalismo critico ed ironico , proprio del suo tempo, di cui diventa il portavoce più significativo insieme a Plutarco e a Filostrato e ad altri …
Mistificazione voluta e ricerca del discorso vero, mistificata, sono i due estremi che si congiungono, sposandosi in modo assurdo in una religiosità mostruosa, propria di tutto il secondo secolo, di cui il cristianesimo è una pura paradossale espressione…
Luciano, di Samosata tende al falso secondo il medico Galeno (in un commento arabo alle Epidemie di Ippocrate,II,6,9 9 è definito scrittore anche di testi oscuri sotto il nome di Eraclito, reo di aver consegnato inediti ad un filosofo imprecisato, incolpevole del falso, notizia confermata in Philopseudhs -cfr L’amante della menzogna Marsilio1993 ,- anche se per Lattanzio Divinae institutiones, 1,9,8 e per Eunapio Vite dei sofisti, è uomo impegnato a far ridere, seppure in alcune opere fosse sempre serio, pur parlando di un Christos sofista crocifisso in Morte di Pellegrino, 13) anche se la tradizione ne rileva in generale i meriti di philosophos spoudaios.
Infatti, in Il sogno parla di due donne, simbolo del Vizio e della Virtù, che gli compaiono nel sogno e se lo contendono: sono la Statuaria e la Retorica. Scelta la Retorica, Luciano diventa un conferenziere professionista che, però, a quaranta anni, si converte alla Filosofia avendo sentito, a Roma, Nigrino, divenendo critico e veritiero di fronte agli eccessi della società antonina…
Il suo stesso viaggio navale (162 – 166 d.C.), al seguito di Lucio Vero, co-imperatore, partito per la guerra antiparthica, come uomo che diletta l’iter del fratello di Marco Aurelio, le sue fermate portuali, le cene , prima dell’inizio dell’attività militare, sottende un incarico imperiale per almeno un triennio.
Luciano sovverte ora il discorso di Statuaria che vede negativamente ogni forma viatoria, che significa abbandono della patria e della famiglia, e mostra la sua propensione a Retorica che rileva invece nel viaggiare l‘ebbrezza della celebrità e un segno del cosmopolitismo romano.
Luciano sembra rimanere in questa impostazione e solo in qualche occasione divaga (cfr.Due volte accusato) incerto nei vari passaggi tra le regioni della Ionia, dato l’immediato guadagno come ambasciatore di città nei confronti della corte imperiale, in considerazione della fama nella epideicsis – meléte, in relazione al prestigio, timoroso della tuche…
Forse Luciano aspira, all’epoca, ad una ricchezza simile a quella di Erode Attico (Cfr. Filostrato Vita dei sofisti) svolgendo la funzione di intermediario diplomatico tra due città, di risolutore di contese civiche o di consigliere politico per questioni locali: quest’ultimo potrebbe essere stato il compito di Luciano con Lucio Vero, che attraversa le regioni desertiche ciseufrasiche della Commagene (Cfr. Luciano, Il sogno, Il gallo, L’ asino a cura di Claudio Consonni Mondadori 1994)…
Luciano è, quindi, un maestro di retorica a Roma, e altrove (in Italia in Gallia ecc) dove è abile a conciliare la doctrina quintilianea con quella asiatica, in una continua ricerca dell’effetto sul popolo e del generale plauso, ed anche dopo la conversione filosofica tende la proprio utile, secondo il costume dell’epoca. ..
Ogni minimo particolare è studiato, coordinato, programmato al telos del logos, per una perfetta teleia declamazione: c’è theoria/spectaculum nei gesti, nelle parole, nella artificialità delle forme ufficiali dei sistemi retorici più arditi, dopo esercizi propedeutici formali secondo i dettami di maestri pagati profumatamente, guide nella gravitas dell’eloquio panegiristico, abili nella distribuzione delle partes e degli argumenta, secondo le regole delle Institutiones di Quintiliano…
Il dialogo lucianeo delle due donne- che si presentano e mostrano il loro valore ed attrattiva- è, inoltre, spia della theoria delle due odoi, una dell’essere, una dell’apparire, in quanto vie da percorrere, l’una al fine del conseguimento di una spiritualità individuale, l’altra della ricerca del vantaggio personale e della carriera, in una dimostrazione reale della teatralità del mondo antonino e dell’individualismo dell’epoca …
Il bonum est utile, cioè vantaggio ed interesse privato, come accaparramento di sesterzi, come scalata politica, come ascesa nell’amicizia e nella vicinanza alla corte imperiale, come esclusione del bonum ciceroniano repubblicano, pubblico, quod rectum et honestum et cum virtute est (Cicerone, De officiis, III,7), antitetico rispetto a quello dell’epoca repubblicana…
in epoca antonina, perfino, ogni singolo tema ha uno specifico maestro che non solo si vanta del successo pubblico e quindi si afferma come vir bonus dicendi peritus, in relazione al successo pubblico e alla capacità di mettere insieme ars ed etica, in una giustapposizione della retorica alla moralità: il modello senecano (X, 1,129) diventando il limite massimo della oratoria del II secolo, che risulta educazione molle, (che) priva di nerbo la mente e il corpo tanto da produrre il massimo consenso alla dinastia regnante e alla politeia universalistica.
Il fenomeno dei gruppi di discepoli al seguito di un maestro -allineato al pensiero dominante-, che fa pratica, dopo teorizzazioni, dimostrando perizia con tecnicismo linguistico, sottende equivocità ed ambiguità nella composizione rhetorica e nell’ orientamento espressivo, che sembra tendere ai più nobili processi di vita e condurre alla ricerca sublime di eloquium, ma è collegato più all’ utile che al bonum , in un tentativo di sottomettere e celare il fine personale a quello comune pubblico.
Infatti da qui deriva l’ideale di magnate di eloquenza, ricco sfondato filoantonino, che incentiva ed eccita l’imitazione di chiacchieroni, sacerdoti, maghi, avventurieri, specie orientali, piovuti nella capitale nella speranza di conseguire la fortuna con la superiorità della propria teknh: tutti, specie se schiavi o liberti o clientes, vivono nella speranza e nel miraggio della ricchezza, di un’eredità, di una familiarità con politici e con cortigiani e perciò assoggettano con ogni mezzo, e strumento, anche col sesso, gli occidentali ricchi e patrizi, circuendo, vecchie, matrone, giovani donne e, se therapeuontes/magistri, i discipuli ragazzi…. distruggendo ogni forma di pudore , rovinando l’assetto familiare della tradizione agricola contadina latina basata sull’integrità del pater familias, non più garante della fides, della concordia, della lex ..,
I letterati, specie i grammatokuphones e i grammatophoroi diventano una piaga in Roma, in quanto copisti, e risultano i più ricercati e pagati profumatamente come schiavi perché possibili falsificatori di testamenti e di testi autografi, – cheirographoi o olographoi- cioè capaci di alterare gli scritti firmati di propria mano o testi di proprio pugno: non ancora il Digesto aveva dettato le sue disposizioni in merito giuridico e testamentario!.
I falsificatori e i ricercatori di testamenti sono il cancro della società antonina (Cfr Giovenale, Satira XV)!
A Roma ci sono scrittori segretari di consolari, che sono falsificatori che abilitano schiere di copisti latini (nella capitale era ancora famoso il cesariano Faberio, – Svetonio, Augusto,35,utilizzato da Antonio, per alterare documenti- subito dopo la morte di Cesare, in modo da emanare leggi e disposizioni autografe tramite scritti falsificati del Dittatore, garantendo legittimità all’ azione politica del Triumviro, che si arricchisce e diventa vero padrone di Roma col dare auctoritas a senatori chiamati dal popolo orcini e caroniti , come se Cesare decretasse dall’Ade – a detta anche di Plutarco e di Cassio Dione) che hanno una precisa funzione quella di copiare i testi letterari, ma anche atti giuridici pubblici e quelli privati…
Molti imitano quel Lampone alessandrino, di epoca tiberiana, definito da Filone ( In Flaccum, 32) calamosphacthes, segretario che uccide con la penna,..capace di alterare gli atti processuali coi suoi ritocchi, a tempo opportuno, facendo risultare vincitore il perdente o viceversa,, data la mole delle chartae dei processi nella provincia di Egitto al tempo di Avillio Flacco (Cfr. Un prefetto Tiberiano).
Nel grandi città ci sono schiavi o clienti di potente famiglia romana, o sacerdoti di qualche culto, che copiano testi per ordine di amministratori /dioiketai sia centrali che periferici: si discute sulla loro preparazione e formazione oltre che sulla professionalità ed onestà…
Nel II secolo, l’aristocrazia, specie quella di derivazione gallico-ispanica ha greges di litterati segretari copisti, giuridici, che, da Roma, inglobano territori interi, villae, praedia con le dipendenze, come lasciti da parte di ex senatori romani italici, sottoscritti da segretari falsificatori, ben ricompensati dai nuovi domini, che, con quelle chartulae contraffatte, prendevano legittimo possesso, senza possibilità di smascheramento, data la massa di documenti che ogni proconsulare riportava in carrucae dalla provincia…
Se la corruzione esiste in provincia, massima è nell’Urbe dove la scrittura, basilare per gli atti pubblici, è utile per la duplicazione dei documenti e la loro diffusione. Non si conosce una legislazione a proposito per la formazione di una scuola di grammatici, se non il decreto di Vespasiano che costituisce un ludus pubblicus col pagamento di uno stipendio a Quintiliano: questa è un scuola pubblica dove si insegna anche a scrivere, ma già a Roma, dall’ epoca repubblicana esistono copisti, gli schiavi litterati di nobili famiglie!.
A Roma la corte ora richiama letterati e scrittori che vengono da Alessandria, che ha nel Museo una scuola e da secoli crea un esercito di librarii, di copisti abilissimi nel loro lavoro, nonostante la concorrenza con la scuola di Pergamo e di Antiochia.
Ormai però sotto gli antonini è una moda andare a Roma per ogni letterato in cerca di protezione e di fama, di ricchezza…
In La morte di Pellegrino Luciano mostra un christianos kosmopolita, esempio di comportamento e maestro di vita, un visionario e ciarlatano, uno philopseudhs o apistoon, megalomene, un dioikhths, accusato anche di parricidio, eppure servito e riverito anche quando è in prigione dai suoi correligionari, teatrante perfino nella morte spettacolare: si getta nel fuoco- come un gymnosophisths indiano- della sua pira davanti ad un pubblico, che ha finito di assistere alle olimpiadi! …
Erma, Marcione e Carpoforo sono anche loro christianoi esemplari nella sede della capitale dell’impero, palcoscenico dell’universo romano…
Erma è un liberto. un ex schiavo, verna, venduto ad un domina che lo affranca, (forse fratello di papa Pio- in altra sede ho cercato di risolvere la questione-) scrittore di Il Pastore (Cfr. Il Pastore, Traduzione introduzione e commento di Osvaldo Tosti, Pia società S. Paolo,1945 ) un’opera divisa in tre parti Visioni (5), Precetti (12) e Similitudini(10),scritta forse nel 150 d.C., a varie riprese in circa 14 mesi.
Erma, mentre si dirige a Cuma, vede in una prima visione, apertisi i cieli, la sua ex benefica padrona, Rode, già oggetto di desideri carnali, che lo invita al pentimento e alla preghiera, per ottenere la cancellazione dei peccati, poi, di nuovo, improvvisamente vede una cattedra, resa veneranda da bianchissime lane, e nota, sopraggiunta una vecchia signora assai splendidamente vestita, che ha in mano un libro e che lo saluta e gli impone di fare penitenza per la sua famiglia, avendo lui, per amore, non corretto i figli che, lasciati a se stessi, hanno commesso peccati ed hanno rovinato i suoi affari. La vecchia lo invita ad ascoltare, mentre legge le lodi del signore; la creazione del mondo e la formazione della Chiesa, benedetta, destinata al compito di guidare i fedeli nella gloria eterna futura, La prima visione si chiude con l’apparizione di quattro giovani che portano via la cattedra e vanno verso oriente e poi con la comparsa di due uomini che vanno anche loro verso oriente, sostenendo la donna da una parte e dall’altra. La signora è simbolo della Chiesa, che dapprima lo consola della sua afflizione per la rovina finanziaria a causa dei figli, poi gli intima di far penitenza con la sua famiglia ed infine celebra la onnipotenza e sapienza di Dio.
Nella Seconda visione, ad Erma che ha ripreso il cammino per Cuma, trasportato da uno spirito nel luogo della precedente apparizione, riappare la vecchia signora che cammina davanti, leggendo un piccolo libro e gli dice: Puoi annunciare agli eletti di Dio le cose che leggo? Il pastore le risponde: signora, non posso ricordarmi di tutto, dammi il libriccino per ricopiarlo e lei disse: Prendi e ridammelo!. Il pastore prende il libro e si ritira in un luogo appartato, lo ricopia tutto alla lettera (lettera per lettera) ma non riusce a trovare il significato. Finito di copiarlo, il libretto gli è tolto di mano da qualcuno (non si sa da chi). Passano quindici giorni di preghiera e di penitenza per i figli, dopo aver iniziato a vivere con la moglie come fratello e sorella; riappare la signora (la chiesa) che rivela il significato della scrittura ed ordina ad Erma – che l’ha confusa con la Sibilla- dopo avergli chiesto se ha consegnato ai seniori quel libretto ricopiato, non completato e bisognoso ancora di aggiunte, destinato ad essere conosciuto successivamente nella sua completezza -: Efanne due copie, una la manderai a Clemente e l’altra a Grapte. Clemente poi le spedirà alle città straniere, spetta a lui questo ufficio. Grapte, invece, ammaestrerà le vedove e gli orfani. Tu lo leggerai in questa città insieme ai presbiteri. che presiedono alla Chiesa (Visione II, 4,19-21). Senza entrare in merito al contenuto e alla simbologia, a noi interessa rilevare a questo punto 1. come Erma sia uno ex schiavolitterato , che sa appena distinguere grammata e le sa scrivere faticosamente su un papiro o pergamena, ma non legge bene perché non è abituato al continuum del rotolo – che non ha segni di interpunzione- e non riesce a decifrare le frasi significative, data la sua non professionalità di copista; 2. che la società romana è già suddivisa gerarchicamente in quanto sembra che Clemente sia il dioicheths episkopos, che deve diffondere la rivelazione alle genti straniere mediante le copie, e che Grapte sia diaconessa, che Erma sia uno dei presbiteri in quanto già osserva la continenza; 3.la rivelazione (apokalupsis ) è graduata a seconda delle fasi storiche e delle possibilità di comprensione dei capi, nonostante la certezza dell‘imminente ritorno del Signore./parousia…
La terza visione riguarda un seggio di avorio su cui siede la Chiesa con Erma seduto alla sinistra perché la destra è riservata ai martiri e poi una grande opera, una torre in costruzione, simbolo della Chiesa stessa in mezzo alle acque (rispettivamente simbolo della chiesa e delle acque del battesimo) ed infine i sei costruttori della torre (che sono 6 angeli capi a cui altri angeli portano le pietre che rappresentano apostoli, vescovi dottori e diaconi morti o viventi ) mentre le altre pietre indicano i fedeli (nei diversi gradi di perfezione o anche differentemente scartati e messi in riserva) le sette donne simboleggiano le virtù…
‘Nella quarta visione, avvenuta venti giorni dopo, c’è l’apparizione di una nuvola di polvere che si alza fino al cielo, tanto mostruosa da essere un fenomeno soprannaturale, che si precisa come un cetaceo, dalla cui bocca uscivano locuste di fuoco, lungo 100 piedi (quasi trenta metri) col capo di argilla di quattro colori (nero, rosso,oro e bianco) e poi di una vergine lieta come uscita dal talamo nuziale calzata di bianco, coperta di vesti bianche fino alla fronte e con una mitra, che esorta Erma a ad annunziare quanto vede a tutti, in un invito alla penitenza perché dopo la persecuzione, nel secolo venturo ci sarà la parousia il ritorno del signore che ammetterà i puri ((il colore bianco) nel suo regno….
Nella quinta visione appare l’angelo pastore, a cui è affidato Erma pere essere ammaestrato mediante precetti e similitudini, secondo la disciplina penitenziale ecclesiastica….
Erma, dunque, è testimone di una fides paradossale, che non ha nuclei dottrinali certi, ma una gerarchia ecclesiale, una sistema penitenziale ed una coscienza di attesa della fine del mondo e del ritorno di un Christos, mai, comunque, nominato, più servo fedele adottato che Figlio di Dio pathr :il Pastore appare opera più di un cristiano adozionista che di un catholikos ortodosso…
Marcione, anche lui uomo del II secolo, è figlio del vescovo d Sinope, scomunicato in patria dallo stesso padre per le sue idee religiose, innovatrici, rispetto a quelle della tradizione orientale giudaico-cristiana…
Trasferitosi a Roma, ed accolto fraternamente da quella comunità cristiana (verso il 140), ha presto rilievo per la cospicua donazione di 200.000 sesterzi anche perché vive in silenzio fin verso il 144 elaborando le sue tesi religiose con originalità, avendo subito la predicazione dello gnostico Cerdone e essendo legato al pensiero di Basilide.
Esposte alla comunità le sue tesi sull’insanabile contrasto tra Nuovo e Vecchio Testamento, è subito scomunicato anche se evidenzia la specifica impostazione di Paolo, di cui ha ben interiorizzato il messaggio di morte e resurrezione del Christos…
Carpoforo è un civis, – proprietario di una trapeza/mensa e padrone del trapeziths mensarius, lo schiavo Callisto, poi divenuto papa,. la sua storia come quella del suo schiavo è connessa con la gerarchia dell’ecclesia romana della II metà del II secolo.
Dopo il fallimento bancario, Carpoforo, fa processare Callisto e fa punire con l’ergastolo in Sardegna – per aver frodato il prossimo, specie vedove e bambini- l’ amministratore, fiducioso in orientali corrotti…
Tutti, padrone e schiavo, bancari e fedeli, sono espressione di una umanità orientale, vivente a Roma in quanto uomini che svolgono funzioni diverse nella capitale dell’impero, come agenti di fondi comunitari, per il bene ecclesiale, anche con carica di episkopos, presbuteros e diakonos (amministrativo ed assistenziale): sono la testimonianza di un esercizio orientale episcopale monarchico già funzionante nell’urbe alla fine del I secolo- legato ad Antiochia, come da tradizione apostolica – ( Atti degli apostoli, 20,28) -, espressione di un’ humanitas singolare, direi, sospetta in ogni senso, specie in campo religioso per il rito dell’eucarestia e per il non pagamento di tasse imposto da dioiketai, che regolano metoikoi e csenoi, secondo la propria funzione svolgendo i propri munera/ uffici – doveri (munus docendi, santificandi, regendi)…
I cristiani, comunque, pur vivendo in mezzo ai pagani, si sentono estranei ai culti ufficiali, coordinati secondo gli ordini del Pontifex maximus, e come gli ebrei, si considerano etnia privilegiata, uomini di un altro regno: aver un altro re ed un altro vicario sacerdotale è equivoco in epoca antonina, dove tutti i cives (di qualsiasi classe sociale), sono reclutati, contro i barbaroi germanici (Quadi e Marcomanni) e contro i Parthi….
Il diniego di rendere culto di latria mediante incenso all’imperatore in Roma da parte di uomini orientali, abituati alla proskunesis da secoli, è certamente della tradizione ebraica ( ed ora anche del christianos) in epoca antonina, ma diventa una protesta ebraica solo sotto Traiano e poi sotto Adriano nel corso della guerra di Kitos e nella III rivolta giudaica ed infine nella guerra parthica, condotta da Lucio Vero…
Ora ebrei e cristiani (perseguitati i primi, tollerati i secondi o trattati con benevolenza) in un contesto pagano devono far circolare il loro pensiero tramite copie di libri in greco, che sono rare, cioè rotoli (volumina) opera di copiatori di norma professionisti (quelli di corte o di agiate famiglie aristocratiche) ma anche in maggioranza non professionisti che scrivono, condizionati dalle idee, all’epoca dominanti…
Ora le copie cristiane greche a Roma sono di non professionisti, di fedeli che ricopiano lentamente, facendo errori e che all’occorrenza correggono e anche cancellano e possono alterare il valore delle stesse lettere (Esempio il theta maiuscolo scritto con O maiuscolo con la lineetta centrale può diventare O Omikron; P che vale Rho può essere scambiato con P latino , H hta per H latino ), sia per spirito di parte che per ignoranza personale, oltre che per condizionamento religioso: si è in un momento in cui niente è certo circa la figura di Gesù (Cfr. Il cristianesimo primitivo senza Filone era poca cosa ), sulla sua humanitas o divinitas, sulla verginità della madre Maria , sulla Trinità/trias ancora da stabilire, sulle persone upostaseis…
Ne deriva che la lettura e la scrittura dei testi, copiati da originali o da copie venute da chi sa dove, senza una reale certificazione, data anche la differenza di titolo degli scriventi, senza controllo dell’autenticità e non autenticità testuale, sono a totale discrezione di chi è incaricato della scrittura nel suo scriptorium, che per giunta può entrare in competizione con i propagatori di eresia, come gli adozionisti e i docetisti , anche loro impegnati nella diffusione del Vangelo …
L’ ecclesia di Roma, essendo una succursale di qualche chiesa orientale, ha pochi libri ( rotoli di papiri o pergamene provenienti da altra sede): di norma il volumen è costituito da rotoli, formati di venti fogli incollati l’uno l’altro chiamati Kollemata, ma può essere più grande con fogli più numerosi anche se dell’altezza di circa 20-30 centimetri, e non è originale, ma è copia copiata da testo non identificato, che, inoltre, bisogna anche ricopiare per trasmetterlo ad altre comunità, che ne sono sprovviste. come abbiamo rilevato in Il Pastore..
C’è dunque, nella Capitale, un lavoro di copisti christianoi, occasionale e quindi non professionale, e solo più tardi nel III secolo più organizzato, a seguito del credito dell’ecclesia romana, ormai affrancatasi dalla diokesis orientale di origine e dagli antichi ktistai…
il Vangelo di Marco e di Luca sono quelli che hanno una storia di copiatura differenziata e per luoghi e per abilità scrittoria, grafica, e per letterarietà e per cultura, come alcune lettere di Paolo ed il Pastore …
Non essendo ancora definita la figura di Iesous Christos Kurios né come Theos athanatos né come anhr theios, né come reale anhr nato da un normale parto di donna, fecondata da uno Thnhtos, subito dopo la metà del secolo se ne parla in termini di Dio controverso in un clima ,dove domina la conoscenza/ gnosis, che è diversa ad Alessandria, ad Efeso, a Roma: ogni città dell’impero romano ha una sua gnosis, di cui non è facile evidenziare i punti centrali e i temi culturali…
La confusione nasce dalla creazione poihma del mondo e della ecclesia, ad opera di un theos, come si vede anche nelle lodi delladomina in il Pastore come già mostrato …
Negli anni di guerra antiparthica in Oriente ed antigermanica in Occidente sotto le insegne di Lucio Vero e di Marco Aurelio si rileva un ammutinamento ebraico-cristiano, proprio di renitenti alla leva, da parte di uomini che si considerano naturalmente fratelli, in quanto figli di Dio, perché zontes/ viventi dotati di anima e quindi fatti a somiglianza di Dio, quasi fossero moderni obiettori di coscienza …
In epoca antonina si manifesta un fenomeno antimilitaristico, contrario all’ espansionismo romano, come propaganda di pacifismo e di universalismo, intesa come amore e pace tra i popoli della terra. come è sotteso in Il Pastore e in La lettera a Diogneto…
Questo è incompatibile con il rispetto dell’ auctoritas terrena imperiale, che sollecita formali atti di sottomissione, prima dell’arruolamento militare: non sorprende quindi che ci siano martiri cristiani come Policarpo, come Ignazio, come i fedeli di Vienne in Gallia: non sono uomini puniti dalla legge romana -ad eccezione dei dioiketai episkopoi capi di ecclesiai, che pagano la tasse personali e non quelle della loro dioikhsis e sono inviati a Roma a difendersi dalle accuse davanti all’imperatore – ma elementi, accusati dalla popolazione, innervosita da una parte dal disfattismo giudaico-cristiano e dall’altra dal loro integralismo religioso e dalla pertinacia fideistica di eletti/teleioi/ perfetti, desiderosi del premio eterno del Regno dei Cieli, loro patria…
Stesso discorso è da farsi per gli Scillitani che mettono in evidenza la fede africana, tipica di visionari che, seguendo i loro pastori, sono convinti di una prossima discesa dai cieli del Cristo trionfatore e certi di andare nel suo regno, giusto, destinato ad essere glorioso per mille anni secondo le Apocalissi dell’epoca.. (cfr. A. Pincherle Introduzione al cristianesimo antico, Laterza 1992)..
Il II secolo non è un secolo di amore e di rapporti umani e liberali tra persone che vivono nell’età saturnia, secondo precetti evangelici come si prospetta nella lettera a Diogneto,ma è un secolo di lupi in mezzo a lupi che oltre a sbranarsi reciprocamente, vivono davvero in un’orgia di retorica, alla ricerca del consenso e della fama, della solidarietà umana, solo in apparenza, ma di fatto tutti hanno i traumi dello scontro verbale e risentono dell’acrimonia della diatriba e sono condizionati dalle antitesi antinomiche: sotto l’ arcaico parlare signorile, vuoto di contenuto, di comune godimento, elitario, c’è la volontà di sopraffazione, propria di parvenus arrivisti, ingegnosi nei loro cavilli dialettici, nelle loro attese di gloria…
Un clima di falsità è in tutto il secolo e si ripercuote nel diritto, nell’amministrazione militare, nella gestione provinciale e in quella statale centrale: l’apparato burocratico si trasforma in una macchina divoratrice di beni in quanto ogni burocrate ha una sua rete di controllo e di fidati controllori che divora le sostanze imperiali, depauperando le casse del fisco, indebolite dalla necessitas del finanziamento delle truppe militari abnorme (due flotte, una a Miseno ed una a Ravenna; 30 legioni sparse per l’impero- in maggioranza sul confine germanico danubiano, su quello eufrasico, sul limes afro-nilotico su quello oceanico- britannico, tanto da favorire il fenomeno, che inizia con Marco Aurelio – che deve chiedere prestito al’erario per le proprie spese dopo che ha messo all’asta i propri beni- di contrapporre i barbari ai dediticii, che sono gentes, arresesi, arruolate come mercenari ai margini dell’impero, pagate con l’assegnazione di terre entro il territorio romano…
Marco Aurelio volendo spostare il confine dal Reno all’Elba cerca di favorire la formazione di nazioni come la Sarmatia in un momento difficile per le stragi dovute alla peste.Non per nulla Andrea Giardina e molti storici tendono a dilatare nel tempo la trasformazione romana più che la crisi militare del mondo antico, in quanto il lemma decadenza non è chiaro né come inizio del fenomeno del tramonto romano né come fattore economico e sociale. infatti già per Berthold Georg Niebuhr e il regno di Marco Aurelio segna un punto di svolta e che non c’è dubbio che la crisi fu causata dall’epidemia: Il mondo antico non si riprese mai dal colpo inflittogli dalla peste che vi si diffuse durante il regno di Marco Aurelio.
La crisi socio-economica determina un pauroso buco nel fisco tanto che la domus imperiale deve chiedere prestiti all’ erario senatorio, normalmente dissanguato, non potendo vantare diritto di proprietà nemmeno sulla casa del Palatino (cfr. Historia augusta, Marco Aurelio, 17,4-5 ).
Si aggiunga che la peste per quasi un quindicennio (166-180) imperversa in regioni asiatiche dell’impero romano e giunge nella penisola Italica e a Roma stessa dove fa stragi : nei castra, ai confini, c’è uno stato di epidemia continua che falcidia i milites più dei nemici in battaglia.
In molte zone la peste è per il popolo un morbum dovuto ai Christianoi, considerati ambigui, falsi, corrotti, perfidi, date le accuse di crimini orribili e considerata la loro astensione dal servizio militare attivo…
La disastrosa crisi finanziaria negli ultimi anni di Marco Aurelio determina la interruzione della pratica del migliore, scelto dall’imperatore che concede sua figlia Lucilla a Pompeiano, dopo la morte di Lucio Vero nel 169, per passare ad una successione diretta imperiale ereditaria al figlio Commodo: necessita una legge finanziaria nuova del tipo di quella neroniana;da qui l’accostamento fatto dal padre stesso ,che vede nel figlio un Nerone, riformatore finanziario…
L’invito a dedicarsi alla riforma finanziaria sullo schema di quello neroniano comporta automaticamente un ordine sotteso di depredare l‘ordo senatorio ed equestre in modo da far circolare moneta liquida nel Fisco : la riforma del denarius a scapito dell’aureus colpisce il ceto senatorio che paga con tale moneta l’acquisto di oggetti preziosi e della seta , mentre fa respirare la plebe nelle sue varie frange popolari produttive (artigiani, mugnai, lavandai ecc) e i militari di leva,che solo ora sono pagati dalle casse imperiali, quando invece fino ad allora hanno stipendi annuali dai governatori che, impongono tasse ai maggiorenti locali per calmare le intemperanze militari, specie se coadiuvati dagli ausilia dei dediticii. abituati ad avere viveri dalle popolazioni romanizzate stesse…
Questi corpuscoli barbarici, difensori dei confini dai barbari, loro consanguinei, in seguito accoglieranno i loro parenti e si stanzieranno nel territorio romano, desiderosi di integrarsi seppure senza alcun diritto di federazione con Roma stessa e senza civitas (sine suffragio), diventando un pericolo per l’impero, fino al parziale riconoscimento giuridico con Caracalla…
Di conseguenza, pur pagando somme per l’apparato militare in effetti la difesa dei confini è data a barbaroi dediticii, che si insediano entro i confini con l’obbligo di difenderli, agli ordini del governatore della provincia dotata di proprie milizie, più vicina alla zona di loro competenza , essendo malfidi, data la loro ricerca di terre migliori, considerati i legami coi fratelli oltre il confine, morti di fame, e nomadi, desiderosi di migliorare le condizioni di vita …
Si rilevi, per capire, il confine lungo l’Eufrate che divide siriaci e siro-palestinesi , aramaici, dai parthi, anche loro aramaici, di lingua , e di religione mista con prevalenza ebraica: ad ogni tentativo romano di invasione della Parthia si serra il vinculum di sangue patrio e l’impresa parthica diventa un suicidio per i romani: ne fanno amarissima esperienza Traiano ed Adriano e poi Lucio Vero, in misura minore, che si troveranno, dopo la conquista,-molto difficile- in situazioni tragiche, nel percorso di ritorno, senza l’aiuto dei battellieri ebraici …
L’impero romano, comunque, nel II secolo, sostanzialmente pacifico, nonostante guerre di annessione e scontri ai confini, presenta, nella sua disparità culturale, pur nella diversità linguistica, una grande attività commerciale ed una sua unità concettuale nella lingua latina Occidentale e in quella greca Orientale, che si sposano proprio nel coniugium tra il meraviglioso mirabile /to paradosson e la menzogna mendacium/ to pseudos, nella ricerca infinita del novum..
Si crea un sistema operativo, in un clima di propaganda antonino, in senso antiflavio ed antigiulio-claudio, basato sulla coscienza della precarietà del vivere, di un pensare segreto, individuale, anche nel vortice della frenetica pulsione vitale giornaliera: i letterati esprimono il travaglio dell’individuo e la paura delle masse col culto arcaico della forma, con la nuova sofistica, nella volontà di mostrare la superiorità della monarchia elettiva, in cui il princeps è novellus secondo un nuova concezione di ius e di civitas, rispetto a populus/plhthos.
E’ mera letteratura che sottende un profondo phobos,un’inquietudine per il domani non solo per gli honestiores ma anche per gli humiliores: il Regno di Commodo è spia di tale incertezza e la guerra civile tra Pescennio NIgro, Didio Giuliano, Pertinace e Settimio Severo che si scatena è la prova delle tante crisi irrisolte , che si sono sovrapposte e dei tanti nodi che sono venuti la pettine …
Comunqe, Il vertice della società romana è per quasi un secolo il princeps elettivo, ideale di perfetto reggitore, visto nel suo trionfo militare, come victor /nikeths sui barbari, come giusto amministratore, uomo tra gli uomini, anche se ha prerogative divine, bisognoso, comunque, nonostante la gloria, dell’ausilio del senato e del consenso dei cives di cui è garante comunitario in quantoimperator absolutus/autocratoor, scelto nell’interesse comune, come sostegno nei bisogni individuali e patronus delle masse, perché pater patriae.
Questo è la retorica della politica antonina, che sa coprirsi di un alone di perfezione in quanto è davvero centro di una communitas di reciproco amore, di un scambio amoroso, ed è bonum per il princepse per i cives , il cui andamento reale è affidato ad una ristretta burocrazia di palazzo, che si dirama dalla capitale ai centri provinciali amministrativi situati nei grandi centri,(ad Antiochia, Efeso, Alessandria, Cartagine, Lione), da cui derivano i poteri locali, efficienti in situazione, a seconda della normativa imperiale che garantisce sicuritas e libertas, vera asphaleia con pistis, reale eleutheria con autonomia e con eudaimonia.
Il principato diventa lentamente una dilatazione giuridica dell’oikonomia familiare in senso statale, una giustapposizione del focolare domestico al corpo statale, un ampliamento universale del potere del pater familias, la cui potestas è illimitata e la sua auctoritas è sacrale.
Il princeps è autocratoor e nomos empsuchos col consenso senatorio e popolare; l’ideale di Caligola e di Domiziano s’incarna in Antonino il Pio, meno nella diarchia di Lucio Vero e Marco Aurelio, si dissolve con l’ultimo Marco Aurelio e naufraga con l’assolutismo di Commodo…
La lettura positiva del principato è in relazione ai letterati, specie Plinio il giovane , Tacito, Frontone,Elio Aristide , Erode Attico che hanno una visione retorica propria di fedeli amministratori e contabile di chartae che sanno esaminare in quanto elementi del senato o di classi privilegiate, che godono di benefici statali e svolgono funzioni consolari o proconsolari e quindi hanno davanti documenti della gestione pubblica da esaminare e hanno il compito di applicare leggi secondo i decreti imperiali...
Sono tutti bugiardi che vedono la normalità in uno stato di crisi e che leggono solo gli aspetti positivi , rilevando la loro funzionalità amministrativa, essendo parte minima di un sistema complesso come quello imperiale, che neanche dalla capitale può vedere l’enormità dei problemi provinciali e periferici, non essendoci nemmeno i mezzi di controllo, date le distanze dal centro operativo e la lentezza dei provvedimenti?..
Secondo il mio parere l’impero inizia la sua decadenza a causa della sua stessa grandezza: troppo lunghi i tempi di intervento, troppo grandi le distanze, lente le comunicazioni, impossibile la strategia operativa, a distanza! .
Essendoci , comunque, consenso, c’è un’unanimità di pensiero favorevole al principato senza possibilità di una reale verifica: il dissenso parziale dei Christianoi in seguito interessati ad impadronirsi della pax antonina per la celebrazione di una società fortunata e beata, quasi fosse stata un’età saturnia quando, invece, c’è una crisi morale spirituali e sociale di immense proporzioni, a seguito del passaggio da una aristocrazia romano-italica ad una gallico-ispanica, capace di rinnovare la propria cultura occidentale grazie all’apporto commerciale dei graeculi…
Ora in un secolo di litterati bugiardi, capaci di uccidere per il proprio profitto, di kalamosphactai, di uomini che sanno scrivere ricercati nell’impero romano specie nelle grandi città orientali e perfino ad Alessandria, sia prima che dopo Origene,- che oltre tutto dirige il didaskaleion ed ha bisogno di copisti per la lettura pubblica dei suoi Principi per insegnare la interpretazione del senso della parola divina- c’è bisogno di testi precisi scritti da segretari, di epistulae riservate, di messaggeri fidati per al comunicazione nell’impero tra la dirigenza centrale e la periferia.
Ancora di più è probabile che ci debba essere un gruppo di fedeli Christianoi, copisti, per verificare il pensiero veterotestamentario e per evidenziare la novità di quello neotestamentario.
E’ certo, comunque, che Origene porta con sé copisti a Cesarea Marittima e poi a Cesarea di Cappadocia, diffondendo in Oriente lecopie di Paolo, dei Vangeli, di Erma ed approfondendo la Bibbia e la conoscenza biblica con l’errore insito nella lettura stessa del testo ebraico, che risulta mutilo e monco, in quanto basato sulla pura osservanza materiale della legge mosaica, anche se ha un contenuto spirituale.
Inoltre l’alessandrino trasporta con le sue copie l’errore degli Gnostici, che leggono in modo letterale e cadono nell’antropomorfismo veterotestamentario, che autorizza la lettura di un Dio creatore inferiore rispetto al Dio supremo (I Principi, IV,2,1)…
Con queste copie, così scritte- numerose- viene fatta una lettura ambigua ed equivoca per gli incipientes, che sono ilici (somatici) in quanto si resta sul senso materiale stesso testuale, si corrompe e si disturba l’apprendimento dei progredientes, che sono psichici,impegnati in senso morale, mentre solo gli pneumatici possono conseguire la teleioosis perché vanno oltre testo, interpretando dià simbuloon, allegoricamente, e sono perfetti,in quanto superano gli errori stessi testuali, assistiti dallo Spirito Santo, loro patronus!!
L‘impostazione origeniana- quella stessa di Clemente Alessandrino. determina poi la diffusione delle copie – già non esatte, inficiate in seguito da errori grossolani dei copisti occidentali , non professionisti Cfr. scriptorium di Cassiodoro– che risultano difformi l’una dall’altra anche per la non corretta traduzione in latino…
Comunque, nel secondo secolo si costituisce una gerarchia che demanda il compito di scrivere copie e per la comune lettura e per il proselitismo dei cristiani fra pagani e per la difesa dagli gnostici e dagli ebrei….
Il dissidio dottrinale sulla figura di Gesù,(mai ben delineata né nelle lettere di Paolo né nei Vangeli a né nell’opera di Clemente romano, né in quella di Erma –che neanche lo nomina e che considera Figlio del Padre lo Spirito Santo e Christos (???) Servo fedele – né in Didaché né negli scritti di Giustino) è complicato dalle grafie delle varie e molteplici ecclesiai sparse in tutto l’Oriente, acefale, con scarsi contatti fra loro…
Ne consegue che quelli, che scrivono per ricopiare, non hanno un unico testo, da cui dipendono, originale, ma hanno vari testi, propri della zona, di cui sono un’apoikia, una colonia succursale, non sempre seguita dalla madrepatria; da qui la diversa interpretazione su Gesù, su Christos, su Logos, su Pneuma, sul Theos poihths e pathr e quindi, le tante eresie …
Non è il caso per ora di vedere qui lo scontro tra l’impostazione letterale di Antiochia e quella allegorica di Alessandria né di verificarlo in Occidente e, specie nella ecclesia greca romana dove è più profonda l’influenza antiochena…
Nel secondo secolo, epoca del paradosso sembra fondamentale in ambito cristiano lo scontro sul Theos creatore e sulla funzione della singola chiesa nel contesto pagano, in cui prevale chi spara la novitas più grande, ai fini dell’affermazione ecclesiale…
Ci sono christianoi che credono in un theos, che ha creato il Kosmosed altri che credono in un Theos, capace di dare ordine e armonia ed escludono il poihths di disordine e di disarmonia, cioè di un Dio pathr di bene, distinto da un Dio del male ; da qui le Sacre scritture opera degli ebrei, che credono in un solo vero Dio, crudele e sanguinario, ma anche Pathr ed ordinatore, accettate da cristiani che rilevano un dio come origine di ogni male opposto ad un Dio, pathrdi Gesù Christos, che, però, secondo alcune comunità è solo uomo o solo Dio o figura divina apparente, in quanto in Christos, al di là della sua funzione di salvatore ci sono due persone, di cui una uomo Gesù ed un’altra Dio Christos…
D qui anche le tante diverse letture della morte di un Gesù, indefinito nella sua natura di uomo e di uomo- dio, che non può morire come dio ma muore come uomo, lasciando il logos sola l’humanitas, per poi risuscitarla …
Senza entrare nei cavilli, propri del secolo ,teologici, ci tengo a precisare che tante credenze derivano dalle cattive letture dei codici ma anche dalle cattive copie e dalla buonafede (?!) dei copisti che comunque, non sono immuni da lucro…
L’ecclesia di Roma, colonia di una metropoli orientale, risente dunque, dei tanti errori delle copie circolanti in Oriente… successivamente tradotte e copiate in Occidente ….
Ho già scritto del paradossale ebraico (e mirabile cristiano), ora vorrei mettere insieme le due manifestazioni e cercare di capire il gusto o moda del generalizzato to pseudos nel periodo antonino, ampliando il discorso, in senso universale romano-ellenistico, pagano, sapendo che oltre 5/6 della popolazione dell’impero romano 60.000,000) è politeista, mentre i giudei, giudeo cristiani e pagano cristiani sono solo circa 10.000.000 e che la loro distribuzione è in maggioranza in Oriente e in Egitto.
Mi sembra opportuno marcare come il fenomeno sia di origine orientale e che viene introdotto poi in Occidente e in Roma, specificamente come fatto religioso, collegato con i riti della Gran Madre, con quelli di iside e di Serapide, ma anche di quelli messianici, come Gesù Christos, venerato e dileggiato come onos en stuarooi … come si rileva nel graffito di Alexamenos, trovato nel Palatino nel 1857, negli scavi del Paedagogium, una scuola per giovani destinati alla corte, conosciuta fino all’epoca severiana.
Si rilevano nel graffito tre elementi fondamentali.
- La centralità del culto di onolatria, /culto religioso per un asino, con la raffigurazione di Christos, un uomo crocifisso, dalla testa di asino, da parte di giovani, irridenti e deridenti i cristiani, circoncisi come
gli ebrei e credenti nella resurrezione, accusati di stragi di bambini e di cannibalismo (il rito dell’eucarestia) cfr. G. Flavio, Contra Apionem,II,7; Tacito Storie, V,3 M. Minucio Felice, Octavius .VIII,4-5; Luciano, De Peregrini morte,13 ;Tertulliano, Ad Naziones, 1,7,23 ed Apologeticum, 39,8-10.
- La figura di un uomo con la mano sinistra alzata, in segno di disprezzo(?), posta a destra dell’uomo-asino crocifisso, dalla doppia natura.
- L’iscrizione, regolare per disposizione di lettere -maiuscole (anche lambda minuscolo è accettabile come C lettera che vale S come sigma lunata orientale ), è in greco antico, costituita da un enunciato semplice con soggetto, verbo e complemento senza articolo Alexamenos cebete (sebetai – anche oggi ai = e) theoon ( o non è omicron ma omega e potrebbe valere theous) /Alessameno venera dei,- a meno che non ci sia l’uso di sebomai + participio predicativo di Theaomai, -che in Marco (16,11 pros to thhathhnai autois/per essere visto da loro ed anche etheathh upo auths fu visto da lei ) e in Matteo (28,7) vale anche Theaoo vedo ed è usato al passivo– . In tal caso l’enunciato avrebbe un valore ironico da parte degli amici di Alessamenos , come presente participio attivo nominativo- predicativo-Theaoon : Alessamenos si vergogna a vedere (con ammirazione)…-.guardando ammirato ( theaoon come presente participio ) venera-
Non sembrano attinenti alla lettura del graffito lo psi in cima alla croce e la Y al centro del riquadro della croce, sopra la mano sinistra.
Per chi non ha mai letto un codice antico, il graffito del Palatino è esemplare per rilevare il sistema di grafia maiuscola del tempo e quello dei contenuti con quello interpretativo per la sottesa referenza al concetto di doppia natura…
Nell’epoca degli antonini, dunque, si falsifica molto, specie le lettere e la moneta, di cui abbiamo parlato in altra sede…
Gli antonini sono ispanici, ben integrati nell’imperium, più dei Galli, da oltre un secolo, entrati nell’ordo senatorio, dopo essere diventati cives, arruolati nell’ esercito in pianta stabile, come tribuni o legati, sotto i flavi, alla pari degli italici, con cui si assimilano per coniugia e secondo adozione ( Cfr M. Fraschetti, Marco Aurelio, Laterza 2008).
Avendo subito il fascino della cultura orientale, greco – asiatica e ebraica, sotto i flavi, (Cfr. Ulpio Traiano padre in G.Flavio, Guerra Giudaica, III,7,31-32)., fanno una propaganda con l’elemento ellenizzato, in una orientalizzazione dell’ Occidente, secondo criteri filosofici e religiosi, mistici.
La tipicità della cultura antonina è nell’aver preparato e raggiunto la comunicazione universale in greco ed aver unificato dopo amalgama le varie gentes, dotandole di una comune base di beni primari e concedendo la comunione di diritti per tutti i cives, prima ancora di Caracalla…
Infatti sotto il loro principato c’è un flusso migratorio, prima spontaneo verso il centro dell’impero (Roma e l’Italia) di Orientali, specie siriaci, poi violento e coercitivo a seguito della sconfitta di Shimon bar Kokba nel 135, data la marea di prigionieri venduti nei mercati greci ed italici.
I nuovi venuti invadono l’Urbe con una migrazione ad ondate, che stravolge l ‘assetto delle classi sociali romane per cui i graeculi (per i Romani sono così chiamati quasi tutti gli orientali in modo indistinto) snaturano il sistema quiritario con le loro credenze basate sul muthos, con la retorica, col to pseudos, con le arti della magia e della stregoneria, incarnate in pittoresche figure di goetes , di thaumaturgoi e di mageiroi, di sacerdoti con i loro variopinti vestiti, di divinità note o sconosciute, praticanti sistemi mistico-misterici. e stravaganti riti ( antropofagismo, culti mitraici e solari, forme religiose eclatanti, smisurate, selvagge, barbariche), , ..
Si ricordino i cristiani che Paulus /Saulos è accusato di stregoneria a Cipro e a Malta, ed è creduto Hermes altrove, come giudeo cristiano è philopseudhs, un creatore di miti, un mytmacher come Luca, come anche Peregrino ed altri personaggi di Luciano (De peregrini morte e di Philopseudhs)…
Anche Apuleio in Asino d’oro mostra Lucio che segue la magia e si tramuta da uomo in asino e che conosce tanti elementi specie in Tessaglia, che si qualificano come maghi, streghe, indovini, personaggi che si muovono operando- sembra- normalmente nell’impero romano come cives, con i diritti della politeia /civitas.
Ora i cives costituiscono circa solo 1/20 degli abitanti dell’impero romano, concentrati per 2/3 in Occidente tra penisola italica, la maggioranza, e quella iberico-gallica, mentre i restanti sono sparsi in Oriente (Acaia, Asia Minore, Creta-Cirenaica, Siria, ) e in Egitto ed in Africa…
L’ opera di Luciano Philopseudhs h apistoon è la più emblematica tra le opere greche, mentre L’asino d’oro di Apuleio è la più significativa tra quelle latine, anticipata dal Satyricon di Petronio, da Storia Naturale di Plinio il Vecchio e dalle Satire di Giovenale: dal loro esame si rileva un civis romano, turbato, incapace di distinguere il limite tra sacro e profano, tra naturale ed innaturale, tra razionale ed irrazionale, avvolto in una cultura religiosa mistico-misterica, magica, impaurito di fronte all’ epiphaneia/manifestazione divina…
Anche i greci non scherzano nella presentazione del civis di fronte al mistero : Luca, Plutarco, Luciano di Samosata sono i più abili a fare letteratura con questo sistema di spectaculum con ekplessis…
Ora, dunque, la letterarietà christiana del II secolo deve essere inserita in questa cultura, dove le esperienze religiose e spirituali sono multiple e dove il processo di orientalizzazione dell’Occidente si sta completando, iniziato da Augusto, a seguito di una crescente amalgamazione dei popoli, ormai uniformemente ellenizzati e romanizzati…
Retorica, arte magica, teurgia e religione creano un’altra cultura romano-ellenistica, che accomuna tutti i popoli dell’impero.
Il Cristianesimo è un portatore di questa novitas letteraria e culturale per la sua strutturazione di base giudaica, e perla varietà delle sette, che hanno, pur nel comune nome di Christos, diverse credenze, molteplici riti, a seconda della concezione di un Gesù uomo o di un Gesù uomo o di Christos logos e si prestano ad ironie e ad accuse anche infamanti…
Luciano in Philopseudhs denuncia filosofi ed anche christianoi e tutto il mondo barbarico, da greco . mostrando il valore dell’incantesimo degli amuleti , delle paroline magiche per ottenere una guarigione, evidenziando come febbri ed edemi, per timore di un nome divino o per una frase barbara, perdono la forza, gonfiore e si ritirano sorprendentemente , denigrando i filosofi che si fanno chiamare sapienti e il loro aspetto caratteristico (barba fluente, mantello, bisaccia e bastone ) il desiderio di moneta anche se fingono indifferenza alla ricchezza, giocando e prendendo in giro i discorsi sui prodigi, sulle terapie di stregoni, che fanno scongiuri, che evocano demoni ed anime vaganti, che animano statue ed oggetti, tratteggiando la figura di un babilonese, guaritore di un servo morso da un serpente, capace di incantesimi per strappare il veleno con parole misteriose, mettendo alla berlina l‘iperboreo che vola, che evoca spiriti, che fa venire dall’Ade Ecate e Cerbero, che sa foggiare amorini di creta, trattando di un siro palestinese che caccia il diavolo dagli ossessi ed altri personaggi, che compiono azioni meravigliose, incredibili, mostrando infine, dopo aver trattato di statue semoventi e di fantasmi, un mago di Menfi tanto potente di farsi obbedire dalle belve e capace di trasformarsi…
Insomma c’è la volontà da parte di Luciano di stupire e stordire Tichiade- e con lui ogni ateo – che deve essere emarginato come incredulo ospite, rispetto a tutti gli altri, coesi nell’inventare fabulae, con le storie più assurde e con i personaggi più strani, in una dimostrazione della varietà umana di imbroglioni e di stupidi, quasi tutti di origine barbara : c’è una folla di oggetti e soggetti disparati, pelli di leone e denti di toporagno, anelli dai molti poteri tombe,serpenti, indemoniati, personaggi originari delle classiche aree stregonesche: Siria, Libia, Egitto, Arabia, regioni iperboree (cfr. L’ Amante della Menzogna a cura di Francesca Albini Marsilio 1993, p.31)
Insomma c’è la magia più inverosimile, l’irrazionalismo più puro, il razionalismo più scettico. in Luciano, autore greco, filosofo, E nel cristianesimo orientale ? e in quello romano, di Roma? e in quello degli padri apostolici e degli apologisti ?…
In Occidente come in Oriente c’è una crisi di valori religiosi, mentre si amalgamano le genti che vivono nello stesso territorio, sotto uno stesso sovrano, avendo diversi tempi di integrazione e differenti strati di cultura a seconda delle gentes, mentre comune è la guida di un Pontefice maximus che, a Roma, presiede al culto romano, che ha fede nella Triade Capitolina, ma rispetta ogni credo di ogni dio pagano, compiendo i rituali che si svolgono nel Pantheon, tempio universale di tutti gli dei dei popoli dell’impero, rifugiatisi e confluiti in Roma.
L’urbe è davvero la città dominante, sede sacra di ogni culto e garante di ogni tradizione.
Augusto prima e-dopo il tentativo accentratore della monarchia unitaria divina, fallito, di Caligola,- Claudio, poi, fissano la libertà religiosa accogliendo con pari diritti in Roma i culti orientali ed egizi ed, infine, i Flavi, dopo la morte di Nerone, e gli antonini sanciscono definitivamente i valori eterni della pietas tradizionale romano-greca in Zeus-Iuppiter e la festeggiano nei ludi saeculares, a seguito di quelli augustei del 17 a.C. -salvo qualche eccezione- ogni 110 anni, con Domiziano, con Commodo, anche se li assimilano con Serapide…
Nell’ introduzione a Metamorfosi Giuseppe Augello (cfr. Metamorfosi o Asino d’oro di Lucio Apuleio, Utet, 1980 ) considerando il trionfo del Cosmopolitismo che sommerge le èlites della politica, mentre mostra la società e la civiltà romana aristocratica, laica e razionale, rilevandone una esemplare vocazione verso il reale e l’intellegibile, evidenzia il rovesciarsi dall’Egitto, dalla Siria, dalla Frigia da tutto l’Oriente un flusso di umanità la più irrazionale ed esaltata che si possa immaginare.L’autore mette in relazione la liberazione di enormi schiere di schiavi e la mescolanza delle razze e degli ordini sociali con il diffondersi delle inclinazioni estatiche e magiche della torbida spiritualità orientale e con l’esportazione di tutti gli dei orientali, che, ora, in età antonina, circolano coi loro strani culti, liberamente, in ogni parte dell’impero.
Nella capitale stessa Giovenale vede il volgarizzarsi della cultura aristocratica in forme, comunque, ancora vive e democratiche nel periodo giulio-claudio, sotto i Flavi e poi, sotto gli Antonini, in un continuo degrado, decadente, dopo l’abbandono perfino dei costumi contadini e plebei di tipo mariano…
Secondo Luca Canali (Prefazione a Satire di Giovenale, Bur 1976) la società va in frantumi, a seguito della decadenza dell’aristocrazia e dello sminuzzarsi in classi della plebe, in una corrotta mediocrità a causa dei rampolli degeneri nel processo democratico borghese… in una nuova ridistribuzione della ricchezza… nell ‘abbassamento culturale e nell’emancipazione della donna…, nel privilegio dei nuovi ricchi, dei potenti liberti, degli astuti ed avidi orientali, dei generali abbrutiti in orge vinose nelle botteghe e nei lupanari insieme ai carrettieri, ai gladiatori, ai rivenduglioli, agli usurai, i veri vincitori del nuovo ordine imperiale, propulsori di… progresso.
Nella Satira XIV, scritta come una lettera a Fuscino, Giovenale esamina la dissoluzione dei valori della societas romana, rilevando il cancro nella educazione impartita dalla familia, che, in quanto base del sistema, poggia sul patrimonio, sulla proprietà e sul guadagno, in una denuncia della aischrokerdia alessandrina, sottesa, imitata dalla cultura romana aristocratica e trasmessa ai figli, che, ellenizzati, di conseguenza, risultano avidissimi, scettici, progressisti, oziosi, impegnati non più nella politica ma solo nell’eredità, quindi dediti alla caccia di testamenti, in lotta con servi, liberti, letterati, sacerdoti, da cui sono vinti, data la superiore cultura e scaltrezza, orientale, specie siriaca…
Nella satira III Umbricio parla (29-34) di una Roma abbandonata perché non più locus per un onesto lavoro, della sua ricerca di un rifugio a Cuma, data la canizie incipiente: Vivant Artorius istic/et Catulus, maneant qui nigrum in candida vertunt, quis facile est aedem conducere, flumina, portus,/siccandam eluviem, portandum ad busta cadaver,/ et praebere caput domina venale sub hasta/ Ci vivano pure Artorio e Catulo, ci restino quelli che cambiano il nero in bianco, che sono così bravi a prendere in appalto la pulizia dei templi, dei fiumi, dei porti, a seccare cloache, a portare cadaveri al rogo, a vendere schiavi all’asta.
Umbricio, da vecchio civis, non comprende il nuovo lavoro servile fatto in cooperative, che a greges operano funzionalmente per il bene della città, ma rileva solo l’arricchimento d plebei associati, a scapito degli oziosi figli dei patres: la sua indignatio è contro gli stranieri che, raggruppati, formano una forza lavoro e dominano accontentandosi pur di un minimo guadagno, costringendo il romano e l’italico a guardare la loro laboriosità ed industriosità, in attesa delle sovvenzioni del princeps, a scadenze mensili…
In tutto il secolo c’è l’epopea dei diakonoi, intesi come uomini di servizio orientali, che operano a favore dei deboli: è un fenomeno non di christianoi, ma di orientali che lentamente trovano un loro ruolo nella capitale come servitium , svolgendo ministeria servili utili per la comunità…
Il fenomeno religioso orientale della stessa chiesa romana, collegato con la madrepatria è chiaro non solo in relazione alla gerarchia, già costituita, ma anche al sistema operativo servile dei fedeli delle varie sette cristiane, dislocate nei luoghi più disparati dell’impero romano,che si agitano, a volte, convulsamente, a Filippi, a Ierapolis, a Corinto, ad Efeso, a Cesarea Marittima, in Alessandria , ma anche a Siracusa e a Dicearchia (Pozzuoli), oltre che nelle isole (Cipro,Malta, Sardegna) e in Gallia (Vienne) …
Di tale agitazione e convulsione orientale (entro cui immettiamo il fenomeno cristiano), Luciano è spia con la denuncia di una volontà di falsificare, e di presentare in modo mitico e fiabesco la realtà, che viene stravolta e contraffatta.
Luciano in Storia Vera,(cfr. Storia vera, introduzione, traduzione e note di Quintino Cataudella, BUR, 1990) dopo aver detto di voler coniugare utile e dilettevole, nel preambolo, mostra la necessità di una pausa (h anapausis) dagli argomenti seri, e il suo modo di presentare bugie stravaganti, in forma credibile e verisimile (pithanoos te kai enaleethoos ), dopo avere fatto critica contro gli antichi scrittori, indicando la reale situazione in cui si scrive sotto gli antonini.
Egli, mostrando i lettori (eutugkhanontes) come creduloni, che non sanno fare altro che ascoltare, arriva a dire che tutti gli autori sono impegnati nel dire bugie – questo è la moda generale-( oroon hdh sunhthes on touto- : perciò, afferma che, mandando il messaggio ai posteri, non può non inventare favole e, non avendo nulla di vero da raccontare e temendo di essere tacciato come menzognero, proclama di mentire (legoon oti pseudomai) e lo dice apertamente perché non gli è capitato niente di sensazionale e quindi ricorre alla menzogna sicuro di essere falso, ma più onesto certamente di quello dei suoi predecessori perché almeno confessa di mentire.
Ora se Luciano in tutta l ‘ opera dice di essere bugiardo, se Giovenale precedentemente dimostra che questo è il vizio greco, perché noi oggi dobbiamo accettare il vero secondo i graeculi orientali romani, specie per quanto ci hanno tramandato con le pseudo clementine, frutto di questa stessa epoca? Non dovrebbe essere di monito quanto dice Umbricio, che non può sopportare una Roma greca : non possum ferre… graecam urbem … Jam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes / et linguam et mores et cum tibicine chordas/ obliquas ne non gentilia tympana secum/ vexit et ad circum iussas prostare puellas ( Satira III, 62-65)… non posso sopportare, o Quiriti, una Roma greca… già da tempo l’Oronte di Syria si è scaricato sul Tevere ed ha portato con sé e lingua e costumi e cetre dalle corde ineguali insieme alla flautista come pure tamburelli, propri di quei barbari, e fanciulle, cui viene ordinato presso il Circo di prostituirsi…
Fra tante popolazioni venute dall’Oriente non è possibile che non ci siano Christianoi antiocheni. Quante altre sette saranno arrivate a Roma dai tanti centri cristianizzati, del Ponto o della Galizia o dalla Ionia o da Amidone, da Andro, da Sicione, da Tralli, da Alabanda, per citare località nominate da Giovenale? …
Da qui la denigrazione feroce e l’ invettiva contro l’avidità, esaminata da un conservatore realisticamente nella forma della figura ripugnante e micragnosa e da un latino italico. tagliato fuori nell’attività professionale di accaparramento di beni, in grado , però di rilevare i mestieri più proficui ed anche più abietti dei graeculi …
La satira di Giovenale , al di là della moralistica e retorica indignatio, risulta un’arringa contro la corruzione ormai penetrata a tutti i livelli, in una desolata visione delle classi sociali equiparate nel baratro del degrado morale di ogni parte dell’impero ed è spia della crisi sorta nella capitale, a causa dello smisurato flusso migratorio, destinata come Caput mundi a finire nell’anarchia, a cadere nelle grinfie di una ristretta cerchia criminale militare organizzata, e, nella mancanza della legalità e della giustizia, a decadere lentamente nella dissoluzione etico-sociale…
Il secondo secolo, comunque, al di là dell’ enfasi, della declamazione e della stessa indignatio dell’ aquinate, per Canali non rivela solo la discontinuità da una casata imperiale e non misura lo strappo sociale tra una nuova élite aristocratica e la plebe romana…
Da parte mia rilevo invece una continuata dilacerazione del tessuto sociale, specie plebeo, ora maggiormente dilatato in tante categorie, ingigantito nel passaggi del principato da una cultura romano-patrizia ad una sabino- piceno-italica fino ad una ispanico-gallica, assalita, per giunta dalla superiore impostazione culturale asiatica, siriaca ed egizio-africana, in una orientalizzazione dell’impero stesso.
Storicamente e culturalmente bisogna rilevare la voragine di humanitas e di societas che separa il sistema imperiale giulio-claudio e quello flavio – che pur ingloba stoici, scettici e militanti ebraici – e quello antonino, ancor più consapevole della netta differenza gentilizia, rispetto alla dignità dei fondatori dell’impero, contro i quali invano competono con la invida maldicenza e con la pedante emulazione, in una denigrazione, a volte squallida, verso ogni componente della dinastia iniziale imperiale, all’infuori di Augusto.
Flavi ed antonini tendono ad un livellamento generale, con appiattimento di ogni forma aristocratica, tipico dei parvenusoccidentali, alonati dall’eclettismo e dal libertarismo, venato da arcaismo, senza concrete possibilità di paradigmi nemmeno plebei, come quello del repubblicano Mario…
In un clima di vuoto ideologico, mal coperto dal purismo linguistico frontoniano, anche il sistema religioso repubblicano, ancora vivo nel I secolo, naufraga nel secondo, dove predomina il rituale di matrice orientale con sacerdoti, mitre, profumi, incensi, cembali...
Dominante nella capitale dell’impero come in ogni grande e piccola città provinciale è un senso di magico e di mistico, che, connesso con lo spirituale diventa ricerca del mysterion …
In tale senso sono impostate Le lettere Clementine che hanno legami con Acta Petri (ed. Lipsius) dove si mostra la disputa tra Simon Mago – che fa cadere morto un uomo- e Simon Pietro che lo risuscita in un clima di diatriba cinico-scettica e su un piano ideologico magico, tipico di ambienti dominati da goetes e da incantamenti: –come si evidenzia in Apuleio De magia ( cfr A .Abt. Die apologie des Apuleius von Madaura und die antike Zauberei RGVVIV, 2, Giessen 1906, pp.6-10 e cfr. Apuleio la magia a cura di Claudio Moreschini, Bur 1990 )- il prefetto fece venire uno dei suoi schiavi e disse a Simon Mago: prendilo! fallo morire! e a Pietro disse: tu, invece, risuscitalo.!..
Lo stessa cultura della pseudo-clementine è In Asino d’oro tanto che Augello ( ibidem) afferma che i riti orientali sono forme di culto a carattere orgiastico con processioni mimetiche durante le quali si scatenano le più scomposte manifestazioni, con danze frenetiche, flagellazioni, mutilazioni pubbliche, più o meno artificiosi fenomeni di alienazione…
Sono consueti, ora , sotto gli ultimi antonini, i culti di Dioniso Zagreus , di Demetra e Persefone, di Attis e Cibele , di Iside ed Osiride , e perfino di Mithra e di Christos, che alla base hanno il carattere religioso olimpico di Roma e di Grecia che, da forze naturali primordiali, coi secoli , sono diventati numi tutelari delle fortune della città e dello stato, assistenti dell’uomo nel suo naturale corso di vita, cosciente di essere nato per morire, convinto che la forza vitale sia regolata dalla ragione e che sia destinata a finire, impaurito di fronte ad ogni manifestazione del divino, essendo solo di fronte alla morte…
Il culto sincretistico, come Mitra e il Sole, dilaga nel II secolo per tutto l’impero, specie quello di Serapide, data la sua particolare forma di Dio assimilato a Zeus, a Dioniso, ad Esculapio, ad Anubi e diventato centrale nel Serapeion alessandrino, confrontabile con la triade capitolina, considerato il fasto del tempio, ancora rilevante nel IV secolo, paragonabile a quello dell’Artemision di Efeso, secondo Ammiano Marcellino. Res gestae,XXI,16.. Il Serapeo,- il cui splendore è tale che le semplici parole possono solamente sminuirlo- è talmente ornato di grandi sale colonnate, di statue che sembrano vive e tanta moltitudine di altre opere, che niente altro, eccetto il Campidoglio, simbolo dell’eternità della venerabile Roma, può essere considerato più fastoso al mondo«/Serapeum, quod licet minuatur exilitate verborum, atriis tamen columnariis amplissimis et spirantibus signorum figmentis et reliqua operum multitudine ita est exornatum, ut post Capitolium, quo se venerabilis Roma in aeternum attollit, nihil orbis terrarum ambitiosius cernat. . .
Nel II secolo le menti sono eccitate dalla febbre mistica e dalla promessa di immortalità garantita dai misteri, fomentata da schiere di sacerdoti con poteri soprannaturali di profeti, di visionari, di teurgi di maghi , di chiacchieroni, che si contendono l’animo delle folle e se ne dividono i consensi, riuniti in templi, nella coscienza che non c’è un limite netto tra realtà naturale e quella soprannaturale…
Il termine greco Paradossa è tradotto di norma in latino Mirabilia che vale cose mirabili e miracolose (thaumasta,thaumasia) opera di un’ entità divina (daimonia), prodigiose (teratia).
Nel mondo romano ellenistico in un ‘epoca in cui esiste un disegno politico di conquista di tutto il mondo in senso universalistico a partire dalla domus Giulio-claudia con Augusto, e poi con quella flavia ed antonina, geografi, naturalisti, scienziati e storici fanno ricerca e sollecitano l’opinione pubblica attirando il lettore, curioso, con il paradossale…
Già Aristotele (Peri toon Thaumasioon akousmatooon/ Racconti meravigliosi, a cura di Gabriella Vanotti, Bompiani,2007-2015) aveva fatto scuola di paradocsa , seguito da Teofrasto e i peripatetici attirati in Alessandria da Tolomeo Filadelfo, si erano insediati nel Museo ed avevano mantenuto intatta la loro ricerca eziologica ma avevano inclinato al paradocson per utilità e per piacere della famiglia regale e dei cortigiani…
Ora noi abbiamo già mostrato che il fenomeno è iniziato in epoca augustea, alla corte del sebastos, dove vengono molti studiosi, attirati dalla munificenza del principe e storici di corte latini come Tito Livio e greci come Nicola di Damasco, che indulgono alle cose paradossali. Abbiamo rilevato che nel I cinquantennio del I secolo d.C. gli alessandrini Apione e Filone, curiosi più degli altri scrittori perché vivono nella città della ricerca scientifica, sono stimolati dalla competizione con i ricercatori skeptikoi del Museo, seppure divisi per competenze, pur nel comune indirizzo peripatetico, mentre Greci ed Ebrei competono nell’ attività commerciale e nel sistema bancario e nella gestione dei porti e della marineria, oltre che per la costruzione delle navicfr. Esseni secondo Filone e Flavio…
Emporoi, trapezitai, naucleroi sono figure tipiche della cultura ellenistica che svolgono la loro professione secondo criteri tecnico-scientifici e sono aperti alla conquista del mondo sia esso dell’impero romano che quello partico o mauryo. In ogni porto del Mediterraneo, del mare Eritreo, dell’Oceano indiano, lungo le due vie nilotiche principali (quella pelusiaca e quella canopica)…
Noi siamo arrivati allo studio del paradoxon e all’esame dei termini specifici idia, peritta, atopa, paradocsa, thaumasia, terasia dopo aver evidenziato l’epopea del mercantilismo ebraico in epoca giulio-claudia , seguendo le indicazioni di Filone Alessandrino.
Come Filone anche il geografo Plinio, in epoca Flavia, ha fatto elenchi, mostrato phainomena in modo paradossale come d’altra parte lo stesso Giuseppe Flavio, un ebreo disertore e traditore, nel momento della guerra giudaica, rimasto però sempre ebreo e sacerdote, nonostante gli atti di opportunismo politico, dettati dalla ricerca del proprio utile…
Quindi si può dire tranquillamente che il paradoxon è un tipico modo di fare storia, sia essa etnografica che naturale, in senso animale o vegetale, o geografica, che ha grande rilievo nel mondo ellenistico , specie nel I secolo, e che vale come ciò che lusinga l’ attenzione umana, attirata dalla non normalità dell’evento o naturale o storico.
Per P. M. Fraser in Ptolemaic Alexandria I, Oxford 1972 (cfr. Aristotele, Racconti meravigliosi, Cfr. a cura di Gabriella Vanotti, Bompiani,2015,25) la paradossografia è … la risultanza da considerarsi ascientifica o antiscientifica della speculazione aristotelica che, comunque è un esame di fenomeni anomali di difficile catalogazione… proprio del II secolo d’epoca antonina Cfr.GADDA Storia vera e storia falsa dell’antologia classica in Cultura classica e storiografia moderna Bologna 1995 pp. 11-37.
In effetti nel I e II secolo, al di là della sistemazione scientifica preme molto ai letterati, anche spoudaioi, la finalità divulgativa unita al successo e alla meraviglia, oltre al rigore della ricerca in campi scientifici, come quello di botanica, zoologia, etnologia, in una propensione mitica della stessa indagine storiografica…
Dei tanti che hanno trattato il problema a lungo, fino a Flegonte di Tralle del periodo di Adriano, noi rileviamo un fenomeno che diventa sempre più invasivo dall’ epoca flavia a quella antonina ai fini celebrativi di imperatori che permettono un tale stato di benessere ai cives ...
il fenomeno paradossografico iniziato in Oriente diventa anche occidentale con la crescita del tenore di vita anche nelle città africane, gallo-ispaniche oltre che italiche …
Tra i latini c’è ,-oltre alla testimonianza sugli esseni di Plinio il vecchio- scritta per colorire la sua pagina geografica fino a quel punto descrittiva, -un numeroso stuolo di paradossografi che indulgono al racconto mirabile a scapito della ricerca, come se fosse una caratteristica della seconda sofistica…
Autori come Frontone ed Erode Attico che in un certo senso collegano la cultura occidentale con quella orientale preparando la civiltà severiana, utile alla diffusione del credo cristiano, in un clima di commercio e di benessere generale, nonostante i cambi di principato, frequenti, e l’inizio di una crisi economica , già avvertita in epoca sotto Alessandro Severo…
Dal soterismo flavio alla visione culturale antonina, precisa in Adriano -come volontà di sterminio dei giudei, annientai mercantilisticamente nei loro commerci, divenuti infidi e pericolosi per le connessioni profonde coi Parthi e per il cancro della religio che inficia il razionalismo romano- che, col rescritto a Minucio Fundano, pur accetta i cristiani a meno che non siano colti in flagrante violazione di legge-come fa lo stesso Antonino il pio nel Koinon di Asia testimoniato da Eusebio ( Storia ecclesiastica,IV, 13 ) fino a Marco Aurelio si rileva una linea costante di uniformare l’impero in senso pagano, tenendo a distanza le credenze orientali, perturbatrici dell’ordine cosmico.
Gli antonini, inoltre, dovendo sfidare, in una ripresa del militarismo romano, la potenza germanica e quella dei parthi, hanno bisogno di una maggiore coesione interna , di una normale tranquillità religiosa in Roma stessa, prima di riprendere la politica militaristica, costosa per il fisco imperiale, essendo due i condottieri Lucio Vero sul fronte eufrasico e Marco Aurelio su quello germanico.
Nell’esame dell ‘ecclesia romana del tempo bisogna, dunque, considerare la persecuzione antonina in atto e rilevare che la gerarchia ormai è separata da quella orientale, controllata dall’auctoritas imperiale, e che, quindi, va verso la propria autonomia ed identità, dopo la ricerca, conseguita dell’apostolicità,nel nome di Pietro e di Paolo: è un periodo poco chiaro del cristianesimo che vive in Roma clandestinamente!.
C’è, dunque, un tentativo da parte antonina di conservazione della fides antica, quasi una reazione ai culti magico-mistici orientali , specie da parte di Marco Aurelio, molto religioso nei confronti del pantheon politeistico romano e di Giove Ottimo Massimo, secondo la tradizione come si vede in I pensieri (Cfr- Marco Aurelio, I pensieri, a cura di Maristella Ceva, Mondadori,1997) secondo anche A. Fraschetti (Marco Aurelio, cit) ottimo nel rilevare la situazione storica nei vari aspetti (politici, sociali, finanziari) e nella ricerca del vero volto del filosofo basileus, Marco Aurelio…
Ora, concludendo, si può dire che l’apostolos, l’inviato da Gesù in tutto il mondo a predicare il vangelo (Marco 16,15,) e a diffonderlo tra il volgo in quanto Diadidous, diventa in epoca antonina un personaggio equivoco,ambiguo come tutti gli orientali, portatore di novitas, e quindi retorica, stregoneria, bugia…
Secondo Matteo 28,19), Giovanni ( 20,21) ed Atti degli apostoli (1,4-14) Gesù inviò per mezzo di loro da Oriente fino in Occidente il santo ed incorruttibile annuncio della salvezza eterna/ dia autoon to ieron kai aphtharton khrugma ths aiooniou soothrias-..
Come si esplica la missione?! Chi può dirlo realmente.
Proprio il santo ed incorruttibile annuncio della salvezza eterna nel secolo della comunicazione antonina, è espressione non di amore praticato ( o di praxis che realizza la theoria adi caritas), ma di un falso parlare di to mysterion, mediante to paradoxon, di predicare un Christos risorto per dare elpis/speranza alle plebi fameliche, bisognose di inganno!.
La resurrezione di Gesù con la resurrezione dei corpi sembra, ancora oggi, anche per molti sacerdoti, cattolici, che sia la cosa più strana che la fede cristiana chiede di credere.
Da ragazzo, ho letto un qualcosa di indefinito e di incerto nel volto, nello sguardo, negli atti (perfino nei vocalizzatori e nei metaatti ) di sacerdoti di grande fede, come momenti di sfiducia nel Signore, di fronte al male o alla natura, quasi coscienti di non essere né sale del mondo né luce per l’altro.
Ho notato spesso nell’ onesta faccia montanara di Don Giovanni Marcozzi, nella gioiosa partecipazione, commossa, alla vita del prossimo di Don Roberto Pelletti, nella razionale doctrina di Don Luigi Della Torre e nel disprezzo di sé, in un dono verso i derelitti, di Don Vittorio Guidotti, un vangelo d’amore, praticato, molto migliore di quello antiocheno di Paolo, uomo anche lui di menzogna, portato al paradosso.
Nei tratti nobili di sua eccellenza Monsignor Ambrogio Squintani ho rilevato talora la difficoltà del suo apostolato nel Piceno, pur nella certezza della sua abilità oratoria, mentre nelle gravi omelie e nelle pacate rarissime lezioni ho colto la fermezza iconoclastica, con durezza, contro le immagini dei santi, venerate dal popolo, e la cosciente incapacità di frenare e di arginare la cattiva amministrazione, diocesana, di prelati opportunisti, data la sua metheoria letteraria.
Solo nella “pazzia “francescana, nell’ilarità puerile del vecchio Don Enrico Monti ho visto quello che Gesù l’ebreo non può aver fatto, né pensato né detto, né come Christos, né come Figlio del Pathr, ed ho interiorizzato un cristianesimo, non formale ma spirituale, basato sul vivere coi bisognosi, sull’ amare l’altro senza pensare a se stessi, sul donare continuo (anche un sorriso), senza attendersi ricompensa, da nobile, sulla metodica partecipazione al lavoro del fratello vicino.