Ma, Gesù, chi veramente sei stato?
Fare luce su Jesous Christos Kurios per me è stato l’assillo della vita da quando bambino recitavo le preghiere e non capivo ciò che dicevo in latino, da quando mi dissero che Dio si riposò il settimo giorno ed avevo la domenica come giorno festivo e non il sabato come era scritto nella Bibbia, da quando mi parlarono di un Gesù falegname che, però, era rabbì, e predicavano un Dio Veterotestamentario creatore crudele e selettivo e un Dio Neotestamentario Padre buono e misericordioso, da quando cantavo Deus Sebaoth/ dio degli eserciti, poi cambiato in Dio dell’universo.
Capire un Dio come quello del Vecchio Testamento, spietato, il dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe e poi di Mosè, della Legge, di David e dei suoi discendenti, divenuto poi Dio sacerdotale, proprio del prescrittivismo di Nehemia e di Esdra e infine un Dio nazionalistico, costitutore di un messianismo escatologico, sviluppatosi in senso contraddittorio (asmoneo, romano-erodiano, antiromano e filopartho, templare fino al 70 d.C. ed antiantonino) contrapposto quasi a quello Neotestamentario, è stato difficile.
Capire il piano salvifico (oikonomia della salvezza) di un Dio che inviò il figlio unigenito sulla Terra a farsi uccidere dai romani, nemici del suo popolo, prediletto,per riscattare col suo sangue il genere umano dal peccato, grazie alla sua resurrezione, per me è stato sempre un assurdo, non un mysterion (come quello, Trinitario, e come quello di una vergine – madre) specie dopo che ho appreso qualche lingua antica e ne ho fatto forse un buon uso.
Un assurdo! un qualcosa che è non conforme a ragione e a logica!
Ho rinunciato a capire il fatto religioso in sé e non ho voluto pensare neppure ad idee sottese alla fede e nemmeno ai temi generali sull’uomo e sulla natura: ho voluto ricostruire un uomo nuovo sul piano concreto e realistico ed ho voluto vivere secondo natura e ragione, in modo classico, secondo il lavoro, mettendo insieme la quotidianità prima del pensiero, prima dell’ideazione.
Mi sono tassativamente precluso, inizialmente, ogni argomento e di Filosofia e di Teologia, desiderando fare un percorso terra terra, prima di razionalizzare, senza essere filosofo o teologo, temendo ambedue le posizioni, come sovrastrutture di pensiero: per me chi pensa non ha fede, chi ha fede non pensa e chi non pensa e non ha fede lavora e costruisce realmente, mettendo un mattone dopo l’altro (mi si perdoni la metafora della costruzione) ordinatamente con continuità, con tenacia e secondo precise regole professionali e lascia un segno del suo passaggio (non importa quanto grande e quanto piccolo o se insignificante).
Ho voluto, così vivendo, storicizzare effettivamente (historein) e comprendere il sistema di vita greco, quello romano, quello romano- ellenistico e con esso la politica, il diritto, il commercio, la societas, il mondo maschile e quello femminile e la funzione della religio classica.
Ho voluto capire la tipicità del popolo giudaico e la sua peculiarità religiosa e quindi studiare la classe elitaria sacerdotale e il sistema biblico, seguito nel corso dei secoli fino all’epoca romana e le necessarie e opportunistiche forme di adattamento, a seconda delle dominazioni, in un tentativo di conservare la legge patria e il suo monoteismo.
Da qui la necessità di rilevare le differenze e le diversità del sistema razionale e naturale, rispetto a quello giudaico palestinese ed aramaico, esclusivamente religioso, per penetrare nella cultura ellenistica del periodo del primo cristianesimo, dell’epoca giulio-claudia.
Così facendo, ho operato solo storicamente ed ho lavorato impegnandomi a tradurre autori classici, di norma citati dai compilatori di storia, ma effettivamente poco conosciuti come testo, dopo aver fatto critica testuale, avendo acquisito buone abilità di lettura, non solo dei codici, ma anche dei messaggi: è stato questo un lungo esercizio, che ha autorizzato una nuova comunicazione e un nuovo rapporto con l’altro (dopo educazione e formazione paritaria).
Ed allora ho dovuto molto soffrire perché solo se rimanevo sul piano informativo avevo, pur con qualche equivoco di trasmissione, un regolare rapporto sulla base di una normalità di lessico e di una convenzionalità linguistica, al di là della personale cultura.
Non era possibile una reale comunicazione come trasmissione di pensiero e di idee in quanto l’altro capiva solo quello che voleva capire e non era in grado di leggere, dopo l’ascolto, correttamente l’enunciato altrui perché non educato sul piano lessicale morfosintattico e semantico, anche se scolarizzato e perfino laureato e perché cadeva in equivoco, dopo pochi termini, fraintendendo subito, anche perché impegnato già nella risposta, ed essendo incapace di una decodificazione e di una precisa denotazione, tutto preso emotivamente nel suo personale pensiero.
Ne derivava che non c’era un reale rapporto, cioè un scambio reciproco di munera doni (cum e munus questa è l’etimo di comunicazione) tra due elementi paritari (emittente e destinatario) che vogliono dirsi qualcosa di nuovo in una situazione determinata, in un preciso contesto, utilizzando la lingua ufficiale, senza disturbi palesi nel canale, volendo ambedue la soluzione di un problema comune.
In un’ Italia dove il 71 % dei cittadini non sa leggere correttamente un articolo, un giornale e tanto meno un libro, non è possibile quindi comunicare qualcosa di nuovo sul piano storico ed è, direi, impossibile fare un punto situazionale, in senso religioso o toccare un argomento religioso, in modo critico: tutto è fede, tutto è un credo intoccabile: per i cristiani, poi, anche se non praticanti, non bisogna parlare male dei santi e tanto meno toccare la figura di Cristo.
I cristiani sono come Pietro l‘Aretino (secondo l’epitafio di Paolo Giovio): di tutti disse male fuorché di Cristo, scusandosi col dire: “non lo conosco”.
Il cristiano cattolico non legge la Bibbia né i vangeli, ma li sente settimanalmente in Chiesa, se ci va, e crede ripetendo quanto ha appreso prima e dopo l’infanzia, senza razionalizzare.
Per lui pensare è credere, praticare la filosofia è una via per la Teologia, sottoporre la ragione al mysterion.
Neanche si pone il problema che essere filosofi esclude essere teologi.
Perciò, per anni, mi sono tenuto lontano e dai cristiani e dai filosofi e dai teologi: conscio di avere un lessico diverso e un’altra lingua, pur parlando la comune lingua nazionale, ho preferito, data la non conformità dei contenuti e dei referenti, non parlare affatto.
E se parlo, ho colloquiato, rimanendo sul piano informativo anche con i componenti, pur laureati e professionisti, della mia famiglia e con i miei amici e paesani.
Solo in questi ultimi anni sto parlando con altri ma solo quando ho una risultanza sicura di lavoro e trasmetto le risultanze, dopo lunghe operazioni pratiche, tanto da poter dire che parlo solo se ho già fatto, se cioè ho costruito qualcosa e sulla base della costruzione, cerco di formulare tecnicamente per poi spiegare quanto ho disposto in ordine con un preciso lessico ed ho selezionato come pensiero, passando dalla prassi alla teoria.
Ho operato allora solo su problemi concreti, di vita quotidiana e di lavoro umile e popolare oltre che di argomenti di politica e società romana e greca, studiando attentamente gli usi e i costumi, il tipico modo di vivere di un pater familias, l’economia di una domus, per definire il suo oikos, il sistema matrimoniale, le parentele, il sistema statale l’organizzazione civile e politica, il sistema viario romano, quello militare e portuale, quello dei pesi e delle misure e delle monete, il fisco e l’erario, il modo di costruire romano e romano-ellenistico e tutto il sistema medico, quello poliorcetico, banausurgico scientifico senza trascurare le artes liberales in un tentativo di comprensione della funzionalità delle singole strutture, in un rilievo degli archontes e delle communitates: ho dato così referenza reale al mio pensiero che quindi non è rimasto solo sul piano significante–significato ma ha avuto concreti valori ideologici.
Non ho fatto spettacolo: per la trasmissione di pensiero è stato un male ma è stato un bene per la comprensione effettiva dei fatti storici: se avessi trasmesso tramite visione spettacolare tramite cinèmi segni in movimento visivo avrei dato immagini diverse dal reale proprio della teoria e dello spettacolo; se avesse cinematografato la storia non avrei fatto storia ma avrei dato l’immagine della storia, la cui comprensione si è verificata avendo materializzato e referenziato ogni suo contenuto in modo anche operativo.
In altra sede è da fare questa precisazione, per ora l’aver fatto confluire in me, soggetto, studioso, la cultura delle artes liberales, aristocratiche e quella delle artes sordidae, popolari, ha determinato una nuova acquisizione ed un’ humanitas propria, con un’altra lettura dei codici e della tradizione letteraria e culturale.
Insomma ho lavorato non solo in senso liberalis ma anche sordidus secondo le artes della nobiltà e della manovalanza in modo da cogliere il valore delle masse popolari e con esse il significato reale delle mensae (trapezai- banche) degli operatori finanziari ed economici e i trasferimenti di capitali e le costituzioni di apoikiai/colonie nel Mediterraneo e il fermento reale dei porti, dei mercati e le differenze tra colonie fenicie, greche e giudaiche.
Ho così fatto emergere la vita di un popularis, vulgaris, quella di un eques o di un patrizio, le carriere politiche e contemporaneamente quelle dei militari con gli stipendi, rilevando la potestas di un pater familias, di un legatus, di un augure di un aruspice di un pontifex maximus. Insomma ho cercato di vedere la realtà di una quotidianità di vita romano-ellenistica per la comprensione dell’epoca imperiale e la diversità da quella aramaica dal confronto stesso delle lingue e dei loro significati in relazione a lemmi diversi, ma equivalenti o equipollenti, dello stesso periodo storico.
Nello stesso tempo ho voluto far vedere il sistema di vivere diverso di un giudeo aramaico e di un giudeo ellenista, facendo un preciso confronto di vita quotidiana, rilevando il sistema agricolo del primo, collegato col mondo partho e quello commerciale del secondo, connesso con il kosmos romano e con la domus augusta.
Il primo è fenomeno tipicamente palestinese e partho, mosaico, legalistico e sacerdotale, comunitario (Qehillà ed ‘Edah) secondo la lettura dei targumim (spiegazioni della Bibbia masoretica) propria della musar/cultura aramaica, l’altro è fenomeno ellenistico costituitosi in relazione alla potenza sacerdotale degli oniadi di Alessandria (proseuchai e didaskaleia) e al politeuma giudaico alessandrino,.
Il primo è integralista e chiuso nel suo sistema legalistico, antiromano, in lotta perfino con gli stessi confratelli scismatici; il secondo è filantropico ed aperto alla novitas, e da esso è partita la colonizzazione di tutto il Mediterraneo in senso trapezitario e commerciale, conformato al sistema di vita ellenistico, in un tentativo di integrazione sociale metropolitano del giudaismo che, in lingua greca, ha volgarizzato i concetti platonici fusi col Pentateuco, dopo la traduzione della Bibbia ad opera dei Settanta e dopo una strana sincresi culturale ad opera di dottori della legge, ellenizzati, anche se ligi alle regole della lettura biblica secondo i parametri comuni del fariseismo, (interpretazione dia sumbulon-allegorica) in senso antisacerdotale gerosolomitano del sistema letterale sadduceo.
Ho così scritto i tre libri (due pubblicati ed uno lasciato incompleto) di Giudaismo romano, da cui è derivato il rilievo di una guerra bisecolare tra il Kosmos romano, di cultura commerciale ellenica, e la società di cultura parthica barbarica, insomma di una lotta di un popolo di frontiera che ambiva essere partho invece che romano e che, in nome di una comune religione, credo e lingua, rivendicava la sua appartenenza alla Parthia.
Ho potuto constatare in questo lavoro la lotta di un integralismo aramaico, ricco di figure di maghi goetes, di maestri sophistai, di sette (aireseis) anche armate, tra cui gli zeloti ( e poi i sicarii) che si opponevano a Roma mentre la pars dirigente (i capi protoi sia in senso sadduceo che erodiano) erano favorevoli ai romani che avevano dato uno statuto ai giudei palestinesi, in una suddivisione tale da essere meglio dominata, specie dopo l‘apographé l’iscrizione e la apotìmesis (pagamento delle tasse cioè dopo il censimento.
Nel contempo ho rilevato l’adesione e la volontà di integrazione del giudaismo ellenistico col sistema romano imperiale a cominciare dalla guerra Egizia di Giulio Cesare per tutto il corso della storia della famiglia Giulio-claudia, salvo il particolare momento caligoliano.
Il giudaismo, di lingua greca, aveva una sua cultura sincretistica, in cui aveva fuso un giudaismo farisaico tipico ed era servo di due padroni, l’imperatore e Dio, mettendo insieme cultura tradizionale mosaica e Platone, leggendo la Bibbia dei Settanta in modo originale e commentandola secondo linee, che oggi chiamiamo filoniane, cioè proprie della teoria allegorica di Filone di Alessandria, un discendente di Onia IV, capace di mettere insieme anche il commento ad Omero al fine di evidenziare la superiorità culturale mosaica e divina.
Ora i due gruppi di Giudei, quello aramaico e quelle ellenistico, avendo, dunque, due sistemi di vita opposti si evidenziavano nella pratica di vita: i primi erano morti di fame che vivevano di stenti e speravano in un capovolgimento totale della situazione che poteva verificarsi solo con la Venuta del Signore, del Messia che avrebbe fatto grande Israel e avrebbe fatto risplendere Gerusalemme e perciò attendevano in armi ed erano in continuo fermento, in una stasis/rivolta continua, appoggiati dai correligionari parthici; i secondi invece ricchi e dominatori di ogni forma economica in quanto detenevano il potere portuale in ogni città specie in Alessandria ed erano l’élite rispetto perfino ai greci e agli egizi. in ogni grande città orientale, dove costituivano l’elemento di innovazione e di progresso, ma erano odiati per la superiorità indiscussa della stirpe anche perché avevano la protezione imperiale.
Il dominio delle banche e degli emporia, il potere assoluto dei naucleroi appaltatori navali di origine ebraica nei porti, l’esazione delle tasse e per i romani e per il tempio, davano agli alabarca oniadi una superiorità indiscussa non solo sui giudei ma anche su tutti gli abitanti delle coste del Mediterraneo.
Il giudaismo ellenistico avendo il sicuro favore della domus augusta e quindi una civitas (politeia) tale da vivere come oggi gli ebrei negli Stati Uniti, doveva subire anche l’odio e i rancori dei popolari aramaici, che sputavano al loro passaggio come se fossero non ebrei specie nel periodo delle feste gerosolomitane quando entravano nelle loro sinagoghe, quando portavano le ceneri e le ossa dei loro morti nei terreni patri delle campagne circonvicine, quando ostentavano la ricchezza dei loro abiti o il lusso dei loro alberghi cittadini, quando facevano le elemosine o quando versavano mine nel gazophulakion e si pavoneggiavano nel recinto dei gentili: per gli aramaici tutto ciò che era ellenistico era male e la ricchezza sterco di Belial; per loro gli alessandrini come anche i cirenaici, i ciprioti e gli stessi antiocheni ed efesini e perfino tutti quegli ellenistici che avevano sinagoghe, xenodochia e cimiteri in città erano oggetto di odio al pari dei sadducei e degli erodiani che, da corrotti filoromani, corrompevano i puri e i giusti.
Ho scritto allora il volume sul Cristianesimo come religio derivata dagli ellenisti, costituitasi ad Antiochia, come comunità scismatica ebraica mista con pagani, staccata dai basileici, naziroi di Giacomo, che portava avanti il Regno dei Cieli, inserita nel contesto pagano del I secolo, secondo una lezione filoniana poi paolina, sviluppatasi prevalentemente in Asia minore e in Grecia, poi, dopo il periodo flavio in Alessandria e in Africa nel II e III secolo, praticata e corretta, in opposizione alle formule ereticali dell’adozionismo, del docetismo e dello gnosticismo, del donatismo, nel contempo della pratica comune predominante di riti politeistici, e poi, come religio licita dilacerata da skhismata e da erides, autorizzata in un sistema ancora pagano dominante ed infine come religio absoluta, trionfante, capace di imporre le sue leggi e il suo sistema religioso alle altre confessioni perseguitate e annientate (ebraismo, paganesimo ed arianesimo) sulla base dei decreti di Teodosio I, di Arcadio e dei figli (Teodosio II e Pulcheria) in epoca teodosiana prima e poi bizantina.
Dunque, il giudaismo ellenistico era parte inizialmente ben integrata nel tessuto del corpo romano in senso politico e sociale, economico e finanziario grazie all’apporto degli oniadi di Alessandria che costituivano come un regno ebraico nel sistema romano, armoniosamente fuso con la politica romana cesariana, augustea e tiberiana, da cui era stata favorita nella sua espansione commerciale in uno sviluppo della tzedaqah, intesa come caritas cioè atto di giustizia verso il fratello.
I giudei ellenisti, essendo di cultura del tutto opposta ai barbari aramaici, avevano però, nella propria cultura ellenica una contraddittoria posizione che, da una parte, li legava al sistema romano e, da un’altra, alla madre patria, al tempio e a Gerusalemme anche se erano scismatici ed avevano un proprio tempio a Leontopoli: il loro ebraismo era certamente superiore alla filoromanità, come dimostrano nell’epoca di Caligola – che li inquisisce, li rende apolidi atimioi, e quindi inquilini, senza diritti civili, abbandonandoli alle rapine dei greci e degli egizi alessandrini nel 38 d. C. – e nella politica antipalestinese imperiale della Neoteropoiia e dell’ Ectheosis. Siccome essi avevano il testo della Bibbia in Greco, avevano anche maestri/didaskaloi, che leggevano in greco e che creavano un’altra legge mosaica come loro lettura simbolica della lettera del Testo e si opponevano alla Bibbia masoretica, la cui lettura ad opera dei sopherim/ dottori, dava risultanza diversa, di cui i targumim erano forme prescrittive, che si traducevano in opposizione agli ellenisti e al mondo romano, considerato intruso ed indegno di calpestare il suolo sacro di Sion.
Gerusalemme e il suo tempio erano, però, un immenso affare per Romani ed ellenisti che, quindi, cooperavano con i sommi sacerdoti e creavano le basi di una reale solidarietà, che, invece, venne rotta dagli aramaici e dai seguaci di Giacomo fratello di Gesù, considerati negativamente da Flavio (Lestai, zeloti, sicari).
Avendo tradotto Filone (opera omnia), Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche) e Clemente Alessandrino (Stromateis, I) ho necessariamente fatto critica testuale e quindi ho operato sul testo greco sia filoniano che flaviano, che clementino, dopo aver lavorato sui diversi contesti ed epoche ed ho rilevato continue modifiche, aggiunzioni e interpolazioni varie, anche perché inizialmente ero alla ricerca del vero testo del Padre nostro di Matteo e di Luca (considerata la differente lunghezza testuale) e dei termini esatti detti dal Signore, i Logia, secondo quanto si diceva che Matteo avesse originariamente trascritto, come tachigrafo, in aramaico, secondo Papia di Ierapolis e poi secondo la lezione tramandata da Panteno, che li aveva ritrovati integri in India.
Di questi logia si hanno forse anche in Marco (10-15) delle porzioni, teoriche, unite ai fatti del viaggio a Gerusalemme di Gesù, della sua entrata in città, del possesso implicito del tempio e del Malkuth sotteso, della reazione sadducea dopo forse 5 anni di predominio parthico (18 ottobre 31- Pasqua 3 d.C.) e del nuovo assetto politico cittadino e della passione e morte del maran- melek-Basileus, a seguito del ritorno del legittimo governo romano.
Il lavoro di critica testuale è sempre un gran busillis ed è un’operazione complicata anche per una normale poesia e per la valutazione di un poeta o di uno scrittore, figuriamoci su un testo sacro come Bibbia o come i Vangeli.
Fare critica testuale e fare lettura del sacro come interpretare e fare esegesi è un compito a cui bisogna prepararsi fin da ragazzi, avere perizia tecnico-formale e abilità semantica, conquistate dopo lungo esercizio, a cui bisogna essere educati e formati in modo specialistico ed avere plurime competenze, non solo quelle linguistiche e storiche, ma anche paleografiche ed epigrafiche in genere, anche se non bisogna essere necessariamente doctores in sacra pagina ed aver superato gli esami di baccellierato secondo il sistema esegetico medievale: si può fare a meno dell’ispirazione dello Spirito Santo,non ci vuole la conoscenza dei Padri della Chiesa e neppure la preghiera serafica (cfr. angelofilipponi.com, esegesi biblica).
Non è neanche il caso che mi addentri sul sistema semantico, centrato sul significato (collegato col referente) che è, comunque, un lavoro complesso di ricerca, prima sul testo e sulle epoche di scrittura e sui passaggi del sistema di tradizione, poi sul sistema specifico di scrittura sul piano grafico, non solo sull’ordo grafico delle lettere (data anche la scarsa preparazione degli amanuensi specie occidentali (esempio quelli di Vivarium di Cassiodoro) rispetto a quelli dei didaskaleia di Alessandria e di Cesarea di Cappadocia: sto parlando di perizia tecnica di uno scriba nel servirsi di papiri o di pergamene, di tipi di scritture (onciale maiuscolo o minuscolo) di differenze sul sistema grammo- morfo-sintattico, diverso, a seconda delle epoche di letterarietà delle scuole orientali, in senso paleografico.
Non si possono nemmeno paragonare le scuole orientali di trasmissione con quelle occidentali in epoca bizantina, come nel Medioevo non c’era paragone tra gli scriptoria arabi ed ebraici, quasi simili, e quelli cristiani ancora barbarici, sia quelli benedettini che quelli di Cluny che di Citeaux, sul piano dell’espressione (una lettera di Bernardo a Pietro il Venerabile svela la chiara inferiorità culturale cristiana proprio nel rimprovero fatto al cluniacense di invitare elementi estranei, di superiore cultura pericolosi per la loro fede): Le operazioni sul codice dei primi sono di estrema fedeltà, quelle dei secondi di grande provvisorietà, per non dire, di massima infedeltà, considerato il dogmatismo religioso e il fanatismo barbarico integralista cristiano.
C’è un abisso culturale tra la civiltà araba ed ebraica, coesistenti e conviventi liberamente, da una parte, e quella cristiana, tetragona nelle sue certezze teologali, da un’altra, ancora nel XII secolo.
Insomma ritengo che in un lavoro testuale solo un’operazione unitaria, che tenga presente il piano espressivo e quello dei contenuti possa conseguire qualche risultanza tale da autorizzare un successivo lavoro condotto allo stesso modo in un sicuro padroneggiamento di quel codice, in cui il testo è scritto per dare quel significato reale, oggettivo, scientificamente tuzioristico, che è quel determinato messaggio veicolato con quel preciso lessico in quel particolare momento storico.
Eppure, nonostante gli sforzi, pur essendomi logorato nel corso della mia vita non sono – devo confessarlo – arrivato a qualcosa di effettivamente concreto e certo: infatti ad una spiegazione probabile tecnica può seguire un’altra non meno probabile anch’essa possibile e quindi facilmente contrastata da avversari: non ho in mano nulla , dunque, di certo anche perché bisogna ricostruire la situazione di partenza di scrittura e quella di manipolazione, quindi rilevare attentamente e contemporaneamente due particolari momenti storici, con due diversi significati, sottesi al medesimo testo o al testo alterato (cosa non facile a farsi, dato il grado di preparazione grafica dei copisti diverso a seconda delle situazioni storiche vista a volte la professionalità dei copiatori e a volte la loro ignoranza congiunta a malafede).
Di conseguenza sono stato sempre costretto a tenere presente un testo, ma a vederne anche un altro possibile, in una determinata situazione e poi a leggerne un altro in una situazione politica successiva, in cui c’era stata la probabile aggiunta e interpolazione: con una certa sicurezza: comunque, si potrebbe dire che né la Bibbia né i Vangeli sono ispirati dallo Spirito santo e che la figura di Jesous Christos Kurios è costruita (cfr. Christopoiia e Theopoiia di Gesù) sulla base di una reale esistenza di un uomo saggio/ anhr sophos, di professione tecton, non rabbi, che fece azioni miracolose erga paradoksa e che fu denunciato e consegnato ai romani, dopo aver attuato per breve tempo il Malkuth, come maran favorito dall’elemento partho, a seguito di una ribellione antiromana che distaccò in epoca tiberiana la regione dall’imperium.
Ed inoltre ritengo che a poco valga il parlare di ispirazione, sul testo originale, dello Spirito Santo (una Persona della Trinità da definire nella sua ousia/entità!) quando non si ha il testo originale, ma si hanno solo copie differenti, contrastanti, interpolate o rimaneggiate, espressione di precise umanità individuali di epoche diverse.
Dunque, non essendoci una certezza di testo iniziale, non è facile neppure vedere la interpolazione o le differenze o le discrepanze tra i testi evangelici che, comunque, sono tutti differenti e tipicamente umani e, perciò, rimandano a ben diversi momenti storici, a proprie culture e a specifici registri e non hanno alcuna comune valenza unitaria, se non quella data da varie mani a cominciare dal II secolo, in una continuità di aggiunzioni e di soppressioni a seconda delle necessità culturali dell’epoca.
Dunque, il testo in epoca Flavia aveva un suo significato, in epoca Antonina un altro, in epoca Severiana un altro.
Inoltre l’interpolazione, la soppressione e l’aggiunzione erano diverse a seconda del periodo di vita cristiana in un habitat pagano e diverso era il rilievo in relazione alle correnti letterarie e culturali di una civiltà politeista in fermento e tesa verso un misticismo sincretistico: ogni cambio di termine era in funzione o ad eresie interne al giudaismo o al cristianesimo stesso, in una difesa di una figura già santificata e idealizzata secondo i canoni paolini cioè di un Christos venuto sulla terra, mandato dal padre per liberare l’uomo dal peccato originale, morto e risorto per la nostra stessa futura resurrezione, dopo il suo ritorno; il telos era quello di aver un modello da imitare e da seguire nel breve percorso terreno di vita, in attesa di un premio eterno dopo la resurrezione finale.
Perciò mi sono sentito spesso inadeguato al lavoro e del tutto stupido a voler portare avanti un discorso così complesso, così superiore alle forze umane, per di più velato ed oscurato nel corso di tanti secoli col concorso di tante migliaia di uomini (e donne) di fede irrazionalistica e di asceti desiderosi di un premio eterno, promesso da un uomo-dio venuto sulla terra per la loro redenzione, offertosi come modello di virtù nel fare la volontà del Padre, somma perfezione.
Un lavoro continuato per secoli fatto da uomini – che, in buona fede, hanno operato per il bene della Chiesa, sacrificando la propria vita, cercando una santità di vita – diventa un inaccessibile monte, di cui le Meteore, l’Agion Oros, il Vaticano sono solo una manifestazione, con un enigma mostruoso, non decifrabile.
Non è opera di un uomo poter districare il grande intreccio culturale e letterario di molti secoli; ci vorrebbe un’équipe di specialisti – associati ed operanti insieme per generazioni – che, ben coordinati, potrebbero forse cavare un ragno dal buco! ma sarebbe anche un’impresa pazzesca che potrebbe aver successo solo se ci fosse continuità di studi e di indirizzo (e di potere politico) per secoli!
Perciò, spesso mi sono definito pazzo nel mio lavoro e ho considerato inutile la mia competenza, sterile il mio tentativo, sprecata la mia fatica, come quando, facendo un muro di grandi dimensioni non arrivo mai alla fine e vedo solo parziale realizzazione di un segmento operativo, pur avendo in mente il quadro di insieme: solo dopo anni vedo la realizzazione conforme, data la continuità e la tenacia costruttiva nonostante la lentezza di costruzione, relativa all’unicità del mastro (cfr. eBoook Narcissus, Mastreià, 2011)!
Comunque, sono quasi certo che il Cristianesimo Primitivo era fenomeno insignificante e non registrabile nei confronti del giudaismo e della stessa corrente basileica, naziroa, giacomita, attiva in epoca neroniana fino alla fine della guerra 66-73: Sembra che la parabola del chicco di senapa e l’episodio del fico senza frutto siano da leggere in relazione al ritorno del figlio dell’uomo quaranta anni dopo (- una generazione secondo la Bibbia-) (Mathete thn parabolhn Mc., 11,12-14; e 13,28-32) secondo l’interpretazione di Christianoi di epoca antonina.
A mio parere il cristianesimo antiocheno ha un suo elementare significato culturale iniziale e pochissimo rilievo nel quadro del giudaismo (che comprende la linea diretta dei naziroi basileici), ed è ancora poca cosa, nonostante la predicazione scismatica di Paulus-Shaul, elemento di grave disturbo dottrinale, però, sotto controllo da parte degli ellenisti giudaici e da parte di Giacomo e del giudaismo ortodosso, che, dopo richiami verbali e punizioni corporali e la stessa lapidazione, fallita, a Listra, accettano 40 uomini congiurati per ucciderlo, disposti a sacrificare la propria vita.
Fino al 58 d.C. Paolo e i christianoi erano strani timorati di Dio, che si congiungevano troppo con i gentili ed erano ancora accolti nel Tempio, quindi erano considerati giudei ellenisti, ancora accettabili secondo la legge e quindi avevano in comune la sinagoga ebraica e, dopo la protezione romana ed erodiana e l’appello a Roma del cittadino romano tarsense, in Occidente, forse si attuò qualche cambio o innovazione rituale: solo dopo la distruzione del tempio, nel periodo di Tito e Domiziano, si ha una qualche novitas comunitaria, tipica di christianoi, il cui pensiero è quello platonico filoniano, con la mediazione sincretistica paolina.
Si tenga presente che per di più il cristianesimo è suddiviso già in tante eresie in relazione alle località anatoliche in cui è attecchito o in alcune città portuali greche o ioniche, dove sono irrilevanti sia come numero che come entità sociale.
Due erano le correnti predominanti nel mare giudaico, alla fine del periodo flavio: quella basileica intorno a Giacomo e poi ai suoi discepoli (che portavano avanti il malkuth ha shemaim in attesa del ritorno di Gesù e con questa speranza alimentavano odio e volontà di rivincita contro i romani prima e dopo la distruzione del tempio fino all’insurrezione dell’epoca di Traiano e alla Galut ebraica al tempo di Adriano) e quella paolina ed apostolica che, dopo essersi separata dalla sinagoga giudaica aveva sintetizzato superficialmente un pensiero filoniano, derivato dalla lettura della Bibbia dei Settanta, con l’aggiunta di una Nuova Cena pasquale e di un nuovo Sabato nel giorno della Domenica, con riti misti ellenistici, in una rievocazione della morte e della resurrezione del fondatore Christos, uomo-dio risuscitato dai morti dal Padre.
Il giudeo aramaico nel periodo antonino, dopo Adriano, era scomparso come dissolto nell’impero, rimaneva solo di quanto era giudaico qualche nobile giudeo ellenistico che non aveva più alcun rilievo anche se qualcuno aveva una sua personale auctoritas (Jehudah ha Nasi) nella corte antonina, ma ormai il mito commerciale oniade si era concluso, proprio quando cominciava la sua affermazione una sua radice cristiana, uscita con una certa sicurezza dai contrasti interni ereticali, specie con lo gnosticismo, che venne subito perseguitata da Marco Aurelio.
L’azione di Marco Aurelio è chiara nel 177- 8 e fa i primi veri martiri a Lione, nel Ponto ed altrove, ma la motivazione è militare in quanto i cristiani (molto suddivisi) sono renitenti alla leva, professandosi elementi di un altro Regno a cui aspirano tornare subito, e cercano fanaticamente la morte, proprio in un momento di grave crisi economica e di attacchi barbarici ai confini danubiani. (cfr. Giudaismo romano III)
Perciò lavorando sul piano storico e sulla ricerca di fonti originarie non ho voluto leggere il messaggio di amore giudaico-cristiano poiché rilevavo sempre stragi guerre sedizioni attacchi da una parte e, da un’altra, un’azione commerciale con volontà di kerdos, ophelos e soprattutto l’opportunismo ebraico, in un sistema politico e militare di grande ferocia, barbarico, e mi sono impegnato in minimi lavori sul nome di Gesù, sugli uomini del suo tempo sia giudei che romani che partici, sugli attrezzi del suo mestiere, sui luoghi dove era stato, dove aveva fatto le sue possibili costruzioni, sul gazophulakion, sulle trapezai ellenistiche, su sopherim,/sophistai, sulle monete dell’epoca sui guadagni degli operai, sulle comunità ebraiche.
E mi sono arrovellato a tradurre, a mettere note e a commentare per la comprensione di qualche secondario elemento della storia di quel periodo.
E per meglio operare ho ridotto il tempo o l’arco di tempo di indagine come se fosse quello centrale per l’uomo e mi sono documentato, come meglio ho potuto, con i mezzi a mia disposizione, scarsi, per capire se era successo veramente qualcosa tra il 18 ottobre 31 e la primavera dl 36 d. C.(cfr. Jehoshua o Jesous?, Maroni,2003)
Con metodo ho letto la storia, non solo romana in latino e in greco ma anche quella giudaica e quella parthica servendomi di molti fonti e ho zumato sempre sullo stesso periodo facendo spostamenti tematici a ritroso verso il periodo augusteo e quello repubblicano da una parte e verso Caligola Claudio e Nerone, da un’altra segnando anche le vicende del regno parto e di quello Nabateo, rilevando contemporaneamente tra i diversi giudaismi due forme operanti nel mondo romano, una transeufrasica in territorio partho, seguendo le varie comunità giudaiche e poi giudaico- cristiane e infine solo quelle cristiane nel corso dell’impero Flavio, antonino, severiano e della decadenza fino a Diocleziano e all’epoca dei costantiniani e poi dei teodosiani, .senza trascurare la nuova costituzione e le nuova forza dell’impero persiano dopo la fine di quello parto, come oppositore alla potenza romana.
Così facendo, ho rilevato nel Cristianesimo due Regni, di cui ho fatto la diversa storia uno il Malkuth ha shemaim fino al 135 d.C., l’altro il Regno di Dio, per come si è configurato in epoca gnostica, e come si è formato in varie situazioni, in relazione alle direttive imperiali, a seconda delle persecuzioni del III secolo e di quella dei primi anni del IV secolo, come avendo avuto fortuna di sopravvivere fino a Costantino, seppure suddiviso in molte e contrastanti eresie, unificatosi dopo la grave crisi ariana, ha avuto pieno potere e quindi ha conseguito un suo status formale, dopo aver creato Christos Theos, la Trinità e migliorato le forme cultuali, grazie al favore imperiale e all’uso dei templi pagani cristianizzati e alla persecuzione e degli ebrei e degli eretici e soprattutto dei pagani.
Ma seguendo questo processo storico è d’obbligo la lettura di apologisti e padri della chiesa: questi si copiano e si favoriscono a vicenda, creando un reticolo protettivo così perfetto che nessuno ormai può scalfirlo, e tentare di negare la storicità e il valore universale di tale religio costituitasi con il lavoro continuo di tante menti eccezionali che hanno operato al fine della supremazia del credo cristiano, in una lenta e progressiva rilettura del Vecchio e Nuovo Testamento codificato e ricodificato (se copia) a seconda della necessitas del momento, da cui dipendeva l’aggiunzione e o la soppressione al fine di chiarire o chiarirsi il problema testuale sorto.
Devo dire che la matassa giudaico- cristiana è così intrigata ed aggrovigliata che più si tira un filo e più si stringono i nessi ed è certamente più grande di ogni matassa aggrovigliata da me vista da bambino. Matassa sembra infatti derivare dal greco metaxa, seta ed indica il groviglio di fili del baco da seta, avente per un parlante italiano un convenuto significato di insieme di fili avvolti con l’aspo o a mano, ordinati e disposti in più giri l’uno sull’altro.
E ne ho visto tante di matasse! Ho visto anche quella matassa di lana di mia nonna, che noi bambini aggrovigliavamo volendo aiutarla a dipanare nelle rigide sere accanto al fuoco, dopo che si era fatta la tosatura delle pecore e la filatura e che le matasse dormivano nelle ceste, ordinatamente.
La grande cesta con le tante ordinate matasse era una comoda poltrona per noi nipoti che ci giocavamo dentro e tirando i fili ora di una matassa ora di un’altra creavamo un inestricabile intrico di nodi, un groviglio terrificante per la vecchia, al solo vederlo.
La nonna, dopo l’arrabbiatura iniziale, ci dava un paio di colpetti sulla gambe con la verghetta, propria della vergara e ci cacciava dicendo ad ognuno, severamente: va, bello di nonna, da mamma tua e poi, dopo torna: troverò io il bandolo!
Allora prendeva uno sgabello e si sedeva davanti alla cesta e diceva fra sé: come le ho fatte, così le dipanerò.
Noi bambini, dopo qualche oretta, tornavamo davanti al cammino grande, centrale, della casa e vedevamo la nonna, soddisfatta a sedere vicino al fuoco, che aveva “ricapato” tutte le matasse ed le aveva disposto ordinatamente ed aveva fatto tanti gomitoli ben ordinati e aveva riposto tutto nella grande cesta, messa sotto la tavola della cucina comune, con una scritta Guai a chi tocca! sotto quel tavolo, dove mangiavano insieme cinque famiglie: Nonna aveva riportato dagli Sati Uniti a Folignano, la terra di suo marito, le figlie che erano nate a Weheling (West Virginia) ed aveva un qualcosa di pragmatico nel suo operare funzionale.
Ora io ho smesso di tirare i vari fili di una matassa aggrovigliata da bambini (tali sono tutti i dogmatici!) per secoli, che più tiravano acqua al loro mulino e più serravano i fili e li aggrovigliavano, volendo dare spiegazioni tecniche nella loro non scientificità e nella volontà di scoprire la verità, rivelata da Dio, Spirito Santo, e siccome non avevano gli strumenti, più operavano e più la nascondevano, non avendo, oltre tutto, il testo originale ispirato.
Ora ho trovato (mi sembra, ma è Vero?) dopo oltre quaranta anni il bandolo della matassa, dopo tanta ricerca: è questo il premio a tanta pazienza! Ho avuto fortuna come la nonna Angelina.
Ritengo che la falsa attribuzione di Sophistes a Jesous Christos corrispondente a quella di Rabbi a Jehoshua Mashiah anche se aggiustata in senso divino e trinitario, ha in se stessa il bandolo della matassa da sbrogliare: se si falsifica il termine Rabbi/sopisths/didaskalos, mediante accertamenti e studi, cadono tutti gli altri aggiustamenti e tutte le operazioni di supporto fatte, non servono più tutte le aggiunzioni e non hanno più valore neppure le soppressioni o il non detto, o il sotteso, nel corso dei secoli.
A nostro parere, essendo stati costretti in molte riprese a fare aggiustamenti su grandi fronti, sulla divinità di Gesù e poi sulla Trinità e sulla natura umana e divina, sulla verginità della Madonna, sulla volontà umana e divina, non hanno fatto attenzione al termine Rabbi/sophistes fin dagli inizi e lo hanno lasciato in sospeso, non corretto adeguatamente, perché preoccupati di dare divinità a quel Gesù uomo, credendo che con la divinizzazione si completa ogni cosa e tutto si può aggiustare: i vari concili fatti erano in relazione al problema del momento e quindi anche essi non hanno tenuto presente Rabbi : un Dio è rabbi, ma non in Giudea, dove non può esserci un tale problema: JHWH è ed è ineffabile!
Non ho messo il soggetto dei vari enunciati, lasciato indeterminato come è stato indeterminato il tempo, il luogo e i tanti nomi di coloro che hanno operato, sofferto sacrificato la stessa vita per il bene della Chiesa e ne hanno avuto onori gloria e riconoscimenti nel corso della loro esistenza e dopo morte la corona della santificazione come riconoscimento dell’ottenuto premio eterno paradisiaco!
A tanti beati, bambini, noi abbiamo opposto una razionalità adulta mai convinta di sé, sempre incerta e dubbiosa.
Ora solo osiamo pensare di aver forse capito qualcosa e di aver forse sbrogliato la matassa aggrovigliatissima.
Noi insomma riteniamo che, se si toglie al rabbi Gesù la qualifica indebita della professione di Rabbi come propria apposizione, ed indichiamo la sua reale professione di mastro/tektoon /falegname/ architetto/ Kain, su cui possiamo anche discutere, non si può dire niente di quello che abbiamo detto per secoli sul personaggio Gesù: si sfilano i vari fili della doctrina cristiana, venendo meno i capisaldi della cristianità, crollando tutta l’impalcatura e la copertura fideistica, mentre rimane soltanto l’impostazione giudaico-ellenistica.