Una personale conclusione sulla storia del Cristianesimo
ed una riflessione sull’Islam
di ANGELO FILIPPONI
Questa conclusione è la risultanza di Il Giudaismo Romano, opera storica inedita in 3 volumi: I La repubblica Romana: da Giuda Maccabeo ad Erode il Grande;II Augusto ed Erode e i suoi figli fino al regno di Erode Agrippa 41-44 d.c.; III Dal regno di Claudio (41-54) fino ai Severi (Alessandro Severo 222-235).
La nostra fede cristiana ha una vera base storica?
Questa domanda mi ha assillato per decenni ed ho in cuor mio sempre sperato di poter rispondere affermativamente.
Ma dopo una lunga ricerca, dopo tante traduzioni e vari studi specialistici, fatti per di più in assoluta solitudine, devo proprio confessare che scarso è il valore storico del cristianesimo.
Il mio giudizio è risultanza derivata da una somma di valutazioni intermedie , non una conclusione definitiva ,ma un parziale punto situazionale di uno studio, in una indagine storica ,al fine di precisare il tragitto fatto, come sintesi nodale, per la definizione puntualizzata in un dato momento della mia storia personale.
Il giudizio in itinere per me e per il mio metodo , non è mai esaustivo, ma sempre aperto, in quanto la ricerca procede e non è chiusa.
Ogni storico ha bisogno nel corso della revisione del proprio lavoro, se fatto metodologicamente, di tracciare i punti fermi del proprio pensiero per procedere nella ricerca , specie se c’è frattura con la tradizione : la necessità di una parziale definizione conclusiva , indicativa più per se stessi che per gli altri, è urgente per il prosieguo del lavoro in relazione all’orientamento generale sulla base delle scoperte scientifiche e agli adattamenti utili , richiesti dalla situazione reale conoscitiva nuova.
La valutazione complessiva storica , seppure simile a quella di R.Bultman (1884-1976) e di R. Schnakenburg (1914-2002) e anche di M. Hengel (1926 vivente) come ho rilevato in altra parte della mia opera ,è però molto differente : storicamente per me la figura di Gesù cristiano è diafana ,esangue, quasi vuota, e per questo lo stesso cristianesimo (che ha assunto e preso consistenza molto tardi ,rispetto ai primi due secoli , in cui è , dapprima, forma scismatica giudaica e poi eresia , precisatasi e venuta fuori dal magma nebuloso dello gnosticismo, per diventare, infine ,la Grande Chiesa), risulta falsato, equivoco,costruito .
Per la comprensione, comunque ,di tale giudizio e per la sua chiarificazione ritengo opportuno precisare cosa si intenda per valore storico e per cristianesimo e preliminarmente definire il significato da me dato a vero così da eliminare ogni possibile equivoco.
Vero come corrispondente esatto della realtà o come sinonimo di certo, come cosa precisata ed accertata nella sostanza e nei fenomeni di accompagnamento propri ed impropri, definiti secondo aree semantiche dirette ed indirette , delimitato nelle forme e nei concetti secondo il criterio di logica, prefissato, è equivoco ed ha valore settario in relazione alla reale situazione storica ed in opposizione a quanto ritenuto falso , secondo l’ottica opposta della stessa tradizione linguistica e culturale.
Esso non ha mai valore universale ed oggettivo ma solo parziale e soggettivo
poiché relativo ad ambiti, a fatti e a storia e a cultura, oltre che ad interpretazione sulla base di punti di vista o prospettive .
Niente è vero ,assolutamente vero, di quanto si dice o si rileva come apparso : ogni cosa è solo quello che è, al di là della funzione specifica concettuale (di verità, utilità , bontà oltre la implicita qualifica ) relata al tempo e allo spazio .
Vero è ciò che è in quanto ha in sé in misura totale e in modo incontestabile le caratteristiche proprie del suo essere e della propria natura e quindi il termine è in relazione e connessione solo alla propria natura e non ad altro. Vero è in sostanza ciò che tipico in quanto ha in sé impresso e connaturato ciò per cui è , la cui identificazione avviene per contrasto, essendo difficile( se non impossibile) il rilievo della sua sostanza .
Verum è neutro, non solo come genere ,ma anche come valenza significativa : infatti esso si semantizza in un senso dogmatico, di cosa apparsa come tale e quindi dichiarata per concilio in relazione al cotesto ,al contesto , alla situazione linguistica. Esso ,connesso perfino alla geografia ed in quanto elemento assumente sostanza significativa tra quei parlanti una medesima lingua ,(condizionata dalla storia e dal grado di cultura conseguito da un intero popolo ,che ,col termine, esprime una pluralità di significati interrelati) diventa espressione di un tipico modo di fissare convenzionalmente una realtà , specie religiosa, in un passaggio arbitrario dall’area fisica a quella spirituale .
Esso assume valore semanticamente nell’area di origine linguistica che crea varie tipologie concettuali , di solito con una catena distintiva e contrastiva binaria , oppositiva , morale ( del tipo vero- falso , di buono -cattivo,vantaggioso -svantaggioso, positivo- negativo , onesto -disonesto , tipico della nostra cultura agricola mediterranea, ben connessa con quella mesopotamica , iranica, induista) .
La lettura di verum ,connesso con factum, in senso vichiano , come unico punto sicuro in quanto storicizzato, come evento avvenuto, tradito da storici, è solo una parziale ricostruzione fattuale , secondo la rappresentazione di solito dei vincitori ,che hanno fatto la storia successiva cancellando l’altra degli oppositori ,vinti: è una storia di guerre e di sopraffazione di un uomo sull’altro con registrazione solo dalla parte vincente , che riporta gli episodi e i fenomeni di accompagnamento registrati dalla memoria comune dominante desiderosa di cancellare quella perdente, ormai muta, convinta di aver tracciato una linea progrediente , come progresso, di norma grazie all’aiuto divino.
Ne deriva che ogni ricostruzione di fatti è un’ interpretazione arbitraria, varia a seconda dei narranti ,in quanto conclusione di un processo il cui iter non è facile seguire ma che è fedele risultanza della storia di quel popolo, arbitro della sua stessa storia, tipico nella sua unicità, autonomo.
La ricostruzione storica successiva è fatta sulla base dei testi esistenti e di una verosimiglianza ,partigiana, ricostruita dagli storici, condizionati dalla impostazione della politica dominante e dalla etica sottesa .
Noi , in relazione alla nostra cultura classica, abituati al giudizio , secondo le formule coeve, morali , secondo la tradizione agricola e classicista, abbiamo un codice che è la risultanza di una pratica connessa con una teoria che giustifica, inoltre ,con l’azione la parola , per cui chi realizza quanto dice ha coerenza ed in quanto moderato ,semantizza la cosa, secondo un criterio di giustizia, in relazione ad uno ius- diritto , proprio di quel gruppo di parlanti, condizionato per di più da una retorica politica , giuridica ,morale.
Ma anche giusto appartiene alla stessa categoria come vero ed ha valore neutro : solo nella civiltà classica mediterranea ha assunto quella valenza significativa in opposizione all’area contraria di ingiusto : ma non esiste giustizia né ingiustizia, non c’è né giusto ed ingiusto , né pio né empio : esiste una conformità all’idea realizzata secondo criteri operativi stabiliti e prodotti da uomini della stessa cultura, che hanno creduto di trovare in una situazione ben definita quella univoca risposta concordata e l’hanno fissata linguisticamente , dopo un lungo processo conflittuale, per cui si ha la catena diale .
Ogni popolo classico ha una sua giustizia , un codice di giustizia, diverso e a volte oppositivo a quello altrui, : non esiste quindi un ius univoco, universale .
Iustus greco non è quello latino e tanto meno quello giudaico , né quello medico né persiano né quello egizio: il dikaios greco ,seppure poi conformato a quello latino quiritario, confluito nella cultura giusta romano-ellenistica di Roma imperiale , è comunque ,oppositivo a quello giudaico cristiano ( che, nel suo interno è già distinto e diversificato) .
Noi popoli mediterranei ed agricoli classici , mitici, abbiamo creato un binario di ogni concetto sulla base di un criterio di Modus – metriotes ,di misura, di moderazione umana (l’uomo è misura di ogni cosa) , credendo che l’equilibrio sia una legge discriminante tra opposti in cui è sentita la realtà, la cosa per come si presenta : la valutazione quindi è stata in conformità a tale criterio sulla base di sanità o malattia, di una saggezza o di una stoltezza, di un integrità di cervello o di pazzia , avente come misura l’uomo, connesso con la physis .
I concetti di vero e di giusto, bello , buono e simili hanno giustificazione in relazione alla logica contrastiva in cui guerra –pace esprime quasi compiutamente la vita umana che cerca una moderazione , una linea intermedia preparando la guerra nella pace in vista di un’aggressione: il mondo antico, bellicoso, ha cercato il modus per paura ,senza essere filantropico e pacifico , occasionalmente.
In modo zaratustriano – manicheo ,dunque, noi siamo stati conformati ad una lettura netta di ogni cosa in una operazione diretta sulla base di una decisione valutativa precisa sicura dogmatica e non siamo stati abituati a vedere la cosa in senso neutro ma solo secondo logica utilitaristica e morale , a dare un giudizio con cui catalogare , incasellare e tenere presente ,ai fini definitori, per una possibilità futura.
Vero , dunque, da solo non ha significato , ma se è connesso o con fatto o fenomeno risulta giudizio contrapposto a falso, anch’ esso precisato nella sua area semantica opposta e contraria,come ingannevole nella sua entità stessa.
Inoltre se non si precisa il termine o non ci chiarisce ogni altro termine dell’enunciato nel testo , in cui è posto, in una precisa situazione e non si sono fatte referenze di vario genere e non sono stati tenuti presenti i vocalizzatori di accompagnamento o metaatti, e simili ( che potrebbero perfino con altre forme di comunicazione non verbali determinare e valere l’esatto contrario), ogni aggettivo
( e quindi anche ogni idea derivata ) ha valore equivoco.
Vero oggettivo non esiste , perché l’oggettività è un’idea , non un prova valida universalmente , ha solo valore locale e temporale come cosa convenzionalmente stabilita ritenuta possibile e probabile alla luce della scienza del momento,considerato tale solo convenzionalmente da gruppi di utenti uniti da comune lingua, in relazione alla loro storia e alla cultura che ha permesso di radicarsi in quel territorio e di esisterci .
La loro lingua esprime il lungo travaglio di adeguamento e di adattamento al territorio e al rapporto con i popoli vicini nella ricerca di una propria identità, verificatasi con l’affermarsi dell’insieme di termini scritti ed orali convenzionalmente accettati.
Il vero religioso ,poi, tramandato con quei segni linguistici, in quanto manipolato da tanti, di diversa lingua, nel corso di secoli, è tutto da rileggere e da scoprire sia come testo, che come pensiero che come fatto, relato e sotteso nella cultura di un popolo.
Infatti esso ha determinato valore in relazione all’etimo (greco etimos = vero) greco, latino o aramaico-ebraico.
I termini Alethes, verum,Hsht/ Hemet e altri hanno significato reale di parte, se posti nel problema del male- bene o se si associa ad un elemento della dicotomia antitetica ( giusto- ingiusto, buono-cattivo, vero –falso, luce- tenebre e simili) in senso contrastivo, da leggere solo in relazione a quella storia e cultura.
Perciò il passare da una cultura ad un ‘altra costituisce una falsificazione, specie se c’è trasferimento concettuale con impossessamento di cultura estranea, di norma corpo improprio in un patrimonio, di cui il corpus linguistico è fedele espressione, palese come pezza in un abito nuovo, come termine spurio, non autoctono, nell’uniformità linguistica.
Chiaramente il parlare di vero è proprio di un credente e non di un ricercatore che può solo parlare di risultanze, possibili e probabili e non ha mai alcuna certezza e non è mai capace di concludere alcun discorso sulla aletheia, di una cosa di cui può dire solo di non cercare di nascondere quanto trovato.
Fatta questa precisazione diciamo che per quanto riguarda Cristiano, apparentemente esso è univoco come significato, ma in realtà ha valenza significativa superiore rispetto all’originale area semantica in quanto ha inglobato altri fenomeni diversi.
Il termine christianos è termine usato dalla comunità giudaica di Antiochia( Atti degli Apostoli 11, 26) nel periodo di Giulio Erode Agrippa re di Ioudea(41-44) per indicare un seguace di Jesous Christos Kurios, un ebreo morto crocifisso nel 36 d.c.
Da Cristiano ,quindi, sorge il cristianesimo, il fenomeno religioso, costituito dai cristiani operanti nell’ambito dell’impero romano.
La chiesa di Antiochia è una succursale di Gerusalemme, eretica, praticante già un rituale proprio, vivente secondo un altro euaggelion, con terminologia greca, diversificatasi già per pensiero dal credo giudaico di Jehoshua Mashiah( un ebreo di Galilea , rimasto conforme alla Legge, accusato di essersi fatto re e condannato a morte dal procuratore romano Ponzio Pilato ) che era testimoniato dal fratello e dalla comunità del Regno dei Cieli, in lingua aramaica .( Cfr A. Filipponi Jehoshua o Jesous?, Maroni, 2003 ).
Oggi, dunque, il valore storico di questo cristianesimo antiocheno è confuso con quello degli eredi diretti di Gerusalemme, a cui si estende lo stesso nome al punto da assimilare ed inglobare il Regno dei Cieli, di Giacomo, fratello di Gesù, nel sintagma Regno di Dio tipico di Paolo di Tarso e poi degli Evangelisti canonici.
Questa operazione avviene, dopo la scomparsa del Regno dei Cieli, delimitato e quasi sterminato nel 70 con la distruzione del tempio , quasi estraneo alle teorie del cristianesimo, sopravvissuto come una reliquia, forse fino al 135, con l’episcopato gerosolimitano l’unico rimasto puro, a detta di Eusebio, quando la linea dominante conosciuta nel mondo romano col nome di Regno di Dio, cristiano, cerca uno spazio proprio tra il giudaismo e i seguaci di Jehoshua Barnasha, integralisti.
Perciò, quando parlo di scarso valore, tratto di questo Regno di Dio, su cui si è fondato il cristianesimo, che ha un valore storico successivo, come fenomeno che si afferma proprio nella lotta per sopravvivere nel sistema romano, disconnesso con l’essenismo e con la storia di una salvezza e di una rivelazione apocalittica.
Esso, in effetti, fino al 70 d. C., ha vaghe connessioni storiche con il Regno dei Cieli, aramaico, da cui deriva, ed ha un culto nominale di Christòs, termine greco, che traduce Mashiah, titolo proprio di Jehoshua Barnasha, (figlio dell’uomo) la cui vita ed azione storica è occultata, mentre è marcata la sua morte con resurrezione, come base del sistema christiano, mistico.
Fatta questa precisazione ,aggiungo che con questa affermazione, comunque, non nego la storicità di Gesù, uomo nato il 7 av. C, sotto Augusto e morto forse nel 36 d. C. sotto Tiberio, propugnatore del Regno dei Cieli, ma nego la storia di un personaggio che è stato mitizzato dalla tradizione cristiana, successiva all’evento della distruzione del Tempio di Gerusalemme del 70 d. c.
Insomma nego non la vita di Jehoshua Mashiah Maran (re) ma nego la successiva lettura della vita e morte e resurrezione di Jesous Christòs Kurios, un personaggio che non è esistito come tale, ma che è stato costruito sulla base della storicità dell’altro ed immesso nel Kosmos romano-ellenistico, da ellenisti, con un preciso processo nel periodo Flavio (69-96).
Mentre del primo ho cercato i dati storici effettivi, del secondo ho rilevato (mi è sembrato!) la storia mitizzata( secondo processi non storici ma filosofici e teologici propri del Regno di Dio, in ambiente antiocheno) e il sistema religioso, costituitosi sulla base del pensiero pregnostico giudaico di Paolo (Cfr M. Hengel, Giudaismo ed ellenismo, Paideia, 1988, p 443 e sgg e M. Noth, Storia di Israele, Paideia 1975 e J. Bright, Storia dell’antico Israele, Newton e Compton editori, 2002).
Il punto nodale, comune alle due figure di uno stesso personaggio, letto da due diverse angolazioni, è la morte, documentata anche da Giuseppe Flavio, dai vangeli e da scrittori classici.
La morte di Jehoshua è stata così rivoluzionata da Paolo per la resurrezione dai morti, che ha perso ogni sua effettiva consistenza, in quanto il fatto non è umano ma divino, poiché la morte non è di un uomo, ma di un uomo-dio, Jesous Christos Kurios.
La storia, quindi, della morte per crocifissione viene cambiata al fine della redenzione mediante la Resurrezione.
La storia così fatta è teleologica, non secondo premesse e organizzazioni razionali filosofiche( di stampo anassagoreo o platonico o Kantiano ), ma come puro discorso sui fini.
La storia teleologica come metodo di ricerca dei fini, avulsa dal tempo reale, senza le cause effettive e la ricostruzione dei contesti, puntata solo sui temi, come metodo creante uno schema o un’ideologia che ingloba la storia, in una serpentina sovrapposizione, è un’edera parassita, che uccide la pianta della verità: è un processo proprio dei mistici, mitico o di comunità religiose come l’essenismo, a cui Paolo deve molto.
Non discuto sul processo mitico: accetto ogni processo, ogni via che possa produrre qualcosa o dare barlumi di conoscenza, purché si riconoscano i mezzi diversi di lettura e le forme di percorso irrazionalistiche.
Un discorso teleologico, però, sembra vero ma non è mai vero, specie se strutturato storicamente , perché precostituito e fatto in modo da aggiungere qualcosa, nel corso del lavoro organizzato, che poi si sedimenta storicamente e diventa eredità culturale, sancita da Concili, in cui si dogmatizza e si fissa un cardine indiscutibile.
Esso in definitiva deriva da un sistema giudaico, farisaico, escatologico-apocalittico, finito con l’essenismo nel corso della guerra giudaica ,e rifiorito nel cristianesimo antiocheno .
E’un procedimento storico, usatissimo, di parte: si sceglie l’oggetto, si cercano le pezze di appoggio, i segni probanti e probatori per una conclusione pertinente e per un probabile giudizio legato ad interne micro-valutazioni soggettive e si costruisce il discorso col senno del poi, non secondo la realtà dei fatti, ma secondo la logica di chi scrive teleologicamente: il rilievo con accettazione è in relazione all’effetto di ekplecsis (stupore) e di phobos (paura ) che si produce in colui che legge, che subisce il fascino dello storico (che non è storico, ma retore “sublime”, anomalista) e che per di più attende la fine dei tempi ed ha una sua conoscenza della verità che lo fa partecipe di Dio soter e della sua gloria..
Il processo, dunque, storico teleologico rientra oltre che nella concezione conoscitiva farisaico-essenica anche nella retorica del Perì Ypsous e, come tale, astorico e connesso con l’impostazione mistica, tanto che si può definire di matrice mistico- retorica( o retorico-mistica)
La crocifissione, così letta, perciò, non è stata mai un fatto visibile, esaminato razionalmente, collegato e connesso, secondo processi causali e temporali, avvenimento realmente descritto, come morte di un uomo antiromano, punito per la sua ribellione alle leggi dell’impero, di cui un procuratore zelante applica la iustitia in una provincia.
Essa è stata vista come evento astorico, seppure storicizzato nel diciottesimo anno di Tiberio (circa) di un giusto, saggio, condannato a morte da un procuratore romano che si lava le mani di fronte alle richieste di un popolo che, aizzato da sadducei e
notabili, ne vuole la morte perché, proclamatosi figlio di Dio, ha predicato un regno di amore.
La triplice iscrizione sulla croce in Aramaico, greco e latino sintetizzante la sentenza del procuratore è incompatibile con la iustitia romana, specie del periodo di Tiberio: Pilato non poteva condannare solo per una dimostrazione popolare, a seguito di una condanna del Sinedrio imperfetta, un uomo, ritenuto giusto e poi segnare la motivazione della morte con l’invenzione della regalità, usurpata.
La volontà di dare un exemplum ad uomini parlanti ebraico-aramaico ( di Siria, Palestina, Mesopotamia, Iran occidentale, Nabatea ), a romani gravitanti nell’area gerolosomitana (pubblicani, patroni, clienti, amministratori dipendenti ), a giudei ellenisti accomunati dalla Koiné, emporoi e trapezitai orientali ed africani, è chiara nella iscrizione trilingue, propria di area mista.
La crocifissione, così descritta, avvenuta ad opera dei romani, diventa opera colposa dei giudei, un fatto di giustizia interna al giudaismo: l’uccisione di Gesù, Christòs, di un profeta pacifico, che ha perfino esortato a pagare le tasse ai romani e che è quindi conforme al Kosmos romano, non è espressione del diritto romano, ma è azione degli empi e perfidi giudei, clero, aristocrazia e popolo.
La morte per crocifissione non è logica, ma è teleologica e così come ci è stata tramandata è un falso ( Reimarus c’era arrivato in età illuministica solo per logica, oggi ci arriva anche il matematico Odifreddi ! )
La crocifissione non è stata mai effettivamente oggetto di studio storico: essa è stata prima sottratta ed estratta dal contesto storico aramaico, romano e romano-ellenistico, poi è stata retoricizzata al fine di stordire il centurione romano che, da pagano, professa assurdamente la divinità del morto (Veramente quest’uomo era figlio di Dio! Mc. 15, 39).
Poi la morte dell’uomo–Dio è diventata un topos (un luogo comune ) per la dimostrazione di una necessarietà di morte dell’uomo per la sua resurrezione e per la redenzione dell’umanità, che partecipa ai meriti del Christos, uomo sofferente( un altro prototipo di Messia popolare), e costituisce con lui e, grazie al suo sangue, il corpo mistico degli eletti.
Infine la datazione storica, desunta da quel famoso quindicesimo anno di Tiberio, (agli inizi del magistero del Cristo) corrispondente al 27 circa d. c., riportato da Luca al momento del battesimo, è comprovata dalle altre indicazioni storiche su Pilato, sui tetrarchi Erode Antipa e Filippo su Kaifas e su Lisania di Abilene.
Proprio queste precisazioni, insistite, non convincono anche perché risultano solo dati esteriori, che non hanno spessore e consistenza con la realtà storica e sociale ed economica del tempo: esse sono volutamente poste ed ordinate per fare storia, in una fase successiva.
Luca e Paolo hanno operato in modo da staccare la figura dell’uomo da quella del Christos, tesi solo alla dimostrazione che la fede è in relazione e in connessione con la morte e resurrezione di Gesù Cristo, non con morte reale di Jehoshua Barnasha:
a loro, filoromani, non interessava chi era stato Jehoshua Barnasha, cioè Gesù figlio dell’Uomo, ma la sua figura eroica già mitizzata dalla storia giudaica.
Essi non ricordano volutamente la storia di un tecton ( un costruttore ), di uno zelota, di uno strano terapeuta, riconosciuto dagli esseni, Mashiah, che aveva combattuto e vinto tra gli osanna popolari nel periodo postseianeo, e che poi, dopo la reazione, restauratoria, tiberiana, era stato vinto e consegnato ai romani vincitori, che avevano assediato Gerusalemme e l’avevano presa.
Essi invece ricordano la morte di Jehoshua in croce, secondo la giustizia romana ad opera del legittimo procuratore Pilato, (già esautorato) per la celebrazione della sua resurrezione, come simbolo di tutta l’umanità, che risorge per i suoi meriti divini.
Insomma, falsificando la storia, gli autori del Regno di Dio hanno mitizzato la figura di Jehoshua Barnasha, ormai entrato nella leggenda giudaica e creato il culto religioso su una base teologale pregnostica, risalente al Siracide, agli hasidim e ai farisei.
Esistono un pregnosticismo giudaico ed uno gnosticismo samaritano, non ben conosciuti, che possono essere illuminanti, se studiati attentamente e letti secondo l’ottica misterica ed esoterica, propria di Simon mago e dei suoi discepoli.
Paolo, Luca e Marco procedono leggendo la storia di Jesous Christos Kurios secondo la religiosità ellenistica in linea con il sincretismo e l’eclettismo teologale romano –imperiale.
Penso invece che il fatto della morte di Gesù in croce debba essere storicizzato e rintracciato nelle fonti di lingua aramaica, che sono le uniche attendibili evidenzianti la vita di Jehoshua Barnasha e rilevanti la morte da eroe nazionalista, da zelota.
Ritengo infatti che senza lo zelotismo la figura umana di Jehoshua non abbia significato e che la sua azione politica e storica ed anche religiosa non abbia consistenza.
Personalmente non ricerco né dove va a finire la storia giudaica e non cerco di far vedere come l’unica confluenza sia il cristianesimo, ma opero per capire come si sono svolti i fatti e se ci sono interpretazioni successive e le cause che hanno determinato quei fenomeni dopo averne circoscritte le ideologie: lo zelotismo quindi è letto solo nella sua pratica zelotica, in quel particolare momento storico e nella situazione effettiva.
Senza una ricerca sullo zelotismo e sulla lingua aramaica non è possibile la ricostruzione della figura di Gesù e specie della sua morte, anche perché Giuseppe Flavio ha fatto una storia antizelotica, letta dall’angolazione romana e flavia, nonostante l’ammirazione per quegli uomini bollati come lestai: finora la ricerca è stata sottesa e solo, talora, è stata esplicita, ma mai dichiaratamente marcata ed orientata secondo le strutture e metodi effettivamente siriaci, mesopotamici ed iranici, propri dell’area di quella lingua.
La stessa prova archeologica di una iscrizione funebre su un manufatto tombale, recentemente scoperto in Israele, in cui è scritto Jaqob bar Josip, aH Jehoshua (Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù) datato circa 63, in relazione ai fatti descritti da Giuseppe Flavio (Ant, Giud, XX, 197-99 ) è una testimonianza (non certamente sicura) dell’esistenza di un Giacomo, fratello di Gesù distinto da Giacomo il Minore ,discepolo , e da Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni di Zebedeo.
Da questa si conosce che il fratello ha ruolo pontificale, perché porta la veste di lino riservata ai sacerdoti (Flavio XX, 216) e la mitra (Epifanio Haer. XXIX 3-4 in P.G t.41p. 396) e si rileva che inoltre è indicato col patronimico consueto con l’aggiunta del fratello, la cui notorietà, dopo circa trenta anni dalla morte, è intatta.
Probabilmente l’iscrizione letta da André Lemaire è comune a iscrizioni proprie del periodo zelotico antiromano della guerra giudaica, iniziata subito dopo la morte di Giacomo, che, secondo Flavio, comportò lo scoppio della guerra stessa e la punizione divina con la sconfitta e la distruzione del tempio.
Illuminante sia per l’individuazione di Giacomo che per il ritrovamento stesso dell’iscrizione è la notizia di Egesippo, un cristiano palestinese del II secolo d C. che oltre a narrarci la morte di Giacomo, (che testimoniava la parousia, il ritorno, del fratello ) indica anche la sua sepoltura sul luogo, dove morì precisando che il luogo fu contrassegnato da una stele (cfr Eusebio, Hist Eccl. II 23, 18)
Al di là, comunque, del recente ritrovamento, la ricerca storica deve partire principalmente dall’aramaico in quanto è la lingua locale in cui fu propagandato il pensiero del Malkuth ha Shamaim (il regno dei Cieli), se si vuole fare la storia reale della prima fase precristiana e poi rilevare il Primissimo Cristianesimo
Solo i dati in aramaico possono squarciare il buio della storia su Jehoshua Barnasha, non le fonti cristiane conosciute, inquinate, corrotte e condizionate dall’interpretazione paolina, gnostica, neoplatonica.
La lingua di Jehoshua e degli zeloti è sicuramente l’aramaico che si oppone anche linguisticamente alla lingua ellenistica della dialektos koiné, parlata in Oriente, e al latino parlato di norma in Occidente, noto in oriente: essa è basilare come fonte perché in essa sono i segni veri della cultura giudaica agricola ed è propria di una tradizione antiromana
Inoltre essa non è stata adulterata, in quanto rimasta pura ed incontaminata dalla tradizione cristiana del Regno di Dio, intesa a mandare messaggi tra i gentili ellenizzati, trascurata perché ininfluente nel quadro dell’impero romano, in cui invece si era integrata la lingua cristiana ellenistica specie alessandrina.
In epoca costantiniana, al momento della vittoria cristiana, la lingua aramaica è inincidente nella creazione del dogmatismo cristiano in quanto si è preoccupati solo della lingua ellenistica ormai veicolante il pensiero cristiano, depositato secondo le linee paoline evangeliche e patristiche, quindi ormai dogmatizzato, divenuto cioè teoria imperante.
Ogni ricerca storica quindi da parte di studiosi del Cristianesimo, essendoci pochi fatti certi, ha valore, solo se derivata da fonte aramaica, e se iniziata da una parola o frase o costrutto aramaico vigente nell’epoca dei fatti o se è espressione propria della tradizione giudaica, in lingua ebraica, la lingua sacra: i manoscritti del Qumran che rinviano ad un periodo nazionalistico, quello maccabaico e a momenti storici dell’impero giulio-claudio, e che si rifanno ad un mondo agricolo, connesso con la cultura mesopotamica e quindi parthica, possono dare altre soluzioni effettive ad uomini che leggono, liberi dalla cultura ellenistica e coscienti del condizionamento subito dalla cultura specie alessandrina, la cui continuità “dictatoria” magistrale è ininterrotta nei primi tre secoli del cristianesimo.
La cultura alessandrina, ellenistica, quindi già adulterata prima di Cristo, portatrice di germi tipici del kosmos ellenistico, fautrice dell’integrazione giudaica nel sistema romano, anche nel corso della vita di Jehoshua, diventa espressione prima nel periodo flavio di una separazione e distinzione dal giudaismo sconfitto e poi nel periodo antonino di un tentativo di integrazione cristiana nel sistema imperiale romano, specie all’atto della nuova guerra giudaica del 134-36: la sua lingua quindi non attendibile, deve essere decodificata e seguita con estrema attenzione perché si apre a soluzioni diverse ermeneutiche
La ricerca deve essere fatta con estrema cautela e con massimo rigore sia sul versante greco che su quello aramaico: personalmente sono convinto di essermi tradito e di aver equivocato spesso, nel corso di un lavoro trentennale, nonostante i sistemi di lettura semantici nuovi da me adottati e nonostante la spasmodica tensione storica perché gli alessandrini sono i maestri dei maestri dell’esegesi capziosa e polivalente
Uomini come Clemente e come Origene non sono attendibili proprio perché ellenistici nonostante il grande amore per la tradizione giudaica di matrice ebraico-aramaica : sono troppo schematizzati nel loro dogmatismo e quindi cattivi trasmettitori anche quando riportano teleologicamente le notizie storiche in quanto il loro vero è vero filosofico, è teologia.
Eusebio è un costantiniano e quindi la sua storia tende a centralizzare il Cristianesimo astoricamente; e Costantino, per di più, è visto storicamente da lui, come Augusto dagli scrittori augustei come centrale nella storia.
Girolamo non è uno storico spoudaios e, tanto meno, diligente traduttore: non ha nemmeno il senso della storia e del rispetto delle fonti o di chi scrive; è un fazioso, di tradizione latina: non ci ha dato mai una notizia esatta nemmeno sulla letteratura latina!
La tradizione monastica di Palladio ci ha fatto un ritratto non certamente positivo di Gerolamo (Storia Lausiaca – testo critico e commento a cura di G. M Bartelink- Fondazione Valla 1974- 36, 6 e 41, 2)
A chi intende fare storia sul Cristianesimo ( e mi riferisco ai miei alunni), perciò, consiglio di distinguere il periodo fino al 43/4, anno della morte di Erode Agrippa, ancora connesso con la storia giudaica ed operare con uno studio serio dell’Aramaico in modo da leggere esattamente la storia di Jehoshua .
Il grande enigma per me è l’opera di Filone Peri Areton, di cui ci restano In Flaccum (acefalo) e Legatio ad Gaium (che anticipa una Palinodia che non c’è): la sua ricostruzione , seguendo anche Eusebio che parla di 5 libri , potrebbe portare ad una vera svolta storica , se si presuppone come I libro Ta kata Seianon ( trattante le cose successe ai giudei sia palestinesi che ellenistici sotto il potente ministro tiberiano con la reazione zelotica, che determina il regno di Jehoshua -32- 36-, la sua crocifissione e le conseguenze tragiche in Egitto e precisamente in Alessandria sotto il governatore Avillio Flacco ) come II libro in Flaccum (Ta kata Phlaccon– descrizione delle disgrazie capitate agli alessandrini -) e come III Ta Kata Gaion (trattante le vicende tragiche di Palestina dopo l’invio di Petronio Turpiliano, col compito di applicare le norme della neoteropoiia caligoliana – di cui la theosis era una basilare legge-e di porre nel tempio di Gerusalemme il suo colosso) come IV Legatio ad Gaium e come V palinodia ( il nuovo canto con la morte del persecutore voluta da Dio e con il ritorno alla normalità con Claudio).
Comprendo che tale ricostruzione non sia oggettiva e scientifica ma la ritengo possibile e probabile, date le tante risonanze e le sottensioni più o meno esplicite presenti negli ultimi tre libri di Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio .
Certamente Filone conosce gli avvenimenti e Flavio le riecheggia nel cantare le tante disgrazie capitate agli ebrei in quegli anni (26- 41 d.c) nel corso del XVIII e XIX libro , ed anche nel XX e meglio precisate nella guerra giudaica ,descritta ampiamente in Guerra Giudaica (specie nei libri III-VII) comprendente gli avvenimenti fino alla conquista di Masada nel 73 d.c.
Personalmente invito a separare la storia dell’inizio del cristianesimo da quella del giudaismo, considerando che, però ,esse hanno una storia congiunta fino alla guerra con i romani e alla distruzione del Tempio, che è la data di discriminazione netta tra le due confessioni che vanno in due direzioni diverse.
Anzi i seguaci di Cristo, come cristiani, si separano perfino dai fratelli seguaci di Jehoshua Meshiah: questi mantengono la lingua locale, mentre quelli entrano definitivamente nel sistema ellenistico-romano in cui si è diffuso il Cristianesimo.
La traslitterazione ellenistica del grafema aramaico-ebraico ha valore di similarità e significato equivalente e equipollente in caso di fedeltà, e normalmente se tradotto in Greco, in latino ed Italiano o lingue attuali ha valore e significato sinonimico: il sinonimo per me è un’altra parola di altra radice di altro contesto e quindi apre altre porte e conduce ad altri significati con altri campi semantici, grazie ad un rimando di famiglie lessicali, complesso e con altri contesti, insomma apre verso un altro mondo, tutto da scoprire!
Chiaramente se si vuole fare storia del Regno dei Cieli bisogna prediligere la fonte aramaico-ebraica e tenere presenti le fonti in lingua greca che indirettamente e velatamente possono sottendere le forme originali: le linee fondamentali della figura di Jehoshua figlio dell’ uomo, di tecton (falegname ) di lestes ( zelota ) sono rilevate secondo l’angolazione dell’impero romano che tenta di inglobare i popoli conquistati nell’ellenismo romanizzato integrandoli nel proprio Kosmos, di matrice stoica, posidoniana, e che perseguita ogni stasis (tumulto rivoluzionario tendente alla novitas) reprimendo con la forza i movimenti zelotici.
Bisogna però considerare che la lettura del testo greco ha una terminologia che deve necessariamente essere riletta ed interpretata da un’angolazione aramaica, che era stata la base significativa ( in quanto significante, con sottesa referenza, ) del termine greco derivato.
Questa sola lingua marca la cultura locale, e mostra la figura di Jehoshua bar Josip Bar Nasha, come qanah zelota,qayin costruttore, rab(bi), maestro, inserito con i suoi fratelli nel suo naturale contesto antiromano come uomo che combatte per attuare il Malkhut ha shamaim, da partigiano, che non può sopportare la presenza dei romani nella terra santa e che quindi aggrega al comune movimento insurrezionale sia i fratelli di Partia che gli ellenisti egizi e mediterranei, pur commercianti, e grazie ad una fortunata guerra di liberazione riesce a prendere Gerusalemme e a proclamarsi Maran(Melek, re ) dopo che ha avuto l’investitura essenica di Mashiah.
Gli avvenimenti storici della realizzazione del Malkuth vanno dal 18 ottobre 31 al 36 d. c. a seguito della spaccatura operatasi nell’imperium dopo la morte di Seiano (che sostituì nel governo dell’impero, con vari titoli, Tiberio dal 23 al 31) e della mancanza di auctoritas in Oriente dopo la morte del Governatore di Siria, P. Flacco e la momentanea sospensione di Pilato e dello stesso Erode Antipa, compromessi con la politica seianea.
La conquista di Gerusalemme e l’istituzione di un nuovo sacerdozio, quello essenico, a scapito dei sadducei, hanno forse una durata di quasi cinque anni in cui viene instaurato il Malkhut da Jehoshua sostenuto da una confederazione formata da Artabano re dei Parti, da Izate re di Adiabene, da Areta re dei nabatei e da Asineo, satrapo di Mesopotamia
La riconquista di Gerusalemme, da parte romana, avviene con l’invio, da parte di Tiberio che ha ristabilito con ferocia la sua auctoritas nell’impero, per mezzo del proconsole L. Vitellio( le notizie specificamente sono di Tacito, di Svetonio e di Dione Cassio, oltre alla fonte giudaica di Giuseppe Flavio) che, costretto Artabano al trattato di Zeugma, assedia Gerusalemme e la costringe alla resa.
L’arresto di Jehoshua e la sua crocifissione avvengono per tradimento dei sadducei, che, ripreso il potere sacerdotale, ottengono dal Sinedrio il mandato di consegnare il capo della rivoluzione per la salvezza del popolo e con essa la resa ai romani, che avevano dato l’ ultimatum (distruzione della città o resa con consegna dei capi).
La successiva morte per crocifissione è punizione romana ad un uomo che si è proclamato illegittimamente re, turbando l’ordine imperiale e creando caos nel Kosmos, in cui le parti giudaiche sia quella di Palestina che quella della Diaspora avevano grande rilievo, l’una per la ricchezza del tempio-trapeza (banca ), l’altra per il sistema dell’emporion(commercio) e delle trapezai ellenistiche.
La morte per crocifissione però non determina la pax romana in Giudea e nella Diaspora e non chiude definitivamente il capitolo della vita di Jehoshua, la cui fama di eroe partigiano ucciso dai romani, dopo avere conseguito il regno, ingigantisce in tutto il mondo romano ed anche in quello partico.
La crocifissione e morte per la cosiddetta resurrezione dai morti (anastasis toon nekroon ) o risveglio da parte di Dio di Jehoshua, diventano segno di nuove pulsioni insurrezionali, connesse con pratiche memoriali.
Jehoshua risorto dai morti ed apparso a molti, autorizza Jakob, scampato alla morte e mantenuto nelle sue funzioni sacerdotali, forse, in modo congiunto al sacerdozio sadduceo, a celebrare il fratello secondo la storia ( toledot) giudaica, a rievocarlo e ad elaborare un sistema di conservazione della memoria del fratello, la cui epopea tragica si era impressa a livello popolare giudaico, sia in Palestina che fuori, dando origine ad una serie di comunità di seguaci, tra cui quella di Antiochia, che si era autodefinita Cristiana.
Il capo di tutte queste comunità, comunque, resta sempre Giacomo (Jakob) che giustifica la morte, tramite le scritture, in senso farisaico ,secondo l’ottica escatologica e d apocalittica e che attende il ritorno (parousia) del fratello, destinato a vincere, definitivamente questa volta, i romani, in quanto dotato di poteri soprannaturali divini.
Il suo magistero per oltre ventisei anni, contrassegnato da una vita irreprensibile, da giusto, da recabita e da nazireo, basato sulla penitenza e sulla clandestina preparazione alla guerra, supportato da un amore popolare, espresso dall’ euaggelion della parusia, è indiscusso in Palestina, ma è scosso da una serie di suddivisioni nel quadro ellenistico, dove tra le altre forme evangeliche si afferma quella di Paolo, beniaminita, uno strano mistico di Tarso, ribelle all’autorità di Gerusalemme, che ha elaborato un altro euaggelion, basato sulla resurrezione dai morti anche lui e sulla redenzione ad opera di Jehoshua, chiamato Jesous Christòs Kurios, uomo dio venuto sulla terra ,col compito di redimere l’uomo dai peccati ,e morto sulla croce (skandalon della croce), per formare ,così ,il corpo unitario dei fedeli che, credendo in lui, partecipano dei meriti della sua morte e costituiscono il corpo mistico della Chiesa.
L’idea paolina è una sincresi di culto isideo, pregnosticismo e pitagorismo-platonico ed essenico, di grande efficacia, capace di inserire così il cristianesimo nel Kosmos romano, anch’esso sincretico ed ecumenico.
Paolo, però, ha bisogno di una riconversione e di una riabilitazione, in senso romano-ellenistico, di Jehoshua, considerato ora uomo santo, pacifico, predicatore di un regno ultraterreno capace di distinguere anche il potere spirituale da quello temporale, invitante perfino a pagare le tasse ai romani.
Dopo la morte di Giacomo ad opera di Anano II, in lotta per la supremazia per il sacerdozio nel tempio, la Giudea va al disastro della Guerra coi romani( vista quasi come la conseguenza della morte di Giacomo da Giuseppe Flavio ) e la ecclesia (chiesa) di Antiochia, che, nel frattempo, ha predicato il suo vangelo con Paolo ed altri anche in Occidente fino a Roma, dopo la sconfitta dei confratelli palestinesi, se ne distacca definitivamente anche perché, dimentica della legge mosaica, tende ormai ad un proselitismo pagano.
E’questa un via giudeo -cristiana su base ellenistico-latina che archivia la comunità giudaico-cristiana di Gerusalemme nel 135 : i theologoi cristiani, in quanto pagano christianoi , ignorano i superstiti giudeo cristiani che si sono dislocati in ambienti dove è meno pressante l’imperium romano, autore della loro strage e cacciata definitiva, in zone dell’Arabia, nelle vicinanze dell’Eufrate e mantengono la loro lingua aramaica o nabateo-aramaica.
Col trionfo di Tito a Roma probabilmente si rompono i rapporti con le chiese ancora esistenti giacomite e nell’ambito romano ,forse, viene scritto il vangelo di Marco, che codifica le idee centrali di Paolo e immette per sempre nel sistema romano ecumenico la corrente religiosa del cristianesimo.
Ma la carica eversiva di matrice giacomita nell’impero non si conclude con la fine del malkuth: essa resta sottesa come elemento di opposizione all’impero romano come pertinace ed ostinata volontà di creare un regno nuovo, insito nel pur spirituale regno paolino…
Tutta la lettura successiva delle persecuzioni è stata fatta sulla base dello stereotipo di persecutori e di perseguitati e non è stata neppure letta la posizione di un’azione probabile eversiva continua di un mondo di matrice zelotica, che, però si è riciclato con la organizzazione ellenistica dell’alabarca oniade, che mi sembra abbia costituito la vera impalcatura di una chiesa romana vincente, capace di sostituire la stessa organizzazione pagana imperiale.
Questa conclusione non esaustiva, essendo una conclusione,seppure in itinire, rimanda a studi specifici e a documenti che per ora non produco: so, comunque, di dire cose strane per i fedeli e di esser novus e comprendo che così scrivendo, sarò messo alla berlina, ma confortato da tanto lavoro serio ed approfondito, ho il coraggio, come sempre nella mia vita, di testimoniare il mio pensiero e di dire quanto ho trovato.
Ora sento l’urgenza, essendo vecchio, di confessare questa alètheia, cioè questa verità desunta, che non permette di essere occultata, se ha un fondamento storico.
Perciò, pur cosciente che non pochi saranno gli errori (ed anche di varia natura) sicuro solo che la ricerca è stata effettivamente storica, affido ai miei alunni e ai figli questo messaggio storico di Gesù.
Io ancora, comunque, mi sento cristiano, forse nel senso più alto del cristianesimo paolino, senza le invenzioni gnostiche e seguo una lettura del testo masoretica e non quella del testo dei Settanta .
Accetto questo testo perché tutto il canone ebraico (compreso i Talmudim ) dà maggiori garanzie rispetto a quello dei Settanta (e della sua tradizione con i vangeli e gli altri testi canonici formanti il canone cristiano) che con La lettera di Aristea si è costruito come catena(masorah) .
Il cristiano confonde quando afferma che giudaismo e cristianesimo si fondano sullo stesso testo della Bibbia: bisogna saper distinguere i due diversi canoni Cfr I due canoni…
Però come cristiano mi sono decondizionato dall’idea di cristianesimo come religione perfetta ed invito non solo i cristiani a farlo ma anche gli ebrei e i musulmani…
Noi tutti , qualunque sia la religione, abbiamo l’idea di ebraismo, cristianesimo e di Islam, buddismo ecc e quindi ci siamo formati fin da bambini un’ideale immagine religiosa.
Ognuno perciò ha una sua idea religiosa con immagini proprie astoriche ed irrazionali, perché si rappresenta teoricamente una immagine ideale di Mosè, di Christos, di Maometto, collegata col culto e con la pratica prescrittiva di tipo fideistico ed ecclesiale. Ogni religione è bella buona razionale, perfetta apparentemente in quanto idea , la cui immagine resta fissa ed eterna, nonostante il divenire,grazie proprio agli accorgimenti e i ritocchi e gli abbellimenti di chi come clero cura la figura nel tempo secondo theoria ( in modo spettacolare)…
Dunque ebraismo cristianesimo e islam sono essenze storiche , perfette, mitiche, storicamente mitizzate, eguali sempre e dovunque… eppure ogni religione proprio perché essenza ha una forma temporale che, divenendo, necessariamente cambia in un processo di adattamento e di trasformazione a seguito della vicenda umana, transeunte, in cui essa come substanzia è realmente vivente …
Il tempo dunque pur alonando la figura di Mosé, di Christos e di Maometto, la cambia a seguito di operazioni di lettura e di studi, che, seppure ispirate, aggiungendo qualcosa, snaturano l’originaria immagine …
Comunque ritengo che con lo studio serio di Storia di Religione, eliminando l’ora di religione (cristiana), si possa iniziare un nuovo processo di lettura nelle scuole senza le specifiche esegesi dottrinali, allegoriche . ..
La storia secondo metodo scientifico, razionale, laico, potrebbe essere una via nuova per una nuova forma religiosa…per tutti e per ogni singolo uomo….