Crediamo nella chiesa, una santa, cattolica, apostolica ?

La chiesa dalla sua fondazione ha svolto una sua funzione nella missione di Madre e di Sposa come Cattolica e come Apostolica nella sua natura Unica e Santa,  di Corpo stesso di Cristo.

Noi infatti dicendo il credo (quello niceno -costantinopolitano) diciamo: crediamo nella chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, dopo aver proclamato di credere in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Se lo diciamo in latino o in greco ha poca importanza: credimus in Ecclesiam Unam,Sanctam Catholicam, Apostolicam- Pisteuomen… 

Noi cristiani cattolici romani,  catechizzati,  da piccoli,  secondo il Vangelo, non prendiamo nemmeno da adulti coscienza dei termini  che diciamo con la nostra professione di fede.

Nemmeno il periodo adolescenziale, in cui c’è la ribellione verso le forme precostituite con volontà di distruzione del vecchio, travolge  la struttura secolare cattolica, data la perfezione della costruzione  con giunture, collazioni, aggiunzioni, falsificazioni, collaudata,  del sistema Chiesa.

La connessione della paideia greca platonico- aristotelica, con linee epicureo-stoiche, e della davar giudaico-cristiana, vetero-neotestamentaria,  risulta così perfetta che sembra un  monòlithos  celeste nel sistema romano-ellenistico.  

Noi abbiamo sempre considerato la Chiesa un monòlito, voluto dall’oikonomia tou theou  per il bene degli uomini  peregrini su questa terra, guidati da essa alla patria celeste, dimora eterna, premio del retto agire individuale  secondo l’esempio di Gesù uomo-dio, logos, upostasis come il Patér e l’Agion Pneuma,  Dio, Uno e Trino.

Abbiamo, però, rilevato sempre una mancanza di unità nel pensiero cristiano, a  partire dai primi secoli, prima in epoca antonina  (cfr. Miriade cristiana  tra il 50-135 d.C. in Per una conoscenza del primo cristianesimo  E, Book, Narcissus  2012) poi  nel terzo e quarto secolo e specificamente tra i due grandi concili di Nicea e di Costantinopoli.

A parte l’assimilazione di Il Regno dei Cieli con Il Regno di Dio e  l’occultamento della figura reale umana del Christos si rileva che  la presenza di  tante ecclesiai  è  segno di una differenziazione e diversificazione del cristianesimo del regno di Dio, a seconda dei luoghi di costituzione iniziale delle comunità giudaico-cristiane, cercanti una propria autonomia  nel seno della liceità del privilegium giudaico ellenistico nell’imperium romano, nonostante il periodo di duecento anni di lotte tra giudaismo e romanitas e la conclusione drastica di Adriano.

Secondo noi, la ricerca dell’unità ecclesiale non si è palesata, dopo l’impossibilità di una concreta realizzazione, neanche con un sovrano che riunisce appositamente un Concilio e garantisce la propria partecipazione ai lavori come tredicesimo apostolo, accanto ai successori delle ecclesiai  nate dai dodici apostoli.

Si vuole dire, cioè, che proprio nel momento del  primo Concilio  si ha la certezza di due nuclei diversi ecclesiali, di due  credi, che testimoniano una lunga ed accesa lotta per la costituzione di un Christos  uomo-dio, segno di una lacerazione secolare tra le chiese,  manifestatasi nel II secolo con Marcione da una parte e con Ireneo- impegnato a confutare l’esistenza di un Christos di natura divina e di un altro di natura  umana, originati secondo lo gnosticismo da due eoni diversi, convinto dell’unicità ed unità della figura di Cristo- da un’altra,  a causa della definizione trinitaria di Dio.

Le tante sette ereticali, non avendo un’anima comune con un preciso  e definito credo, avendo  capi  locali  non coordinati fra loro, nemmeno in Oriente, vivono in un clima di phobos/paura  per  le insorgenze tumultuose  popolari greche, antigiudaiche e quindi anticristiane, spesso favorite più dalle autorità provinciali che da quelle centrali.

Le persecuzioni ai cristiani,  ad eccezione di quella di Diocleziano, sono solo occasionali e ad opera prefettizia, e sono manifestazioni di intolleranza popolare di pagani, arrabbiati nei confronti di chi, anelando al premio eterno,  non è solidale nella vita quotidiana,  nemmeno alla difesa del  territorio nazionale contro i barbari, chiuso nel proprio guscio dogmatico, teso alla perfezione spirituale,  protetto da una superiore organizzazione economica amministrativa (dioikesis).

I differenti credi locali sulla figura del Christos, data la pluralità settaria, si coordinano solo nel momento del pericolo, nel  nome generico di Christos  ma originano nuove sette, a seconda dell’integrità  di vita e di pensiero dei martures,  che testimoniano la loro vita con la fides,  al contrario di altri che cedono e  consegnano i loro stessi simboli, desiderosi, comunque, dopo la persecuzione, di rientrare, come lapsi/scivolati (labor, laberis, lapsus sum, labi)  sotto la protezione diocesana.

In effetti a Nicea e poi a Costantinopoli,  mentre si crea il vertice della cupola ecclesiastica sotto la protezione imperiale, sulla base della divinità del Christos e del dogma Trinitario, si definisce unitariamente l’Ecclesia catholich su una base comunitaria e non personale.

Infatti  non  si parla di  soggettivo,  personale, singolare  credo/pisteuoo, ma  di un oggettivo comunitario, plurale crediamo /pisteuomen , tipico   di una comunità , che fa professione solenne di fede.

I vescovi, riuniti  nel 325  d.C. a concilio  da Costantino,  dapprima fanno una professione di fede comune, in modo da sancire il mistero trinitario, così da unificare le tante sette  cristiane e dare all’imperatore la parvenza di un’unità ecclesiale, seppure  sussista la  lacerazione con l’arianesimo, connesso con la chiesa dei martiri.

Dopo 56 anni Teodosio convoca, poi, un altro concilio, nel 381 sotto la presidenza di Gregorio di Nazianzo, per meglio definire il mistero trinitario e per sancire  definitivamente la funzione  della Chiesa, che, solo nella sede di Costantinopoli, ha come formula rituale pisteuomen eis mian, agian, katholikhn kai opostolikhn ekklhsian/crediamo in una, santa cattolica ed apostolica chiesa.

Da quel momento la Chiesa  è considerata  Sposa, sulla base del pensiero di Paolo (Rom., 12; I Cor.,12)  che indica la sua  unione a Cristo, vedendone la funzione in rapporto allo sposo divino, il  cui capo è principio di influsso vitale per tutta la vita, oltre che di organizzazione rispetto alle membra  (Ef. 1,23;4,15-16).

Secondo la lettura dei padri  della Chiesa  i fedeli, uniti ed interdipendenti,  sono  le membra del corpo ecclesiastico, che, così costituito, è identificato  al corpo di Cristo e al Cristo stesso.

Quindi Chiesa e Cristo sono un  corpo unico , secondo due valenze e come unione  formata da marito e moglie,  e come unione di parti,  cioè di capo e membra.

Di conseguenza si deve dire che  la Chiesa, come  istituzione di Cristo,  è Cristo stesso, che continua se stesso visibilmente, sulla terra, dopo la morte, resurrezione ed ascesa al cielo.

Il fatto che Cristo continua la sua missione  sottende che la sua incarnazione e redenzione sono durature nel tempo e significano continuità e validità eterna in quanto, come  incarnazione del Verbo in natura umana,  è  nella Chiesa, come  incarnazione  di Cristo nella società, è Cristo nello  stato terreno attuale  di incarnazione.

La presenza dell’organizzazione gerarchica ed apostolica è lo stesso Cristo, che inoltre, è rappresentato coi sacramenti,  specie con l’eucarestia; insomma la Chiesa è Cristo in persona sia nei sette sacramenti che nella figure gerarchiche- tanto che il papa  è lo sposo e capo della  chiesa  universale (moglie e membra), il vescovo della sua diocesi, il parroco della sua parrocchia-.

Infatti i padri leggendo allegoricamente  Antico e Nuovo testamento  rilevano  che essi testimoniano la Chiesa  nella sua funzione di sposa  (Isaia,LIV,5; Mc II,19-20; Mt. IX,15,XXII, 1-14; Gio. III,29; Apoc. XXI, 9-10,XXII 17; II Cor. II, 2; Efes. V,22-30, 31-32).

Cristo dà la fede per mezzo della parola della Chiesa,  la vita per mezzo dei sacramenti, educa alla fede e porta  alla vita eterna con l’azione pastorale della sua gerarchia.

La chiesa, corpo mistico  di Cristo, è, dunque,  madre,  che genera alla fede con l’evangelizzazione e alla vita eterna con sacramenti, che  nutre i figli mediante l’eucarestia, corpo vero di Cristo,  e  mediante  la parola santa  delle scritture, interpretata (cfr. Agostino, Questionum evangeliorum  I : la chiesa è una nutrice, le cui due mammelle  sono l’antico e  il nuovo testamento  in una costante e continua  educazione del  fedele dalla nascita alla morte).

La funzione e missione di Madre e di Sposa è ben fusa con quella naturalis di  Cattolica e di Apostolica nella sua natura di Unica e di Santa  in quanto Corpo stesso di Cristo.

Tutti questi titoli si affermano e si  maturano  nel lungo lasso di  tempo di quasi  un sessantennio di lotte  tra Cattolici ed ariani.

Noi oggi dicendo il credo (quello niceno-costantinopolitano)  non rileviamo questo periodo intermedio e pensiamo che sia globalmente della stessa epoca e non capiamo la necessità conseguenziale della  formulazione sulla Chiesa (crediamo nella chiesa una, santa, cattolica ed apostolica), perché non distinguiamo in fasi diverse il periodo della costituzione del credo  in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, come premessa necessaria alla fondazione della Chiesa Romana.

Se lo diciamo in latino o in greco o italiano  ha poca importanza: credimus in Ecclesiam Unam, Sanctam, Catholicam, Apostolicam- Pisteuomen eis mian, agian, katholikhn kai apostolikhn ecclesian; vale la stessa cosa, se si dice in altra lingua.

Ha importanza, invece, sapere se il testo è nel credo di Nicea del 325 in epoca costantiniana o in quello di Costantinopoli del 381 in epoca teodosiana.

E  qual è il credo quando la chiesa diventa romana?!.

La ecclesia di Roma, apostolica, in quanto fondata da Pietro (?)  è cattolica  come edificio (l’immagine di tempio in costruzione  è in  Il Pastore di Erma 9.a, similitudine in cui si divide la struttura del tempio dalla impalcatura) e come disegno  universale di Dio, realizzato nel tempo, da concludersi col ritorno del Cristo, epoca in cui cesseranno l’organizzazione gerarchica e quella sacramentaria  (Apocalisse XXI,22- il signore onnipotente è il tempio, come pure l’agnello).

Agostino (Enarratio in Psalmos, 29,6)  è cantore  entusiasta e pittoresco dell’edificazione della casa e della sua dedicazione,  è  poeta che mostra l’organizzazione della chiesa, paragonata alla medicazione di una gamba fratturata (Ibidem,146, 8), è un profeta che vede il realizzarsi del Regno conformemente, seguendo le parabole del Regno.  (Questa è la casa di dio, il cui campanile orienta lo sguardo verso il cielo  Ibidem,95,15).

E’ chiaro che, dunque, noi crediamo alla chiesa perché crediamo in Cristo  e nella Trinità. Resta, però, il problema storico della Chiesa Romana.

Non abbiamo Testimonianze antiche che possono comprovare la fondazione di una chiesa (ecckesia) di cristhianoi / cristiani per come li intendiamo oggi, ma solo di giudeo-cristiani, confusi coi giudei ubicati al di là del Tevere.

In epoca neroniana  i giudei non devono essere inferiori a 50.000 ed hanno almeno cinque sinagoghe, attestate già nel 40-41 ( Cfr. A FILIPPONI, Giudaismo Romano II, E Book 2012).

Il fatto, dunque, che esistono giudei e giudei christianoi che convivono insieme, fino a Domiziano, seppure ci siano contrasti  di varia natura è indice di convivenza in mezzo a pagani, non di una reale comunità cristiana con un capo riconosciuto di nome Pietro, oppositore del sistema imperiale e di Nerone.

Quella, che è chiamata Chiesa, è una delle tante comunità ebraiche che ancora ruota intorno alla sinagoga (Non si sa a quale! Alla Velia?! ), esistenti a Roma, che è la capitale di un impero di oltre 3.000.000 km2 il cui sovrano è legge vivente, che regola una popolazione globale di quasi 60.000.000 di cives (Cfr. A: FILIPPONI,Caligola il sublime, Cattedrale 2008)

Roma è l’urbs per antonomasia  e la megalepolis che sintetizza l’orbis terrarum.

Un christianos come Shimon Cefas Petrus è uno csenos, un peregrinus nella Roma imperiale. che ammira il colosso neroniano, il lago, e la Domus aurea:  ogni provincialis si sente un microbo di fronte alla divina grandezza imperiale, una creatura davanti al numen.

E’ possibile, dunque, che  ci possa essere capitato  a Roma, quello che noi chiamiamo Pietro cioè Kefas-Shimon.

La sua presenza, comunque, non sottende la costituzione di un’ecclesia christiana in quanto è inesistente nel momento neroniano, esistente in epoca, forse, domizianea.

Con ciò  non si vuole negare che qualcuno con questo nome  Shimon- Pietro o col nome aramaico di Kefas  sia venuto a Roma, ma  si vuole dire che vi sia giunto  dopo che Paolo scrive la sua lettera ai Rom ai Romani dopo la morte di Claudio  nel 54 d.C. in quanto viene nominato sia in 1 lettera ai Corinti che  in  quella ai Galati.

Non si può neanche dire che questo personaggio sia morto martire ma neppure che sia stato martirizzato sotto Nerone, che fa  stragi di  ebrei non christianoi,  e di giudei christianoi indistintamente.

Per ora, allo stato attuale delle conoscenze storiche, si può solo dire (con molto beneficio)  con Ireneo di Lione (Adv. haer. 3,3,2): “… la chiesa (è) fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo” .

Ireneo nella sua lotta contro gli gnostici e contro il platonismo tende, però,  ad indicare la rete della successione apostolica come garanzia del perseverare nella parola del Signore e si concentra poi su quella Chiesa “somma ed antichissima ed a tutti nota”, indicando  nei vescovi e specie nel vescovo di Roma,  gli eredi, continuatori e custodi della Tradizione che è “pubblica”, “unica”, “pneumatica“,  quella cioè  guidata dallo Spirito Santo.

L’unità della storia della salvezza secondo Ireneo aiuta a comprendere anche l’unità dell’uomo: “Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio” (Ibidem, IV, 20,7).

Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, 2,14,6) mostra perfino il periodo ed afferma: “All’inizio del principato di Claudio la Provvidenza universale… prese per mano Pietro, potente e grande, primo fra gli apostoli per le sue virtù, e lo condusse a Roma come contro un flagello del genere umano, Simon Mago” .

Quanto detto  da Eusebio sulla provvidenza e sul contrasto con Simon Goes mago  è comprovato da Girolamo che  in De viris illustribus. 1,1 indica il 68 a.C. come anno della morte dell’apostolo:  “Simone Pietro… nel secondo anno di Claudio andò a Roma per sconfiggere Simone mago e là occupò per venticinque anni la cattedra episcopale sino all’ultimo anno di Nerone, cioè il quattordicesimo.

In altre sedi abbiamo indicato come  Eusebio sia poco attendibile  e quanto sia poco credibile Girolamo!

Dalle fonti cristiane  la tradizione petrina romana, comunque, potrebbe essere stata costruita per giustificare la posizione di preminenza di Roma, vecchia capitale dell’impero, dopo Costantinopoli, la Nuova Roma , secondo quanto stabilito da Teodosio.

Le lettere pseudo clementine (2 lettere contraffatte, attribuite a  Clemente papa, morto nel 100, considerato da Girolamo de viris illustribus,15 secondo dopo Pietro, anche se cita come predecessori Lino ed Anacleto)  dovrebbero essere postcostantiniane, scritte  nei 56 anni nel periodo di lotte tra ariani e cattolici  che infuriano a Roma.

Queste lettere  (una  scritta ai  Corinzi ed  un’altra, non accolta dagli antichi, secondo Girolamo – che contesta  anche la Disputa di Pietro con Apione, giudicata prolissa,  concordando con Eusebio che ne parla nel III libro di  Storia Ecclesiastica – ) – specie la seconda- riprendono la notizia della venuta di Pietro a Roma, all’inizio del principato di Claudio (dipendente da At 12,27) dove si legge che, dopo la sua liberazione dal carcere a Gerusalemme sotto il re Erode Agrippa, Pietro andò in un altro luogo/ eis héteron tópon. 

Gli studiosi hanno variamente interpretato altro luogo: chi  parla di Roma, chi di Antiochia, chi indica la costa mediterranea della Palestina, pensando a Cesarea  Marittima, chi  una zona limitrofa  a Gerusalemme orientale.

In effetti poiché si parla di heteron si vuole indicare un solo altro luogo, non tanti.

Insomma lo stesso scrittore, Luca, non  sa dove e quindi lascia in modo indeterminato e dice così, volendo intendere un altro secondo luogo conosciuto dagli apostoli (Pella secondo Robert EISENMAN- Giacomo il Fratello di Gesù, Piemme 2007- ).

Non convince quanto ci viene dalla testimonianza di Ambrosiaster (In epist.ad Romanos, Prol. 2-3): “Si sa, dunque, che ai tempi degli apostoli alcuni giudei… abitavano a Roma. E, fra costoro, quelli che avevano creduto insegnarono ai Romani a conservare la legge, pur professando Cristo… L’apostolo (Paolo) si adira con i Galati, perché, nonostante fossero istruiti bene, si erano lasciati fuorviare con facilità; con i Romani invece non dovette adirarsi, ma anzi dovette lodare la loro fede, perché pur non vedendo né segni né miracoli né alcuno degli apostoli, avevano accolto la fede in Cristo sebbene in un senso falsato; infatti non avevano sentito annunciare il mistero della croce di Cristo“.

Col nome di Ambrosiaster  è tramandato un autore di un commentario su Paolo, la cui identificazione – dopo che Erasmo stesso bocciò la tradizione  millenaria  che  assimilava  l’autore ad Ambrogio –  è da ritenersi quella di G. MORIN (Study of Ambrosiaster,  Cambridge Univ., Press. 1905 ) che sembra riferirsi ad un Decimo Ilario, proconsole di Africa del 377 d.C.

Nonostante i vangeli  affermino il primato di Pietro, (quando in altre sedi – Atti degli apostoli- si parla del primato di Giacomo) sebbene si dica che Pietro fu a Roma e che morì in epoca neroniana crocifisso all’ingiù, (tutto da dimostrare con le stesse lettere Pseudo clementine) ma non c’è notizia certa  né esiste un documento storico che sancisca la  costituzione apostolica della Chiesa di Roma.

Papa Benedetto XVI riprendendo  il nuovo catechismo della Chiesa Cattolica  dice ….è Cristo che per mezzo dello Spirito Santo concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica ed aggiunge che la Chiesa ha come proprietà essenziale anche quella di essere “Romana“.

La sua onestà  gli impedisce di togliere “anche”  ma il suo ruolo di pontefice romano non autorizza  di chiarire il problema  poiché afferma che nella Romanità si riassume il volto visibile del Corpo mistico di Cristo.

Forse il papa  dicendo  il termine “Romana” sottende quel grande periodo romano-ellenistico in cui la Chiesa cattolica ha costituito la sua romana funzione, in una connessione, dapprima onorifica con quella costantinopolitana in epoca teodosiana.  Forse a Benedetto XVI  non sfugge  dopo la scissione con la chiesa ortodossa del 1054, la  specifica funzione vicaria di Cristo sulla terra  e la sua romanizzazione  definitiva  nel tempo e nello spazio, in un luogo e in una memoria storica, secondo il dictatus papae di Gregorio VII.

Il papa tedesco ben conosce  il rilievo di Ildebrando Aldobrandeschi  nel momento delle lotte contro Enrico IV imperatore dei romani e precedentemente contro il patriziato romano  e il popolo,   e la sua  recisa affermazione della chiesa romana ed apostolica  e la  nuova figura  papa, ormai distaccata da quella costantinopolitana, dopo la morte di Leone IX, con la nuova strutturazione romana del collegio cardinalizio.

Nel periodo in cui Ildebrando è abate di S Paolo fuori delle Mura e al momento della sua funzione  di segretario alla curia di  Niccolò II e poi di Alessandro II fino alla elezione papale nel 1073 si ritiene,  in un  momento di offuscamento della romanitas  apostolica, rispetto ai laici e ai sovrani,  che venga ricostituita in Occidente e a Roma  una  struttura divina apostolica e romana del Pontefice, su basi storiche  equivoche e false.

Si costituisce proprio allora un primato petrino con un grande lavoro in senso allegorico sulle due chiavi, sul sole  papale  sulla luna imperiale (cfr. Teoria dei due soli secondo le tesi decretaliste e scolastiche  – il diritto del papato ad eleggere l’imperatore è  indebito e  un imperatore, come ogni sovranità laica,  non ha bisogno di  essere riconosciuto, dopo l’unzione papale – )….