La Verna: il mito di Francesco

Basta coi miti!

Ricercatori,  date le vostre risultanze!

Rifondiamo e facciamo cultura su basi tuzioristiche storiche per orientare i nostri figli e nipoti  e  per dare loro un futuro!

 

Il Mito di Francesco

Il simbolo del serafino e le stimmate creano la legenda aurea  di Francesco.

Nel 1224 Francesco si ritira a La Verna,  un monte in provincia di Arezzo, dove chiede a Dio  di poter essere partecipe della passione di Cristo, vivendo in condizioni  di spaventosa povertà in un clima inclemente, abitando in un’umida, stretta, spelonca, vivendo in preghiera.

La legenda maior di Bonaventura dice che appare a Francesco un serafino con sei ali, a forma di Cristo crocifisso  e che, poi, il santo ha le stimmate tanto da essere alter Christus.

Non solo Tommaso da Celano, ma anche altri  come Bonaventura, mostrano   Francesco  imitatore di Cristo  alla pari di Dante,   che nel Paradiso XI, 106-108, afferma: nel crudo sasso intra Tevere ed Arno, / da Cristo prese  l’ultimo sigillo / che sue membra  due anni portarno.

Per me il mythos di Francesco inizia quando  la letteratura francescana propaganda Francesco alter Christus , dopo il processo breve di agiografia orale, durato poco più di un venticinquennio.

Il popolo in questo periodo ha ricordi propri di Francesco, che sono discordanti e   non hanno un reale valore di racconto univoco: bisogna costruire una  legenda, letterariamente, quasi visiva  per dare suggestioni pittoriche e creare modelli per la massa analfabeta!.

Dopo questo periodo, appare necessaria  la formazione di una commissione di  francescani, già divisi tra loro  in Conventuali e Spirituali, in uomini che vogliono  da una parte seguire la regola del fondatore  addolcendo il rigore,  e in altri che pretendono di inasprire e rendere ancora più dura la precettistica  del maestro, secondo il rigido insegnamento del Vangelo (Quale?!).

Da qui la necessità di dare un’unica immagine di Francesco  con un’unica lex francescana.

A chi il compito di una  tale missione se non al capo generale del movimento francescano, quel Bonaventura di Bagnoregio, abile nel narrare, capace di  fare  la theoria di Un Itinerario della mente in Dio/Itinerarium mentis in Deum, un magister theologiae, passato attraverso tutti i gradi della formazione di baccalaureus (biblicus, sententiarius, formatus), dopo aver conseguito il titolo di base di magister artium (laurea in lettere)?

E… Bonaventura fa un’opera degna di un Magister artium e magister Theologiae e crea il mythos di Francesco!

Quanto vero ci può essere in un racconto  di un seguace, che deve  elogiare uno già santificato dalla Chiesa Romana, sollecita a riconoscere i meriti del poverello di Assisi, che ha rinunciato al suo stato  e si  è denudato coram populo et episcopo, rigettando l’eredità paterna?!

Dal 1257 al 1260 Bonaventura, esaminate le versioni sulla vita di Francesco,  contrastanti e contraddittorie, secondo il Capitolo generale francescano,  a Narbona, ne decide la eliminazione, ut de omnibus bona compiletur.

Cosa significhi  de omnibus bona, lo lascio dire a te, Marco, amico mio.

La traduzione  per me è questa: fra le tante numerose versioni  compilarne una nuova, buona che riassuma tutte le altre!.

Marco, accetto la tua traduzione se hai chiara l’idea di compilare (da compilo  spoglio, saccheggio faccio bottino) che sottende l’azione  di saccheggiare e  sfruttare il lavoro precedente altrui, connessa con bona, che vale chresth/utile , associata al bene morale!.

Bonaventura  cioè ha già chiaro il principio utilitaristico  di Aristotele,  sostenuto a Parigi nel contrasto  coi domenicani circa la necessità di sfruttare  la conoscenza del pensiero aristotelico, anche tradotto dagli arabi!

Al di là, comunque  della beatificazione dell’uomo e della Regula bullata maior bonaventuriana,  dell’opera di Tommaso da Celano (Vita prima,  Legenda trium sociorum,  Legenda perusina)  il mito di Francesco si stabilizza dopo l’Itinerarium mentis in deum di Bonaventura  e dopo l’elezione di Niccolò IV,  Gerolamo Masci di Lisciano (Ascoli Piceno).

Esso diventa una cosa sola con il fenomeno spirituale di Jacopone da Todi e di Ubertino di Casale, opposto a  quello conventuale di Matteo di Acquasparta!.

Col mito di Francesco  risulta vincitrice la pars integralista evangelica  francescana, poi cancellata dalla storia con l’anathema del movimento spirituale nel 1318 ad opera di Giovanni XXII.

Infatti sia Dante che Iacopone creano l’immagine di  Francesco fortemente mistico/pneumatikos, secondo linee oltranzistiche, che rappresentano un imitatore di Cristo,  alter Christus, un Cristo novo piagato.

La lauda  LXI, iacoponiana, dice a proposito: L‘amore divino altissimo / con Christo l’abbracciao/  l’affetto suo ardentissimo sì lo ce ‘ncorporao/ lo cor li stemperao como cera a suggello.

Il suo  mito, quindi, si afferma con l’opera di Bonaventura  nell’ambiente parigino come un altro Compendium  theologicae veritatis, impostato sulla pace e dilaga con Niccolò  IV nel mondo cristiano per l’elezione del primo papa francescano, mentre parallelamente cresce  anche il mito di Domenico di Guzman, per la costituzione di due ruote del carro della Chiesa.

C’è già un  precedente esempio, quello di Bernardo di Clairveaux, che, però, anche da vivo   ha la fortuna di veder papa un suo discepolo, cistercense, Eugenio III…

Al di là dell’esempio bernardiano del XII secolo, nel XIII, per Bonaventura la mente, lo spirito, il composto tra animus e mens, destinato a sopravvivere, ha un suo itinerarium verso Dio, alla ricerca della perfezione-teleioosis!.

Certamente  per il francescano si parte dalla conoscenza umana e si coglie l’ispirazione mistica,  in una tensione di innalzamento  graduale della filosofia alla teologia, su una base  generale di pace  ed una, specifica, del segno della croce,  come  augurio di pace, secondo il  monito di Francesco, che salutava il popolo col dire  il signore vi dia la pace, in un preciso impegno di liberarsi dal possesso di denaro, dal potere politico e dal proprio io.

Tutto sembra  realizzarsi nel contesto di La Verna, dove Francesco  in penitenza, in condizioni disumane di povertà e di sacrificio, consegue  la congiunzione con  Christus e  diventa alter Christus.

E’ una reale epiphaneia o la suggestione di una mente debilitata dal freddo e dalle intemperie, divorato da  un eccesso di febbre, preso dai morsi della fame, rannicchiato sul suo misero saio/sacco?!

L’apparizione del serafino  è un  segno  premonitore delle stimmate,  come sigillo del passaggio della sofferenza umana  carnale sull’uomo divino Francesco?!.

Si stabilisce il modello francescano di nuova santità cristiana, come perfetta  assimilazione, simile a  quella Paolina (cfr. Lettera  I  ai Corinzi, 18 e  lettera ai Galati 2, 21).

Dapprima, dunque,  mi sembra opportuno  trattare di Bonaventura e del francescanesimo serafico come  dimostrazione del trionfo dell’ordine, poi  di accennare alla propaganda culturale domenicana che trova in Alberto Magno e in Tommaso  d’Aquino, le massime espressioni parigine,  da cui si ha  eco in Dante e  nella sua visione unitaria della funzione della Chiesa, palese nell’ XI e XII canto del Paradiso.

Il suo intento celebrativo proprio di uno spirituale, non disgiunto dalle influenze ebraiche, è quello di una celebrazione comune dei due ordini mendicanti- i cui fondatori sono l’uno serafico  e cherubico l’altro-   per fare  della Chiesa la  sposa povera, derelitta, di Christos, secondo l’exemplum evangelico.

Dante è nel periodo trevigiano molto accomodante ed apparentemente sereno tanto da appianare le divergenze dottrinali e culturali tra i due ordini: Tommaso, domenicano parla a fine canto XI, secondo caritas,  del traviamento dell’ordine francescano, mentre Bonaventura francescano  parla, a fine canto XII,  sempre secondo caritas, di quello dell’ordine domenicano!.

Si tenga presente, però, che la sagacia dottrinale di Tommaso viene evidenziata in Dante in quanto il problema, espresso nel  canto  X , è quello di una differente risposta  da dare alla Chiesa sulle quaestiones  I.  U  ben s’impingua (V.96) e II. Non surse il secondo (v. 116)…

I termini  di serafico/Francesco  e  di cherubico/Domenico, comunque, riportano all ‘angelologia ebraica e, quindi, alle visioni, ma hanno una connotazione  giudaica, di recente acquisizione grazie ai contributi ebraici di Abulafia e di  altri cabalisti, attivi nel trevigiano, come Hillel di Verona,  negli anni del rapporto tra il poeta e Cangrande della Scala…

Di Serafim, plurale di Seraf, parola di fuoco,  esseri angelici vicini a Dio, sua parola stessa, di fuoco, ho già trattato, mentre di Cherubim ho sempre trascurato l’etimo kerub/v contrapposto, o opposto a  seraf.

I due termini hanno in comune il fuoco e l’incandescenza e sembrano derivare da una matrice accadica (più il secondo che il primo – una certa conferma è in Beroso!-) in quanto valgono simbolo di perfetta custodia del trono infuocato!.

La  figura  del Cherubino è varia a seconda  del periodo di scrittura del Vecchio Testamento.

Lo scrittore di Genesi ( 3,24) parla di esseri angelici protettori, con la spada sguainata, fiammeggiante, dell’albero della Vita – come quello di Esodo (25,18-22) e di I re (6,24) -in un’unica raffigurazione di essere umano con due ali.

Ezechiele  (1,6-11), invece, raffigura il cherubino come un essere quadruplice con quattro ali e quattro facce (uomo,  vitello, leone ed aquila -divenuti poi simboli di quattro evangelisti-)…  Come vedi, Marco, tutto è provvisorio, niente è esatto!

E’ un sistema, dove vige il vago, il superficiale, l’impreciso, il nebuloso  e ognuno dice quanto sente dire

Nel 1213 Francesco si incontra con Orlando Catani, un  conte, proprietario tra l’altro, di Chiusi La Verna, che fa promessa  in un’ indeterminata località del Montefeltro, di  regalare un monte dirupato, coperto di vegetazione ai francescani.

Non c’è  registro con atto di cessione tra le parti,  né di possesso della zona delimitata  specificamente; né si conosce l’anno in cui i francescani hanno il possesso reale del luogo, ma potrebbe essere  tra il 1215 e il 1223, probabilmente, se Francesco ci sta saltuariamente tra il 1224 e 1225 (date le condizioni climatiche avverse, considerato lo stato di salute cagionevole del Santo  e, vista la difficoltà per arrivare in vetta): lo stesso Dante visita La Verna, quando già c’è  in loco stabilmente una confraternita francescana, ottanta anni dopo circa!.

Al  di là della esperienza  di vita  francescana e della poesia stessa dantesca,…  Bonaventura, generale del suo ordine,  riceve l’approvazione della sua scrittura della vita di Francesco,  da Parigi,  dopo  oltre quaranta anni di distanza  dalla morte del santo.!

Secondo molti critici,  che si rifanno ad Isidoro, il termine repetitor-  colui che ripete ( in quanto chiede  ripetutamente, ridomandando), bonaventuriano, designa Francesco, esaminato  analogicamente come nuovo Christus, che aspira all’assimilazione col Christos ebraico.

Per Bonaventura, dunque, Marco, avere in  mente l’analogia tra Francesco e Gesù  significa  creare una rete di rapporti e di comunicazione interna tra Ordine francescano e Chiesa, nella coscienza  che il bene dell’uno è quello dell’altra, in reciprocità.

Esistono, amico mio,  uomini come Bonaventura che mentono a se stessi come autodifesa della propria condotta morale e della propria coscienza di santità,  e nascondono,  velando, la realtà storica, avendo di mira la legenda del fondatore dell’Ordine e il bene sommo dell’Ecclesia Romana: la falsificazione  ricompensa in modo diale, concedendo da una parte  lustro/ nomen glorificato, tra i confratelli e  fama nell’Ordine e  da un’altra santità  nell’Ecclesia  e retribuzione  centuplicata nel Paradiso, post mortem.

Bernardo e Gregorio VII sono esemplari maestri di tale falso sistema di vita: sono scissi nel loro animo, formale, hanno una doppia personalità, secondo apparenza e secondo funzione: seguono moralmente due itinerari, non compatibili tra loro! l‘ambizione personale scompare e si assimila, celandosi, sotto  quella  della  necessitas  della comunitas ecclesiale!

Marco, Leggiamo insieme la legenda maior  13,3 ed ammiriamo la visione del serafino Christos: Francesco, un mattino, all’appressarsi della festa  della Santa Croce, mentre pregava  sul fianco del monte, vide la figura, come di un serafino, con sei ali tanto luminose  quanto infuocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso con rapidissimo volo e tenendosi librato, nell’aria, giunse vicino all’uomo di Dio.  Ed allora apparve  fra le ali l’effigie  di un uomo crocifisso, che aveva mani  e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il capo, due si stendevano a volare,  e due velavano tutto il corpo!.

Ora, Marco, capisci quanto possa essere reale tale epiphaneia paradossale sia da  parte di chi scrive,  preso nel suo compito di sacro  narratore che da parte di chi, malato, paralizzato dal freddo, in delirio, subisce la visione!

Vuoi vedere, Marco, ora, l’incipit del capitolo  sui gradi dell’ascesa  a Dio e sulla conoscenza di Dio tramite le tracce dell’universo,  riprese, oltre tutto,  da Dionisius Aeropagita nel libro De Mystica Theologia, esaminate dopo una preghiera?.

Naturalmente quanto detto dallo Pseudoaeropagita è sacro,  è pietra  angolare nel camino ascetico,  anche se si conosce sicuramente la mistica ebraica di Girona,  Abulaphia, il sistema sofirotico!

Bonaventura inizia col salmo  83, 6-7  Beatus vir, cuius est auxilium abs te; ascensiones in corde suo disposuit in valle lacrumarum, in loco, quem posuit/ Beato l’uomo che ha la tua protezione in questa valle di lacrime- che ha il tuo aiuto-: egli dispose nel suo cuore i gradi per salire in questa valle di lacrime nel luogo desiderato che pose- assegnato- .

Spiega che Beatitudo nihil aliud est  quam summi boni fruitio  e precisa che  summum bonum est supra nos e che nullus potest  effici beatus, nisi supra semetispsum  ascendat, non ascensu corporali, sed cordiali/nessuno può diventare beato se non ascende al di là di se stesso, non col corpo, ma col cuore.

Non ti sfugga, Marco, la distinzione tra corporalis e cordialis poiché il santo vuole indicare un percorso non col corpo, ma col cuore. 

Cosa vuole dire?

Dice, Marco, che noi non possiamo essere sollevati al di là di noi stessi, se non da una forma  superiore, senza la quale,  nonostante la nostra perfetta inclinazione, nulla accade, se non c’è intervento divino, a cui noi partecipiamo col cuore.

Per Bonaventura solo quelli che vivono  in questa valle di lacrime e fanno richiesta, pregando  un tale aiuto con un cuore umile  e devoto,  lo ottengono grazie alla preghiera, fonte e  madre  della capacità di ascendere al di sopra di noi stessi.

Solo allora saremo capaci di ascendere per i sei gradi per salire fino a Dio, dopo la conoscenza terrena delle cose!. Per Dante (che segue la spiegazione araba di Cecco d’Ascoli) dopo i nove cieli – Luna Mercurio Venere, Sole Marte Giove, Saturno, Stelle fisse, Primo mobile-   mossi  dalle rispettive gerarchie angeliche (Angeli Arcangeli Principati, Potestà Virtù Dominazioni, Troni Cherubini Serafini) – si giunge all’Empireo, dove è il Motore immobile! .

Della totalità delle cose,  alcune sono vestigium /traccia; altre imago /immagine;  altre corporali/corporalia, altre spiritualia/ spirituali , cioè  alcune sono fuori di noi,  altre dentro di noi.

Quindi, per Bonaventura  per giungere  al primo principio, che è spiritualissimo, primo motore,  eterno e  al di sopra di noi, oportet  nos transire  per vestigium, quod est corporale et temporale et extra nos, cosa che comporta essere guidati  sulla strada per giungere a Dio.

Dunque, professore, prima bisogna entrare nella nostra mente  che è immagine imperitura  spirituale ed interiore di Dio, poi penetrare nella verità di Dio.

Così si arriva alla veritas theologica!, Marco.

Viene ipotizzato analogicamente  un cammino di tre giorni in solitudine, in relazione alla triplice luce di ogni singolo giorno:  la prima è tramonto, la seconda  mattino e la terza mezzogiorno , n quanto vi si  riflette il triplice modo dell’esistenza delle cose  nella materia, nella conoscenza e nella  scienza divina.

Dunque, professore, al di là del cammino triplice,  le tappe sono sei  perché Dio costruì il macrokosmos in sei giorni e allo stesso modo  il microkosmos è condotto  ordinatamente alla quiete della contemplazione mediante  i sei gradi di illuminazione, di cui sono simbolo i sei gradini per mezzo dei quali si saliva  al trono di Salomone?

Certo, Marco, tieni presente, però,  anche le sei ali dei Serafini e anche i sei giorni  trascorsi prima che Dio chiamasse Mosè  dal mezzo della nube e considera pure i sei giorni intercorsi, secondo Matteo,  fra il momento in cui Christos condusse i discepoli al monte  e quello in cui si trasfigurò.

Aggiungi, Marco, che Bonaventura  ritiene che ai sei  gradi dell’ascesa corrispondono i sei gradi delle facoltà dell’anima (sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia  et apex mentis  seu sinderesis /scintilla). (Cfr. Itinerario della mente in Dio  introduzione e traduzione e note di Massimo Parodi e Marco Rossini BUR 1994).

Cosa è Synderesis ?  non è facile la sua etimologia, che può rimandare a sun e deroo,  con un significato di  scuoio maltratto  tormento insieme,  da collegare con favilla/scintilla di  fuoco, ma anche ad apex mentis, cioè alla vetta della mente. Perciò, l’insieme sembra valere  naturale disposizione della volontà al bene come apice della mente,  in senso razionale, rispetto al naturale iudicatorium,  proprio della coscienza morale.

Ora, Marco, comunque, lasciando da parte il trattato bonaventuriano e seguendo il nostro  discorso sul mito di Francesco, bisogna dire che  la leggenda francescana, mista al mito del Christos diventa mythos di Francesco di Assisi/ alter Christus sotto il pontificato del francescano ascolano,  Gerolamo Masci,  che è il nuovo generale dell’ordine già nel 1274 -poco  prima della morte di Bonaventura, avvenuta nel luglio – al Concilio di Lione.

La carriera legatizia di Gerolamo Masci  sotto Innocenzo V ( da cui è inviato all’imperatore  per la definizione delle questioni liturgiche  e dottrinali  col Patriarca  Giovanni XI Bekkos ),  la nomina a cardinale ad opera di Niccolo III  Orsini   e poi quella di cardinale vescovo di Palestrina , oltre alla fama di  Magister theologiae contrassegnano la progressiva sua ascesa verso il trono di S. Pietro di un francescano, celebrato anche per le sue qualità morali.

Inoltre   da una parte  Niccolò IV si protegge a Roma  dalle pretese orsiniane  così da avere una gestione interna tranquilla  e da un’altra ha già messo in atto la pacificazione col mondo orientale da quando  inviato in Dalmazia, ha avuto incarichi di contattare i greci  per  sanare la piaga dello scisma, avendo ottenuto anche  l’assenso di  Michele VIII Paleologo.

Niccolo IV dopo la morte di Onorio IV,  specie  a seguito della presa di Tolemaide e di S. Giovanni d’ Acli nel 1291  ha,  in una propaganda della  evangelizzazione cristiana francescana, di mira l’ assoluta pace con l’oriente bizantino e la guerra contro i saraceni  e perciò raccoglie tutte le forze cristiane, romane…ed incorona Carlo II  d’Angiò a Rieti del Regno di Napoli ,  già bene informato  della imminente lotta lotta con gli aragonesi per la Sicilia…

ll mito di Francesco è alla base di tutta la sua propaganda, che si sintetizza nel simbolo della croce,  datrice di pax universale, e luce di salvezza  per gli uomini  secondo la predicazione francescana .

Ciò , comunque, è  contemporaneo  con la nuova politica  verso  i D’Angiò di Francia e verso il regno di Sicilia, utile trampolino per la guerra contro i musulmani, ad uso dei crociati spagnoli aragonesi…

La propaganda papale  sia in Occidente che in Oriente  è da una parte nuovo evangelion francescano e da un’ altra  è segno di una volontà  di  creare un nuovo legatus  romanus  ecclesiastico  che  abbia l’ufficio eversivo di  sradicare, distruggere  dissipare, disperdere,  i nemici, ma ha anche il munus  beneficum  di edificare, piantare,  fare qualsiasi cosa  ad honorem Dei et prosperum statum Ecclesiae…

Noi, quindi, oggi, professore, viviamo  venerando due miti, quello di Cristo e  quello di Francesco?  Marco noi veneriamo tanti miti  cristiani e non.

A me, Marco, risulta  che una cosa è il mito, una cosa è la realtà storica: forse non lo so  dimostrare, non avendo mai  avuto il tempo necessario per approfondire la ricerca e  per meglio evidenziare i signa di tale tracciato  e nemmeno i mezzi per poter indagare più a fondo…

Il mito nasce a seguito del Phobos, dopo episodi e situazioni  catastrofiche, che incutono panico alle masse irrazionali, accalcate bestialmente,   quando magi e preti  dànno speranze nell’infuriare delle  calamità naturali o nel corso di spaventose guerre o di carestie  o di pestilenze, quando manca un’organizzazione statale…

Io non se se  si può dire quanto scrive Amartya Sen: nella  terribile storia delle carestie  mondiali  è difficile trovare un caso  in cui si sia verificata un carestia in un paese che avesse  stampa libera ed un’opposizione attiva  entro un quadro  istitutorio  democratico.

So, comunque,  che là dove  non c’è libertà di stampa, né opposizione politica, né un quadro democratico istituzionale ma solo  sovranità  assoluta  con i paladini del  clero e della  nobiltà  si creano due  sistemi  che si avvinghiano, attorcigliandosi al potere centrale  (Grande è l’insegnamento in tale senso di Giannone!),  impedendo ogni crescita popolare, mantenendo  l’ignoranza  dei molti che, condizionati dai miti religiosi e dall’epica di vincitori, obbediscono ciecamente alle direttive religiose e politiche vedendo punita ogni mente critica,   costretti oltre tutto  al sacrificio, in nome di un  Dio, che si fa perfino uomo  e diventa modello di vita e di resurrezione  per dare  un premio eterno come retribuzione ad una vita  di sacrificio terrena, pazientemente sopportata.

Perciò, Marco,  al di là del mito di  Cristo, di Pietro e di  Francesco,  gli oltranzisti vendono col Muthos  il sangue dei popoli,  soggiogati dalla speranza futura di un  premio eterno.

Così potere politico e religioso hanno conquistato le Americhe, imponendo  gli hidalgo spagnoli  agli amerindi povertà e sacrifici; francesi ed inglesi  e poi anglosassoni statunitensi  hanno sottomesso,  massacrando,  le tribù libere indiane in nome di Dio, colonizzando  secondo Bibbia e Vangelo, letti ed interpretati secondo l‘ottica bianca della superiorità di razza rispetto alle altre…

Che  valore  può avere, professore, la parola del papa che chiede  all’Onu una nuova distribuzione di beni sulla terra, quando già, anche dopo la decolonizzazione,  si sono resi schiavi  i popoli africani, ed ancora si cerca di mettere la museruola  secondo la Christiana etica romano-americana ed  ora  bizantino-russa, ad ogni popolazione dissidente, gialla, meticcia, o indoeuropea,  con la superiorità delle armi e con le sanzioni economiche?

Nessuna parola, Marco, di papa Francesco  è credibile, se rimane sovrano assoluto.

Rovesciamo, dunque,  l’etica del bianco europeo  principe della terra! Sovvertiamo l’oikonomia di stampo ebraico! Annulliamo il potere religioso  di qualsiasi credo, lasciando solo una funzione  di pietas e di normalità rituale ai fedeli, senza clero!

Smettiamo di agitare la bandiera della croce  e di nasconderci dietro il nome di Dio!

Possibile che nel 2018 bisogna ancora dare illusioni all’uomo?!

Non sarà bene che ogni ricercatore di qualsiasi disciplina, senza vendersi al migliore offerente,  metta in comune le risultanze del proprio lavoro  ed indichi una sua via, tra le altre percorribili, in relazione al suo studio per un reale orientamento?!

Possa questo duecentesimo articolo essere il primo di una denuncia  sociale, politica e religiosa,  che  sia esemplare per chi voglia essere utile all’uomo – una creatura di  pari dignità e valore, simile in tutto ad ogni altra creatura del Kosmos, non certamente  somigliante al Padre,  onnipotente creatore-!