Basta coi miti!
Ricercatori, date le vostre risultanze!
Rifondiamo e facciamo cultura su basi tuzioristiche storiche per orientare i nostri figli e nipoti e per dare loro un futuro!
Il Mito di Francesco
Il simbolo del serafino e le stimmate creano la legenda aurea di Francesco.
Nel 1224 Francesco si ritira a La Verna, un monte in provincia di Arezzo, dove chiede a Dio di poter essere partecipe della passione di Cristo, vivendo in condizioni di spaventosa povertà in un clima inclemente, abitando in un’umida, stretta, spelonca, vivendo in preghiera.
La legenda maior di Bonaventura dice che appare a Francesco un serafino con sei ali, a forma di Cristo crocifisso e che poi il santo ha le stimmate tanto da essere alter Christus.
Non solo Tommaso da Celano, ma anche altri mostrano, come Bonaventura, Francesco imitatore di Cristo alla pari di Dante che nel Paradiso XI, 106108, afferma: nel crudo sasso intra Tevere ed Arno, / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che sue membra due anni portarno.
Per me il mythos di Francesco inizia quando la letteratura francescana propaganda Francesco alter Christus dopo il processo breve di agiografia orale, durato poco più di un venticinquennio.
Il popolo in questo periodo ha ricordi propri di Francesco, che sono discordanti e e non hanno un reale valore di racconto univoco: bisogna costruire una legenda, letterariamente, quasi visiva per dare suggestioni pittoriche e creare modelli per la massa analfabeta.
Dopo questo periodo appare necessaria la formazione di una commissione di francescani, già divisi tra loro in Conventuali e Spirituali, in uomini che vogliono da una parte seguire la regola del fondatore addolcendo il rigore, e in altri che pretendono di inasprire e rendere ancora più dura la precettistica del maestro secondo il rigido insegnamento del Vangelo.
Da qui la necessità di dare un’unica immagine di Francesco con un’unica lex francescana.
A chi il compito di una tale missione,se non al capo generale del movimento francescano, quel Bonaventura di Bagnoregio abile nel narrare, capace di fare la theoria di Un Itinerario della mente in Dio/Itinerarium mentis in Deum, un magister theologiae passato attraverso tutti i gradi della formazione di baccalaureus (biblicus, sententIarius, formatus), dopo aver conseguito il titolo di base di magister artium ( laurea in lettere)?
E Bonaventura fa un’opera degna di un Magister artium e magister Theologiae e crea il mythos di Francesco!
Quanto vero ci può essere in un racconto di un seguace che deve elogiare uno già santificato dalla Chiesa Romana, sollecita a riconoscere i meriti del poverello di Assisi, che ha rinunciato al suo stato e si è denudato coram populo et episcopo, rigettando l’eredità paterna?!
Dal 1257 al 1260 Bonaventura, esaminate le versioni sulla vita di Francesco , contrastanti e contraddittorie, secondo il Capitolo generale francescano, a Narbona, ne decide la eliminazione, ut de omnibus bona compiletur.
Cosa significhi de omnibus bona, lo lascio dire a te, Marco.
La traduzione per me è questa: fra le tante numerose versioni compilarne una nuova, buona che riassuma tutte le altre.
Marco, accetto la tua traduzione se hai chiara l’idea di compilare (da compilo spoglio, saccheggio faccio bottino) che sottende l’azione di saccheggiare e sfruttare il lavoro precedente altrui, connessa con bona che vale chresth/utile , associata al bene morale.
Bonaventura cioè ha già chiaro il principio utilitaristico di Aristotele, sostenuto a Parigi nel contrasto coi domenicani circa la necessità di sfruttare la conoscenza del pensiero aristotelico anche tradotto dagli arabi!
Al di là, comunque della beatificazione dell’uomo e della Regula bullata maior bonaventuriana, dell’opera di Tommaso da Celano (Vita prima, Legenda trium sociorum, Legenda perusina) il mito di Francesco si stabilizza dopo l’Itinerarium mentis in deum di Bonaventura e dopo l’elezione di Niccolò IV Girolamo Masci di Lisciano (Ascoli Piceno).
Esso diventa una cosa sola con il fenomeno spirituale di Jacopone da Todi e di Ubertino di Casale, opposto a quello conventuale di Matteo di Acquasparta.
Col mito di Francesco risulta vincitrice la pars integralista evangelica francescana, poi cancellata dalla storia con l’anathema del movimento spirituale nel 1318 ad opera di Giovanni XXII.
Infatti sia Dante che Iacopone creano l’immagine di Francesco fortemente mistico, secondo linee oltranzistiche, che rappresentano un imitatore di Cristo, alter Christus, un Cristo novo piagato.
La lauda LXI, iacoponiana, dice a proposito: L‘amore divino altissimo / con Christo l’abbracciao/ l’affetto suo ardentissimo sì lo ce ‘ncorporao/ lo cor li stemperao como cera a suggello.
Il suo mito, quindi, si afferma con l’opera di Bonaventura nell’ambiente parigino come un altro Compendium theologicae veritatis, impostato sulla pace e dilaga con Niccolò IV nel mondo cristiano per l’elezione del primo papa francescano, mentre parallelamente cresce anche il mito di Domenico di Guzman, per la costituzione di due ruote del carro della Chiesa.
C’è già un esempio, quello di Bernardo di Clairveaux, che, però, anche da vivo ha la fortuna di veder papa un suo discepolo, cistercense, Eugenio III…
Al di là dell’esempio bernardiano del XII secolo, nel XIII, per Bonaventura la mente, lo spirito, il composto tra animus e mens destinato a sopravvivere, ha un suo itinerarium verso Dio, alla ricerca della perfezione.
Certamente per il francescano si parte dalla conoscenza umana e si coglie l’ispirazione mistica, in una tensione di innalzamento graduale della filosofia alla teologia, su una base generale di pace ed una, specifica, del segno della croce, come augurio di pace, secondo il monito di Francesco, che salutava il popolo col dire il signore vi dia la pace, in un preciso impegno di liberarsi dal possesso di denaro, dal potere politico e dal proprio io.
Tutto sembra realizzarsi nel contesto di La Verna, dove Francesco in penitenza, in condizioni disumane di povertà e di sacrificio, consegue la congiunzione con Christus e diventa alter Christus.
E’ una reale epiphaneia o la suggestione di una mente debilitata dal freddo e dalle intemperie, divorato da un eccesso di febbre, preso dai morsi della fame, rannicchiato sul suo misero saio/sacco?
L’apparizione del serafino è un segno premonitore delle stimmate, come sigillo del passaggio della sofferenza umana carnale sull’uomo divino Francesco .
Si stabilisce il modello francescano di nuova santità cristiana, come perfetta assimilazione, simile a quella Paolina (cfr. Lettera I ai Corinzi, 18 e lettera ai Galati 2, 21 ).
Dapprima, dunque, mi sembra opportuno trattare di Bonaventura e del francescanesimo serafico come dimostrazione del trionfo dell’ordine, poi di accennare alla propaganda culturale domenicana che trova in Alberto Magno e in Tommaso d’Aquino, le massime espressioni parigine da cui si ha eco in Dante e nella sua visione unitaria della funzione della Chiesa, palese nell’ XI e XII canto del Paradiso.
Il suo intento celebrativo proprio di uno spirituale, non disgiunto dalle influenze ebraiche, è quello di una celebrazione comune dei due ordini mendicanti- i cui fondatori sono l’uno serafico e cherubico l’altro- per fare della Chiesa la sposa povera, derelitta, di Christos, secondo l’exemplum evangelico.
Dante è nel periodo trevigiano molto accomodante ed apparentemente sereno tanto da appianare le divergenze dottrinali e culturali tra i due ordini: Tommaso, domenicano parla a fine canto XI, secondo caritas, del traviamento dell’ordine francescano, mentre Bonaventura francescano parla a fine canto XII, sempre secondo caritas, di quello dell’ordine domenicano!.
Si tenga presente, però, che la sagacia dottrinale di Tommaso viene evidenziata in Dante in quanto il problema, espresso nel canto X , è quello di una differente risposta da dare alla Chiesa. sulle quaestiones I. U ben s’impingua (V.96) e II. Non surse il secondo (v 116)…
I termini di serafico/Francesco e di cherubico/Domenico, comunque, riportano all ‘angelologia ebraica e quindi alle visioni, ma hanno una connotazione giudaica, di recente acquisizione grazie ai contributi ebraici di Abulafia e di altri cabalisti attivi nel trevigiano, come Hillel di Verona, negli anni del rapporto tra il poeta e Cangrande della Scala…
Di Serafim, plurale di Seraf, parola di fuoco, esseri angelici vicini a Dio, sua parola stessa, di fuoco, ho già trattato, mentre di Cherubim ho sempre trascurato l’etimo kerub/v contrapposto, o opposto a seraf.
I due termini hanno in comune il fuoco e l’incandescenza e sembrano derivare da una matrice accadica (più il secondo che il primo -una certa conferma è in Beroso!-) in quanto valgono simbolo di perfetta custodia del trono infuocato.
La figura del Cherubino è varia a seconda del periodo di scrittura del Vecchio Testamento.
Lo scrittore di Genesi ( 3,24) parla di esseri angelici protettori, con la spada sguainata, fiammeggiante, dell’albero della Vita – come quello di Esodo (25,18-22) e di I re (6,24) -in un’unica raffigurazione di essere umano con due ali.
Ezechiele (1,6-11), invece, raffigura il cherubino come un essere quadruplice con quattro ali e quattro facce (uomo, vitello, leone ed aquila -divenuti poi simboli di quattro evangelisti-)… Come vedi, Marco, tutto è provvisorio, niente è esatto!
E’ un sistema dove vige il vago, il superficiale, l’impreciso, il nebuloso e ognuno dice quanto sente dire…
Nel 1213 Francesco si incontra con Orlando Catani, un conte, proprietario tra l’altro, di Chiusi La Verna , che fa promessa in un’ indeterminata località del Montefeltro, di regalare un monte dirupato coperto di vegetazione ai francescani.
Non c’è atto di cessione tra le parti, né di possesso della zona delimitata specificamente; né si conosce l’anno in cui i francescani hanno il possesso del luogo tra il 1215 e il 1223, probabilmente, se Francesco ci sta saltuariamente tra il 1224 e 1225 (date le condizioni climatiche avverse, considerato lo stato di salute cagionevole del Santo e, vista la difficoltà per arrivare in vetta): lo stesso Dante visita La Verna, quando già c’è in loco stabilmente una confraternita francescana, ottanta anni dopo circa.
Al di là della esperienza di vita francescana e della poesia stessa dantesca,… Bonaventura, generale del suo ordine, riceve l’approvazione della sua scrittura della vita di Francesco, da Parigi dopo oltre quaranta anni di distanza dalla morte del santo.!
Secondo molti critici, che si rifanno ad Isidoro, il termine repetitor- colui che ripete ( in quanto chiede ripetutamente, ridomandando), bonaventuriano, designa Francesco, esaminato analogicamente come nuovo Christus, che aspira all’assimilazione col Christos ebraico.
Per Bonaventura, dunque, Marco, avere in mente l’analogia tra Francesco e Gesù significa creare una rete di rapporti e di comunicazione interna tra Ordine francescano e Chiesa, nella coscienza che il bene dell’uno è quello dell’altra, in reciprocità.
Esistono, amico mio, uomini come Bonaventura che mentono a se stessi come autodifesa della propria condotta morale e della propria coscienza di santità, e nascondono, velando, la realtà storica, avendo di mira la legenda del fondatore dell’Ordine e il bene sommo dell’Ecclesia Romana: la falsificazione ricompensa in modo diale, concedendo da una parte lustro/ nomen glorificato, tra i confratelli e fama nell’Ordine e da un’altra santità nell’Ecclesia e retribuzione centuplicata nel Paradiso, post mortem.
Bernardo e Gregorio VII sono esemplari maestri di tale falso sistema di vita: sono scissi nel loro animo, formale, hanno una doppia personalità secondo apparenza e secondo funzione: seguono moralmente due itinerari, non compatibili tra loro! l‘ambizione personale scompare e si assimila, celandosi, sotto quella della necessitas della comunitas ecclesiale!
Marco, Leggiamo insieme la legenda maior 13,3 ed ammiriamo la visione del serafino Christos: Francesco, un mattino, all’appressarsi della festa della Santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura, come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infuocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso con rapidissimo volo e tenendosi librato, nell’aria, giunse vicino all’uomo di Dio. Ed allora apparve fra le ali l’effigie di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il capo, due si stendevano a volare, e due velavano tutto il corpo.
Ora, Marco, capisci quanto possa essere reale tale epiphaneia paradossale sia da parte di chi scrive, preso nel suo compito di sacro narratore che da parte di chi, malato, paralizzato dal freddo, in delirio, subisce la visione!
Vuoi vedere, Marco, ora, l’incipit del capitolo sui gradi dell’ascesa a Dio e sulla conoscenza di Dio tramite le tracce dell’universo, riprese, oltre tutto, da Dionisius Aeropagita nel libro De Mystica Theologia, esaminate dopo una preghiera?.
Naturalmente quanto detto dallo Pseudoaeropagita è sacro, è pietra angolare nel camino ascetico, anche se si conosce sicuramente la mistica ebraica di Girona, Abulaphia, il sistema sofirotico!
Bonaventura inizia col salmo 83, 6-7 Beatus vir, cuius est auxilium abs te; ascensiones in corde suo disposuit in valle lacrumarum, in loco, quem posuit/ Beato l’uomo che ha la tua protezione in questa valle di lacrime- che ha il tuo aiuto-: egli dispose nel suo cuore i gradi per salire in questa valle di lacrime nel luogo desiderato che pose-assegnato- .
Spiega che Beatitudo nihil aliud est quam summi boni fruitio e precisa che summum bonum est supra nos e che nullus potest effici beatus , nisi supra semetispsum ascendat, non ascensu corporali, sed cordiali/nessuno può diventare beato se non ascende al di là di se stesso, non col corpo, ma col cuore.
Non ti sfugga, Marco, la distinzione tra corporalis e cordialis poiché il santo vuole indicare un percorso non col corpo, ma col cuore.
Cosa vuole dire?
Dice, Marco, che noi non possiamo essere sollevati al di là di noi stessi, se non da una forma superiore, senza la quale, nonostante la nostra perfetta inclinazione, nulla accade, se non c’è intervento divino, a cui noi partecipiamo col cuore .
Per Bonaventura solo quelli che vivono in questa valle di lacrime e fanno richiesta, pregando un tale aiuto con un cuore umile e devoto, lo ottengono grazie alla preghiera, fonte e madre della capacità di ascendere al di sopra di noi stessi.
Solo allora saremo capaci di ascendere per i sei gradi per salire fino a Dio, dopo la conoscenza terrena delle cose. Per Dante – che segue la spiegazione araba di Cecco d’Ascoli) dopo i nove cieli – Luna Mercurio Venere, Sole Marte Giove, Saturno, Stelle fisse, Primo mobile- mossi dalle rispettive gerarchie angeliche (Angeli Arcangeli Principati, Potestà, Virtù Dominazioni, Troni Cherubini Serafini)- si giunge all’Empireo, dove è il Motore immobile! .
Della totalità delle cose, alcune sono vestigium /traccia; altre imago /immagine; altre corporali/corporalia, altre spiritualia/ spirituali , cioè alcune sono fuori di noi, altre dentro di noi.
Quindi, per Bonaventura per giungere al primo principio che è spiritualissimo, primo motore, eterno e al di sopra di noi, oportet nos transire per vestigium, quod est corporale et temporale et extra nos, cosa che comporta essere guidati sulla strada per giungere a Dio.
Dunque, professore, prima bisogna entrare nella nostra mente che è immagine imperitura spirituale ed interiore di Dio, poi penetrare nella verità di Dio.
Così si arriva alla veritas theologica!, Marco.
Viene ipotizzato analogicamente un cammino di tre giorni in solitudine, in relazione alla triplice luce di ogni singolo giorno: la prima è tramonto, la seconda mattino e la terza mezzogiorno in quanto vi si riflette il triplice modo dell’esistenza delle cose nella materia, nella conoscenza e nella scienza divina.
Dunque, professore, al di là del cammino triplice, le tappe sono sei perché Dio costruì il macrokosmos in sei giorni e allo stesso modo il microkosmos è condotto ordinatamente alla quiete della contemplazione mediante i sei gradi di illuminazione, di cui sono simbolo i sei gradini per mezzo dei quali si saliva al trono di Salomone?
Certo, Marco, tieni presente, però, anche le sei ali dei Serafini e anche i sei giorni trascorsi prima che Dio chiamasse Mosè dal mezzo della nube e considera pure i sei giorni intercorsi secondo Matteo, fra il momento in cui Christos condusse i discepoli al monte e quello in cui si trasfigurò.
Aggiungi, Marco, che Bonaventura ritiene che ai sei gradi dell’ascesa corrispondono i sei gradi delle facoltà dell’anima (sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia et apex mentis seu sinderesis /scintilla). (Cfr. Itinerario della mente in Dio introduzione e traduzione e note di Massimo Parodi e Marco Rossini BUR 1994).
Cosa è Synderesis ? non è facile la sua etimologia, che può rimandare a sun e deroo, con un significato di scuoio maltratto tormento insieme, da collegare con favilla/scintilla di fuoco, ma anche ad apex mentis, cioè alla vetta della mente . Perciò l’insieme sembra valere naturale disposizione della volontà al bene come apice della mente, in senso razionale, rispetto al naturale iudicatorium, proprio della coscienza morale.
Ora, Marco, comunque, lasciando da parte il trattato bonaventuriano e seguendo il nostro discorso sul mito di Francesco, bisogna dire che la leggenda francescana, mista al mito del Christos diventa mythos di Francesco di Assisi/ alter Christus sotto il pontificato del francescano ascolano, Gerolamo Masci, che è il nuovo generale dell’ordine già nel 1274 -poco prima della morte di Bonaventura, avvenuta nel luglio – al Concilio di Lione.
La carriera legatizia di Gerolamo Masci sotto Innocenzo V ( da cui è inviato all’imperatore per la definizione delle questioni liturgiche e dottrinali col Patriarca Giovanni XI Bekkos ), la nomina a cardinale ad opera di Niccolo III Orsini e poi quella di cardinale vescovo di Palestrina , oltre alla fama di Magister theologiae contrassegnano la progressiva sua ascesa verso il trono di S. Pietro di un francescano, celebrato anche per le sue qualità morali.
Inoltre da una parte Niccolò IV si protegge a Roma dalle pretese orsiniane così da avere una gestione interna tranquilla e da un’altra ha già messo in atto la pacificazione col mondo orientale da quando inviato in Dalmazia, ha avuto incarichi di contattare i greci per sanare la piaga dello scisma, avendo ottenuto anche l’assenso di Michele VIII Paleologo.
Niccolo IV dopo la morte di Onorio IV, specie a seguito della presa di Tolemaide e di S. Giovanni d’ Acli nel 1291 ha, in una propaganda della evangelizzazione cristiana francescana, di mira l’ assoluta pace con l’oriente bizantino e la guerra contro i saraceni e perciò raccoglie tutte le forze cristiane, romane…ed incorona Carlo II d’Angiò a Rieti del Regno di Napoli , già bene informato della imminente lotta lotta con gli aragonesi per la Sicilia…
ll mito di Francesco è alla base di tutta la sua propaganda, che si sintetizza nel simbolo della croce, datrice di pax universale, e luce di salvezza per gli uomini secondo la predicazione francescana .
Ciò , comunque, è contemporaneo con la nuova politica verso i D’Angiò di Francia e verso il regno di Sicilia, utile trampolino per la guerra contro i musulmani, ad uso dei crociati spagnoli aragonesi…
La propaganda papale sia in Occidente che in Oriente è da una parte nuovo evangelion francescano e da un’ altra è segno di una volontà di creare un nuovo legatus romanus ecclesiastico che abbia l’ufficio eversivo di sradicare, distruggere dissipare, disperdere, i nemici, ma ha anche il munus beneficum di edificare, piantare, fare qualsiasi cosa ad honorem Dei et prosperum statum Ecclesiae…
Noi, quindi, oggi, professore, viviamo venerando due miti, quello di Cristo e quello di Francesco? Marco noi veneriamo tanti miti cristiani e non.
A me, Marco, risulta che una cosa è il mito, una cosa è la realtà storica: forse non lo so dimostrare, non avendo mai avuto il tempo necessario per approfondire la ricerca e per meglio evidenziare i signa di tale tracciato e nemmeno i mezzi per poter indagare più a fondo…
Il mito nasce a seguito del Phobos, dopo episodi e situazioni catastrofiche, che incutono panico alle masse irrazionali, accalcate bestialmente, quando magi e preti dànno speranze nell’infuriare delle calamità naturali o nel corso di spaventose guerre o di carestie o di pestilenze, quando manca un’organizzazione statale…
Io non se se si può dire quanto scrive Amartya Sen: nella terribile storia delle carestie mondiali è difficile trovare un caso in cui si sia verificata un carestia in un paese che avesse stampa libera ed un’opposizione attiva entro un quadro istitutorio democratico.
So, comunque, che là dove non c’è libertà di stampa, né opposizione politica, né un quadro democratico istituzionale ma solo sovranità assoluta con i paladini del clero e della nobiltà si creano due sistemi che si avvinghiano, attorcigliandosi al potere centrale (Grande è l’insegnamento in tale senso di Giannone!), impedendo ogni crescita popolare, mantenendo l’ignoranza dei molti che, condizionati dai miti religiosi e dall’epica di vincitori, obbediscono ciecamente alle direttive religiose e politiche vedendo punita ogni mente critica, costretti oltre tutto al sacrificio, in nome di un Dio, che si fa perfino uomo e diventa modello di vita e di resurrezione per dare un premio eterno come retribuzione ad una vita di sacrificio terrena, pazientemente sopportata.
Perciò, Marco, al di là del mito di Cristo, di Pietro e di Francesco, gli oltranzisti vendono col Muthos il sangue dei popoli, soggiogati dalla speranza futura di un premio eterno.
Così potere politico e religioso hanno conquistato le Americhe, imponendo gli hidalgo spagnoli agli amerindi povertà e sacrifici; francesi ed inglesi e poi anglosassoni statunitensi hanno sottomesso, massacrando, le tribù libere indiane in nome di Dio, colonizzando secondo Bibbia e Vangelo, letti ed interpretati secondo l‘ottica bianca della superiorità di razza rispetto alle altre…
Che valore può avere, professore, la parola del papa che chiede all’Onu una nuova distribuzione di beni sulla terra, quando già, anche dopo la decolonizzazione, si sono resi schiavi i popoli africani, ed ancora si cerca di mettere la museruola secondo la Christiana etica romano-americana ed ora bizantino-russa, ad ogni popolazione dissidente, gialla, meticcia, o indoeuropea, con la superiorità delle armi e con le sanzioni economiche?
Nessuna parola, Marco, di papa Francesco è credibile, se rimane sovrano assoluto.
Rovesciamo, dunque, l’etica del bianco europeo principe della terra! Sovvertiamo l’oikonomia di stampo ebraico! Annulliamo il potere religioso di qualsiasi credo, lasciando solo una funzione di pietas e di normalità rituale ai fedeli, senza clero!
Smettiamo di agitare la bandiera della croce e di nascondersi dietro il nome di Dio!
Possibile che nel 2018 bisogna ancora dare illusioni all’uomo?
Non sarà bene che ogni ricercatore di qualsiasi disciplina, senza vendersi al migliore offerente, metta in comune le risultanze del proprio lavoro ed indichi una sua via, tra le altre percorribili, in relazione al suo studio per un reale orientamento?!
Possa questo duecentesimo articolo essere il primo di una denuncia sociale, politica e religiosa, che sia esemplare per chi voglia essere utile all’uomo – una creatura di pari dignità e valore, simile in tutto ad ogni altra creatura del Kosmos, non certamente somigliante al Padre, onnipotente creatore-!