Il “vero” manzoniano è “controrifomistico”?

Lasso le ciance e torno su nel vero/le fabule mi furono sempre nimiche / el nostro fine è di vedere Osanna/.Per nostra sancta fede a lui se sale/ e sanza fede l’opera se danna./ al sancto regno dell’eterna pace/ convence de salire per le tre scale/ove l’umana salute non tace,/ a ciò che io veggia con l’alme divine/el sommo bene de l’eterna fine (Acerba, IV, cap. XIII,17-26)

Cichus de Esculo

*Professore, il vero manzoniano è controriformistico?

Marco, perché questa domanda? Hai, per caso, sentito il presidente Mattarella, che ha parlato di Manzoni, del sior Lisander, come di un padre della lingua italiana e dell’Italia Risorgimentale sabauda, liberale fascista, quasi fosse un’Italia Repubblicana, democratica, come se non ci fosse una grande, profondissima differenza tra le due Italie?!

*Professore, ho sentito tante volte parlare da lei di un Manzoni cristiano, consolatorio, e del male giobbiano, del problema di vero storico e vero poetico, di verisimile, nel corso di lezioni di Poetica del Cinquecento e della questione linguistica, per cui il realismo umilistico manzoniano mi suona equivoco ed ambiguo come la lettura della Lettera a Cesare d’Azeglio circa l’utile per iscopo – e la visione patriottica carbonara e mazzinina tipica del 1821 e del 1848, antiaustriaca – , o circa il vero per soggetto, concepito come vero storico o circa l’interessante come mezzo, inteso come un tentativo di parlare proprio di un fiorentino colto, adottato da un cristiano – più calvinista che cattolico -, meneghino, uomo più di lingua francese che italiana.

Marco, vuoi sentire, insomma, il mio parere su Manzoni e sul male secondo Giobbe, e la mia critica sul romanzo storico, sulla lingua e sulla ricerca di VERO, filoniana cristiano – agostiniana, cinquecentesca e seicentesca, in linea col calvinismo ginevrino, in senso cattolico posttridentino, come oikonomia tou theou, in senso provvidenziale? Stai cercando, birbone, di collocare il tuo professore nella cultura positivistica, rilevando l’influenza nella mia poetica del Realismo e in quella delle teorie del romanzo naturalista e verista, fissandomi nel quadro della letteratura meridionale, volendo capire il mio fare racconto come un passaggio dal romanzo storico ad un romanzo di costumi contemporaneo? Insomma, mi vuoi archiviare, fissando il mio lavoro in scene storiche – simili a quelle di vita quotidiana di gente misera ed analfabeta di ogni tempo, in una volontà di rappresentazione artistica vera, seguendo il canone dell’impersonalità, mediante la tecnica del dialogo, sfruttando, però, su base storica l’immaginazione, che autorizza di creare effetti di colorito naturalistico e di rilievo di vita vera, in moto, reale ? o forse mi fai questa domanda specifica, perché non credi al Presidente della Repubblica, che parla di Manzoni un ispiratore e un propulsore del nostro Risorgimento e dell’Unità d’Italia e, quindi, di un padre della nostra Patria, e della nostra lingua nazionale?

*Professore, cerco di capire lei, come autore, certamente, ma in questi giorni di celebrazioni, ritengo che Alessandro Manzoni non sia l ‘uomo celebrato da Sergio Mattarella e neppure lo scrittore maestro della lingua italiana!. Io ho letto bene con lei la Lettera a Cesare d’Azeglio del 1823 sul Romanticismo, in risposta alla pubblicazione della Pentecoste, – Inno sacro dell’epoca della tragedia Adelchi e quindi del patriottismo del Coro (Dagli atri muscosi e dai fori cadenti, ben connesso con quello del Conte di Carmagnola della Battaglia di Maclodio S’ode a destra un squillo di tromba, a sinistra risponde… ) – pubblicata sulla rivista “Amico d’Italia“, dove lo scrittore parla di un positivo romantico, convinto che il conte Cesare non ben intenda il fenomeno del romanticismo, considerato di breve durata, dov’ è la triplice celebre enunciazione, paradigmatica, di matrice cinquecentesca – a mio giudizio- !.

Mi vuoi dire, dunque, che hai fiducia più in me che in Mattarella, Presidente e garante della costituzione italiana( il cui fratello Piersanti Mattarella, durante il suo mandato di Presidente della regione siciliana, ucciso dalla mafia, risulta ancora cristianamente invendicato!). Tu credi in me storico, che fa storia neutra e che ha avuto il coraggio di ricostruire su basi storiche i fatti, senza interpretarli perché ben conosce Filone alessandrino e la scuola farisaica esegetica allegorizzante! Grazie, Marco, specie ora che, dopo la morte di Silvio Berlusconi, si fa un Funerale di Stato con lutto nazionale per la giornata di mercoledì 14 giugno 2023 e si fa l’apoteosi del Cavaliere ( un geniale sovvertitore delle strutture statali, un avventuriero che ha creato il bipolarismo, un miliardario commerciante, amico personale dei potenti della terra, vir civilis per antonomasia, demagogo corrotto e corruttore in una situazione socio- economico- finanziaria tragica, la più critica dopo la fine della seconda guerra mondiale, dovuta ad un generalizzato decadimento dell‘ italianità, già in atto nel periodo democristiano e poi craxiano, aumentato da uno scaltro palazzinaro, imprenditore edile, meneghino, divenuto padrone dei Media ed entrato in politica per salvare il proprio capitale dai comunisti e per farsi leggi ad personam) ora, da morto, divenuto, per la Chiesa, semplice mortale di fronte a Dio, nonostante la sua vita di creatura vogliosa di ricchezza, di amore, di gloria, in continua ostentazione di una brillante esistenza sovrumana di fronte al comune Creatore!.?- cfr. L’altra lingua l’altra storia, Demian, Teramo 1995.

*Professore, sono sorpreso da quanto dice. Lei fa storia e la sua critica resta…di norma, nella storia!. Comunque, procediamo e lasciamo… ai posteri l’ardua sentenza (Cinque maggio)! Mi scusi la comparazione sottesa, improponibile! Manzoni, comunque, sa dai Cinquecentisti, commentatori della Poetica di Aristotele, che il termine vero, ambiguo, può diventare falso, se si opera soggettivamente e se ogni scrittore si fa interprete magistrale di vita e di morale per il popolo, illitterato, irrazionale e religioso, specie se preso da naturale catastrofica paura /phobos.

Marco, ti ricordi, dunque, che Manzoni lo dice chiaramente nella Lettera al D’Azeglio, convinto che bisogna scegliere gli argomenti per i quali la massa dei lettori ha, o avrà a misura che diverrà più colta, una disposizione di curiosità ed affezione, nata da rapporti reali a preferenza degli argomenti per i quali una classe sola di lettori ha un ‘affezione nata da abitudini scolastiche e la moltitudine una risonanza non sentita e né ragionata , ma ricevuta ciecamente nella speranza di formare un pubblico ampio, contrapposto alla sola classe colta di nobili e clero. Infatti, dall’iniziale, giovanile, non tradire il santo vero del 1805 di In morte di Carlo Imbonati, ai Cori delle tragedie e alla lettera al D’Azeglio fino al Romanzo, c’è un’apparente ricerca storica con una volontà di novità linguistica per aver possibilità di educare il popolo, in senso romantico nazionale ai fini patriottici, al seguito di modelli rinascimentali.

* Lei non ha mai considerato Manzoni padre della patria, in senso patriottico, e specie sul piano linguistico, come non ha mai celebrato Dante genio nazionale, fondatore della lingua italiana, in quanto ha sempre rilevato la rozzezza propria delle genti nove nel suo linguaggio, popolare, marcato da Bembo nel 1525 e bollato come irrazionale ed antipoetico, tipico di una doctrina theologica, da naturalisti e giusnaturalisti, illuministi, come Giuseppe Baretti e Saverio Bettinelli, nonostante alcune tiepide difese tosco- fiorentine cinquecentesche (Cfr. A.Filipponi., il Mito di Roma e di Augusto in Monarchia di Dante, Amazon. It. 2022). Per lei, Manzoni e Dante sono autori utili per l’unificazione linguistica letteraria e culturale secondo la logica risorgimentale liberale del ministro della cultura Emilio Broglio, intenzionato a formare una nazione, ancora inesistente, dopo il 1861!.

Marco, Manzoni, nipote di Cesare Beccaria e figlio naturale di uno dei fratelli Verri, illuministi, avrebbe potuto darci qualcosa di meglio dei Promessi sposi, oltre il provvidenzialismo cristiano e la predicazione retorica di accettazione di una vita presente di male con la speranza, comunque, di una promessa futura di un Paradiso per i giusti, desideroso di allargare la forbice popolare borghese, ai meccanici – da mhkhanikos da mhkanaoo/ macchino, costruisco, lavoro (Cfr. Promessi sposi, cap. IV …nel mezzo, vile meccanico; o ch’io t’insegno una volta come si tratta co’ gentiluomini!)-, cioè ai lavoratori, destinati a diventare proprietari di filande- opifici, come Renzo, giovane capace di leggere un pochino e di non farsi abbindolare facilmente dal latinorum di Don Abbondio e dall’ Azzeccagarbugli, in un Seicento spagnolo – similitudine dell’Ottocento austriaco – al fine dichiarato di una utilizzazione borghese- popolare, in un possibile movimento insurrezionale nazionalistico. La theoria manzoniana della ricerca del vero e della giustizia sociale in un mondo, retto da Dio, che fa la storia terrena al fine agostiniano ultraterreno, tipica espressione di una secreta radice di un Calvino cinquecentesco (seguito da Giansenio 1585-1638) – che vede il male storico comune a grandi e piccoli, vincolati dalle legge divina, che regola l’iter umano, in modo provvidenziale, paternalisticamente – è quella dei commentatori dell’Ars poetica posttridentini, che sono passati da una lettura dilettevole del primo Cinquecento ad una volontà di docere-insegnare per moralizzare il popolo, egro bambino tassiano, che riceve la vita dall’inganno fabulistico. Cosí a l’egro fanciul porgiamo aspersi/di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve,/e da l’inganno suo vita riceve (Incipit di Gerusalemme liberata)-.

*Lei vede il vero di Manzoni come quello dello Scaligero, di Piccolomini, di Fracastoro e di Minturno che seguono la lezione latina di Joannes De Combis -mi sembra! -cfr. De autore operis censura in www.angelofilipponi.com

Marco, lo scrittore cinquecentesco, pubblicando in epoca tridentina, nel 1575 – momento della condanna definitiva all’Indice di Cecco d’ Ascoli, sotto Gregorio XIII, per eresia e stregoneria- il dugentesco Compendium theologicae veritatis di Ripelinus Argitoratensis, si rivolge ad un candido lettore (candide Lector) , apostrofandolo con  un tu, in una ricerca di empatheia, impossibile, all’epoca, tra il doctor fanaticus ed un lettore profanus,- invitato ad abbracciare  la causa sine dolo (sedulodiligentemente – nel tentativo di passare dalla funzione emotiva di un dotto scrivente  a quella conativa di un ricevente, dilettante, capace, però, di attivarsi, in quanto  discipulus spoudaios/sedulus. (Chi scrive cerca  un lettore, comunque sia,  che partecipi alla sua impresa!. Manzoni aspira ad avere un numero maggiore di lettori -25 sono pochini! io , dopo anni ed anni di ricerca, ne ho un centinaio – !). Questo è possibile forse fra te  e me, oggi, nel 2018, non tra  Joannes de Combis, in epoca tridentina, con un suo lettore candidus, confratello puro e schietto, nella sua fides, cieca, secondo le theorie dei Commentatori dell’Ars Poetica di Orazio,  propria  del Cardinale vescovo di Ugento, Sebastiano Minturno,  abile a miscère delectare et docere, dulce et utile, cioè platonismo ed aristotelismo!

*Eppure, professore, l’autore cinquecentesco pensa di poter attirare, in qualche modo, col divertimento e col piacere della ricerca del nomen autoris (autoris nomine parum oblectatus), il lettore, uomo doctus, che parla il volgare italiano, anche se educato in lingua latina e greca!.

Allora, il lettore è un altro scrittore, uno che ha le stesse competenze, essendo della stessa triplice cultura, anche se meno dotto! Io e te ora ci comprendiamo e possiamo comunicare, avendo lo stesso linguaggio, non come un attuale autore e il popolo italiano semianalfabeta, nonostante la scolarizzazione, le lauree, l’anglosassonizzazione avanzata, la computerizzazione, in quanto analfabeta di ritorno, perché sradicato dal contesto agricolo-paesano dialettale, ed italianizzato dal manzonimo televisivo, non dal Manzoni, illeggibile per uno che non sa leggere nemmeno un titolo di giornale,, in quanto il 71% degli italiani neanche legge, ma vede solo immagini, preso dallo spectaculum quotidiano mediatico, dilettato dal bello ( cfr. Analfabetismo di ritorno in www.angelofilipponi.com). Marco, sappi, però, che De Combis aggiunge: Habes enim unde purissimos Theologiae latices extremis (ut aiunt) labiis delibes/ tu hai, infatti, dove poter gustare le purissime sorgenti di Theologia  a fior di labbra!. Lo scritto1re sa che al discepolo, si aprirà, allora, un facilis aditus / un facile passaggio, senza dover subire il gorgo fragoroso dell’onda. L’autore, poi, incita  con un orsù/ age, – perché, a detta di Aristotele, agli antichi furono attribuite plurimae gratiae/moltissime attrattive, ma non  perfecerunt/ non perfezionarono, invenerunt, tamen, facile/trovarono, comunque, facile osare/audere, cosa che è proprio di chi inizia. Questa è la sua definitiva conclusione, in forma interrogativa, tipica del  periodo controriformistico, propria dei teorici Piccolomini e del Varchi (cfr. L’altra lingua l’altra storia, cit. ): cur non eadem iis, qui  multa paucis et apte quidem absolverunt, nixi sunt, quando ars brevis, vita longa.?/ perché non affidarono le medesime cose a quei pochi, che  compirono  del tutto e bene molte cose, dato che l’arte è breve e la vita lunga?

*Per lei, Manzoni, dunque, dovrebbe conoscere qualcosa del verum controriformistico, visto che conosce autori del Seicento e finge di aver trascritto la storia iniziale di Fermo e Lucia “i due promessi sposi” dallo “scartafaccio” di un anonimo cronista Seicentesco, di averne cambiato la “dicitura”, antiquata e baroccheggiante, in un linguaggio accessibile ad un  pubblico del suo tempo ottocentesco.

Certo, Marco, per Manzoni ci sono due modalità di  avvicinarsi alla storia naturale ed umana: uno, esteriore essoterico, limitato dai criteri storiografici, che studiano solo l’aspetto fenomenico degli eventi, l’altro, esoterico,  invece, che mira a una loro comprensione più profonda e universale, capace perciò di operare un collegamento tra uomo ed uomo, tra privato e privato, tra personaggi appartenenti anche a contesti del tutto diversi – cioè Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Siddartha,  Zoroastro, Pitagora, Platone, Gesù, Maometto, in un tentativo di attenersi alla  struttura ontologica, metafisica,  della filosofia della storia, oltre che ad una personale indagine psico-sociale emotiva. Per i classici, pagani, il mondo esiste in eterno, increato e ingenerato mentre per il Cristianesimo è il theos Dio,  che, per amore, crea tutto ciò che esiste, ex nihilo,  donando tutto  senza altri fini che la felicità delle sue creature!.  Perciò,  la Provvidenza Divina, che governa il mondo terreno, porta ordine ed armonia, guidando l’uomo (non abbandonato al destino di male, già scritto e non modificabile!) incapace di modificare la sua storia, che risulta come una mitica età dell’oro, che decade fino ad un  attuale imbarbarimento – come  un regresso, dovuto alla concezione ciclica della storia con i suoi corsi e ricorsi, in un riproporsi delle stesse dinamiche all’infinito!. Per il Cristianesimo il tempo è rettilineo, inizia con la Creazione, nuovo tempo, che proseguirà ininterrotto fino alla fine del mondo, in modo progressivo, secondo la guida di un theos pathr, che trae dal male il bene ed assicura la felicitas se non sulla terra, certamente in un’altra vita, ultraterrena. Questa concezione umana e terrena naturale, calvineggiante, è tipica del periodo giovanile formativo, parigino, accanto alla madre e al suo amante Carlo Imbonati, nel decennio 1795-1805, per la cui morte il Manzoni scrive l’Inno, da cui i versi- il santo Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo / che plauda al vizio, o la virtù derida» (vv. 212-214)- quando medita ancora sulla storia e sul falso, quando ancora non ha risolto il suo personale problema linguistico, ancora troppo legato al testo biblico della traduzione italiana volgare ottocentesca, quando è lettore di Giobbe, come si vede nei primi Inni sacri, prima di iniziare il suo Romanzo storico, con un impasto di lemmi e costruzioni di un dialetto lombardo portiano, confuso con francesismi e latinismi.

*Professore, mi vuole dire che Manzoni, imitando gli Scrittori del Cinquecento per le Tragedie e poi l‘Ivanhoe di Walter Scott per il Romanzo, è, da una parte, conservatore secondo le strutture classico- rinascimentali e da un’altra romantico, innovatore, in un’apertura europea?

Marco, io ti dico quel che sempre ho detto coerentemente che cioè Manzoni, educato classicisticamente non sa né può fare la dicitura neppure se risciacqua i panni in Arno, poiché non ha una struttura di base linguistica toscana, su cui cercare di creare un linguaggio popolare- romantico borghese e neppure sa scrivere un romanzo storico, seppure precisi gli avvenimenti fissati tra il 1628 e 1630 circoscritti nel Seicento, con gli spagnoli dominatori, epoca copia dell’Ottocento lombardo, dominato dagli austriaci. Secondo me, Manzoni, da una parte, imita la katastrophh tragica sfruttando la peste per la soluzione provvidenziale cristiana della storia, scritta, dei potenti, esaminata e unita a quella non scritta, ma inventata romanticamente, degli umili, in una visione unitaria, al fine di dare indicazioni orientative per un comune apparente superamento del male, alla massa popolare e alle classi privilegiate, indistintamente colpite, portate contemporaneamente al giusto compimento da Dio, padre, misterioso padrone della Storia e della natura e, da un’ altra, perché sottende una concezione herderiana, propria del periodo parigino di Uber den Fleiss in mehreren gelehrten Sprachen /Sulla diligenza nello studio delle lingue del 1764 e di Auch eine Philosophie der Geschichte /Ancora sulla filosofia della storia del 1785 , in cui vengono espressi i criteri linguistici nella prima opera e l’ assistenziale aiuto della provvidenza che guida i destini umani progressivamente, in relazione ai singoli popoli, che fanno la propria storia terrena in una concezione più preromantica che romantica, nel corso del secondo lavoro.

*Professore, lei mi dice, in sostanza, che il linguaggio classico- classicista manzoniano ha qualcosa di popolare in quanto si segue il pensiero di J. Gottfried Herder (1744-1803), che esprime la sua concezione linguistica e storica nelle due opere citate- al di là della critica kantiana- in una visione cristiana naturalistica pelagiana, più che agostiniana, in cui è accettato il sistema monarchico del buon governo liberale (cfr. Pelagio; I pelagiani e Girolamo; Melania iunior e i pelagiani in www.angelofilipponi.com) dove minimo è lo spazio popolare democratico?

Certo. A me sembra che il Manzoni mescoli il sistema classicista con quello popolare preromantico, ma faccia prevalere il classicismo rinascimentale di un Jacopo Sadoleto (1477-1554) che, da cardinale, in De laudibus philosophiae attacca Lutero – che vede presente il male in natura, pur rilevando in essa una reale perfezione naturale, tanto da formulare la non necessità della venuta del Christos, figlio di Dio a redimere l’uomo dal peccato – , ma, da rinascimentale, vede la grandezza dell’ uomo, essere capace intelligentemente di godere di una felicità terrena, in qualsiasi situazione, seppure di male.

*Questo è ancora di più espresso dagli altri commentatori tridentini,- e dallo stesso Tasso (Aminta ) – i quali, in un rifiuto della tragedia, sognano una mitica aetas felix naturale, pur nel rigore e nell’austerità imposta dalle regole religiose tridentine. Professore, quindi, conviene con me sulla matrice manzoniana tardo -cinquecentesca di predominio sociale del male?.

Marco, io ho affermato che Manzoni, cercando la Storia come base di scrittura, secondo quanto dice nel lettera a Ms. Chauvet- che aveva criticato le sue unità di tempo e di luogo– , spiega: Manifestare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto, mediante ciò che hanno fatto, in questo consiste la poesia drammatica; creare fatti per adattarvi dei sentimenti, è il  grande compito dei romanzi. Comunque, sembra correggersi circa l inventio, in quanto precisa che l’essenza della poesia non consiste nell’inventare fatti… Infatti non c’è nulla di più comune delle creazioni di questo genere; invece, tutti i grandi monumenti della poesia hanno per base avvenimenti dati dalla storia o, che è lo stesso a questo riguardo, che sono stati un tempo considerati storia.

*Professore, Manzoni sa della nascosta obiezione del falso, basata sul fatto che se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo storico, cioè il diritto di inventare i fatti, gli resta solo la poesia e perciò è costretto ad indagare sulla storia e il suo reale campo, oltre che sulla poesia e la sua funzione.

Per questo, Marco, l’autore dice che la storia mostra gli avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente, ciò che gli uomini hanno fatto; per precisare , perciò, che ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto e cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, con i quali in una parola, hanno manifestato la loro individualità, tutto ciò, tranne pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il dominio della poesia.

*Professore, tale coscienza di missione poetica da parte del romanziere, che sente di avere un grande compito, quello di una funzione educatrice, deriva più dalla ricerca classica cinquecentesca, eguale a quella del tragico, adottata dal Manzoni nei cori , che da quella sentimentale preromantica?!

Marco, io so solo che… ci sono dei romanzi che meritano di essere considerati modelli di verità poetica; e sono quelli, i cui autori, dopo aver preso atto, in modo preciso e sicuro, dei caratteri e dei costumi, hanno inventato, per poter rappresentare tali caratteri e tali costumi, azioni e situazioni conformi a quelle che si verificano nella vita reale …. e che, quindi, il Manzoni li accetta come verisimili, pur conoscendo lo scoglio del genere romanzesco, rappresentato dal falso, sotteso!. Infatti egli dice: Il pensiero degli uomini si manifesta con maggiore o minore chiarezza attraverso le loro azioni e i loro discorsi; ma anche quando si parte da questa larga e solida base, raramente si giunge alla verità nella rappresentazione dei sentimenti umani.

*Professore, ho presente il testo e rilevo la difficoltà del Manzoni nel separare la prima cioè un’idea chiara, semplice e vera, dalle altre cento idee, che sono oscure, forzate o false, cosciente che ciò rende così esiguo il numero dei buoni poeti e che, da qui, risalta l’errore dei romanzieri, ai quali la verità è sfuggita più spesso che a quelli, che si sono tenuti più vicini alla realtà.

Hai ragione, Marco. Per il Manzoni, infatti, l’epiteto di romanzesco è stato designato ad indicare generalmente, per quel che riguarda i sentimenti e i costumi, quel tipo particolare di falsità, quel tono artificioso, quei tratti convenzionali, che contraddistinguono i personaggi dei romanzi.

*Nonostante ciò, l’autore crede in una sua funzione letteraria di eletto del signore e si sente romanziere destinato a guidare il popolo e a creare perfino una lingua nazionale per una reale comunicazione, anche quando rileva lo scoglio del falso nel romanzesco, l’esemplarità del suo stesso romanzo e quella della Divina commedia dantesca e del suo livello lessicale e morfo-sintattico!.

Marco,  tu ti  riferisci direttamente al giudizio del cardinale  Bembo che, rilevando la volontà di Dante di apparire  altro, oltre a  poeta,  fa dire a suo fratello : -cfr. Prose della  volgare lingua,1 . II cap. XX- Ma se dire il vero si dee fra noi, che non so quel che io facessi fuor di qui, quanto sarebbe stato più lodevole che egli – Dante – di meno alta e di meno ampia materia posto si fosse a scrivere,  e quella sempre nel suo mediocre stato avesse- allusione allo stile comico-, scrivendo, contenuta, che non è stato, così larga e così magnifica, pigliandola, lasciarsi cadere molto spesso a scrivere le bassissime e le vilissime cose; e quanto ancora sarebbe egli miglior poeta che non è, se altro che poeta parere agli uomini voluto non avesse nelle sue rime. Che mentre che egli  di ciascuna delle sette arti ( grammatica, dialettica e retorica ;musica, aritmetica geometria ed astronomia) e  della filosofia, ed,  oltre acciò, di tutte le cristiane cose maestro ha  voluto mostrare d’essere nel suo poema,  egli men sommo e meno perfetto è stato nella poesia. 

 *Professore, io rilevo anche la polemica circa “l’alta fantasia (Paradiso,XXXIII 142, a l’alta fantasia qui mancò la possa)    e la natura delle  immagini, oltre alla  facoltà poetica dantesca,  anche se noto come, al tempo,  la Divina Commedia  era ritenuta narrazione di un viaggio immaginato  come reale, in conformità dei principi aristotelici  del verosimile e della catarsi,   per cui non bisognava considerare l’altissimo poeta  nei suoi riferimenti  in senso letterale, seppure metaforici, in quanto il suo poema  era narrazione di sogno, senza imitazione d’azzione”

 Marco, tu  hai letto la conclusione circa la Commedia come un  campo biblico di grano, pieno d‘ avene  e di logli, riportata dal fratello del Cardinale, che io ti ripropongo:  Con ciò sia cosa che  affine di poter  di qualunque cosa scrivere , che da animo gli veniva , quantunque poco acconcia e malagevole a caper nel verso , egli molto spesso ora le latine voci, ora le straniere, che non sono state dalla Toscana ricevute, ora le vecchie del tutto e tralasciate, ora le non usate e rozze, ora le immonde e brutte, orale durissime usando e allo ‘ncontro le pure e le gentili alcuna volta mutando e guastando e talora senza alcuna scelta e regola, da sé formandone e fingendone,  ha in maniera operato che si può la sua Comedia giustamente rassomigliare ad un bello e spazioso campo di grano, che sia tutto di avene e di logli e di erbe sterili e dannose mescolato o ad alcuna non potata vite al suo tempo, la quale si vede essere poscia la state sì di foglie e di pampini e di viticci ripiena, che se ne offendono le belle uve.

*Certo, professore, ma… Manzoni, come Dante, ha una formazione cristiana, conforme al pensiero medievale, basato sul mito di Roma e di Augusto, congiunto col classicismo e neoclassicismo, con l’illuminismo e col romanticismo, perciò, il suo romanzo, culturalmente, risulta una strana mistione razionalistica e popolare, quasi una descrizione poetica cattolica con forme calviniste per una edificazione morale e culturale.

Marco, l ‘economia divina fa storia, in cui non c’è il caso, e viene condannata la natura pelagiana, quella stessa di Cecco d’Ascoli, astronomo, dottore, ricercatore naturale, le cui 19 edizioni sono aumentate progressivamente dalla sua morte, il 16 settembre del 1327, fino al 1581 in tutto il periodo del fenomeno umanistico-rinascimentale. cfr. Autori vari, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma, Laterza 1979.

*Cecco d’Ascoli, ha avuto, dunque, per 254 anni il plauso ininterrotto di Umanisti e Rinascimentali, inneggianti al martire della natura, desideroso del vero, ostile alle favole ( Lasso le ciance e torno su nel vero/le fabule mi furono sempre nimiche, Acerba, IV,17-18 ) mentre Dante, dopo la breve parentesi di un commento cittadino del Boccaccio -terminato col XVII canto dell‘Inferno-, inizia a splendere dopo l’Unità d’Italia, grazie alla memoria del preraffaellita Dante Gabriele Rossetti e alla favorevole critica di Luigi Pietrobono (1863- 1960 ) e di Giovanni Pascoli, per diventare un mito letterario nel Novecento fino ad oggi, negli ultimi 160 anni, anche se bocciato da illuministi come Giuseppe Baretti e Saverio Bettinelli, che riducevano un poema di 14. 233 versi a un centinaio di terzine, tra Inferno e Purgatorio, o ad un solo canto dell’Inferno, convinti che non era un assertore del volgare (cfr. De Vulgari eloquentia ) anche se aveva dato spunti di uno sviluppo linguistico, utile ai fini di una reale lingua nazionale,connsesso con la poesia siciliana e toscana , in quanto erano certi che il suoi contenuti teologici fossero di una fides medievale aristotelico- tomistica, tipici di un cavaliere, conservatore, che disprezzava le genti nove, popolari, e che aveva ideali ormai superati dalla storia in quanto il papa era ad Avignone e l’Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico aveva valore nominale, essendo offuscati i due luminaria!.

Marco, Dante, in Convivio, parla di sé non come un invitato al banchetto dei dotti, come Cecco, Pietro di Abano ed Albertino Mussato (1262-1329), ma come di un “mendico” che raccoglie le briciole per il popolo ignorante, non partecipe. Si deve sottolineare una differenza fondamentale nella scrittura di Dante, che tende a formare un unicum dell’allegoria dei poeti con quella dei teologi . I testi poetici possono avere un significato vero, soltanto in senso allegorico; il significato letterale sotto il quale questo messaggio è ammantato va, comunque, sempre considerato falso ( Orfeo che muove le pietre e gli alberi con il suono della sua cetra è ovviamente una finzione al fine allegorico!). I testi sacri possono presentare anch’essi un significato vero in senso morale o anagogico, oltre a quello letterale, ma, in più, essi hanno valore di vero se fatto storico, come l’Esodo del popolo d’Israele dall’Egitto, che, se, invece, è ritenuto realmente accaduto nei termini descritti dalla Bibbia, non può racchiudere anche un’altra verità – quella relativa ai destini ultimi dell’anima, della quale rappresenta la liberazione dal peccato, la morte di Cristo, segno di redenzione tipica della nostra Pasqua cristiana – che è opera di generazioni successive e quindi inventio! .

*Professore, lei, che ben conosce il valore di letterale e allegorico e che mi ha parlato spesso di scuola letterale antiochena e scuola allegorica alessandrina , mi vuole dire che la lettura dantesca medievale sacra, non è autorizzata a passare dall’ artificio poetico ad un altro significato da utilizzare teologicamente per altri fini, mentre viene messo in ombra la storia, nascondendo il fatto veramente accaduto, che scompare, mentre predomina quello falsificato, allegorico poetico-teologico!

Marco, Dante, per fare un’operazione didascalica popolare – visto che usa il linguaggio volgare ben accetto alla Chiesa romana, ora fissa ad Avignone, lontana dalla sede di Roma, voluta dal Christos, che ha dato il compito di pascere le pecorelle a Pietro,- conclude teologicamente la sua Commedia, col Paradiso per mostrare come si debba giungere attraverso i Cieli, a Dio, alla sua contemplazione grazie al misticismo di Bernardo di Clairveaux e alla preghiera di Maria Vergine madre, al fine di rilevare Unità e Trinità di Dio con l’Incarnazione stessa nella Seconda persona trinitaria del Figlio/Verbum-Logos, in quanto ha già spiegato nella Lettera a Cangrande della Scala come si possono applicare strumenti interpretativi teologici per non farsi tacciare di aver scritto una bella menzogna! cfr. Lettera a Cangrande della Scala. La lettera XIII, del 1316, è una spiegazione dei quattro sensi , in cui vien rilevata la necessitas da parte del poeta di mescolare il livello letterale poetico con quello allegorico al fine di edificare moralmente il cristiano che, come spirito tende ad ascendere al cielo, sua patria, come folgore, in un’affermazione di un viaggio ultraterreno vero, attraverso i cieli secondo il sistema tolemaico, proclamato all’epoca dal migliore scienziato professore dell’università di Bologna, quel Cichus de Esculo a cui l’Alighieri spesso si rivolge come suo referente astronomus e phisicus. Marco, non penso che tu voglia ancora sentirmi sul campo fisico-astronomico, proprio di Francesco Stabili, ascolano, ben chiaro nei libri terzo e quarto dell‘Acerba, in cui talora sembra irridere l’Alighieri quando invece tratta genericamente del sistema poetico, inizialmente, per, poi, riferirsi specificamente all’ Inferno dantesco (Qui non si canta al modo delle rane/qui non se canta al modo del poeta /che finge, imitando cose vane, ma qui resplende e luce onne natura/ che a chi intende fa la mente leta. ibidem 1-5), per ,infine, spiegare al principio del V canto- di cui ci sono rimasti ben pochi versi- che deve lasciare le potenzie sensitive per cantare la sancta fede e dire che sopra l’ottava spera che nui vedemo/Osanna, che eternalemnte vive,/forno dui cieli, li quali nui chiamemo /Impirio ed anco Cristallino./ Qui non scintilla, né qui è moto;/sempre sta fermo per poder / voler divino.

*Professore, lei mi ha ben insegnato, a seguito di tanti esercizi, quanto sia falso e mitico il parlare di sintagmi misti umano-divini e sacro-profani, del tipo di sancta fides, Ierogamia, Sacra famiglia, Sacro Impero.

Marco, da Filone a Paolo di Tarso, ai Cappadoci e ad Agostino platonico, giunge un insegnamento dei Padri che, sancito da concili, è accettato dalla cultura medievale, nonostante l ‘averroismo (cfr. Acerba, inizio V libro circa l’anima –se tutto fosse un’alma o vero intelletto – e la creazione con mutazioni) e poi dagli Umanisti e dai Cinquecentisti, pur recalcitranti , i quali, comunque, alla fine, sono costretti a mandare un messaggio univoco cristiano mitico-allegorico, per cui non esiste più approccio semplice letterale ai facta e si abitua chi legge a non verificare razionalmente quanto detto, ma ad ascoltare chi urla più forte demagogicamente e chi appare!

*Professore, la mancanza della referenza sottende un processo linguistico filosofico teologico, basato sull’asse significante- significato, che impedisce la reale comprensione ed autorizza formulazioni indebite senza contesto, specie se si è lontani dal tempo di scrittura e si opera in senso religioso. Perciò si snatura il significato di sancta e di fides, i cui reali valori letterali riportano ad una valenza della propria area semantica e non a quella specifica spirituale di un Christos Messia, nato da una vergine madre fecondata dallo Spirito santo, venuto a redimere l’umanità dal peccato, inviato dal Padre secondo il credo della nostra fede. Da qui anche il valore di ierogamia come sacro matrimonio: è un’idea non una realtà, che ha in Marco Antonio, triumviro romano, reggitore dell’Oriente, con Cleopatra, madre di Cesarione, figlio naturale di Cesare, celebrato nelle sue nozze con l’amante egizia, come Heraklhs, che si unisce alla dea Iside, in un preciso momento storico e in un dato ambiente, alessandrino, dove la coppia divina vive sognando un imperium da opporre con una propaganda divina ad Ottaviano, erede adottivo di Cesare, che, da romano, giudica empia e sacrilega l’unione, in quanto avversario, è vir che aspira anche lui ad una consacrazione augusta!.

Cosa dire, allora, Marco, di sacra famiglia? un sintagma celebrante un nucleo familiare striminzito, basato su un bambino-puer celeste, nato da una vergine madre ad opera dello Spirito santo, che vive accanto ad una donna asessuata, bizzosa ed insoddisfatta e ad un vecchio rimbambito, depresso, falegname, padrone di una povera casetta, simile a quella di Loreto, senza alcun segno di amore! Non sarebbe stato meglio non mentire, dicendo la verità (zzzt., matto! bisogna salvaguardare il dogma della Ss.Trinità , dell’ Incarnazione, dell’ efesina Theotokos-deipara e .. dell’Immacolata concezione!) su una famiglia tribale, con una grande tenda, in una qualsiasi zona galilaica, (con animali intorno e con molte buche, scavate – in cui ogni famiglia doveva fare i propri bisogni- seguendo le prescrizioni di legge con rituali gesti di purificazione mediante acqua, presa da una vicina sorgente dalle donne, ogni mattina!) dove vivevano diecine di bambini, parenti fra loro di vario grado, festosi ed allegri, coi loro genitori, secondo un ordine proprio di un grosso clan, tradizionale, conforme , nel rispetto dell’autorità del più vecchio, che aveva varie mogli, che guidava la vita dei figli conviventi nella stessa tenda coi loro rispettivi nuclei familiari, tra screzi, ripicche e litigi, propri di ogni umana convivenza sociale, di un gruppo, di operai -qainiti, uniti dal lavoro di carpenteria e murario, cementati dalla comune ricerca continua di città, di sinagoghe, templi da costruire e dall’attesa di pagamento dai committenti epitropoi di nomina regia, alla fine di ogni opus.

Cosa dire di sacro impero romano come evento celebrato per dare rilievo alla sacra auctoritas papale destinata ad essere poi quella gregoriana, innocenziana e bonifaciana, di un papa vicario di Christos nomos empsuchos/ legge vivente in terra? Perché non dire che è equivoco ogni termine come ho ben mostrato in Il mito di Roma e Augusto in Monarchia di Dante, Amazon, 2022?

* Lei ha evidenziato in specifici lavori tecnici quanto sia strano il connubio tra Franchi e papato specie dopo la Promissio carisiaca, che è un atto sottoscritto da Pipino il breve nel 754 davanti a Stefano II con cui vengono donati al Patrimonium Sancti Petri, territori sottratti ai bizantini dai longobardi cfr. Eutichio ed Astolfo in www.angelofilipponi.com

Marco, ho mostrato in modo chiaro che Carlo Magno, dopo aver sconfitto Desiderio il 6 aprile 774 depose sulla tomba di Pietro ( cfr. Il mito di Pietro in www.angelofilipponi.com ) il documento paterno e su di esso poggiò le chiavi della città e poco dopo ebbe il titolo da Adriano i (772-795) di Rex francorum, Rex longobardorum et Patricius romanorum.

*Professore, con Leone III, fuggiasco da Roma, scampato ad un attentato, giunto, dopo un lungo viaggio a Paderbon in Westfalia, Carlo Magno ottiene il titolo di Imperatore, dopo una fastosa cerimonia d’ investitura nel Natale dell’800, essendo considerato decaduto il titolo imperiale dell’imperatrice Irene e del figlio Costantino VI , quando, invece, l’ imperatore di Bisanzio è l’ unico autokratoor, a cui tutti in Occidente devono rispetto e riverenza, compresi il papa e il Patricius romanorum. Le falsificazioni, secondo lei, avvengono proprio per la mistione di sacro ed impero, sacer et profanus, in quanto si fondono il mondo divino-celeste con quello umano- terreno e sono sfruttati i quattro sensi, collegati sul piano litteralis parola divina, con quello spiritalis,/pneumatikos, già regno dello Pneuma, per cui sono poisbili le aperture morali ed anagogiche, in un equivoco tra parola-logos ed azione-ergon in cui cadono anche Erasmo, Lutero e Calvino e i commentatori della poetica aristotelico-oraziana.

Marco, la Controriforma esaspera il contrasto tra opere e fides, nella coscienza della presenza diabolica, che, col male, circondando il cristiano, lo induce al peccato nel corso della prova terrena reale e ottunde la ragione, che, offuscata, soccombe in quanto razionalità di popolo, pars sofferente e disorientata, bisognosa di fides (cfr. E’ credibile una lettura letterale di Christos vivente? in www.angelofilipponi.com).

*Professore, lasciando da parte il linguaggio e il messaggio dantesco, e la diatribe cinquecentesche, il fenomeno postrisorgimentale, tipico della destra, intenzionata a fare gli italiani in un’Italia espressione geografica, si spiega facilmente in quanto si ha bisogno – e lo si vede chiaramente col neo eletto nel 1867 Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Broglio, che, nel gennaio del 1868, invita il Manzoni, dopo la costituzione di una commissione (metà milanese e metà fiorentina ) a presiedere quella pars meneghina, al fine di ricercare e di proporre tutti i provvedimenti e i modi, coi quali si possa aiutare e rendere più universale, in tutti gli ordini del popolo, la notizia della buona lingua e della buona pronunzia!- come proposta di un Romanzo nazionale per la formazione di una lingua italiana, in prosa – e in poesia con Dante- quando viene favorito un processo di creazione di una coscienza nazionale letteraria e culturale, mediante la mitizzazione degli autori. -La proposta fu firmata da Alessandro Manzoni, Ruggero Bonghi e Giulio Carcano!-.

Bene, anche tu, Marco, rilevi, allora, che l’Italia sabauda – nata da un’intuizione politica cavouriana di annessioni plebiscitarie nel Nord, dopo la II guerra di indipendenza con l’Austria, e dall’impresa di Garibaldi e poi, a seguito della presa di Roma – è un guazzabuglio etnico popolare che parla solo dialetto, anche se gli intellettuali sono divisi tra una lingua classicheggiante montiana e perticariana dei migliori autori con volontà unitaria, sulla base dell’imitazione dei modelli di poesia petrarchesca e della prosa boccaccesca, e quella manzoniana di uno scrittore meneghino, che si sforza di scrivere come un fiorentino colto del tempo, bisognoso, comunque, di due risciacqui in Arno, mentre già Giovanni Verga tenta un’ altra forma linguistica, elementare, diaristica, propria di un capitano di vascello, essendo attento ai proverbi popolari, alle semplificazioni dialettali siciliane, al fine di mostrare la Vita dei campi, naturale e primitiva, e di evidenziare come le lacrime dei servi, contadini e marinai, sono simili a quelle dei padroni-gentiluomini!.

*Certo professore, Massimo d’Azeglio, figlio di Cesare, ben aveva detto, sconsolato, pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani!. Lo statista, che si era ritirato e che aveva voluto come successore Camillo Cavour, sapeva bene che l ‘Italia come nazione non esisteva e come stato costituito- con le annessioni, a seguito della guerra antiaustriaca e dell’ impresa garibaldina antiborbonica, con la fine del regno papale illegittimo Patrimonium sancti Petri et Pauli – era solo espressione geografica per gli stati europei, indicanti oltre al Regno di Sardegna anche il territorio, ora divenuto Regno unitario di Italia sotto la dinastia dei Savoia, ancora nominalmente sottoposto nel centro -sud allo Stato pontificio di Pio IX, e ai Borboni, non ancora dichiarati finiti, date le loro legittime rivendicazioni e quelle popolari brigantesche (cfr. Ferdinando Pinelli in www.angelofilipponi.com).

Marco, in questo territorio, nelle sue attuali venti regioni, si parlava il dialetto locale non una stessa lingua, dantesca e manzoniana compresa dai 22.176.477 abitanti-che si servivano di un linguaggio, vario, diverso da regione a regione direi da città a città e perfino da paese e paese, pur corregionali, e pregavano in latino, seguendo le pratiche religiose, specie le varie fasi della Messa, senza comprendere niente, ed andavano a scuola solo alcuni popolari – mentre quelli della nobiltà e borghesia, liberale, inviavano i propri figli in collegio o li tenevano a casa con istitutori religiosi, perché non educabili linguisticamente per la varietà di dialetti (senza contare le minoranze linguistiche)!

*Professore, ma… la Destra con Gabrio Casati e la sinistra con Michele Coppino fecero pubbliche scuole per la formazione della scuola elementare, gratuita ed obbligatoria per tutti, pur lasciando libera l’istruzione religiosa parificata e pur dando rilievo all’ indirizzo classico e poi, anche a quello scientifico, sminuendo, comunque, la funzione di quella tecnico-professionale?

Certo Casati, nel 1860, istituì il corso di due anni, elementare per i bambini e per le bambine, di sei e sette anni, ingiungendo punizioni a chi contravveniva alla legge e Coppino il 15 luglio del 1877 aggiunge un corso di un altro anno , favorendo scuole serali e domenicali. Comunque la scuola non subì radicali miglioramenti neanche con la Riforma Gentile che divideva nettamente chi doveva essere avviato allo studio per diventare classe dirigente e chi doveva essere operaio tramite l’avviamento al lavoro, servendosi di esami di Ammissioni, selettivo, a cominciare dalla V elementare quando chi lo superava andava a al ginnasio – liceo classico o liceo scientifico mentre era sbarrato agli altri la cultura e si apriva il mondo lavorativo. Solo con La Legge n.1859 del 31/12/1962 si abolisce la scuola di Avviamento professionale e altre scuole particolari, e si istituì Una Scuola Media Unica per tutti, che consente al termine dei tre anni di accedere a tutte le scuole superiori. Si supera così anche la divisione tra classi femminili e classi maschili in quanto vengono favorite le classi miste. Inoltre il latino si studia in seconda media e rimane obbligatorio al terzo anno delle medie solo per coloro che desiderano accedere al liceo. Nel 1977 questa diversità verrà superata con l’abolizione dello studio del latino alle medie ed inizia il tracollo, precipitoso della lingua italiana, non ancora ben parlata nella penisola sradicata dalla lingua madre in cui sono i fondamentali segni agricoli della nostra civiltà italica e mediterranea ,depauperata mentre comincia l’americanizzazione democratica sulla base dell’anglosassonizzazione linguistica, mentre politicamente si vive la guerra fredda Usa-Urss (cfr. L’altra lingua l’altra storia, cit).

*Io sono un buon discepolo ed ho sentito la sue lezioni sul vero e credo di aver capito che in sede ufficiale, un politico, in una celebrazione, necessariamente fa elogio e non critica,- come per il funerale di Berlusconi, considerato un politico… come Napoleone….insuperabile stratega di vittorie calcistiche milaniste, invitto manager !-.

Cosa mi vuoi dire, birbone, di tanto…importante?

* Voglio dire che io accetto la sua lezione sul vero, in generale, e che quanto detto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, non è, per nostra fortuna, un dogma, anche se rileva nell’idea manzoniana di libertà, giustizia, eguaglianza e solidarietà un’ anticipazione della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, sebbene affermi, illuministicamente, che da essa si possa allargare a quella del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati, quasi fosse davvero una critica lucida e serrata al nazionalismo esasperato in quanto “la moralità, la fraternità e la giustizia sembrano prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti rivalità. Tutto, secondo me, comunque, rientra nella logica della Commemorazione, non della valutazione critica dell’opera dello scrittore, per cui si può definire “Manzoni, uno degli spiriti più nobili del nostro Ottocento, protagonista del Romanticismo e del Risorgimento italiano… a ragione ed anche il padre del romanzo italiano e maestro indiscusso di tante generazioni di letterati e di patrioti”. Secondo me, infine, Il legame controverso che Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi, non è affatto un reale monito sui pericoli che corrono oggi le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà, ma solo un pallido riverbero della personale visione religiosa di stampo cattolico-giansenista, di cui il tentativo linguistico popolare è un aspetto formale. Infatti Il romantico e cattolico Manzoni, in verità, non rinnega i valori della Rivoluzione Francese, anzi, li approva e li condivide, insistendo soprattutto sull’aspetto più trascurato quello di fraternité,.  di tipo cristiano, democristiano -si dovrebbe dire! Per lei, non suona positiva neanche la conclusione che dissacra la tendenza, registrabile in tutto il mondo, delle classi dirigenti a assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno attraverso i sondaggi, in un invito piuttosto a dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire il futuro. Ritengo, perciò, normale la concordia di giudizio con quella presidenziale nella Commemorazione manzoniana del Presidente del consiglio Giorgia Meloni e del sindaco di Milano, Giuseppe Sala.

Marco, la Meloni si è unita alla retorica celebrativa, di vecchio stampo, per lei usuale :”L’Italia e gli italiani celebrano oggi Alessandro Manzoni. La Nazione rende omaggio ad un grande italiano, dal pensiero universale e sempre attuale, che ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione della lingua italiana e ha accompagnato, con le sue opere, il Risorgimento e il cammino verso l’Unità d’Italia“….Manzoni è un grande esempio di amore per l’Italia, per la sua storia e per la sua produzione letteraria. I suoi scritti hanno contribuito, e continueranno a contribuire, alla formazione dell’identità nazionale e alla crescita culturale e civile del nostro popolo. A 150 anni dalla sua morte celebriamo la sua grandezza e rinnoviamo il nostro impegno per custodire e valorizzare la sua eredità”: la sua conclusione sul lavoro manzoniano non poteva essere diversa, data la sua formazione tricolore fiammeggiante : I suoi scritti hanno contribuito a costruire l’identità nazionale del nostro popolo! La stessa cosa fa il sindaco di Milano, campanilisticamente, anche se con qualche incertezza celebrativa: Manzoni è un vero Milanese d’Europa, uno scrittore che da piazza Belgioioso ha esercitato tramite le sue opere e il suo pensiero un fascino e un interesse difficilmente imitabili nella storia del nostro paese….Non è personaggio semplice, certamente. Ma non è neanche quella figura impolverata e lontana dalla vita che una certa tradizione accademica e pubblicistica italiana ha consegnato all’opinione pubblica e, soprattutto, ai più giovani

*Per lei, dunque, Manzoni non educa né orienta il popolo, ma fa una letteratura consolatoria, come quella cristiano-cattolica secolare, antiquata, rispetto ai nuovi tempi, in cui esiste, di fatto, un’ Italia europea che ha bisogno di caratterizzarsi di nuovo linguisticamente per non perdere la propria peculiarità nazionale rispetto agli altri stati nazionali.

Marco, uno scrittore cristiano, che vede come tutto si risolva in un piano divino provvidenziale, non può favorire-date l’ educazione e la formazione nobiliare, nonostante la cultura illuministica, pur nell’adesione alle idee popolari romantiche- la massa, ancora succube del credo religioso latino e portarla, tramite la lingua, non popolare, ad una storia, non ancora cosciente dei moti risorgimentali, non avendo possibilità effettive di orientare un popolo, ancora inesistente conquistato a forza dall’elemento militare sabaudo piemontese -sardo, che si impone violentemente nell’Italia centro- meridionale, dopo la fortunata coincidenza risorgimentale, a seguito dell’affrancamento e della liberazione del Lombardo-Veneto dall’Austria- che ancora difende i vecchi confini geografici di papalini e di regnicoli, essendo legati al sistema fideistico comune cattolico, nonostante l’illuminato predominio liberale delle classi superiori.

* Quindi, mi vuole dire che il Manzoni non è quello che un normale studente, a scuola, ha capito, cioè di un gentiluomo lombardo che, seguendo l’economia provvidenziale tridentina, crede di poter uniformare religiosamente un popolo che ha storie diverse e che ancora non ha concluso un processo di integrazione, ma è stato congiunto con altri di altre culture, essendo rimasto per secoli analfabeta sotto il controllo di una casta sacerdotale (cfr. Don Alberione in www.angelo filipponi.com) in ogni parte del suolo italiano, in quanto prono sul lavoro, quasi bestia da soma. Lei, non Manzoni, ha fatto un romanzo storico, L’eterno e il regno ! Lei, secondo me, ha mostrato le classi sociali giudaiche, romane e greco-ellenistiche, evidenziando i mestieri, le lingue parlate nell’ impero impero romano , un complesso statale di oltre 3.000. 000 di km quadrati, nel periodo che va ha dal 18 ottobre 31 -morte di Elio Seiano alla Pasqua del 36, morte del nostro Gesù/Jehoshua barnasha -Gesù figlio dell’uomo– orientando noi studenti alla scoperta della vita reale quotidiana di un civis in un imperium militaristico, aggressivo, in una continua invasione dei territori altrui, desideroso di dare, dopo la conquista e la distruzione bellica, una possibilità di integrazione ad ogni etnia per fare di tanti popoli un solo popolo, con due lingue ufficiali, quella latina, in Occidente e quella greco-aramaica in Oriente, lasciata ampia libertà di culto ad ogni casta sacerdotale locale, di norma filoromana, compreso quella giudaica, la cui popolazione aramaica era un cancro per Roma, considerata la belligeranza di quasi due secoli dal 63 a.C. fino al 135 d.C. (cfr. Nonno, raccontami; Seguita, io ti seguo; Io sono qui di nuovo, in ascolto in www.angelofilipponi.com).

Marco, vuoi ricordarmi i dolorosi insuccessi degli anni Novanta e il tentativo, boicottato in vario modo, di dire il vero storico e di ricercare la vera cultura romano ellenistica, violenta, aggressiva in epoca antonina e severiana, pur in un momento di equiparazione politica e socio-economica ?

*Oh, no, professore, io vorrei farla conoscere al mondo intero, come un buon discepolo!; vorrei che il suo romanzo storico avesse milioni di lettori e che fosse realmente capito il suo pensiero, ben espresso in Un’altra storia del Cristianesimo!

Scusami, allora, amico mio.

*So bene quanto ha sofferto in quegli anni in cui lavorava, in solitudine, come traduttore e come muratore: io e i miei compagni ne siamo testimoni perché venivamo a trovarla con la scusa di vedere le sue costruzioni, artistiche!. Quelli erano anni in cui ci ancorava alla realtà con criteri paradigmatici e ci mostrava i frutti della sua ricerca, il Christos aramaico, qainita , zelota, messia e maran, un giudeo galilaico, intento al suo mestiere, un uomo vivente la sua humanitas, inserito in una reale comunità ebraica in lotta contro il feroce militarismo romano, invasore, proprio nell’atto della difesa nazionalistica territoriale e del proprio credo tradizionale, in un tentativo di staccarsi dall‘ imperium, in un’adesione popolare alla confederazione parthica, di cui era una pars, legata da vincoli familiari, linguistici e fideistici coi confratelli d’oltre Eufrate, quando ancora doveva avvenire la distruzione del Tempio con Tito Flavio, la fine di Gerusalemme, la metropoli ebraica- divenuta Aelia Capitolina- la cancellazione definitiva del nomen stesso di Ioudaea,– ora definita Palestina ad opera di Adriano- il mite e colto Adriano!- che fa sterminare 580.000 persone, uccidere il ribelle Messia Shimon bar Kokba e l’ideologo Rab Aqivà.

Allora, grazie, Marco.

* Io la devo ringraziare per avermi dato spiegazione sul vero manzoniano e mostrato il suo vero con ben altre connotazioni e significazioni, che mi hanno aiutato, tra l’altro, a comprendere il condizionamento atavico del mentire del mondo mediterraneo e di avermi decondizionato con l’esercizio del non mentire, specifico dell’ area lessicale e semantica di alétheia, di nascondere il proprio male, sepolto nella propria coscienza, come difesa dallo sguardo altrui, anche se di fratelli, che hanno anche loro la loro croce da sopportare, seppure fiduciosi nella lezione cristiana di sopportazione del dolore e di accettazione di una vita dolorosa, certamente premiata in cielo da Dio , che saprà dare il giusto premio al suo fedele povero lazzaro !

.