a Maria Lucia Albano, Sottosegretaria di Stato al Ministero dell’Economia e delle finanze, mia alunna
Io ho avuto paura de tre cose:/ d’essere di animo povero e mendico,/io so che tu m’entendi senza chiose/de servire altrui e despiacere /e perder, per lo mio defecto, amico/onde io so’ ricco, quanto al mio vedere/chè speso ho el tempo de mia poca vita / in acquistar scienza et onore/et in seguire altrui con l’alma unita. Cichus de Esculo, l’Acerba, IV, 7
*Professore, non mi ha mai parlato specificamente di Historiae di Sallustio, eppure so che lo scrittore in questa opera considera Giulio Cesare, un arrivista capace di scatenare, da demagogo, nel popolo ogni più abietto vizio, e che contemporaneamente ritiene Gneo Pompeo, vir educato fin da bambino ad essere un altro Alessandro, e che giudica infine philotimos peri csenous amante di gloria per gli stranieri, Licinio Crasso (un dives che aveva 7.100 talenti prima di partire per la spedizione parthica, un grande oratore, discepolo di Alessandro Poliistore, aristotelico di Mileto, divenuto sillano per aver raccolto truppe antimariane in Marsica, rivale di Pompeo Magno non solo per bonomia caratteriale, ma anche per gli onori militari, un arricchito durante le proscrizioni tanto da poter comprare schiavi a Delo 500 architetti e muratori, con le loro squadre- 2000 uomini! – a cui affidare intere insulae populares da ricostruire – secondo Plutarco, Crasso, 1,2, in momenti sfortunati / tais koinais atuchiais-).
Non ho capito cosa mi vuoi chiedere delle Historiae! Mi hai mostrato che conosci i tre triumviri del 60 a.C. e ne rilevi le caratteristiche, venute fuori, grosso modo, nel periodo postsillano. Vuoi, dunque conoscere quale sia la situazione politica e morale dopo la guerra sociale 90-88 a.C., a seguito della vittoria sillana e della sua dittatura, con gli anni successivi? Vuoi rilevare segni di moderazione da parte di scrittori etichettati, come Sallustio popularis, o come Cicerone ottimate, che, invece, sanno valutare la situazione repubblicana degenerata, secondo uno stile proprio, il primo, arcaico, tipico della brevitas e della varietas, il secondo, ampio, dolce, fluido della concinnitas? vuoi capire il centro dell’interesse della ricerca sallustiana e ciceroniana, costituito dalla crisi repubblicana in epoca cesariana ed entrare in merito alla coscienza amara di una decadenza morale, prima che politica, riflessa in opere, dove traspira la tradizione romana di un culto della virtus, in cui è chiara la preminenza della prassi sulla speculazione astratta ellenistica, posidoniana?
*Professore, non ho chiaro come la res pubblica, dopo le espansioni territoriali, nell’età delle conquiste mediterranee del III secolo (I guerra punica e conquista della Sicilia, con successiva occupazione di Sardegna e Corsica; conquista della Gallia Cisalpina dopo le guerre coi Liguri, Illiri e Galli; II guerra punica ed occupazione della Spagna) e di quelle del II secolo a .C. (guerre macedoniche, guerre contro la Siria, III guerra punica ed occupazione dell’Africa , oltre alla conquista di Macedonia, Illiria ed Acaia , di Asia, avuta in testamento da Attalo III, e dopo le vittorie definitive sui Liguri e sui Galli, annessione della Gallia Narbonense) muti strutture, a seguito di un ampliamento territoriale rapido e vasto e di un flusso di ricchezza mai visto, ed entri in crisi, data la sua natura agricola e la conduzione dei patres secondo un’auctoritas familiare, ancora legata alla precettistica di un Catone il censore, difensore degli antichi costumi patrii agricoli, oppositore della cultura greca, commerciale, orientale, che ha vinto il feroce vincitore (Graecia capta ferum victorem vicit -Orazio, Epistulae, II,1,156-).
La crisi investe ogni campo, Marco, e trasforma la società latina e quella italica, essendo ampliata la struttura in modo abnorme, data l’ eccezionale conquista territoriale, che decuplica nel III secolo l’ ager demaniale della res pubblica e nel II raddoppia quasi quanto già ottenuto nel secolo precedente: vengono contaminate le forme religiose ed attaccate quelle socio-economico- politiche, essendosi aggravata la questione agricola in un quadro politico di conflitto tra i cives in un settantennio circa di bella civilia, complicato da invasioni galliche, da guerre sociali e servili, da defezioni provinciali, da insicurezze marittime a causa dei pirati, e da lotte di supremazia contro Giugurta e contro Mitridate oltre che da una congiura democratica, catilinaria.
*Da qui, dunque, professore un nuovo pensiero proveniente dalla Grecia e dall’Oriente, che immettono nuove strutture nel sistema tradizionale latino-italico e lo snaturano con la novitas delle concezioni religiose filosofiche e politiche, per cui si avverte una decadenza dei costumi antichi che, iniziata con le classi dominanti, già ellenizzate, desiderose di un tenore di vita più raffinato, in quanto è cresciuta l’ avidità di ricchezza /aischrokeedeia ed è intaccata l’onestà agricola, specie quando la predicazione dei filosofi greci annulla perfino la pietas popolare pagana negli dei, datori di benessere ed allenta i freni morali individuali e familiari, specie femminili.
Marco, per Cicerone, De re publica V, 1 Moribus antiquis res stat romana virisque/ lo Stato è saldo nei costumi antichi e negli uomini, – cfr. Ennio , Annales (Vahlen, fragm.n.500)-! L’oratore, scrivendo nel 54 a.C. nell’otium delle sue ville campane, De re pubblica, messa successivamente nel 46-5 in relazione con De legibus e De officiiis ( cfr A. F. Il testo del Somnium Scipionis ), mostra chiaramente come la crisi inizi nel decennio graccano 133-123 , in una lotta familiare tra i democratici Corneli Gracchi e gli aristocratici Corneli-Emiliani. Cicerone evidenzia, secondo la formula enniana, come lo stato romano sta saldo in virtù degli antichi costumi e dei suoi uomini ed afferma: Per la sua brevità e verità, mi sembra che Ennio abbia profferito questo verso come un oracolo/tamquam ex oraculo quodam mihi esse efflatus videtur e ne dà spiegazione, diversa da quella di Sallustio: Infatti né gli uomini, se la cittadinanza non avesse avuto buoni costumi, né i costumi, se tali uomini non fossero stati al governo, avrebbero potuto fondare e, così a lungo, mantenere uno stato così grande e dominante sopra un territorio così vasto. Pertanto, nei tempi anteriori al nostro, lo stesso costume patrio chiamava al comando cittadini valorosi e i cittadini valorosi conservavano l’antico costume e le istituzioni degli avi!. Invero noi abbiamo ricevuto lo stato come un affresco meraviglioso /rem publicam sicut picturam …egregiam., ma ormai sbiadito per vetustà e non ci siamo preoccupati di restaurarlo con gli stessi colori di prima, anzi non abbiamo neppure curato di conservarne almeno la forma e le linee di contorno!.
*Quindi, professore, bisogna chiedersi onestamente cosa resti, ai tempi di Sallustio e di Cicerone, a detta di un cesariano e di un pompeiano, dello stato romano, e capire la sincera risposta su mores e su viri, di due scrittori, ambedue, comunque, idealisti, desiderosi di veder amministrata la giustizia secondo una concezione arcaica, omerica, stoico-platonico -aristotelica (Politica,125 b), ancora in modo tradizionale!
Cicerone dice: quid enim manet ex antiquis moribus quibus ille (Ennius ) dixit rem stare romanam?/cosa infatti rimane degli antichi costumi su cui disse quel famoso Ennio che lo stato è saldo? …videmus mores/vediamo i costumi così caduti in dimenticanza da essere non soltanto non coltivati/non colantur, ma perfino ormai ignorati/sed iam ignorentur , e quindi, viene confessato che mores ipsi interierunt / i costumi stessi perirono penuriaVIRORUM/per penuria di uomini e che di questa tanto grave sciagura/tanti mali, non modo reddenda ratio nobis / non solo dobbiamo rendere conto, ma anche dobbiamo difenderci/dicenda causa est, come se fossimo accusati di un delitto punibile con pena di morte/tamquam reis capitis.
*Professore, all’epoca dell’inizio della guerra civile tra pompeiani e cesariani, dunque, si rifletteva sulla miserie statali, sull’osannare o denigrare i capi, sulle rispettive responsabilità di ognuno, sulle ragioni che non potevano essere solo da una pars, in una ricerca di verità, al di là delle facili dissacrazioni e delle smitizzazioni, in una volontà di capire chi fosse l’uomo, quale fosse la iustitia e quale fosse il retto comportamento umano nello sfacelo generale istituzionale!.
Cicerone affermava: per le nostre colpe, infatti, e non per un qualche caso fortuito, conserviamo ancora a parole il nome di stato, ma già da tempo l’ abbiamo perso, nella sostanza/ rem publicam verbo retinemus, re ipsa vero iam pridie amisimus!
*Professore, in risposta, lei mi cita Cicerone, ma io ricordo bene una sua lezione sulla nobiltà corrotta durante la guerra giugurtina, evidenziata da Sallustio –Bellum iugurtinum, 31- , in un discorso al senato, del tribuno della plebe, Gaio Memmio, la cui conclusione è la seguente: o Quiriti, io non vi esorto a compiacervi che i vostri concittadini abbiano operato male piuttosto che bene, ma a non rovinare i buoni col perdonare i malvagi!
Marco, all’epoca del I triumvirato e nel corso del bellum civile tra Cesare e Pompeo scompare la classe nobiliare o per morte naturale o per violenza, mentre compaiono sulla scena politica giovani che sono avventurieri senza tradizione familiare: si vive per Seneca Pater (Suasoriae,7,,3) vivet inter Ventidios et Canidios et Saxas. Il vecchio Seneca vuole dire che per un aristocratico non è un bene vivere tra Ventidio Basso (uno schiavo, mulio, che, appaltando servizi di trasporto e che, strigliando le mule/mulas .. fricabat (cfr. Noctes atticae V,4,3), era divenuto console ed avendo vinto i Parthi, si era autocelebrato, tramite un’ orazione -panegirico di Sallustio (uno storico che, da populuris, giudica ed indaga condannando i tempi nuovi e la maggior parte degli uomini, compreso P. Canidio Crasso, vincitore di popoli caucasici e Decidio Saxa, che, vinto dai parthi, dignitosamente si uccise!)- : lui, ispanico, ambizioso, non vede bene le gare per il potere e le strategie demagogiche e neanche gli uomini nuovi, che non superano i nobili per le virtù ma conseguono gradi militari col furto e col latrocinio piuttosto che con mezzi onesti (cfr.Bellum iugurtinum IV, 7) concependo la vita una gara in cui vince chi non ha nulla da perdere!. Ricorda che sono tre legati, antoniani, che fecero fortuna nei tredici anni dalla morte del dittatore alla battaglia di Azio tra Antonio e Ottaviano!. Ti ricordi da quali viri scelleratissimi la res pubblica era infestata nell’epoca precedente quella dominata dai nobili !? Sallustio, in uno studio monografico, fa proporre regolari processi al tribuno che denuncia lo stesso re Giugurta– un venale che accusa la stessa urbs di massima venalità- mentre considera le mani dei patres, lorde di sangue, vedendoli insaziabili nella brama di potere, perniciosissimi, ed altrettanto superbi uomini, per i quali la lealtà, la dignità, la pietà, insomma tutte le cose oneste o disoneste, servono solo al profitto!
*Professore, si assiste in epoca mariana e sillana, prima, e cesariana poi, ed infine antoniana, ad un capovolgimento del sistema repubblicano di vita romano, a seguito della vittoria aristocratica e di quella democratica, quando non si conosce più la differenza tra bene e male, essendoci solo una coscienza di parte ?
Certo, Marco. Devi considerare che da quasi ottanta anni lo Stato non è più saldo nelle sue strutture repubblicane e che, dopo le grandi conquiste orientali, essendosi l’ager publicus ampliato eccessivamente e concesso, come beneficio, solo ai patres, detentori di latifondi, e agli equites, capaci di ottenere gli appalti pubblici, mentre si evidenziano livelli di vita estremamente lussuosi rispetto alle misere condizioni plebee, urbane ed italiche, in quanto la res pubblica cresce in potenza militare, grazie ai milites, che sono la reale forza dell’esercito, lasciati, però, nella più spaventosa indigenza, al loro ritorno in patria, come se fossero estranei al fenomeno della conquista!.
*Professore, in questo clima di immensa diseguaglianza sociale, iniziata la contestazione dei Gracchi, la res pubblica vacilla per la mancanza di riforme, che risultano solo cambiamenti di regime, con dittature violente, di una pars su un’altra?
Marco, ora, immensi territori erano ormai dei patres, latifondisti, e gli equites, invece, si erano arricchiti con gli appalti, loro dati dai nobili, nullafacenti, nelle regioni conquistate (dove avevano come esosi pubblicani eserciti di funzionari, loro dipendenti, anche nello sfruttare i rifornimenti di grano per la capitale, dove, oltre tutto, possedevano interi quartieri e li affittavano e prendevano decime dai mercati rionali ed alzavano i prezzi perfino del pane, mentre sfruttavano le miniere, riscuotevano i tributi in tutto l’impero ed avevano schiere di schiavi e braccianti, che mal pagavano o non pagavano affatto, in quanto, di solito, erano ridotti allo stato servile)!; ora , si era formato un partito popularis, costituito da reduci delle legioni romane, che avevano combattuto senza aver avuto nessun vantaggio dalle vittorie, in quanto costretti, prima, a sostenere spese per le armi e a lasciare incolto il loro podere, e poi, al ritorno, a vendere ai latifondisti a basso prezzo, non potendo fare altro che rimanere senza terra e andare in città per aver diritto alle contribuzioni di grano, elargite dallo Stato, di tanto in tanto, dette frumentazioni! ora, insieme ai plebei urbani, i populares si accorgevano che, nonostante l’equiparazione civile e politica coi patrizi, non traevano alcun beneficio dall’essere cives romani e, perciò, si unirono agli alleati italici in una rivendicazione di classe e in una lotta sanguinosa tra ricchi e poveri!.
*Lei, professore, mi mostra la coscienza di parte di un mariano, di un catilinario, di un popularis secondo le due monografie di Sallustio, congiunte, però, col pensiero di quel Cicerone, console del 63 a.C. , anticatilinario, che smaschera il colpo di stato dei congiurati, condannati come hostes, destinati al massacro, a Pistoia, ad opera del legatus pompeiano, Marco Petreio! In tale situazione lo Stato condanna come rivoluzionari i catilinari, essendo sordo alle richieste di riforme di uomini, che avevano combattuto e vinto per la comune patria? Eppure ci sono tante leges agrarie, ancora favorevoli agli affitti arbitrari concessi ai patres e agli equites che, divenuti possessores, pagando una piccola somma all’erario, fanno grandi profitti specie dai territori migliori, come quello campano o africano o asiatico, da dove vengono cacciati gli assidui che, vivendoci e che, coltivando direttamente i terreni, li vendono e sono costretti a venire in città e a diventare clientes dei patres, per ottenere i diritti per le frumentazioni!.
Vero, Marco!. Lo Stato, sordo alle richieste, aveva stretto i rapporti tra le due partes dominanti dei nobili e degli equites che, grazie alla concordia ordinum, impedivano di dare il giusto ai plebei. Da qui l’azione dei due fratelli Gracchi, che avevano ben capito la condizione dei populares e, quindi, presero l’iniziativa di proporre leggi per risanare la società romana. Infatti con Tiberio Gracco, figlio maggiore di Cornelia Scipione e di Tiberio Sempronio Gracco, tribunus plebis nel 133 a.C, veniva approvata la legge agraria – dopo aspre lotte con il tribuno della plebe, Ottavio, dissidente col suo veto – : veniva costituita una commissione per l’ assegnazione delle terre, composta da Tiberio e Gaio Gracco e da Appio Claudio Pulcro, princeps senatus, addetta alla distribuzione in lotti di 30 iugeri- 7 ettari e mezzo- ai cives nullatenenti, quando già la sorella Sempronia aveva sposato il cugino Cornelio Scipione l’Emiliano -distruttore di Cartagine e di Numanzia – proprio nell’anno in cui Attalo III, re di Pergamo morendo lascia per testamento il suo regno ai Romani.
*I discorsi, riportati dagli Storici, specie di Plutarco (Cfr. Vite parallele, Agide e Cleomene- Tiberio e Caio Gracco Introduzione, traduzione e note di Domenico Magnino. Testo greco a fronte, Bur, 1991 ) si riferiscono a questo periodo?.
Si. Marco. La condizione dei plebei era nota, se già la lex licinia aveva imposto che i nobili non avessero più di 1.000 iugeri -125 ettari- e se ci fu poi un intervento di Gaio Lelio sapiens a favore dei populares nel 140 a.C. senza, però, ottenere niente, dato il ritiro prudente dell’amico di Scipione Emiliano: di loro gli aristocratici vedevano la estrema povertà, ma nei nobili prevaleva lo spirito di classe in quanto c’era solidarietà con gli equites!.
*Per questo la lex agraria di Tiberio e il suo discorso, riportato sostanzialmente da Plutarco, sono bandiere da difendere per tutti i populares che ne sono vexilliferi, desiderosi di spartirsi quanto è stato tolto ai patres, che entrano in conflitto fra loro, perfino, nella cerchia elitaria dei membri scipionici, in quanto i gracchi sono parenti degli Emili e dei Corneli, avendo in comune lo stesso progenitore Publio Cornelio Scipione, vincitore a Zama?
Marco – senza per ora entrare in merito alla morte di Scipione Emiliano nel 129 a.C.- ti leggo l’intero discorso, pronunciato da Tiberio Gracco, secondo il Liber ad Pomponium – cfr. Cicerone De divinatione,2,29,62 – di Gaio Gracco- che raccontava di suo fratello che, vedendo la desolazione dell’Etruria / thn erhmian ths chooras oroonta e schiavi i contadini e pastori, ebbe l’idea per la prima volta di quei provvedimenti, dai quali sarebbero venuti per loro, infiniti mali./ tote prooton epi noun balesthai thn murioon kakoon arcsasan autois politeian-. Ecco quanto il tribuno, rivolto al popolo, ritto sulla tribuna /bhma -. disse, affermando oos ta men therai ta thn Italian nemomena okai phooleon echei,kai koitaion estin auton ekastoooi kai katadusis, tois d’uper ths Italias machomenois kai apothnniskousin aeros kai photos , allou d’oudenos metestin/ che le bestie feroci, sparse ‘per ltalia, avevano ciascuna la propria tana, un giaciglio e un rifugio, mentre quelli che combattevano per l’Italia e morivano, avevano solo l’aria e la luce e niente altro: all’aoikoi kai anidrutoi meta teknoon planoontai kai gunaikoon, oi d’autokratores pseudontai tous stratiootas en tais machais parakalountes uper taphoon kai ieroon amunesthai tous polemious/ essi, invece, andavano errando senza casa e senza fissa dimora coi figli e con le mogli, mentre i capi, durante gli scontri armati, mentivano, esortando i soldati a combattere contro i nemici per le tombe e per gli altari, oudeni gar estin ou boomos patroooios , ouk hrion progonikon toon tosoutoon romaioon, all’uper allotrias truphhs kai ploutou polemousi kai apothnnhiskousi, kurioi tha oikoumenhs einai legomenoi, mian de boolon idian ouk echontes/ nessuno infatti, di questi romani, così numerosi, aveva l’altare familiare o il luogo di culto degli antenati; essi combattevano e morivano per il benessere altrui e per l’altrui ricchezza; si diceva che fossero i padroni del mondo, ma di proprio non possedevano neppure una zolla!.
*Professore, chiaramente, lei mi vuole dimostrare come Sallustio nelle Monografie e Cicerone nelle sue Orazioni abbiano coscienza reale dei fatti, visti, in relazione al loro partito, ciascuno, secondo la propria logica partigiana, comunque, nel momento cruciale dello scontro tra fazioni, certamente duro ed oppositivo, quando le strutture statali, obsolete, ormai stanno crollando e loro stessi, forse inconsapevolmente, ancora godono, nelle loro rispettive ville ed horti, dei beneficia dei vecchi instituta e leges.
Certo, Marco. E’ così! . La situazione non era cambiata, dopo la morte di Tiberio e neppure dopo il tribunato di Gaio Gracco del 123 a.C. e la sua proposta di legge a favore dei plebei e di cavalieri – che, per il momento erano stati staccati dai patres -.
*Professore, lei allude al programma di riforme del 122, deciso da Gaio per risolvere il problema dell’urbanesimo, quel fenomeno per cui le popolazioni agricole, limitrofe, impoverite, venivano in città per avere le consuete contribuzioni statali di frumento, olio e vino ai nullatenenti urbani che, ora, si oppongono, con violenza, ai nuovi arrivati, che sottraggono qualcosa, spettante solo a loro, essendo concorrenti!
Gaio pensava di poter frenare gli scontri urbani, facendo vendere a prezzi bassissimi il pane ai nullatenenti, arrivati da poco in città, per i quali fa leggi per la Deduzione di una colonia nella zona di Cartagine, da poco distrutta dall’ Emiliano, come se fosse un ager della domus Cornelia, determinando lotte intestine tra gli scipionidi stessi ( cfr. Plutarco, Gaio Gracco. cit. ). Cornelia, la madre- che aveva aveva perso 11 figli e le restava solo Sempronia – ne era testimone: lei, in vecchiaia, soleva narrare a romani e a greci, che venivano ad onorarla con doni, le imprese di Tiberio e la sua morte eroica- nonostante l’accusa di Scipione Nasica di volersi fare re!- le azioni militari di suo padre Scipione, le sventure dei suoi figli e specie di Gaio, e mostrava ai letterati stranieri, senza lamenti e senza lacrime, fatti della propria famiglia, a dimostrazione che un animo nobile, ben educato, sa trarre giovamento dagli stessi mali familiari, pur dolorosissimi.
*Professore, così facendo, Gaio intende portare via da Roma una massa di nullafacenti, rissosa, da sfamare quotidianamente e la destina ai fini di una colonizzazione in territori nuovi, favorendo l’integrazione fra le varie etnie, dividendo l’ager publicus e dando opportunità anche agli italici di godere dei vantaggi della cittadinanza romana, che, comunque, poi saranno negati: questa strategia, ottusa, aristocratica, determina l’ insurrezione dei socii – Marsi, Piceni e Sanniti, poi censiti come tribù Fabia – che più degli altri hanno contribuito all’imperium.
Marco, le riforme graccane falliscono, anche se restano molte leges, seppure mal applicate nei confronti degli assidui popolari.
*Quali sono, professore? può ricordarmele?
La Lex Thoria agraria di Spurio Torio, che aboliva le assegnazioni di terre precedenti e confermava ai possessores il possesso delle terre usurpate, – stimata legge da condannare da Cicerone stesso Brutus,36,136-; Lex licinia, che riordinava la fondazione della colonia narbonense dopo la conquista della provincia o la Lex apuleia di Lucio Apuleio Saturnino, che fece distribuire tra i veterani di Mario l’ager gallicus, dopo le vittorie di Acque Sestie e di Campi Raudi, come anche l’altra Lex apuleia De coloniis in Siciliam Achaiam Macedoniam deducendis o la Lex Livia agraria, che tendeva a ripristinare la legge dei gracchi o la lex Iunia De colonia capuana deducenda, per la quale il tribuno Marco Giunio Bruto fece fondare a Capua una colonia mariana, citata anche da Cicerone nella sua De lege agraria., in cui venivano istituiti i decemvivi per la divisione delle terre italiche, ad eccezione dell’ ager campanus, di quello siciliano, africano, siriaco, macedonico , acaico ed ispanico.
*Tutte queste leggi, successive a quelle graccane, sono connesse con la figura di Mario, un agricola di Arpino, iracondo e poco acculturato, tanto da non volere fare imparare ai figli il greco perché insegnato da schiavi, in quanto era un lavoratore, figlio di braccianti, imparentato, però, con i Giuli, un rudis imperator, simile ai prisci bifolchi romani!.
Certo. Gaio Mario era esemplare assiduus, un contadino, un miles pieno di ferite sul petto, segno del suo valore militare, che era consapevole delle misere condizioni della plebe urbana ed italica. Infatti dalla sua riforma militare derivavano conseguenze gravi per il futuro della res pubblica anche se la sua opera fu salvifica per lo Stato, tanto che fu considerato padre della patria come Camillo e come Romolo, quasi fondatore.
*Professore, Mario è un innovatore in quanto rivoluziona l’esercito mediante un nuovo sistema di reclutamento. Già nella Guerra contro Giugurta, è uomo rustico, un vecchio contadino arpinate, che, divenuto console, arruola i capitecensi , quelli che non possiedono alcun reddito, i nullatenenti, e li paga come mercenarii, come uomini che svolgono una loro professione, quella militare, disciplinata da decuriones, centuriones, tribuni, legati e dux, che comandano a seconda del grado, da cui possono merére primum stipendium, oltre ricompense varie, in caso di segnalato valore nelle battaglie, specie dopo la vittoria. Si forma con Mario un nuovo mestiere per i romani agricolae, che diventa più fruttuoso nel momento del congedo, quando il condottiero vincitore-imperator dispensa ai suoi milites denaro e terre, assicurando così i mezzi per vivere la restante vita a loro e alle famiglie, essendo il dux, padre, datore di lavoro, sovrano-deus.
Proprio così. Marco. Se, però, con Mario, inventore del sistema, si determina una soggezione del soldato agricoltore nei confronti del dux popularis, con Silla, invece, aristocratico, il servizio militare diventa un’arma per la politica delle due classi dominanti, che hanno i vertici del comando militare, essendo loro il grado di tribunus e di legatus e quello di dux.
* C’è, dunque, un periodo di lotte tra populares e patrizi dal momento dell’ inizio della guerra contro Mitridate, che si chiude solo con la vittoria sillana, dopo scontri faziosi con la pars mariana guidata da Cornelio Cinna, nell’82, quando viene istaurata la dittatura fino al 79, che si chiude col ritiro di Silla e la sua morte nel 78.
Cornelio Silla era un conservatore, che rappresentava gli interessi dell ‘oligarchia senatoria contro le pretese democratiche di Mario, per cui, appena era iniziata la guerra mitridatica, Cinna, divenuto console presentava una legge, che proponeva la votazione dei liberti e, quindi, abrogava l’ordinamento sillano, imposto al momento della partenza dell’esercito contro il re del Ponto, e col censimento dell’anno 86 i censori Filippo e Perpenna distribuirono nelle 35 tribù oltre 500.000 cives e così l’oligarchia veniva privata del dominio nei comizi e si realizzava la forma graccana di organizzazione politica, voluta da Livio Druso e da Mario, e si fecero stragi di aristocratici, a cui vennero confiscati i beni e i latifondi italici.
*E’ il periodo sanguinoso degli anni 86-84 del predominio mariano a Roma, in assenza di Silla, impegnato in Oriente, e della supremazia personale di Cinna?
Si. Il capo mariano, ebbe per 4 volte il consolato e riuscì perfino ad inviare un esercito mariano in Asia al comando di Valerio Flacco e di Flavio Fimbria, in sostituzione di quello sillano, che pur ben combatteva contro Mitridate. La sua morte ad Ancona e il ritorno di Silla evitarono scontri armati tra eserciti di mariani e sillani! Morto Mario, eletto per settima volta console, dopo il ritorno dall’Africa, anche Cornelio Cinna fece stragi di avversari e proscrizioni, ordinando confische di beni e di latifondi, determinando in Italia devastazioni territoriali, come il dittatore Silla che, nell’82, emanò una nuova costituzione, in cui veniva limitato il potere dei tribuni della plebe ed aumentato il prestigio dei senatori in modo da poter decidere autonomamente ed unilateralmente sia in politica interna che in quella estera, tanto convinto di aver ripristinato la legalità, da potersi, infine, ritirare a vita privata, senza correre rischio alcuno!.
*Strano. Professore. Silla è davvero felix, un uomo fortunato, assistito del favore divino, se, lasciando la dittatura, non viene ucciso, essendo gli eserciti mariani, ancora sparsi nel mondo romano!
Certo. La pretesa di avere il titolo, come appellativo pubblico, secondo Plutarco, fu, col suo ritiro dalla dittatura, una prova coraggiosa! Infatti la lotta tra i partiti riprese ancora più violenta in una situazione, divenuta critica in quegli anni di anarchia: in Spagna, Quinto Sertorio (126-72 a.C.), mariano, si era ribellato al potere repubblicano sillano, e teneva un governo autonomo; in Asia, Mitridate aveva ripreso le armi contro la res publica; perfino gli schiavi, sobillati da Spartaco(109-71 a.C.)- che aveva organizzato i gladiatori della Scuola di Capua come milites– si erano ribellati, anelando alla libertà; Il Mediterraneo, specie orientale fino al 67 a.C. era dominato dai pirati, che impedivano perfino i rifornimenti alla capitale.
* Da qui, professore, la carriera facile dell’aristocratico Gneo Pompeo, chiamato Magno da Silla, che diventa suo erede e, con l’esercito di sillani, riesce a domare Sertorio e a riportare la Spagna sotto l’imperium, a sconfiggere Spartaco, già vinto da Licinio Crasso, a riportare l’ordine in Oriente vincendo definitivamente Mitridate, annettendo la Siria, portando a termine l’ impresa piratica e conquistando poi Gerusalemme nel 63 a.C., anno in cui Cicerone, console, suo partigiano, annienta la congiura di Lucio Sergio Catilina, mariano, che osa concedere al popolo la cancellazione dei debiti e la proscrizione dei ricchi, avendo già deciso di uccidere i consoli, attuando un piano eversivo.
Per Sallustio, Catilina aveva avuto, dopo la dittatura di Silla, una pazza bramosia di impadronirsi dello stato e non si faceva scrupolo con quali mezzi l’avrebbe soddisfatta, pur di procurarsi il potere. Lo spingevano, inoltre, i corrotti costumi dei cittadini, travagliati da due mali funesti e tra loro opposti, la fastosità e la brama di ricchezza!
*Dunque, l’opera di Historiae completa il quadro storico, già evidenziato in Bellum iugurtinum e in Bellum Catilinae e rileva il pensiero popularis sallustiano, che risulta unica possibilità innovativa, se esaminato, in contemporanea, con quello di Cicerone,- homo novus, pompeiano, costretto dalla sconfitta di Farsalo ad essere uno tra quelli che implorano il perdono a Brindisi davanti a Giulio Cesare, che torna, dopo la vittoria di Zela, trionfante, ma desideroso di pace, pur essendo un mariano di altra levatura culturale rispetto allo zio arpinate e a Cinna, suo ex suocero, in quanto ellenizzato letterato, educato alla clementia, da dominus, kurios e despoths ths oikoumenhs- ! Non mi ha mai, comunque, voluto parlare in questi termini perché, a scuola, si lavora di più sulle monografie, dove, forse, è palese l’indirizzo dei vincitori populares!
Marco, io non ti ho parlato mai di Historiae perché sono mutile degli anni 90-88 e di altre parti e perché i cinque libri, oltre al Proemio, risultano excerpta/estratti, non certamente sicuri come le partes del libro III e del II, e, nell’insieme, avrebbero potuto dare, ad un giovane, un’idea inesatta di Roma popularis, destinata alla vittoria, come se fosse una pars democratica portatrice, soltanto di bene, mentre l’altra, quella oligarchica era espressione di male, in quanto corrotta, quando, invece, la corruzione è in entrambe le parti, a qualsiasi livello, a Roma e in ogni provincia, sia plebeo che patrizio, quasi una tara genetica romana|!. Così afferma Sallustio, facendo parlare Mitridate, re del Ponto: fin dalla fondazione della loro città, i romani non hanno mai posseduto nulla, che non sia stato frutto di rapina…Erano un tempo una masnada di avventurieri senza patria ed hanno costituito un impero, che è il flagello del mondo. Per loro non c’è nessuna legge morale o religiosa che abbia valore: depredano, derubano alleati, amici, vicini, lontani, ricchi o poveri che siano: trattano da nemici tutti quelli che non sono loro schiavi; prendono le armi contro tutti e con maggiore accanimento contro coloro, dai quali si ripromettono un bottino più abbondante. Si sono ingranditi con la prepotenza e con la menzogna, suscitando una guerra dopo l’altra.
*Mitridate, come già Giugurta, esprime l’immensa avidità e venalità romana, congenita-Cupido profunda imperi et divitiarum, Epistulae, 6, 5 – connessa con il militarismo espansionistico, vizio atavico, che viene alimentato dalla coscienza della superiore organizzazione statale, lodata da Polibio, nata dalla dialettica plebea e patrizia, che autorizza un sofferto equilibrio, con un’ amministrazione unitaria, sostenuta da un organismo militare perfezionato dalla pratica continua di guerra, che è strumento di invasione ed occasione di reale conoscenza, un sistema di innovazione, in un rinnovamento continuato di lotte interne tra la pars popularis e quella senatoria, quasi una regola per armonizzare i gravi squilibri economico-finanziari, esistenti tra il plhthos e l’oligarchia senatoria!.
Certo, Marco, passato il timore di Cartagine, superata la crisi graccana, alla meno peggio, per gli aristocratici fu un lusso esercitare più cariche, ampliare il latifondo e dominare sulla plebe come patroni, ricchi di numerosi clientes, per cui andarono incontro a moltissime rivolte, suscitando sedizioni e, alla fine, cruente guerre civili, finché pochi potenti, verso i quali molti erano in obbligo, sotto l’onesta egida dei senatori o della plebe, prepararono dominazioni personali in nome di una ideale fedeltà al proprio partito: i cittadini venivano chiamati galantuomini o delinquenti non per le loro azioni verso lo Stato, tutti parimenti corrotti, ma veniva ritenuto galantuomo chiunque fosse il più ricco e forte nell’offendere, poiché difendeva la propria posizione … E la dignità di entrambi i partiti era stata corrotta con tangenti. Questa sembra essere la lezione di Historiae!
*Per questo, professore, Sallustio afferma, in modo equivoco, quasi incomprensibile, che da quest’epoca i costumi degli antenati non cambiarono poco a poco, come prima, ma a mo’ di torrente; a tal punto i giovani furono corrotti da lusso e avidità, che si potrà ben dire che nascessero persone che non potevano possedere per sé un patrimonio familiare, né permettere che gli altri lo facessero...
Da qui l’ inizio di una progressiva massima degenerazione in Roma, tale da aprire la via ad altre sedizioni e guerre civili, che non si conclude nemmeno col principato augusteo con la celebrata falsa pax augusta col mito di Roma imperiale, epoca in cui il cristianesimo fa nascere Gesù, il figlio di Dio, inviato sulla terra per la redenzione umana per morire sotto lo ius di Roma giulio-claudia, destinata al dominio del mondo perché, essendo divina anch’essa, come progenie, può assicurare per secoli pax e iustitia grazie al Dio degli eserciti, ebraico, che concede in eterno la vittoria a chi opera per il bene del prossimo, secondo pietas, in una volontà di migliorare il vicino, barbaro, vinto in una guerra giusta, in nome del progresso democratico! .
*Professore, è un piano programmato idealistico di base greco-romano -giudaico, che giustifica l’aggressione militaristica con annessione territoriale, in nome di Dio, Padre onnipotente, eterno, datore di vittoria al proprio figlio, imperator, superbo militarmente in quanto superiore rispetto al debole vicino, da colonizzare!.
Marco, Roma è sinonimo di guerra, il romano di conquistatore, la giustizia è opus romanum,! a Roma è data una missione da Dio stesso che, concedendo Nike-victoria/vittoria, autorizza il mandatum all’urbs, celebre per i versi virgiliani di Eneide (VI,850-853): tu regere imperio populos, romane, memento ( hae tibi erunt artes ) pacique imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos/ ricorda,o romano, di dominare le genti (queste saranno le tue arti) stabilire norma alla pace, risparmiare i sottomessi, debellare i superbi.
Professore, la pax augusta non è, allora, come l’abbiamo letta per secoli, secondo una logica greco-romano -giudaico-cristiana militaristica, ma è solo una retorica propaganda imperiale di poeti cortigiani, che risulta una celebrazione enfatica di supremazia di un popolo eletto, destinato al dominio del mondo, nella pienezza dei tempi !?
Questo, Marco, ho temuto di dover dire ai miei alunni e questo, invece, avrei dovuto fare, smascherando l‘instrumentum regni della poesia epica di Virgilio – un agricoltore, imitatore della cultura greca alessandrina, che aveva potuto conservare il suo povero ager e che, poi, potrà avere ville in regalo, oltre che denarii infiniti per ogni verso scritto, al fine di formare il mito di Roma e di Augusto, insieme ad altri poeti del circolo di Mecenate, anche loro retribuiti munificamente dal dominus, fondatore dell’ impero, che ha accanto a sé il geniale Didimo Arieo! Mai avrei voluto esaltare questo sistema romano, conscio che il mondo antico conosce solo la superiorità militare, in un progressivo miglioramento delle strutture e delle machinae belliche, utile ai fini economico-finanziari, altra base del principato augusteo, sostenuto da un’ oligarchia anch’essa divina , predominante su un plhthos anonimo, suddito, ben regolato ed ammaestrato da una servile burocrazia, funzionale, ben pagata!.
* Professore, Historiae di Sallustio , quindi anticipano il principato augusteo, precorrendo l’ideologia di stato sovrano assoluto di un kurios sebastos, creando un modello di governo romano imperiale che, sulla base greco-ellenistica, stoico-platonico-aristotelica- neoplatonico-agostiniana è stato il modello per secoli di buon governo?
Marco, così sembra che l’uomo, naturalmente, abbia proceduto, sempre, con principi ideologici di bene – male, in una distinzione di boni e mali, di greci e barbari, di cristiani e non cristiani, di bianchi e neri, in una coscienza irrazionalistica di dover fare la volontà di Dio, la cui economia provvidenziale è nella storia umana, contrassegnata da una giustizia sacerdotale di classe e da democrazia partigiana, in un predominio del maggiore sul minore, dell‘adulto sul bambino, del civilizzato sul selvaggio, di un’élite sulla massa! .
*Professore, posso concludere, allora, che esemplare è la felicitas sillana, intesa come volontà del dittatore, che, desideroso di far propagare la sua fama di fortunato e valoroso condottiero esagera la portata delle sue stesse imprese per fare credere al popolo di essere assistito dal favore divino e di essere sotto la protezione della Dea Fortuna?!
Marco, la teatralità divina di Ottaviano Augusto – avus di Gaio Germanico Caligola, reale sovrano assoluto e nomos empsuchos- è preceduta, certamente, dall’exemplum di Cornelio Silla Felix e di Giulio Cesare Pater, figlio di Venere!.