I due canoni

Ad Iammia,  tra il 70 e 94 d.C.,  si decise il testo della Bibbia masoretica ( quella che oggi   diciamo Bibbia Stuttgartensia, cioè la versione a stampa del codice masoretico di Leningrado  redatto tra il VI e IX  d.C. dai custodi della masorah tradizione della scuola di Tiberiade che succede a quella di  Johanan Ben Zaccai) e si rifiutò quello dei Settanta, che era in lingua greca, usato dagli ellenisti.
Come sacre scritture furono considerate dagli ebrei:
Torah ( Pentateuco: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio);
Nevi’im (Giosué ,Giudici, Samuele I-II, Re I-II, Isaia. Geremia. Ezechiele, 12 profeti minori);
Ketuvim (Agiografi: Salmi di Davide, Proverbi, Giobbe, Cantico dei cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniel, Esra, Nehemia Cronache I-II ).

Il testo delle Sacre scritture, giudaico,  viene oggi definito con l’acronimo Tanàch.
In seguito si costituì la Torah she be ‘alpe  (torah orale)  messa in scritto da Giuda ha Nasi,  che raccolse le discussioni rabbiniche,  che c’erano state dal periodo del tempio fino all’epoca di Antonino il Pio e Marco Aurelio  (Midrash).
Da qui, grazie ai commenti (pesharim) dei tannaim,  si costituirono i Talmudim (Jerushalmi e Bauli) costituendo due rami,  quello  “haggadico” (da Haggadah/ narrazione ) e  quello” halachico”(da -Halakhah/norma), secondo due diverse letture ed interpretazioni, una narrativa ed una legalistica.
I cristiani, antiocheni, invece, -già separatisi dai nazirei basileici di Jakob, cioè  da quelli della Chiesa gerosolomitana e forse dai mandei, fuggiti  in Parthia,che avevano lo steso codice ebraico masoretico- avevano già, come libri sacri, subito dopo il 70, la Bibbia dei Settanta, le Lettere di Paolo, i tre vangeli sinottici, Lettera di Barnaba, Erma e Clemente I-II .
I christianoi,  dunque, si appropriarono non solo della Bibbia dei settanta, del metodo divisorio, del sistema pesher tipico  della Sapienza, dei Salmi e Proverbi, ma anche dell’opera del Siracide, di Filone e poi di Flavio, seppure rifiutati come libri impuri dall’ebraismo, che scomunica il cristianesimo antiocheno, già minacciato da altre eresie nel suo interno.
Gli ebrei  aggiungono la Birkat Ha Minim  la dodicesima benedizione della Amidah, redatta da Samuel il giovane, secondo le indicazioni di Gamaliel I: “Per i calunniatori e per gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i Tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii Tu o Signore che spezzi gli avversari ed umili i reprobi
Inoltre essi, (compresi i seguaci di Giacomo), assumono il testo masoretico in una volontà di distacco definitivo dai Christianoi, minim.
E’chiaro che i cristiani sono considerati eretici dai giudei al pari di altri alla fine del I secolo, mentre essi considerano già numerosi gli eretici derivati dalla stessa pianta cristiana: Filastrio di Brescia (330-404 d.C.) enumera 128 eresie (Diversarum hereseon Liber) aumentando il numero già alto 80 (ottanta) di Epifanio di Salamina-315-403- (Panarion) degli eretici cristiani, mentre mostra trenta eresie nel credo giudaico.
Si deve  pensare  perciò che le due confessioni abbiano un proprio testo e l’abbiamo strutturato in “catena “: non c’è dubbi, però, che i cristiani dipendano dai giudei.
Il testo ebraico, infatti,  deriva da masorah (catena)– ed è in lingua ebraica ed aramaica: esso dà rilievo al Pentateuco (Torah scritta)  e con i Talmudim costituisce il fondamento dell’ebraismo, come teoria e pratica.
Il canone ebraico precede e come catena, semanticamente, quello cristiano e come termine greco (canon )-che deriva forse da qaneh (canna), uno strumento di misura  usata dal falegname lungo circa sei cubiti (6×0,443= mt. 2,658)-.
Del testo canonico, masoretico, si ha conoscenza da parte cristiana con Militone di Sardi nel 170 d.C., la cui opera è molto controversa.
Questi mostra come il cristianesimo  riprenda il Siracide (Gesù ben Sirah, autore del II sec a.C., non compreso nella lista canonica ebraica, che parlava di 12 profeti riuniti, della Legge e di altri libri, complessivamente 22)  e come Giuseppe Flavio che parla di 24 libri, compili una lista delle Sacre scritture ebraiche.
Per quanto riguarda il Canone cristiano biblico, definito entro il II secolo d. C. , ci sono controversie notevoli a partire dall’inizio dello stesso secolo.
Esso trova una sua codificazione ufficiale solo nel IV secolo e, grazie ai sinodi di Laodicea, Ippona e Cartagine, pur con molte incertezze ed accesi contrasti su molte opere contestate.
Il canone cristiano per il Vecchio Testamento  risulta, comunque,  fissato da Atanasio  nel 367 in una lettera ai fedeli di Alessandria, in cui fu accettato in sostanza  il canone masoretico, a cui si aggiunsero  la Sapienza e il Siracide, Tobia, Giuditta,  I e II Maccabei  e Baruc (oltre agli altri profeti)  e passi aggiunti in Daniele ed Ester: tutti questi libri e passi aggiunti furono  chiamati Deuteronomici.
Per quanto riguarda il canone del  Nuovo Testamento, dunque,  furono ritenuti canonici dal patriarca di Alessandria: i quattro Vangeli, Atti degli Apostoli e le Lettere di Paolo (Ai romani, I-II ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, I e II ai Tessalonicesi, I e II a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei), le lettere cattoliche (Lettera di Giacomo, I,II di Pietro, I,II ,III di Giovanni, e quella di Giuda) ed  Apocalisse.
La costituzione del canone è una storia molto lunga e complessa ed è in relazione alle eresie, che  anzi determinano la sua formazione: in effetti il canone ha come centrale il pensiero di Paolo.
In base alle divergenze da tale pensiero il canone si costituisce mano a mano, direi progressivamente per aggiunzioni a cominciare da contrasti con eretici.
Basilide. uno gnostico, che insegna in Alessandria tra il 117 e il 138  d.C,. parla per primo di ispirazione divina  dei libri del Nuovo testamento e crea la base di un intervento divino nella Sacra Srittura  Neotestamentaria, anche se non sancita da alcuno concilio.
Su questa base di rivelazione, eretica, Marcione, altro gnostico,  determina una reazione nella Grande Chiesa quando  trattando del vangelo di Tommaso  e del vangelo della Verità  implicitamente fa sorgere il problema della canonicità del testo  e dei codici stessi (il codice Alessandrino e quello Sinaitico includono, oltre ad opere canoniche, altre che sono discusse come il Pastore di Erma e l’Epistola di Barnaba).
Contemporaneamente si sviluppa ad opera di Clemente Alessandrino e di Tertulliano, poi di Origene,  la teoria che considera il canone neotestamentario come entità variabile,  che può includere opere varie  come i Vangeli apocrifi  e i Detti del signore, purché abbiano un fine edificatorio, anche se c’era stato Giustino,  che aveva sostenuto la necessità di dare rilievo solo ai quattro vangeli, poi ripreso e sostenuto da Ireneo (Contro le Eresie,3,11,8) che  sancisce sulla base delle quattro regioni del mondo e dei quattro venti, la necessarietà di quattro vangeli come colonne e sostegno della Chiesa.
Comunque, da Eusebio (Storia Ecclesiastica 4,23,11) si sa che a Corinto si leggono le lettere di Clemente papa  e che altrove si leggono Didaché, La Lettera di Barnaba, il Pastore di Erma, L’Apocalisse di Pietro (questione già posta da  Clemente Alessandrino) e quindi non c’è univocità di lettura.
Eusebio, però, risulta lo storico che con le sue scelte  determina il corso del Cristianesimo nell’età di Costantino, indirizzando in un solo senso, condannando all’oscurità e alla dimenticanza ogni altra forma cristiana o giudaico-cristiana, seguendo (per nostra fortuna) il controverso indirizzo origeniano (Cfr lo storico Cristiano  II prefazione al III libro di Giudaismo Romano, opera inedita).
Dal Codice muratoniano si rileva che a Roma  esiste, però, una lista datata tra il II e il IV secolo, che comprende i libri del Nuovo Testamento, senza la Lettera di Giacomo e quella di Paolo agli Ebrei.
Inoltre si sa che ci furono molte controversie sul Vangelo di Giovanni, che fu incluso solo nel 170 da Taziano e  sembra che le lettere pastorali di Paolo (A Filemone e a Tito)  e  la I di Pietro e l’Apocalisse, (seppure con molte contestazioni e ripensamenti)  entrarono nel Canone solo agli inizi del regno dei Severi.
Ancora nel 363 d.C., nel concilio di Laodicea, si discuteva sulla canonicità  di lettera di Giuda, di I Lettera di Pietro  e delle tre Lettere di Giovanni  ed era esclusa l’Apocalisse,  considerata non canonica, specie dalla chiesa orientale (che fece delle contestazioni fino alla fine del IV secolo).
La soluzione di Atanasio, anche se parzialmente accettata,  come elenco generale, fu poi contestata dal sinodo occidentale  di Ippona (393) e da quello di Cartagine (397).
Le contestazioni  del canone possono essere rilevate, tramite Eusebio, che chiama, in Historia Ecclesiastica, Antilegomena gli scritti, di cui fa una classifica,  distinguendo i testi  variamente  contestati  in epoca costantiniana,  dopo aver accertato la canonicità di 4 Vangeli e di Atti degli Apostoli, delle Lettere di Paolo, della I di Giovanni e della I  di Pietro  e dopo aver messo in disparte L’ Apocalisse, seppure ritenuta opera ispirata.
Eusebio distingue i libri controversi e poi accettati,  la Lettera di Giuda, di Giacomo, II e III lettera di Giovanni, II di Pietro  e dai libri contestati e poi scartati,  ma usati come edificazione morale Didaché, Atti di Paolo, Pastore di Erma, Lettera di Barnaba, Apocalisse di Giovanni (riammessa nel canone), Vangelo degli ebrei.
Sono considerati libri non canonici e vietati perché totalmente assurdi ed empi: Vangelo di Pietro, di Tommaso, di Mattia, di Giuda, Atti di Andrea, Atti di Giovanni.
Uno studio a parte richiederebbe la tradizione delle lettera di Aristea conservata sempre insieme al Pentateuco alessandrino (i Settanta), di cui abbiamo stralci in Flavio (Ant. giud, XII, 11-118): si ritiene utile ai fini della comprensione un’aggiunta umana (tipica dei cristiani) alle opere considerate  ispirate dallo Spirito Santo.
Per me tale sistema aggiuntivo è proprio del primo cristianesimo, spinto da esigenze polemiche e da apologia ad immettere un’azione divina dello Spirito Santo, specie  per la fissazione del dogma trinitario.
Noi rileviamo soltanto che Flavio, parlando degli anziani venuti per tradurre, dice che ad ammirare i 72  traduttori, oltre al re  era venuto anche il filosofo Menedemo che  riteneva  che ogni cosa era  retta dalla provvidenza e che era naturale che per opera sua scaturissero la forza e la bellezza del discorso… e che  il re  aveva imparato da essi come doveva regnare  e chiese di porre mano al loro compito senza interruzioni.  Essi con somma cura e premura  iniziarono la versione e seguitavano  dall’alba fino alla nona ora, dedicandosi  ogni giorno alla versione delle leggi.  Quando la legge fu trascritta  e il lavoro del tradurre finì  dopo 72 giorni, Demetrio Falereo riunì tutti  a Faro, dove essi avevano tradotto,  e lesse la traduzione ad alta voce  in presenza dei traduttori. Tutta l’assemblea espresse l’approvazione agli anziani … e tutti, compreso il sacerdote, il più anziano dei traduttori…   i capi…  della comunità  scongiurarono  che la versione, così felicemente fatta,  dovesse restare così come era  senza alterazione.
Approvata  questa idea, convennero che,  qualora qualcuno contestasse che al testo della legge fosse stata fatta qualche aggiunta o che da essa mancasse qualcosa,  lo annunciasse pubblicamente, fosse esaminato, fosse fatto conoscere e corretto;  in questo agirono rettamente: quello, che fu giudicato ben fatto, doveva restare per sempre.
Giuseppe Flavio accetta la traduzione dei Settanta ma  tale traduzione fu condannata dai rabbini (Massakhet Sofferim, 7,1-10-). Si riconosce un unico esemplare scritto in ebraico;  un giorno accadde che  5 (cinque) anziani scrissero la legge in greco per il re Tolomeo. Quel giorno fu un giorno triste per Israel come il giorno in cui Israel fabbricò il vitello d’oro perché la legge non può essere tradotta secondo tutte le esigenze.
Abbiamo visto che lungo fu il processo per la determinazione della canonicità del testo biblico  e che i cristiani seguirono l’esempio ebraico e che servendosi del canone masoretico, vi aggiunsero qualcosa in modo da cristianizzarlo, in linea con la loro fede trinitaria.
Con Epifanio vescovo di Salamina, morto nel 403 d.C., in De mensuris et ponderibus già  è stato cristianizzato sia Aristea che il Pentateuco e quindi si conclude il processo già avviato di cristianizzazione della Bibbia dei Settanta
Infatti  Epifanio,  considerando  i settantadue riuniti due a due in cellette, li vedeva ispirati dallo Spirito Santo- cosa che Tertulliano (Apologetico)  e lo stesso Girolamo non riconoscono- sancendo il principio che i libri sacri erano ispirati, facendo anche esempi con illustri precedenti.
Già Clemente in Stromateis 1,22 propendeva per l’intervento dello Spirito Santo, in quanto si era rifatto alla Provvidenza del filosofo ebraico Menedemo e specialmente a Filone a lui caro.
Questi, pur non parlando esplicitamente di Aristea.  raccontava che alcuni  dotti, raccoltisi nell’isoletta di Faro, circondati da soli elementi naturali, come se fossero ispirati,  spiegarono la lettera della Bibbia, non chi in un modo chi in un altro,  ma servendosi  tutti delle stesse parole, come se un suggeritore, invisibile, si fosse fatto suono nelle orecchie  di ciascuno (Vita di Mosé,II, 26-44).
Filone si serve del termine upoboleus per indicare suggeritore (Eustazio di Antiochia, De engastrimuto,106,12 ) e di enekheo /dètto (Areteo, Peri semeion pathòn,1,6) per indicare la funzione sacrale dell’ermeneuta ebraico.
E’ chiaro che Epifanio, che segue Clemente – da cui forse dipende anche l’aggiunta  che i Settanta tradussero, oltre al Pentateuco altri libri facenti parte del canone veterotestamentario, i Profeti (Stromateis, 1,148)- aggiunge qualcosa di estraneo, pur seguendo il modello.
Anche Eusebio nella sua Praeparatio doveva entrare in merito alla ispirazione divina dei libri del Pentateuco e dei Profeti
di cui si parla  nella questione sorta  nella polemica  tra Girolamo ed Agostino: il primo,  all’atto della Vulgata ed anche poco prima,  metteva in dubbio l’intervento provvidenziale di Dio sui Settanta,  convinto, nella sua testarda sicurezza e superbia, ed essendo molto ammirato dalla codificazione ebraico-aramaica,  che Dio si riservava di esprimere alcuni concetti solo con le lettere ebraiche  (De Civitate Dei XVIII,43).
Agostino, per conto suo, difendeva la provvidenza di Dio nell’opera dei Settanta e  mostrava che proprio perché quelli erano  guidati da Dio potevano non tradurre ciò che lo spirito di Dio riteneva utile non dire in greco in quella sede,  poiché lo avrebbe detto  nei Profeti.
Chiaramente Agostino mostrava come giustamente dunque i cristiani preferissero I Profeti alla Legge.
Un ulteriore passo in senso  provvidenziale lo rileviamo nella Lettera  di Aristea compresa con l‘Ottateuco (Pentateuco, Giosué, Giudici e Ruth)  al principio dei commenti  dei padri della Chiesa, formanti una catena  che sembra dovuta a Procopio di Gaza,  in epoca giustinianea, tanto lodata da Fozio  (Amphilochia,153).
Da qui  si rileva l’avvenuta cristianizzazione della Lettera di Aristea  che comporta anche l’ ispirazione della Traduzione dei Settanta, la quale  comprende anche i  Profeti e tutti gli altri libri del Vecchio Testamento.
Per ultimo voglio far notare come lo stesso Giacomo, il fratello di Gesù nella carne, sia stato cristianizzato, nonostante le contestazioni sulla sua lettera, ritenuta a lungo non canonica perchè non confacente con lo spirito paolino: non bisogna, però, meravigliarsi di questo: lo  Pseudo-Aristea, Siracide,  Filone, civis alessandrino,  Gesù ebreo, Giacomo sono stati tutti considerati christhianoi.