Età dell’oro e Lucrezio Caro

Età dell’oro e Lucrezio Caro

Ante amicitiam iudicandum, post amicitiam credendum  Epistulae ad Lucilium, 3,… un detto senecano  da non applicare, data la natura umana popolare, mutevole, estremamente perfida, sempre tesa al suo particulare!

A Niceta, mio consuocero, un grande uomo, un meraviglioso padre  e nonno,  un artista atipico, naturale, prezioso come l’ulivo di Puglia, vetusto,  suo simbolo pittorico.

Sara la bella  preferì uscire dalla vita, dieci anni fa!, Marco. Il 25 Febbraio del 2011 volle morire, distaccarsi, separarsi da tutti! Quanto pesante le era la Terra! Quanto duro il rapporto umano, quanto misterioso ed oscuro quello con se stessa! Ed era bella, Sara!  Era buona, vivace,  intelligente,  sentimentale, matura, aperta alla novità, donna a cui niente sarebbe stato precluso, se non avesse  avuto tensioni verso l’alto,  se non avesse puntato il caelum, disdegnando la Terra, in quanto persona divina, creatura spirituale/pneumatikh! Forse la ragazza, improvvisamente  si sentì troppo giovane, korh troppo sola, in una determinata volontà di salire, pur avendo  conseguito  traguardi, pur piacendosi ed essendo piaciuta, secondo i propri desideri e misurazioni altrui! Forse, nel corso di questa ricerca di infinito, in questa classica scalata di perfezione,  scoprì, in un istante, la sua reale humanitas, tipica dei mortali, capì di essere povera materia, mescolata variamente di tutto, comprese l’essenza umana di un essere informe, ben altra cosa di un essere spirituale! Forse perché inadeguata rispetto alla valutazione critica classico ebraico-cristiana, capì la sua essenza  di monade spirituale, raminga nell’ immensità celeste e si sentì disorientata ed accecata dal sole esistenzialesalamandra abbagliata da luce e si fece falena suicida, perduta!.

Professore, per noi cristiani, la falena è la rappresentazione spirituale di streghe e di fate, in quanto anime che ricercano il proprio  corpo e sono, per il colore nero, portatrici di sfortuna, come  i gufi, e gli amerindi ritengono la pseudo farfalla, dotata del potere di trasformazione e rigenerazione!.

Credenze cristiane, non scientifiche! elucubrazioni amerindie precristiane, barbariche!

Comunque, Marco, Sara idealista, hegeliana, segue il mito del dispotismo orientale, che è quello ellenico -ellenistico  nei confronti dei  barbari persiani,  per cui noi, occidentali, ellhnikoi, siamo affascinati, da loro passionali,  essendo noi  razionali e loro irrazionali!. Noi uomini abbiamo in noi ben fuse e confuse civiltà e barbarie e ci crediamo divini,  illudendoci talora di essere Dei imagines, perché espressione del Kosmos naturale! Non ho mai  capito, comunque,  il suo gesto feroce,  né la sua inadeguatezza a vivere, simile a quella di noi tutti, in un mondo di bene e di male, accettato per quel poco di bello e di buono, che  possiamo  trarre nel mare di sofferenza quotidiana, che sovrasta noi esseri mortali! La vita è per tutti un supplizio / timoorian einai ton bion!.  

Di chi  è questa frase- di cui conosco la traduzione latina  di Seneca (Ad Polibium  9,6 , tutta la vita è un supplizio!)?

E’  dell’accademico Krantore, autore del Peri Penthous  vissuto nel quarto terzo secolo a. C., per un padre di nome  Ierocle  a cui erano morti dei figli. cfr H. Th. Johanan, Trauer und Trost  Muenchen 1968.

Ho tanta voglia di dire a Sara  che  nella ricerca  scientifica naturale della fisica, noi ancora brancoliamo – invece, lei pensava che aveva capito già tutto e che ciò che sapeva era giusto! – ma andiamo avanti, convinti di niente, sperando nell’uomo,  divino essere, un camaleonte che si sa trasformare e  passare perfino nel fuoco, per rinascere, come la fenice,  dalle sue ceneri, testardo più di  lei, che ha intuito, ma non ha avuto pazienza di apprendere che tutto si impara e che ciò che sappiamo può essere utile ad altri, anche se sembra non servire a niente e che preziosa  è la nostra vita  per il  prossimo, per l’altro, accanto, che diventa ricco della nostra  esperienza e della stessa presenza, corporea, anche se di apparente nessuno valore, comunque, fratello! A lei mi sarebbe piaciuto dire che  non c’è amicizia  né possibilità di giudicare e tanto meno credere  in chi vuol esserti  accanto e ti si impone perché tu sei, anche  tu, come lui essere  fragile immaturo, insicuro,  una canna al vento, anche se sembri avere qualcosa di saggio, ma tutto  sei fuorché saggio, – un saggio che sa  di non saper niente e di non saper fare, anche se  devi sempre ricercare  senza sapere neanche che cosa  cercare, fiduciosa solo nella parola, potenza psicagogica, dunamis toon logoon, e nella sua possibilità di rimozione  del dolore (luphn aphelein),  essendo di base cristiana, una educata a credere  che  noi cristiani abbiamo sconfitto la morte con Christos risorto, che  è morto perché la morte morisse  (Girolamo, ep. 75,1)   in quanto la morte essendo  universale (ad Marciam11,1) è un bene ed un valore per l’uomo e per la natura,  perché Christos risorto  consola con la fede e con la speranza!.

La morte, comunque, professore  non è liberazione  nonostante la certezza di fine, essendo incerto il futuro, che inclina al peggio,  perché  non chiude il tempo e non apre l’eternità, anche se  fa sì che il nascere non sia  un supplizio in quanto  rende cara la vita proprio  per il beneficio dell’ inevitabilità di morire  -Ad Marciam 20,3-.

Marco, il fatto che la vita in quanto breve  è accettabile, visto che non è eterna e quindi sopportabile, nonostante il supplizio, passeggero,   essendo la morte il limite invalicabile della vita, non risulta una liberazione dell’anima secondo il presupposto  platonico, nonostante l’incertezza socratica se essa sia  una fine o un passaggio! illusorio e retorico sembra il detto di  Seneca (ad Marciam,  102,2 ) circa il  bellum somnium/ il sogno buonino  che, comunque ha valore individuale,  limitato  fino all’ekpuroosis, che distrugge il mondo, per rigenerarlo  in un vortice di distruzione e palingenesi, in cui il filosofo  mostra la catastrofe universale e le fine delle felices animae che, non possono avere una eternità  se non quella promessa dalle superstizioni religiose. (Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio  43 – cfr.John M. O’ Flynn, Generalissimos of the western Roman empire, University of Alberta Press, 1983,ISBN 0-88864-031-5.. Ed. it. I generalissimi dell’ Impero romano d’Occidente, Ar, Padova, 2020-.

Dunque professore, grave è la perdita di Sara, anima felix, per noi tutti?

Può esistere un’anima felix, professore , una sostanza che è e si muove vivendo e si adatta continuamente al movimento  continuo senza potere sfuggire alla fiumana del divenire   storico, nonostante i tentativi di stabilizzazione della  specie,  che fa scelte temporanee di localizzazione geografica, come affermazione del proprio esserci per un periodo in quel determinato spazio, per segnare il territorio, che ritiene suo possesso , insieme ad altri  animalia, che non sanno di vivere, perchè caricati di  eimarmenh /destino comune?

Noi che siamo nati, Marco, andiamo incontro al nostro destino con le nostre affezioni istantanee, epidermiche, sentimentali  senza saperlo,  e viviamo  una vita che non è nostra, spinti da bisogni e da impulsi naturali  senza poter veramente conformare al tutto  che ci  sfugge come ambiente  che si modifica continuamente e come  storia  che  avviene perché così deve avvenire  in un ciclico progesso di conflagrazioni e di rinascite astrali, infinitamente superiore ai singoli elementi costitutivi universali?  Felicitas-eudaimonia  e amicitia-philia  per un’ anima  naturalis non possono esserci nel vortice dei movimenti terrestri  del sistema solare, di quello galattico ed extragalattico  come possibilità di redenzione da oscuri peccati primordiali  tramite elementi  redentori divini  in questo abisso vorticoso,  di cui neanche si conoscono le cause né le funzioni né il suo continuo verificarsi atemporale1

La philia  di Sara  per ognuno di noi, amici e parenti,  emblema di un rapporto di reciprocità, sarebbe risultata forse  un vero tesoro di alterità, un possesso umano per sempre/Kthsis eis aei secondo la umana visione Lei sarebbe stata  un prezioso tesoro per chiunque altro, vicino, data la sua affettività ed empateia, avrebbe potuto essere  un vero sollievo nel supplizio esistenziale, in cui predominano gli anaffettivi e freddi calcolatori. Lei, però, non ha voluto consolari  l’altro, perché  tutta presa dal proprio dolore di vivere, convinta dell’inutilità di ogni pulsione  individuale, data l’immensità del caos, in cui ribolle l’universo, di cui ogni sistema solare  è parte periferica di un mondo senza centro, casuale, un niente con dentro microscopici corpi vitali, pulsanti come lucciole nella notte !.

Niente, comunque, vale e tutto vale nel mondo umano e terreno! Il caelum,- anche per le coordinate culturali arcaiche  del mondo, sumerico. accadico, caldaico-giudaico greco-latino ellenistico . è  senza valore, perché astratto, ideale, lontanissimo! Potrebbe avere, però, anch’esso  perfino valore se noi, in effetti, potessimo leggere  qualcosa di quel mondo infinito incommensurabile in quanto acentrale, troppo alto in quanto periferia di periferia per chi guarda da mortale, dal basso, per tutto il tempo di vita, da un punto ben definito! Leggere altri che scrivono e che dicono le stesse cose e che fanno tradizionale critica letteraria e storica, cristiana,  ora, mi dà fastidio e mi crea malessere perché  penso  alle due lauree di Sara,  al suo encomiabile tragitto scolastico, al periodo  radioso di archivista e  di  dottoressa  universitaria, assistente  ricercatrice,  libera  e aperta nelle analisi situazionali, negli studi critici e  nei paradigmi sintetico-valutativi, espressione  tecnico-professionale  del suo lavoro scientifico, anche nel campo letterario, specie  nella tesi di Laurea  su Lettere di Amore di   Filostrato, un capolavoro  sulla retorica  dei poeti novelli e sul già decadente periodo severiano!. Non si può più accettare il vuoto religioso mitico celeste! E’ finita la favola bella del cristianesimo, khrhstos/utile all’uomo, fatto ad immagine di Dio, bianco, sacerdote, romano-greco, che porta democrazia e libertà agli altri, mediante caritas, il segno tangibile della comune identità umana sul pianeta Terra del sistema solare, uno dei sistemi galattici, uno dei miliardi sistemi extragalattici. Povero Lucrezio, povero  Filone ,  povero Seneca, povero mitico Christos divino !

La parola cristiana  con historia christiana è solo retorica e teologia, celeste astrazione, mentre ogni parola di chi ricerca   ha  corpo e sangue, è vita quotidiana  storica,  è  atto di amore fraterno  con solidarietà universale,  è armonia cosmica,  anche se , comunque, destinato a finire e di nuovo a ricominciare dopo ekpuroosis! Sara, quindi, si è lasciata rapire dalla morte cosciente della fine dell’universo, già sintonizzata con la ragione immanente del  tutto (magnum solacium cum universo rapi-  Seneca, De Providentia 5) in quanto morendo almeno si può contemplare per un attimo il Kosmos, di cui si  è  parte  all’atto già del morire!.

Marco, neanche ora  accetto  la  volontà di morire  di Sara e di privarsi, comunque,  drasticamente  dei doni e degli anni  a lei destinati, di lasciare soli  i suoi cari, senza la sua  vivacità creativa  e senza  il conforto  filiale e sororale, e di privare  gli altri  della luce del suo orientamento costruttivo, il suo prossimo – compresi  gli amici, non consolabili per il suo spietato egoistico atto  definitivo, imprevisto ed imprevedibile!.

Lei manca a tutti  come presenza, anche se  ce la sentiamo  a fianco nella figura stessa del padre e della sorella,  ancora più vicina, specie ora, che è morta anche la madre Tullia,  stroncata,  da pochi mesi,  da malattia mortale! Ambedue sono forse nella stanza, a noi accanto, che comunicano in modo incomunicabile, mute,  la loro vita ancora fluente in noi viventi parenti  e nel  cicaleccio delle  due nipotine, solari creature, sempre intente al gioco magico di un misterioso inconscio vivere!.

Lei, ora, forse,  potrebbe  orientarci  e guidarci nel lavoro  e nella lettura atomistica delle cose con l’epicureo Lucrezio, che per primo ha squarciato le tenebre, sulla scia sacra di Epicuro: Quodsi iam rerum ignorem primordia quae sint/hoc tamen ex ipsis caeli rationibus  ausim/confirmare  aliisque ex rebus  reddere  multis/nequaquam nobis divinitus esse paratam/naturam rerum: tanta stat praedita  culpa/Ma se anche ignorassi  quali sono i principi delle cose, questo, però, oserei affermare  dalle stesse vicende del cielo e sostenere in forza  di molti altri fatti, che non certo per noi  dal volere divino è stata formata la natura del mondodi tanto male è ingombraDe rerum Natura  V, 195-199!.

Comunque, consideriamo Sara altra guida nel nostro cammino di mortali e siamo contenti di seguirla come se ci precedesse nel cammino duro della vita, imprimendo in noi  mortali la coscienza di una non possibilità di ricerca di epoca d’oro, un muthos di un istante per l’uomo!

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Marco, dopo il dovuto ricordo di Sara Cosi, tua compaesana, oggi vorrei trattare della mitica  età dell’oro  e della contrapposta  theoria evoluzionistica, a partire dalla fisica atomistica, in una volontà di opposizione alla cultura agostiniana, risultanza cristiana di una filosofia platonico aristotelica, stoica, mathematica, pitagorica, celeste/ourania, e condannare la sua carica elitaria spirituale /pneumatica!

Con questo, non voglio fare un taglio netto del male agostiniano celeste, ma  desidero fare  un elogio alla scienza umana -che col  solo  procedere scientifico fa faticose conquiste, se conosce qualcosa in più, seguendo  un  altro metodo,  vanificando quanto ritenuto precedentemente vero -, cosciente che si inverte la rotta  su una base, davvero umana, quotidiana e reale, se  si fa ricerca vera, grazie all’ errore, senza scomodare la verità !

La nostra  tradizione classica ha tramandato una scienza astronomica tolemaica, una medicina  arcaica  ippocratica, asclepiadea e  galeniana, una fisica con metafisica, operando sul logos, fino a divinizzarlo.

Vedeva, ad esempio,  nella salamandra un essere di  fuoco che viveva  nel fuoco, secondo Plinio il vecchio ( St. Nat.,X,86): essa è tanto fredda che al suo contatto, il fuoco si estingue non diversamente  dall’effetto prodotto dal ghiaccio. La cosa  vale anche per il Medioevo  se Brunetto Latini  (Li livres du Trevor, I,146) scrive: Sappiate  che la salamandra vive in mezzo alla fiamma senza dolore e senza danni per il suo corpo, ma spegne il fuoco grazie alla sua natura!  

Non c’è niente di vero, ma così hanno creduto!  il mito dei saturnia regna è presente nella cultura classica, da Esiodo a Filone ed anche  nell’umanista  Poggio Bracciolini, già nel 1416, nell‘epistola dai bagni di Baden a Niccolò Nicoli, (cfr. Facezie, BUR,1994) idea paganeggiante di un ricercatore di codici  abile copiatore in onciale minuscolo, dei testi ritrovati negli scriptoria medievali monacali. Facezie  diventano pretesto con gli allettamenti  per attaccare i prelati  i loro vizi,   il malcostume di tutto il clero pontificio!. L’umanista allora mette insieme l’epicureo Orazio  con lo stoicismo di Boezio, legandosi storicamente  a modelli universali della cultura antica greca e latina concilianti il motivo prerussoviano della semplicitas  et licentia  germanica  con quella della  balneazione– cfr.  Saggio di Eugneio Garin in Facezie cit- ,

Sappi, Marco,  che  lo stesso Bracciolini mantiene ancora l’ideale  saturnio  tanto da scrivere trenta anni dopo ad Alfonso il Magnanimo, ritenuto prototipo di sovrano dell’età dell’oro  che era stato ostile al papa Eugenio IV e poi anche   a Niccolò V  Parentucelli  Tommaso,,  il cui pontificato,  è paragonato anch’esso  all’età di Saturno, mostrandosi davvero uomo servile che parla  di epoca aurea  in modo superficiale, da uomo di corte!la sua è una contraddizione umanistica  tra affermazione  papale di supremazia  falsificata e libertà regale magnanima, anche se  viene evidenziato il valore individuale di Huss,  di Gerolamo di Praga ed affermata, pur nell’upourgia/servizio cortigiano  di Cusano,  la libertà nei confronti dei papi e specie di  Eugenio IV, sconfessato nelle sue mire  ancora feudali, collegate ad un falsa donazione di Costantino.

Così va  male il mondo  avrebbe detto, poi, l’anonimo ascolano!

Eppure, Marco, la verità prima o poi si afferma! Nessuno oggi nega che la salamandra sia un anfibio che teme, ancora di più degli altri esseri, il fuoco! 

Per ora  questo è il dato scientifico  certo, non quello classico-medievale!

Marco, oggi si procede sulla base della struttura elementare delle cose e si afferma che il fenomeno ( presente participio neutro di phainomai/ appaio) non è quello che appare,  ma ciò che èuna realtà  di vuoto-spazio/tempo, di campi e di particelle,  che si muovono nello spazio, nel corso del tempo.

Oggi si parla in questi termini, stando sulle spalle dei giganti (Einstein, Planck) e si proclama la fine dell’infinito, nella coscienza di essere equivoci, anche in fisica e dubbiosi, perfino  delle foto del nuovo universo, scattate da navicelle spaziali! ogni epoca pensa di avere meriti nuovi  propri, ogni scienziato fa un nuovo passo verso la conoscenza, come ogni singolo uomo  con gli altri condomini del proprio tempo,  crede di migliorarsi, ben sapendo  di essere nato informe essere primordiale in un mondo informe, naturale, in moto perpetuo, universale, in un rifiuto  di un iniziale kosmos divino e di una propria  nascita privilegiata, da cui progressivamente si è decaduti!

Professore, parlare  di Età dell’oro, per lei, quindi, significa trattare di fisica  e dimostrare che lo svolgimento scientifico cristiano  agostiniano,  collegato col platonismo, essendo un processo  più matematico che fisico, è direzione preclusa rispetto a quella atomistica da riesaminare per un altro cammino, quello epicureo- lucreziano? Professore, lei per anni ci ha detto di una disputa tra Dante, guidato nella Commedia da Virgilio  e Cecco d’Ascoli  mago e fisicus dottore, nell’Acerba guidato da Lucrezio!  Già l’ascolano aveva letto la Via naturalis, da scienziato rispetto a  Dante  acconcio coi frati, uomo mitico, retorico, religiosus?

Marco, penso che bisogna staccarsi dall’impostazione matematica  asistematica  e servirci di quella strettamente fisica, se si vuole intendere effettivamente la lezione della  scienza attuale!.

Allora, professore,  per lei  è un dovere falsificare quanto detto precedentemente in senso agostiniano  e trattare di Fisica!

Marco, ritengo una normalità parlare di fisica e non di morale nel 2021 in cui si celebra Dante ed ancora si considera  mago Cecco d’Ascoli perché morto sul rogo condannato nel 1327 dall’inquisizione della Chiesa Romana!

Quindi, per lei, un passo avanti nella scienza è quello Epicureo- lucreziano?

Certo  Marco  se si esamina il periodo di Epicuro  e poi e quello di Lucrezio,  anche storicamente  viene fuori  una realtà, quella delle non esistenza e quindi della negazione della generazione  d’oro/ kruson …genos, di una mitica  biblica età edenica  e tanto meno una degradazione di generazioni, passate successivamente dallo stadio argenteo, plumbeo ed eroico a quello ferreo!

Certo, Marco, intendo parlarti  di fisica atomistica scientificamente  e trattare con te di evoluzionismo animale e di fenomeni storici  reali  in cui si rilevano non le generazioni, che decadono da un’ epoca ad un’altra, ma piuttosto il progressivo ascendere alla razionalità, tramite esperienze, anche dolorose, e ad un miglioramento sociale e politico tramite erudizione, consapevole,  a seguito di un contratto sociale  da parte di esseri, votati alla politica e alla mediazione, nelle discordie personali, familiari,  tribali, di fronte alla auctoritas unica del padre, in una ricerca di  paritarietà di espressione e di verdetto giudiziale,  di corpuscoli aristocratici, capaci di creare un articolato sistema  organizzativo per un comune progresso, seppure settoriale, in modo da affiancare l’altro, parallelo, sacerdotale, che, da tempo, aveva usurpato la scienza celeste, opposta a quella terrena dei singoli patres ed archontes,  così da realizzare quanto stabilito lassù, da loro individuato mediante l’esercizio della lettura dei segni celesti,  conformemente a  quaggiù, mediante riti propiziatori!

Professore, lei vede l‘historia umana, laica, aristocratica,  viziata dalla pseudo scienza theologica che, incapace di spiegare il mistero naturale,  accetta supinamente il verdetto di una volontà superiore  celeste su indicazione magico -sacrale, vincolante legittimamente  – di cui sono rappresentanti i pontifices, eredi di magoi, che, investigando notte giorno il cielo,  sanno  riequilibrare e pacificare il popolo terrorizzato  da fenomeni, non più contenuto dal potere laico!.

Marco, sono contento che tu sia entrato nella logica di una commistione di poteri subito dopo il contratto sociale, di uomini intenzionati a creare per primi  una communitas, in un dato momento storico e in un dato ambiente- forse mesopotamico – poi imitato come sistema esemplare da altri,  in cui si scontrano l’anima laica e  quella sacerdotale!

Professore, l‘humanitas, segnata da questa iniziale operazione nel corso della propria storia, sembra creare un iter progressivo  in relazione anche a dolorose esperienze  e seguire questa duplice  guida, di uomini superiori, impostisi per forza e per violenza da una parte e di  elementi di cultura elevata  che si arrogano il diritto di leggere il cielo e di saperne interpretare i segni e di far incisione su pietra della loro scienza, da un’altra,  scrivendo  mediante una comunicazione verbale  alfabetica, sacra! Lei vede l’errore nella presunzione di un’arbitraria elezione sacerdotale e nella succube obbedienza  del gregge, che, accettando  la relazione tra mondo celeste e mondo terreno, si prostra devota  ad una potenza estranea  superiore, lontana,  che, dall’alto, guida  con la sua onnipotenza e presenza, seppure invisibile, il destino dell’uomo, sua creatura,  fatta  a sua immagine, con i fenomeni naturali!. Lei mi vuole dire che il progresso umano è frutto di due  tipologie umane  che si impongono sulla massa popolare impaurita e superstiziosa, ignorante, fin dagli inizi del tempoquando ancora neanche si sa che  il sole segue la notte  o se la notte il giorno  o  se il sole sorge e tramonta ogni giorno! lei non accetta  sia  l’ una di primitiva razionalità  continuamente sopraffatta dal phobos, data l’ignoranza,  sia quella  più scientificamente strutturata, perché già intenta alla scrittura e capace di  tramandarsi, che s’ impone all’altra, a seconda delle situazioni e degli ambienti, formulando  un credo ultraterreno, celeste, basato sul dio creatore, onnipotente e onnisciente, provvidente padre, ma anche  feroce tiranno, temibile  e perciò venerabile con riti, sacrifici e preghiere sulla  terra, su cui ci sono suoi rappresentanti, che sono quelli che  sanno leggere i segni divini e ne svelano la volontà!. Per lei, professore, quindi, la continua osservazione celeste magica è basilare alla costituzione del linguaggio e della religione e del predominio sulla terra della sfera celeste e  di un theos, inventato dalla casta sacerdotale ,che abbindola il prossimo, prima ancora del sorgere dell’abilità verbale, quando si è ancora nella prememoria e preistoria, oltre la convenzione  comunicativa   e la fissazione dei referenti  per la definizione dei nomina?

Marco, una certa conoscenza del dio tragico ebraico e  della storia mediorientale circa il dio e il suo nomen, terribile, specie nelle comunità  sumerico-accadiche,   assiro babilonesi e medico- persiane, o a quelle egizie, mitannico-hurrita-ittita,  già storicizzate, di dei crudeli, o  di quella greca esiodea, di quelle primitive africane,  italiche e gallico- germaniche, si può dire che il culto divino ha una manifestazione dal cielo, da una posizione elevata propria da upsistos, di un essere che dal caos  crea il mondo come pars bassa, ordinata, come terra, come pianura,  distesa  terrena ed acquea con  la varietà  multiforme di cose e di animali e di vegetali, a beneficio di un uomo, che ha il dovere del sacrificio e  della preghiera come  segno di  dipendenza  di creatura dal creatore, non visibile ma presente, che rivela la sua figura in rari  momenti, in terribili  attimi  come  punitore, che lascia il suo segno di sovranità!

Dunque, professore, l’idea di Dio creatore è connaturata con quella degli uomini creature,  che si sentono quasi  un tutt’uno con lui e neanche pensano di essere una forma materiale naturale della stessa comune natura terrena!

Marco, io, comunque,  neanche considero l’idea che cielo e terra e che  Dei ed uomini possano avere una medesima origine/oos omothen gegeasi theoi thnhtoi t’anthroopoi! io vedo solo uomini, animali, vegetali, e cose nel sistema “terra”, che è infinitesima parte di un sistema celeste immenso senza centro  e rilevo interazioni e comportamenti e perfino tentativi di uscita  dalla propria area  da parte di elementi dotati di ragione, maggiore rispetto a quella di altri in condizioni di differenti sviluppi, a seguito di diversi adattamenti ambientali, che vivono senza avvertire il vorticoso caotico giro astrale  infinito in cui  si è cullati!

lo so. Lei opera più sulla natura che sulla storia o mito! L’ aetas aurea latina  – come  khrusion…genos  esiodeo-   opera propria del Dio Saturno/ Kronos,  titanico,  prima dell’epoca di Zeus olimpio, non è né naturale né storica!- Per lei non conta  il mito del vaso di Pandora, dono funesto per gli uomini come neppure  la mela di Eva per  Adamo Cfr. Genesi, creazione dell’uomo ed origine del male,   Esiodo Opere e i giorni. a cura di Gr. Arrighetti, Garzanti 1985), dove il male primigenio è connesso con la donna dall’angolazione  del maschio arcaico sumerico-accadico  godente di una felicità terrena olimpia, di una vita  felice, senza malattia, senza morte, senza lavoro,  raccoglitore dei beni terreni,  spontaneamente  partoriti dalla madre terra! Lo so. Lei segue Pelagio e non Agostino! Ho ben capito, leggendo i suoi articoli sulla presenza del male sulla terra  secondo i seguaci dell’uno e dell’altro nel V secolo (Pelagio, I pelagiani e GirolamoMelania iunior e i pelagiani)!.

Lei non legge né la concezione esiodea né quella virgiliana, connesse col muthos di una medesima origine  per gli dei e per i mortali uomini  ma segue una visione democritea atomistica naturale, epicurea, materialistica, meccanicistica, lucreziana, diciamo scientifica!. Il vivere secondo natura e ragione  di Epicuro, un dio sulla terra per Lucrezio, è simbolo di una ricerca scientifica che, seppure con i limiti, è, comunque, un passo  avanti nella conoscenza della grandezza dell’uomo e del suo vivere conformemente alla natura!

Certo, Marco,  tratto di Fisica, cioè della natura delle cose, di un ente che genera   ed intendo trattare della Lettera di Epicuro ad Erodoto (cfr. Epicuro, Lettere prefazione di  Fr. Adorno,   ed introduzione, traduzione e note dii Nicoletta Russello, BUR 1995), non dell‘etica – cosa che è tipica del II secolo a.C. a partire da Posidonio, stoico, che inizia la divisione tra fisica e  morale, imitato da Partenio e Filodemo, che volgarizzano in Roma e in Italia il pensiero epicureo – in una volontà di  tornare indietro  all’ originale pensiero epicureo  del IV-III secolo av. C. in modo da  orientare bene  nella doctrina pratica, nella praksis edonistica  di Epicuro di Samos (341-277 a.C.), fondatore ad Atene dell’orto /khpos in Atene,  in opposizione ad Aristotele e a Platone  e agli stoici.

Quindi, professore, oggi, in piena pandemia  lei mi vuole impostare  prima il problema del vivere naturale, al di là del male del vivere e del muthos esiodeo e virgiliano, cristiano-agostiniano!

Marco, prescindo da Esiodo e dalla sua concezione  di una generazione aurea divina, titanica  perfino argentea, bronzea, eroica, e da quella  ferrea, attuale, ancora oggi, e vado nella direzione invece, della nascita dell’uomo primordiale come bestia, (cfr. Lucrezio De rerum natura V-VI libro), il cui processo  razionale civile e sociale  non è liberatorio, ma risulta  innaturale  in quanto  deleterio autodistruttivo perfino a seguito di un effettivo progresso razionale!. L’occhialuto uomo – espressione di una natura degenerata – di Coscienza di Zeno,  preme il bottone, per Italo Svevo, nella speranza di tornare alla salute, dopo la catastrofica esplosione!

Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa!. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie!

Mi vuole dire con Svevo che  anche l’uomo scientifico, gubernhths  degenera e si autodistrugge!

Il pensiero per Svevo di un uomo malato, già nel 1923, anticipa il male in una volontà di annullamento dell’intero sistema umano  naturale! Io invece, vorrei darti una speranza di tipo epicureo, ma secondo la dottrina  scientifica di  un antico scrittore che, davvero fu un un dio sulla terra  per gli altri uomini, non un parolaio come gli altri filosofi – compresi quelli cristiani e  la dottrina inventata di Christos –  anche se “scientifici ed apatici“! Comunque, non, con questo, ti voglio mostrare un uomo perfetto – pur convinto della non reale esistenza  di stirpe aurea decaduta !- che, avendo coscienza di essere cellula, minima, e quindi, sempre e dovunque di scarsa significazione,  di un corpus,  destinata a  disgregarsi, essendo parte di un unicum imperfetto,  anch’esso soggetto alla disgregazione e alla trasformazione organica  come fenomeno, pur positivo, autorigenerantesi, perché basato sul principio dialettico  di incontro-scontro, di  attrazione e repulsione, di odio-amore, di comunione di vita e di morte, che risulta fenomeno fisico eternamente continuo!.

Professore, me ne parli, allora, io la seguirò come sempre.

Marco, di questo ti parlerò diffusamente in un altro momento, per ora ti parlo della falsa età dell’oro  di Esiodo in Opere e i giorni che, riprendendo la sua opera Teogonia, è desideroso di orientare il fratello Perse al Lavoro e  alla Giustizia!

lo scrittore greco  afferma che uomini di aurea stirpe, mortali, furono creati nei primissimi tempi dagli dei, che hanno dimore sull’Olimpo e che  essi vivevano al tempo di Kronos, che regnava nel cielo,  e, come dei  passavano la vita con l’animo sgombro da angosce, e lontano dalle miseria senza che la vecchiaia  incombesse su di loro, possedendo ogni cosa bella, senza fatica,  e morivano addormentandosi, restando sempre giovani!.

L’ antico scrittore dice che a questa generazione segue una di argento, poi  una  del bronzo, una degli eroi e l’ultima del ferro. Esiodo  racconta che ciò  avviene perché gli dei  crearono Pandora  la prima donna , come  dono malefico, dato agli uomini  che avevano accettato il fuoco rubato a loro  dal titano Prometeo, destinato a rimanere incatenato su Caucaso,  per la sua colpa!

Il mito biblico ebraico  e quello esiodeo  hanno una stessa matrice nella cultura sumerico-accadica-assira  in quanto la coppia Adamo ed Eva  e  quella di Epimeteo e  Pandora  rievocano il mondo di uomini-dei  senza morte senza malattia,  viventi oziosi senza fatica,  beati nell’Eden (mai esistito, se non nella mente sacerdotale di un casta intermedia tra uomo e dio, capace di leggere il mondo di sopra come quello  di sotto e di  congiungerli  per un proprio utile) decaduto  ad uno stato di massima crisi, anche dopo aver provato vari gradi progressivi  di civiltà  cfr. Mito di  Gilgamesh;  Beroso e  Flavio in ww.angelofilipponi.com.

E Virgilio, professore?

Virgilio è un poeta scaltro, un suddito, virginiello/parthenias,  utile al principato augusto, capace di profetizzare poeticamente intorno al 40 a.C., in un momento di grave crisi istituzionale  repubblicana,  un futuro radioso di princeps destinato ad essere  autokratoor,  ad Ottaviano, il puer, pur dedicando la IV egloga ad Asinio  Pollione  per la nascita del figlio Asinino Pollione, storico e dux allora di rilievo, nonostante fosse chiuso politicamente dall’onnipotenza dei triumviri.

Ottaviano ha, all’ epoca,  l’eredità  nominale di Cesare ed  è un divino puer che, a 23 anni,  ha  già concesso  la spartizione delle  terre ai veterani cesariani  ed ha salvato  dall’espropriazione del proprio terreno il futuro  cantore, suo personale,  familiare ed imperiale  – considerato dopo la morte vate di  tutto il mondo romano, anche se, nel preciso tempo,  ambiguo poeta che allude anche alla nascita di un  nascituro figlio di Antonio ed Ottavia,  che poi sarà una femmina,  Antonia maior, nata  ad Atene, la futura nonna di  Domizio Nerone!-.

Virgilio non ha ancora  scritto né  Georgiche né l’Eneide, ma intuendo la metamorfosi politica in atto a Roma,  riprendendo i miti  orientali e quello esiodeo, inneggianti all’arrivo prossimo di un  puer nel corso di guerre fratricide, già  lunghe (Silla -Mario, congiura di Catilina, Cesare e Pompeo  ed ora l’inizio di uno scontro tra Ottaviano ed Antonio),  attende fiducioso,  mentre Orazio, non ancora suo amico, essendo della pars avversa ed ex militare, combattente a Filippi, a Roma, disorientato e squattrinato, negli Epodi,  propone  ai cives,  l’idea di  fuggire lontano dalla guerra, di  rifugiarsi   nelle isole  beate  facendo sognare, anche lui,  un salvatore /soothr, atteso come  un’unica guida per l’impero!Hic Caesar et omnis Iuli /progenies,magnum caeli ventura sub axem/ Hic vir, hic est, tibi quem promitti saepius audis/ Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet / saecula qui rursus  Latio regnata  per arva/ Saturno quondam, super et Garamantas et Indos /proferet imperium; iacet extra sidera tellus/ extra anni  solisque vias, ubi caelifer Atlans/ axem umero torquet stellis ardentibus aptum (Ecco Cesare  e tutta la discendenza di Iulo  destinata a venire  sotto il grande asse del cielo. Ecco l’uomo, ecco colui che ti senti più spesso promettere, Augusto Cesare, stirpe del Divino, che stabilirà l’età dell’oro  di nuovo nel Lazio, dove regnò per gli arabili campi un tempo Saturno; oltre i Garamanti e gli Indi  estenderà l’impero nella terra che giace  oltre gli astri,  oltre le vie dell’anno e del sole, ove il portatore del Cielo, Atlante,  fa girare   sulle sue spalle, l’asse  connesso di ardenti stelle.   Eneide VI, 789-797).

L’anafora di Hic virgiliano tradisce il suo esatto pensiero, ora, dopo oltre un ventennio quando ormai è  storia la vittoria di Azio e quando si conosce il sotteso significato del titolo di Augustus imperator/autocratoor, destinato a conquistare anche i Garamanti e perfino gli Indi, ancora non sottomessi, essendo stata evitata la guerra parthica  (Virgilio muore nel 19 a.C!.).

Virgilio, comunque, esprime  il desiderio epicureo  di rigenerazione  e di miglioramento tipico di quel momento storico, anelante, all’ epoca, a pace  e a quiete, avendo già ogni civis  fiducia nella sicurezza  della persona e dei propri beni essendo ormai lontana  belli rabies e ormai tutelata la proprietà dagli  avidi accusatori, spinti dall’ amor habendi al possesso degli averi altrui!

Professore, perciò, lei mi vuole mostrare non la storia  di quell’epoca ma  l’originale pensiero epicureo,  sfruttato in senso politico come distrazione dal negotium del civis, incitato all’otium cioè alla ricerca privata del vero valore di ataracsia e di philia, come pratica di felicità/eudaimonia  su una base fisicanon ancora volgarizzata  in ambiente romano-greco   e  in quello romano ellenistico, mal inteso e letto  infine dai cristiani come  theoria peccaminosa, basata sul materialismo, sui sensi e sul piacere  terreno,  opposto allo spiritualismo e alla patria  celeste, nonostante  l’entusiastica  e divina celebrazione  di Lucrezio Caro! Lei mi vuole tenere lontano dalle  degenerazioni filosofiche che giungono fino al cristiano  Agostino e da quelle mitico-poetiche dei poeti augustei  volgarizzatori  come  Virgilio, guida morale per i sudditi cives,  obbedienti al lathe bioosas/vivi nascosto, rispettosi  e veneranti Ottaviano l’ Augustus,  condizionati già da Cicerone, come  Orazio- un porcellino del gregge di Epicuro cfr.  Ep.I,4,10-  come Ovidio diventato espressione di pratica sensuale  e sessuale di  vita, esiliato. Eppure non mancano  positivi  successivi esempi di saggezza  secolo d. C.,  di  vero ed autentico epicureismo, come quello, vissuto da Tiberio Balbillo e dai  nipoti  Filopappo e Giulia  Balbilla!.

Professore, ma siamo già in un’epoca  antonina  quando spirito stoico ed epicureo si fondono in un certo senso, data la quasi comune fisica, nonostante le due diverse  pratiche di vita e modelli  basati  rispettivamente sulla apatia e sulla ataracsia!.

Marco, per spiegarti  questo aspetto, equivoco, vado oltre i tempi di Lucrezio  e  dei poeti augustei  e perfino oltre quelli di tutta l’epoca giulio-claudia e  flavia  e ti  metto in evidenza  una frase  di  Erode Attico,  che risponde ad uno stoico, apatico: cfr. A. Gellio, Noctes Acticae, XIX,12.: nessun uomo, che sentiva  e pensava normalmente, poteva  fare  a meno delle emozioni dell’animo che egli chiamava pathee, di fronte alla malattia, al desiderio, al timore, all’ira al piacere ; ed anche se ci riuscisse, tanto da farle scomparire, ciò non sarebbe un bene perché lascerebbe  l’animo languente e intorpidito, privato dal sostegno di certe emozioni, quasi necessario stimolo nullus usquam homo, qui secundum  naturam sentiret et saperet, adfectionibus istis animi, quas pathee  appellabat, aegritudinis, cupiditatis, timoris, irae, voluptatis, carere et vacare totis posset; atque si  posset etiam, obniti,  ut totis careret, nofore id melius, quoniam animus langueret et torperet  adfectionum quarundam adminiculis ut  necessaria plurium temperie privatus.

Secondo Gellio, sono basilari le  affectiones animi /pathh, naturali  e necessarie  per Erode Attico, che aggiunge,  anche  se tali sentimenti ed impulsi, quando  eccedono  sono dannosi, sono, comunque,  connessi e radicati  in certe forze  ed attività dell’intelletto,  e, perciò, se li stronchiamo tutti,  sradicandoli, c’è il pericolo che perdiamo anche le buone qualità, utili della mente, connesse, perciò, occorre  raffrenarli e purgarli  con senso e moderazione / moderandos esse igitur scite considerateque purgandos!

Erode Attico, così, conclude dopo aver fatto l’esempio del Trace, che ignorante e barbaro, – è un immigrato dediticio!- volendo imitare la coltivazione di ulivi  e viti, potate magistralmente dal vicino colono,  distrugge  colture per l’eccesso  e zelo nel  tagliare  purgativoai fini della pulizia del campo; i seguaci  di Zenone, desiderando essere apatici risultano calmi, intrepidi, immobili, senza desideri, senza dolori, senza ira,  senza piacere  e, così facendo, amputano i più vigorosi moti dell’animo ed invecchiano nel torpore di una vita inerte e  quasi snervata /omnibus vehementioris animi  officiis amputati in corpore ignavae et quasi enervatae viae consenescunt !- ibidem,10-.

Professore, la lezione di Erode Attico agli stoici  è quella di Epicuro  che, nella lettera a a Meneceo tratta della necessità e naturalezza delle pathee, che risultano fondamentali  per l’animo umano, grazie alla virtù della prudenza e temperanza- cosa di cui lei ci ha parlato in altre occasioni-. Quindi, non è il caso di trattare  sui timori  (degli dei, della morte, dei mali della vita,  del futuro (123-127), né del  dolore  del  destino, della fortuna (133-50 ed oltre)  né dei  desideri in genere  (127-28) né  di  quelli  connessi alle virtù della temperanza e prudenza (128-132) e neppure  delle kuriai docsai -massimae capitali- e del tetrafarmaco?

Certo! Marco. Complimenti per come conosci l’etica epicurea! Sappi, però,  che  Epicuro così tratta il problema senza considerare la iustitia,  che è insita come osservanza del  patto,  che gli uomini stipulano  fra loro di non fare danno, perché è nella sfera delle tenebre,  in quanto  espressione del  timore,  derivato dall’infrazione  di quanto comunemente stabilito e pattuito, cosa  contraria ed estranea alla natura, anche se divino è il suo insegnamento, liberatorio dalla paura degli dei  e della morte!

Per lei, dunque,  bisogna seguire la via  naturale di Democrito e di Epicuro e non quella del dovere  di Zenone e degli stoici e questo si può fare solo se si rileva la vera filosofia  fisica, ben espressa nella lettera  ad Erodoto di Epicuro?

Marco, io ti sto orientando, in un tentativo di  diradare  le tenebre che ti offuscano la mente,  verso la  fisica epicurea, che è una conquista dello spirito umano,  abbandonato dal razionalismo,  vinto dal muthos  irrazionalistco stoico platonico-aristotelico,  neoplatonico,  soggiogato dalla fides christiana, e voglio zoomare, in un momento storico eccezionale, quello  ateniese della fine  del IV secolo  e primi decenni del III secolo, a seguito di una revisione del pensiero ionico, milesio, che si fa discorso logos scientifico,  pur derivato da  linee orientali sumerico-accadiche, assiro babilonesi e caldaiche, confluite in Esiodo, prima di  giungere ad Epicuro di Samos (341-271 a.C.)  che studia il maestro Democrito  (460-370 a.C.) e le connessioni con Parmenide  (516-450 a.C.), ritenuto degno di imitazione anche se, poi,cancellato dalla Historia.

Lei,  professore vuole partire dal mito de krusion genos, esiodeo, per falsificarlo e  mostrare la mancanza di Dike sulla terra  in quanto il processo umano è solo naturale e non è determinato dagli dei  – che  non esistono, e se esistono, sono indifferenti nella loro divina ataracsia – e che, quindi dal cielo non viene niente e che  da niente non si genera niente ! Vuole, quindi, riproporre il modello di un Epicuro dio sulla terra perché scientifico e razionale,  creatura  mortale  che si riscatta continuamente e faticosamente  dalla  misera condizione umana e terrena  di bene  e male, confusi  in un calderone di vizi e virtù, cosciente della mancanza di Giustizia  tra i mortali, che, però,  formano un solidale sistema,  in quanto coscienti  esseri sentienti, parti di uno stesso sistema, capaci di trovare nella philia un modo per essere uniti  nel comune destino di vita e di morte, in un rifiuto della politica, del negotium, in un fiducia nella figura di un illuminato  basileus,  nomos empsuchos!

Lei, dopo Esiodo, vuole mostrarmi Parmenide  di Elea che, influenzato da Pitagora  nel suo poema Peri phuseoos simbolicamente annuncia di  cercare sotto la  guida delle  figlie del Sole  la via che conduce a Tetide e  a  Dike,  le due dee della giustizia divina ed  umana così da poter  distinguere il vero dal falso,  realtà ed  apparenza  per un orientamento,  su un preciso sistema  giusto, tanto  da affermare che la dike  kosmia domina  su tutto  come basilare perno  di virtù riconosciuta e praticata?.

Marco,  per me, la filosofia eleatica   e quella milesia in due ambienti diversi  favoriscono  la fondazione della scienza  da una parte e da un’ altra  quella dell’historia  con Ecateo, mentre  si sviluppa anche il pensiero scientifico  con Anassimandro e con Leucippo,  il cui  discepolo Democrito  arriva a determinare  l’esistenza di un qualcosa che origina il  fenomeno naturale  tanto da capire il segreto del kosmos inteso come ordine del  mondo  che è ... il vuoto to kenon /inane!.

Professore, sul ragionamento democriteo del vuoto come  spazio illimitato, senza centro, inizia la ricerca umana?

Non  penso, Marco,  che derivi da questa coscienza di vuoto e di spazio   e dall’esistenza probabile  di atomi indivisibili,  che  lo percorrono  liberi,  si possa dire che si costituisca la struttura stessa spaziale. I termini greci e poi quelli latini non autorizzano un tale sviluppo scientifico atomistico, certo: solo nel I secolo a. C. con Lucrezio, in ambiente campano, Ercolano forse,   si elabora un sistema linguistico latino  su cui si basa il De rerum natura,  specie la pars  centrale del libro (III-IV).

Lei parla del vorticoso giro degli atomi che  senza forma, senza colore, senza  ordine  prefissato ora si scontrano, alla fine del IV libro nella spazio vuoto a  causa del clinamen ?….

Continua