A Maria Teresa Rosini, amica e critica
Nel trattare della necessitas per un cristiano di ridiventare bambino/neepios per entrare nel regno dei cieli, mi sembra opportuno riprendere quanto scritto nell’abstract per Il Politico o Giuseppe circa il sistema di essere vecchio- bambino di un Terapeuta egizio.
“La traduzione di De vita contemplativa di Filone (qualunque sia la sua forma originaria!) e il commento, come prefazione all’opera dell’autore e come critica al pensiero di Eusebio e di Girolamo, risultano momenti nodali nella stesura di I Terapeuti, opera essenziale per la formazione di un ricercatore delle origini del cristianesimo.
L’opera filoniana è una via a Dio secondo l’ascesi mistica, indicante tappe di una theoria, alternativa non solo a quella della pracsis essenica, ma anche a quella legalistica, liturgica, teurgica.
Essere anacoreti è, con la rinuncia ai beni familiari e alla vita civile e sociale, l’inizio del percorso, il primo gradino della scala del progrediente”.
L’anakoresis del Terapeuta (cfr. De vita contemplativa di Filone. I terapeuti, eBoook KDP, 2015) è l’inizio della vita theorica.
Il sistema di vita, indicato da Filone, precede, dunque, storicamente la predicazione di Gesù Christos, che ha presente il modello alessandrino di teleioosis, attivo da quasi due secoli, dai primi decenni del II secolo a.C.
Gesù, infatti, in Matteo, 18, 1, prima dice che bisogna diventare bambini, poi, rispondendo ad un giovane ricco – che chiede cosa debba fare per entrare nel regno dei cieli (19.16) e che aggiunge cosa manca ancora?, dopo aver confessato di aver fatto quanto ordinato dalla prescrizione mosaica, ricordata dal Maestro – precisa il suo pensiero: se vuoi essere perfetto va, vendi quel che hai e dàllo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo e poi, vieni a seguirmi (ibidem, 22).
Bisogna, quindi, pensare che gli evangelisti creino il modello – in epoca successiva al fenomeno terapeutico alessandrino – di un sistema anacoretico cristiano – proprio di Antonio e di Pacomio – che per alcuni decenni vive serenamente accanto a quello ebraico, di molto anteriore.
Si deve ritenere che, poi, essendo sorta un’esasperata competizione, in epoca costantiniana, i christianoi diventano ostili ai terapeuti per poi operarne lo sterminio, nel periodo teodosiano, approfittando dei decreti imperiali.
L’eccidio dei terapeuti sembra perpetrato sotto il patriarcato di Teofilo e Cirillo…
Dunque, per Filone, il terapeuta è uomo che si separa dal proprio io e dalla città, dalla civiltà, alla ricerca di un rapporto con la natura: il saluto al sole al mattino (e alla sera) e l’augurio di buon commento biblico al vicino sono segni di una nuova scansione del tempo, rispetto al calendario lunare, e di una differente immersione nell’armonia.
C’è coscienza, da parte del vecchio, di essere in un tempo breve, quasi un lampo, tra un tempo lungo passato, quasi concluso, ed un’altra età da vivere in altra dimensione: lo stato di transizione è quello di uno stupore infantile con la sapienza senile, ebete, dionisiaca!
Per Filone, infatti, dopo la separazione dai beni, c’è l’eremo dove il terapeuta vive naturalmente, commentando la torah, avendo la luce del sole, simbolo stesso di Dio, in una fase senile di simplicitas infantile, in una depurazione del tempo razionale vissuto nella normalità naturale.
L’ambiente alessandrino del lago Maryut (Mareotide) è la cornice, in cui andres theoi / uomini divini realizzano la loro ricerca, isolata, spirituale.
Il vivere separato entro la propria cella (semneion e monasterion) e nello spazio intorno alla propria abitazione, sottende una tipica chiusura in sé e un rifiuto del mondo, al fine di una pura spiritualità, in una santificazione del sabato, secondo le prescrizioni mosaiche e dei sei giorni con l’askesis/esercizio, mediante lo studio e l’esegesi biblica continua, durante l’arco della solarità giornaliera e in una diversa coscienza del corpo, a cui viene dedicato poco tempo (e di notte) per i bisogni corporali.
Essi infatti bevono acqua sorgiva e mangiano pane (verdure, sale) una volta ogni sei giorni (solo alcuni – i più deboli – ogni tre giorni) e fanno una coena il cinquantesimo giorno, sette settimane dopo la Pasqua, nel mega monasterion, in cui i magistri, didaskaloi, i più anziani, sono serviti da diaconoi, ministri che servono dopo che tutti hanno ascoltato ed approvato la lectio del capo ermeneuta, che commenta la torah allegoricamente.
Vivere in allegria, in modo euforico ed entusiastico, è tipica espressione del terapeuta, ritornato un bambino/neepios, un vecchio che è costantemente in uno stato di ebbrezza, cosciente che l’esercizio continuato conduca alla vetta dell’eudaimonia e alla visione e all’unione con Dio, dopo la purificazione dal razionale-naturale.
Dunque, per Filone la vita dell’uomo, vera, è quella di un vecchio-bambino, del terapeuta della Mareotide: l’allegria risulta status di perenne euforia e di ebbrezza, che esprime una tipica sugkrisis di un neepios presbus /bambino vecchio, che rifiuta la realtà e la quotidianità della polis, e vive in solitudine alla ricerca di Dio, in un capovolgimento dei principi esistenziali, in modo non razionale, pazzo.
Filone parla di uno stato senile, in cui predomina l’anomalia, a seguito di una peripateia congiunta con aprosdosketon, che è la risultanza di una congiunzione di una afasia infantile, unita ad una forma di demenza, che genera il terapeuta, il più caro a Dio.
Il terapeuta è uomo divino, vecchio bambino, un essere dionisiaco, che non conosce, però, il vino, ubriaco della Legge, asceta che consegue la teleioosis vivendo in modo naturale fuori del consorzio umano, pazzo nel cucire armoniosamente le dissonanze, le opposizioni, le antinomie, nel corso della solarità quotidiana, nel segreto del proprio semneion, contento di essere e di esserci nella palude della Mareotide, convinto di conseguire nel tempo giusto, Dio, che lo anima e fa la storia del suo fedele.
La sugkrisis si attua come operazione che unisce la pars puerile e quella senile, in opposizione alla vita operativa commerciale, emporistica e trapezitaria del polites ebreo, che pur vive secondo ameicsia in Alessandria, in modo separato dai Greci…
Essere vecchio-bambino diventa lo status della perfezione di chi, rifiutando la vita, secondo natura e ragione, la consegue in modo insano, irrazionale, innaturale, capovolgendo la normalità.
C’è coscienza della fine di un’epoca, quella umana naturale e razionale, e della brevitas quasi istantanea dell‘attimo di congiunzione fanciullesco-senile, prima dell’evento di un nuovo sistema vitale di un altro mondo, di un dopo tempo, in una sfera senza tempo, al termine del proprio destino di mortale/Thnetos.
Non è, però, un vero percorso o una odos umana, ma è una via divina: è Dio che sceglie, seleziona l’eletto e fa la storia, di cui l’uomo, invaso, non ha vera coscienza perché ha le deficienze proprie dell’infanzia e della vecchiaia congiuntamente fuse in un’aetas iniziale e finale, in cui la padronanza di sé è assente, essendo nella luce divina, già in una forma di transizione!
È uno stato di aplous di ingenuità e di semplicità conseguito di nuovo in vecchiaia, grazie alla rinuncia del passato, mediante una palingenesis, in cui il presbus ha una sua dolcezza puerile con una stolidità bambinesca: c’è coscienza che la materia si trasforma e che la morte è continuazione, dopo il disfacimento materiale e la mineralizzazione, grazie a germi vitali!
La nuova vita biologica, sorta dalle ceneri, forse era curata da ogni terapeuta, che ne perpetuava la linfa vitale, come primario compito di fratellanza verso l’altro?
Bella e suggestiva l’idea di porre una piantina, scelta dal defunto sulle sue ceneri e curata in memoria e ricordo del morto…
I monaci del monte Athos, dopo aver affidato il cadavere del fratello morto alla terra per un paio di anni, ricacciano poi le ossa, le puliscono le ungono e profumano e le stipano in ossari anonimi, mentre conservano il teschio con il nome del defunto, e sul luogo piantano essenze arboree, come segno di una continuità di vita…
È una nuova concezione del mondo e della creazione (cfr. Filone e la creazione del mondo) …in cui non esiste una sola creazione, ma una continua creazione in cui ad uno status vitale succede un altro, preceduto da una pausa di breve durata transitoria, utile per il nuovo passaggio, in cui sono congiunti inizio e fine…
il logos umano come parte del logos naturale, dopo il ciclo vitale materiale ricongiunge la potenza istintiva della puerilità con la meritata virtus, depositata nella mente/dianoia del vecchio svampito per il salto nel buio misterioso, mortale, porta della eterna solarità…
Secondo Jean Danielou (Filone di Alessandria, Archeos, p.195), il mondo delle idee (Opif. 25) è identico al logos che “pensa”. Infatti, Filone dice: dirò che il kosmos non è altro che il logos che crea il mondo, come la città intellegibile non è altro che il pensiero logismos dell’architetto, che realizza la costruzione della città… Anzi non è mio pensiero ma è quello di Mosè che descrivendo la creazione dell’uomo, espone che è stato formato ad immagine e somiglianza di Dio. Se la parte è immagine dell’immagine eeikoon eikonos la parte intera, la sua totalità è imitazione della divina immagine e il sigillo archetipo, che poi chiamiamo mondo intellegibile, deve essere il logos divino stesso.
Anche io, In altri momenti della mia vita, ho concepito il tempo come successione e quindi come status transitorio del presente che non esiste sostanzialmente, se congiunto ad un preciso spazio, ma che permette di cucire gli istanti tra loro catalogati come passato e come futuro, in un divenire storico, di cui si avverte la stabilità solo nel fluttuare presenziale dell’attimo fuggente in particolari situazioni e in specifici ambienti circoscritti…
Ma sempre, comunque, ho avuto coscienza di essere e di esserci in precisi spazi, solo se mi astraevo dal presente e dal passato e dal futuro stesso: mi sento plurimo come se avessi più psuchai, come se molti esseri fossero in me ed io fossi tanti elementi di diversa formazione, ma soprattutto come se in un bambino – pur sempre lo stesso – ci fosse la fusione (con confusione) di un delirante senex che si è unito congiuntamente e totalmente in un quaerulus puerulus, come se in me il presbus sapiente fosse un neepios saccente…
Capire la sapienza senile che astrae dalla insipienza deficitaria analitica puerile è la massima pazzia umana poetica di un poihths, creatore di vie galattiche ed extragalittiche, di un kosmos armonioso nato dalle infinite disarmonie planetarie, ma anche forgiatore di una materia infinitesimale la cui armonia chimica ed atomistica è ancora più prodigiosa e d armoniosa di quella astrale…
Essere vecchio-bambino è stato il sogno di una vita vissuta, in modo isolato, oltre le regole sociali e comunitarie, oltre i compromessi esistenziali e la politica, nonostante l’apparente somiglianza con quella di ogni altro uomo secondo la quotidianità e la realtà di una normalità…
Perciò, sono stato uno che vive come un bambino e come un vecchio demente, spiritoso, esilarante nelle sue imitazioni pazzesche di un io passionale emotivo sentimentale, teso nei suoi scimmiottamenti deficienti, alla ricerca di ogni forma contraddittoria e in un tentativo di affermazione personale, dominato da ambizione, seppure controllata, in un’oscillazione di tragico e comico che produceva solo forme bizzarre, che si evidenziavano nel ridicolo/ spoudaio-gelaion, contrassegnato da antitesi impossibili, in capogiri fantozziani…
Ne deriva che si è sviluppato nel mio agire pratico un gioco antinomico in cui prevalgono forme antitetiche e ossimoriche, ogni dato contrastivo, come espressione di una contraddittorietà infantile e senile di un puerile vecchio, capace di generalizzare, pur in una degeneralizzazione comica…
Non seguo certo le teorie sul tempo di un Carlo Rovelli (capace di sintetizzare umanesimo e scienza, episteme e Qohelet, saggezza classica e formule quantistiche in L’ordine del Tempo (Adelhi, 2017) né ricaccio formule come quelle einsteiniane, né so scimmiottare i linguaggi della scienza: sono scientifico -forse- solo nel tradurre; per il resto sono un anomalista e combatto contro ogni formale costruzione, in una volontà di vita pratica, pura nell’emotività sentimentale e sublime, in una ricerca di adrepebolon, di perfezione, oltre le forme cristiane…
Perciò, il terapeuta filoniano – che è un vecchio che vive come un bambino alla ricerca di Dio – mi ha sempre sorriso ebetemente, come fratello pazzo, nel corso del mio cinquantennale lavoro, inutile per tutti!
Eppure, nonostante l’inutilità di tal sacrificio continuato, non ci sono tempi distinti, non ci sono passato e presente, c’è solo l’inizio di un futuro che è già presente in quanto il vecchio-bambino è già nell’eternità…
Neanche sono stato confortato dall’exemplum filoniano terapeutico, che congiunge con Dio, datore di vita chi unisce alfa ed omega, armoniosamente e pazzamente…
Filone mostra la felicità come conseguita, perciò possesso, in quanto makairia, perché il daimon è già signore dell’uomo, la cui eudaimonia è perfetta, teleioosis, proprio perché già fuori dal tempo!
Il termine teleioosis da teleiooo indica l‘operazione non personale ma tipica di un essere estraneo superiore, di un dio – che ha preso possesso di un individuo, svuotato della propria sostanza- che compie e porta a compimento il suo disegno, rendendo perfetto il suo eletto, non certamente cosciente della sua formazione e del particolare perfezionamento conseguito.
Infatti, non esiste più l’uomo razionale che ha coscienza della sua concreta esistenza, ma solo un bambino, il neepios che folleggia e ride di ogni cosa umana e terrena, estraneo perché immerso in una pace utopica, senza lo spazio, che pur lo circonda nella sponda del lago Mareotide, che non vive come un umano, ma come un eletto da Dio, in cui gli estremi combaciano.
Essere neepios etimologicamente vale essere uno che non dice niente, e che non ha nemmeno parola propria (epos) ma sorride e che come vecchio demente, avanti negli anni, folleggia, essendo elemento naturale già presbus (che vale paros o prosben phuoo) vivente in un silenzio loquace.
Essere neepios risulta stato inesprimibile, forma vitale sovrumana, disumana, tipica dell’invasamento divino continuato…
Per Filone (Erede delle cose divine) è necessario abbandonare sensazione e parola per essere degno del cleronomos, per essere erede legittimo del padre…
Facendo tale esperienza,” come un folle, o come un bambino in tenera età, ho imparato che era meglio uscire fuori da queste tre cose, consacrando a Dio le facoltà di ciascuna di esse, in quanto è Lui che dà corpo al corpo e lo tiene insieme, dà alla sensazione la capacità di sentire, e alla parola quella di parlare”.
Per il filosofo solo allora puoi abbandonare te stesso ed uscire dall’io : è chiaro che così facendo non puoi usare come fossero tuoi l’intelletto, la conoscenza e la comprensione.
Per Filone questi sono, dunque, consacrati a Colui che è la Causa di ogni pensiero esatto e di ogni comprensione infallibile.
La teleioosis è questa!
Clemente ed Origene e, quindi, i cristiani alessandrini, che hanno l‘exemplum nei Terapeuti leggono bene il pensiero filoniano e lo traducono come un logion di Christos siate perfetti com’è perfetto il padre vostro che è nei cieli (Matteo, 5, 48).
Infanzia e vecchiaia non sono, comunque, due età distinte dell’uomo, ma sono una sola età quella che precede l’eternità, confusa memorialmente, vaga in una demenza non dovuta agli anni trascorsi, ma eccitata come da ubriacatura.
In mezzo tra l’inizio e la fine c’è il tempo, che fluttua come magma, in un ribollire dell‘insania infantile-senile.
Allora kronos ou èstin kronos ma storiella infantile di una vecchiaia imbecille e fastidiosa che confonde il sogno sognato di una vita mai vissuta realmente, se non come istanti inconsci esplosivi e fulminei di amore, di eroismo e di gloria imperitura per chi, mortale, dissemina in successione rapida la sua odos (per me incerta e zigzagata) di infantili-senili ricordi nell’euforia dell’estrema età, quasi fosse un vestito variopinto rattoppato di un’esistenza risibile di uno bizzarro personaggio teatrale, che lo muove sulla scena…
Bisogna, quindi, pensare che i vangeli copiano l’idea della teleioosis dai bimbi-vecchi terapeuti?
Sono quelli del didaskaleion alessandrino i maestri che fanno accostamenti e mettono in relazione i passi evangelici con Filone?
Matteo (18.2-4) – in verità/amen vi dico, se non vi convertirete e non diventerete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà piccolo come un fanciullo, questi sarà il più grande nel regno dei cieli – e Marco (10.13-16) – chi non accoglierà il regno di Dio come un fanciullo certamente non vi entrerà – : i due sembrano uomini che sono in linea col pensiero dei Terapeuti: non è un caso una tale somiglianza di pensiero!?
Gesù, nel corso della sua vita, ha conosciuto i terapeuti?
Secondo il mio modesto pensiero, Gesù tecton, qainita, non poteva non conoscere l’ambiente di Alessandria e quindi i santi della palude, venerati anche in Palestina come i più cari a Dio…
Se Matteo e Marco conoscono la lezione dei terapeuti come ogni ebreo, Luca, data la sua formazione culturale – e, datata la sua opera nei primi anni dell’impero antonino – risulta l’anello di congiunzione tra il mondo paolino e quello alessandrino in 18, 15-17.
Infatti dopo il rimprovero agli apostoli che impediscono la venuta dei fanciulli, Luca sintetizza il pensiero di Marco e fa dire a Gesù chi non accoglie il regno dei cieli, come un fanciullo, non vi entrerà…
Luca permette di congiungere la cultura precedente filoniana e paolina con quella che poi sarà di Panteno e dei suoi discepoli, impegnati nella lotta contro la gnosis di Valentino e di Basilide…
Filone, che visse ad Alessandria d’Egitto – mentre i cristiani vi facevano conversioni e generavano sconcerto (stando agli Atti degli apostoli) – secondo la versione di Eusebio, non fa menzione dei cristiani, come non fanno menzione i protoi delle sinagoghe romane a Paolo, che è a Roma, prigioniero in attesa di giudizio – cfr. Ma… chi sono veramente Filone, Gesù Christos, Simon Pietro, Paolo, Giuseppe Flavio? -.
Secondo alcuni critici i testi cristiani non sono attendibili da questo punto di vista e che “il silenzio di Filone è una testimonianza contro l’esistenza di Gesù, come descritta nei vangeli”…
Noi, da decenni, ripetiamo che il cristianesimo non ha senso senza la pagina filoniana, ed affermiamo che l’evangelizzazione non è fenomeno apostolico, paolino e petrino, inglobante il pensiero filoniano, ma è una dilatazione della colonizzazione orientale progressiva in Occidente, in epoca antonina…