Epistula CXLVII di Bernardo

Oggi, Marco, desidero mostrare ( e dimostrare) che  chi cerca lo spectaculum è  …un  theoricos,  e risulta  inutile …politikos.

Bernardo  di Clervaux  si serve  dello spectaculum ed  è teorico, funzionale solo per l’ecclesia, non vero politikos:  L’Epistula  CXLVII  (Migne, Patrologia latina) è una  sua lettera a Pietro il Venerabile, abate di  Cluny, datata Anno Christi 1138, in risposta a due lettere del cluniacense (Migne, Patrologia latina), esemplare del suo sistema di scrivere e del suo agire politico.

La lettera  sembra scritta da  Bernardo, qualche settimana dopo il 25 gennaio del 1138, quando ha notizia  della morte di  papa Anacleto II, di Pietro di Pietroleone.

Si conosce la notizia  da storici come Falco Beneventano, da Pietro Diacono (Cronic.. Casin. IV,130) da Romualdo Salernitano (Annales, in Arndt  M.G,H. e in Del Re,  cronisti e scrittori  sincroni della  dominazione normanna in Puglia e Sicilia, Napoli 1845), oltre che da Ernaldo, il  biografo di Bernardo  e dall’annalista Saxo  e da Ottone di Frisinga (VII,22) che aggiunge:  fu sepolto in San Pietro, ma poi i suoi avversari  distrussero la sua tomba.

Perché proprio questa lettera e non altre ?

Per me,  Marco, Bernardo è un grande abate, eccezionale predicatore, un maitre à penser, un persuasore di grande efficacia retorica, un’asceta  mistico, che sa dominare le proprie passioni, e che  poggia  su un piano espressivo retorico  i suoi contenuti  astratti, mirando all’utile  del proprio ordine,  convinto che essere christianus  significa fare il bene della Madre Chiesa. 

La lettera  CXLVII è  un compendio  di retorica, di fede, di pensiero cristiano.   

Dove si trova l’abate?

Bernardo si trova ancora in Italia Meridionale, dopo la fine dell’impresa di Lotario III: ha fatto trionfare la theocrazia terrena e una Chiesa spiritualizzata ed astratta cenobitica e  curiale, mettendo in mostra un rigore religioso  ascetico  contro la millantata  romanitas, rapace, anacletiana, in una condanna del ministerium pontificio.

Ora ha il compito, conclusa l’impresa italica  di Lotario III,   di sistemare il Mezzogiorno italiano,  controllare,  regolare Ruggero II  duca di Sicilia, vinto dall’imperatore,  e di punire i rimasti abati  e popolazioni,  ancora scismatiche meridionali.

In nome della sua fides, innocenziana, e del suo ascetismo borgognone, integralista  sdegnoso verso il munus sacro stesso di Anacleto,  si è diretto verso Salerno, dove si è rifugiato il duca siciliano, che, dopo aver ripreso Nocera, la zona di Capua e Terra di Lavoro, ha costretto il principe di Napoli a dichiararsi suo vassallo, essendo, però, incappato in una sconfitta presso Rignano ad opera dei filoinnocenziani, capitanati da Rainulfo di Alife, nonostante l’aiuto dei beneventani e dell’abate di Montecassino.

Il santo, venerato fra  le popolazioni, vuole imporre una tregua  per porre fine  allo scisma  e per far ritornare definitivamente nella Chiesa romana, l’unità, e ripristinare l’ordo pontificio nelle ex terre matildine, contese tra i comuni toscani, ed  è convinto della vittoria degli imperiali ora anche filopapali, dopo la seconda discesa di Lotario.

L’imperatore, vista la situazione nella zona padana, aveva concesso,  infatti,  la constitutio de Feudis a Roncaglia e passando lungo la pars adriatica  si era fermato ad Ancona e aveva passato  la Pasqua a Fermo, avendo l’appoggio delle flotte  veneziane e bizantine, nonostante  l’opposizione del marchese Guarnieri.  Passato il Tronto e giunto al Gargano, prese Troia, Canne e Barletta,  aveva celebrato la sua vittoria sul duca Ruggero  in fuga, a Bari,  nella cattedrale di S. Nicola, dopo la morte del suo cancelarius  Bruno di Colonia.

Bernardo aveva seguito l’imperatore e  da Sutri con Innocenzo II si era diretto prima ad Anagni e poi a Montecassino, opponendosi al cancelarius di Ruggero, Guarino, e mettendo in crisi Senioretto  l’abate cassinese – da cui  in seguito riceverà somme di denaro- avendo conquistato Benevento  ….

Ora, invece, a Salerno, il cistercense  ha di fronte Ruggero che fa una politica dilatoria e temporeggiatrice, convinto che il tempo  è a lui favorevole e che respinge ogni offerta di pace  e non concede neppure di parlare dello scisma.

Il duca detta lui le condizioni, facendo  esplicita richiesta  di interrogare e del partito innocenziano e di quello anacletiano   tre  cardinali, rappresentanti diretti della duplice elezione romana.

A sette anni dallo scisma, i cardinali devono confessare  la verità sulla legittimità del fatto elettivo, davanti ad un potere laico, quello normanno  del Duca di Sicilia, interessato, comunque, a ratificare  la non illegittimità di Anacleto II, avendone avuto una bolla di consacrazione regia.

Viene ricreata la situazione  dell’elezione di Anacleto II del 14 febbraio del 1130,  viene indicata perfino l’ora sesta  con la chiesa di S.Marco e di Anacleto II  viene stigmatizzata la  legittima consacrazione ufficiale in S. Pietro ad opera di  Pietro di Porto, il 23 dello stesso mese.

Tutto, elezione e consacrazione anacletiana,- munus/funzione sacrale et ministerium/funzione ammnistrativa –  è descritto secondo la solennità canonica  del mos romanus  davanti al popolo  e alle gerarchie ecclesiastiche  per indicare la vox populi e la vox ecclesiae e per mostrare i fatti in luce et manifesto, unanimi voto et desiderio.

Vengono ricordate  anche l ‘elezione notturna tra il  13  e 14 febbraio,  di nascosto, in umbra mortis ( In tenebris, in occultis tenebris),  di Innocenzo II, subito dopo o poco prima della morte di Onorio II, e la sua consacrazione, successiva,  in S. Maria Nova da  parte di Giovanni cardinal  Vescovo di Ostia, senza la presenza del popolo.

Le due elezioni  vengono fuori dai Regesta pontificum  romanorum di Jaffé, Lipsia 1885, dove si possono trovare e quello di Innocenzo col voluminoso bollario ed epistolario e quello,  ridotto, di Anacleto.

Nell’occasione del convegno detto di Lagopesole, 9-18 luglio  1137,  i cardinali fanno le trattative di S. Germano che si concludono, dopo quattro giorni, col  trattato di   Mignano e discutono  sulle modalità elettive e sui contrasti dello Scisma.

Ruggero, nella relazione scritta cardinalizia dell’  elezione e consacrazione papale, abilmente  individua  la deficienza canonica  dei concili fatti  circa l’autenticità  elettiva di Innocenzo II,  rilevando la costruzione organizzata  da Aimerycus e dai cardinali callistini, francesi e borgognoni, visti e conosciuti  come  già impostati  retoricamente e moralmente sulla figura del pontefice esule  da Roma – secondo loro città corrotta e corruttrice a causa  della casata dei Pierleoni di origine giudaica e popolare-.

Non sfugge  a Ruggero il significato politico della dimora  a Pisa, e poi di quella a Genova ed infine del domicilio di oltre due anni in territorio francese: le flotte pisane e genovesi, l’esercito di Luigi VI, l’ adesione degli ordini religiosi borgognoni ed infine la la promessa di aiuto imperale germanico sono il frutto di un riconoscimento universale occidentale ad Innocenzo II, che sa sfruttare i suo esilio e  far convincere l’imperatore a riportarlo  in Roma come legittimo papa e ad opporsi a lui, naturale sostenitore di Anacleto II.

Da normanno,  il  duca ha seguito l’ascesa della famiglia Pierleoni, di cui è espressione  concreta Anacleto II, Pietro di Pietro Leone, cugino di Ildebrando di Soana (Gregorio VII) e nipote di Gregorio VI!.

Ruggero conosce la potenza del clero francese  e sa dell’ostilità di Aimerycus, di Pietro il venerabile e di Bernardo nei suoi confronti: considerano il suo potere diabolico e lo bollano come tyrannus, disquisendo sul termine in opposizione a rex e ad imperator,  secondo la visione teocratica gregoriana.

L’ orbis romanus è visto secondo la fides : imperatore, monarchi e signori  sono milites Christi e perciò milites Sancti Petri, soldati di  San Pietro  e del suo vicario sulla terra: è accettato il principio  che  la dignità regale nasce dall’orgoglio umano, quella vescovile e sacerdotale è istituita dalla pietà divina: l’una cerca senza riposo una gloria vana, l’altra  aspira sempre alla vita celeste. Il tutto è sintetizzato nella formula di potestas terrena, diabolica,  e di auctoritas divina  (Ep.2  del Registro di Gregorio VII, I,IV in Jaffè Monumenta gregoriana in  Bibl. rerum germanicarum  II, Berlino 1865)

Professore , quindi, secondo Ruggero  ancora si procede sulla base di pregiudizi  per cui si è fatta una distinzione non esatta su pars sanior et melior  innocenziana e pars prava et insana  anacletiana?

Certo, Marco.

I rancori della curia francese, – che volutamente trascura  i canoni  dell’elezione   innocenziana, ritenuta utile alla Ecclesia e condanna  la legittimità della consacrazione ufficiale anacletiana,- fanno stravolgere  la realtà dei fatti e determinano l’alonatura  del proprio  candidato innocuo,  seppure non innocente.

ll gioco retorico su Innocenzo col poliptoto  è segno  di una biblica adesione al candidato esule, esaltato coi Salmi e per contrasto si fa propaganda negativa sulla sobolem iudaicam, sulla iudaica congregatio , sull’esercizio dell’usura  del primo Leone, figlio di  Benedetto Cristiano, così  chiamato in onore di Leone IX ( Cronicon Mauriniacense in Migne , M.G.H SS XXVI,39) che lo sfruttava come personale nummularius!

E’ un’alonatura  retorica  che comporta condanna dell’altro candidato: L’uno è benedetto,  maledetto l’altro. E’ così?

Certamente, anche se ora  c’è un giudice laico che   ha  le relazioni scritte e le sa leggere, anche se tardivo è il suo intervento! .

Siccome Ruggero sa che l’ esilio pisano e francese di Papa Innocenzo II  è stato fondamentale per la definizione ufficiale del titolo con riconoscimento  regio ed imperiale a Liegi, richiesta dagli abati borgognoni e dai cardinali callistini, più giovani rispetto a quelli  gregoriani romani nei concili di Etampes, Wuerzburg e Reims, ora, perciò,  a Salerno  con la relazione della duplice commissione  fa stabilire  definitivamente la legittimità e canonicità della doppia elezione per emettere un giudizio sul papa autentico in modo da verificare realmente le due figure all’atto dell’elezione  e non sulla base delle opposte propagande. 

Con i cardinali innocenziani c’ è, inoltre, Bernardo, sublime oratore, il campione della Chiesa. Tra gli  avversari c’è qualcuno  che possa  contrastare  l’abate di Clairveaux?

Purtroppo, dopo anni di lotte, ormai tutto è a favore dell’Ecclesia universale  innocenziana!

Eppure Ruggero, anche se è morto  da poco Pietro di Porto, ha dalla  parte  anacletiana Pietro da Pisa , illustre canonista, figura di prelato da tutti amata e stimata, con Matteo e con Gregorio di S Eustachio, che hanno condiviso col pontefice ed approvato la sua elezione  a re di Sicilia con la bolla XLI,  contenente il  diploma di concessione del titolo regio.

I tre membri innocenziani (Aimerycus, Gerardo di S Croce e  Guido di Castello) sono noti dalla cronaca di Falco Beneventano che  parla di una dibattito, sereno, durato 8 giorni, seppure   intramezzato da trattative  e da incontri diplomatici, insieme con Bernardo: essi  hanno, comunque, nonostante il contesto a loro poco favorevole, coscienza di essere la pars vincente.

A Salerno dunque,  Bernardo  vorrebbe far valore la sua  Theoria vanificata  alquanto da Ruggero  di Altavilla, che, ad Avellino,  nel settembre del 1130, avendo abbattuto le autonomie locali specie di Benevento,  era riuscito a creare un partito anacletiano, basato su Monteccassino   e il suo abate Crescenzio,  cardinale di S Marcellino e Pietro, congiunto col Meridione e formando un unicum tra curia papale e  sistema regio.

In quella sede, perciò,  Bernardo è cauto anche se fermo nella sua  fides innocenziana, conscio che la creazione del regno normanno  a seguito della consacrazione ufficiale  a Benevento  il 22 settembre  è atto di una cancelleria che è connessa con quelle precedenti di  Urbano II e di Pasquale II!: Ruggero  per quel titolo risulta ancora Rex  Siciliae et Calabriae et universae terrae ed ha diritto di erigere la Sicilia caput regni, essendo poi consacrato a Palermo dall’arcivescovo – che è premiato dal re con diritto di legazia per l’isola -, avendo il principato di Capua  e honorem quoque Neapolis  e come vassallo del papa, paga seicento schifati annui!.

Che comportamento tiene Bernardo nella disputa finale del convegno?

Da umile servo della Chiesa, che ha in pugno la vittoria, e che scaltramente si adegua alla situazione e al contesto: dice parole bibliche e fa gesti teatrali  recitando la pars di chi accoglie,  perdonando l’altro, peccatore!

Nella disputa, Bernardo, come plenipotenziario aggiunto ai  cardinali innocenziani,  a fine convegno,  non  affronta il problema della legittimità dell’elezione,  ma, sposta la comunicazione e la questione   sulla   situazione morale critica della  Chiesa, il cui corpus, provato  e  diviso,  è martoriato dal male dello Scisma, già risolto, comunque,  per lui, dall’universale adesione popolare e clericale  ad Innocenzo II.

Il santo,  segaligno, assente, impenetrabile nel suo divino ascetismo, presa la parola,  inizia il discorso  secondo enfasi retorica  in modo semplice, capzioso, sicuro, seguendo un procedimento  sofistico tipico della scuola parigina,  parlando della nave di Noè, che si salva dal Diluvio.

E’ la nave della Chiesa, della Res publica romana ecclesiastica  l’arca salutis  dell’humanitas intera!

Ad occhi chiusi il santo  afferma, rivolgendosi direttamente a Pietro da Pisa : una è l’arca su cui salvarsi e,  al di fuori di essa non c’è Salus!.

L’interlocutore, anche lui logico, pure lui formato alla stessa scuola anche lui retorico, ormai convinto della soluzione, nonostante la canonicità e legittimità di Anacleto, e della necessità di una  comune salvezza nella stessa barca, sembra annuire al discorso di Bernardo.

Il cistercense, allora,  subito aggiunge: chi fabbrica due arche  può essere certo che – non essendo sommersa  quella di Noé- avrebbe tratto con sé  a morire  quelli che vi avessero preso posto.

Il santo, senza dare possibilità di replica reale, insiste nel dire, incalzando : avendo  Anacleto costruito un’arca,  Innocenzo un’altra ,  è necessario che una delle due sia sommersa.

Dovremo, perciò,  scomparire  con Innocenzo tutti  gli ordini religiosi che in tutto il mondo stanno per lui: I Certosini, i Camaldolesi, i Cluniacensi i Premonstratensi e gli stessi Cistercensi  et universi qui nocte et die  serviunt Deo in vigiliis et orationibus, in ieiuniis et in laboribus multis?

Secondo Bernardo, perciò, è meglio che muoiano  vescovi sacerdoti  anacletiani, popolari e nobili -salvo alcuni, tra cui il presente re – che la ChiesaSe dunque assolverete un’arca,  salverete la Chiesa universale, se l’altra solo Anacleto coi suoi!

Questo è il discorso conclusivo di Bernardo, asceta, che ha coscienza della presa  delle sue parole, considerate dettate dallo spirito santo, perciò, voce di Dio vero.

La conclusione verbale, pur coinvolgente,  per un abile retore, come Bernardo  è poca cosa, se manca il gesto  politico di perdono e di accoglienza fraterna sulla barca della salvezza.

Allora l’abate di Clairvaux, alto ed ieratico,  si avvicina al piccolo  Pietro, cogitabondo , e porgendo la mano  lo invita a salire sulla barca più sicura.

Bernardo a Salerno  vince  retoricamente e politicamente, ma è inutile politikos  che risulta un predicatore di fronte a Ruggero, un re laico, che guida truppe e cristiane e musulmane, che ha un’altra cultura politica senza schematismi religiosi, basata  sulla realtà situazionale di un Mezzogiorno a lui devoto ed ormai unificato sotto il potere normanno.

Le parole retoriche e la politica innocenziana servono solo agli ecclesiastici e ai bizantini, theocratici, ai teutonici imperialisti, non ai normanni, popolari teologicamente ambigui, anche se crociati!    

Il santo convince tutti ma non Ruggero, che crede che Anacleto sia  pontefice, giusto e popolare e che la sua famiglia  Pierleoni sia migliore di tutte altre  filoimperiali  perché  non disgiunge la pratica dalla parola!

Il gesto ad effetto inganna tutti, ma non il normanno che non vede in Innocenzo  le sofferenze patite, nè peregrinationes, nè ieiunia né elemosinae e neppure in Anacleto che, comunque, è  più coerente nella sua azione papale ambigua, nella proposizione delle due chiavi e nella supremazia del Dictatus papae  del cugino Gregorio VII, oltre che nella logica delle due spade, pur nella coscienza ebraica della necessità della separazione dei due poteri (quello temporale e quello spirituale).

Ruggero comprende solo che l’abate, scaltro, è riuscito a far trionfare la sua tesi  ma sa che la realtà delle forze dell’opposizione non sono solo religiose come in Aquitania e in  Milano ma risultano potenze estranee allo Scisma: La vittoria di Bernardo è  propria di una retorica religiosa e non supera le ragioni nascoste  di una società in fermento come quella comunale settentrionale e come quella di un assestamento meridionale e di un Patrimonium sancti Petri et Pauli illegittimo, controllato dalle potenti famiglie romane e dal popolo, anche  dopo la morte di Anacleto II.

Ruggero  non tiene in alcun conto  l’euforia del partito innocenziano vittorioso e scioglie la seduta: decide di sottoporre il verdetto definitivo alla sua corte di consiglieri a Palermo  in base alle relazioni scritte  di un rappresentante innocenziano e  di uno anacletiano

Perciò  tutto ancora deve essere definito, nonostante la  retorica spettacolare di Bernardo! il re, politico,  vince sull’abate politico di convento!

A Palermo  infatti, nel Natale del 1137,  la nuova assemblea rinnova  la sua adesione ad Anacleto, anche se è nota la notizia del rientro di Innocenzo II a Roma sotto la protezione dei Frangipane e  dei Corsi.

Dove si trova Bernardo al momento della morte di Anacleto II?

Non si  sa in quale parte di Italia settentrionale si trovi Bernardo, forse sull’Appennino centrale  tosco-romagnolo,  pronto a tornare al suo chiostro, quando gli giunge la notizia della morte di Anacleto II, la cui fine non chiude il rapporto  tra i Pierleoni e il re di Sicilia, che conserva il titolo e la supremazia in tutto il Meridione.

Il santo  alla morte del nemico, non placa il suo sdegno, non  smorza i toni della polemica e non arresta il suo rancore  in nome della fratellanza cristiana davanti a thanatos, rimettendo a Dio il giudizio definitivo sull’uomo e sul Cardinale, i cui atti , episcopali e papali sono stati  pari a quelli innocenziani  scritti ed archiviati come bolle  con segni divini universali!

Bernardo nemmeno sa contenere  la sua gioia: noi capiamo bene l’esplosione di un momento  poiché  vive  ancora in un clima di passioni  e di lotta, di dolore morale e di esasperazione  delle stesse forze fisiche per lo Scisma!.

L’abate di Clairvaux ancora  ribolle delle proprie accese pulsioni  dei suoi sentimenti di amore verso l’unità della Chiesa e della sua personale scelta della figura di Innocenzo II.

Egli giustamente aspira alla  soluzione dello scisma, al ripristino della pace  nelle città e  nelle regioni occidentali, ispanico-francesi e in Germania costatando ancora la  divisione  tra i cittadini  a causa dell’elezione di Anacleto II Pierleoni, considerato anticristo,  antipapa anche se legittimamente eletto,  in quanto privo delle virtutes  proprie di un pontefice, essendo uomo di stirpe giudaica  venale e corrotto, corruttore, capace di  rovinare la messe del signore,  bisognosa di una sola guida!

Lo scenario italico, ribollente di lotte comunali,  di latrocini,  di guerre fratricide nel Settentrione,  ancora di più acuisce la sua rabbia  verso la chiesa romana, infedele nonostante la presenza di Innocenzo II unico papa e la duplice venuta di Lotario in Italia.

Ruggero ancora di più domina tanto che anche dopo Anacleto può creare un altro antipapa Vittore  IV, anche alla presenza del legittimo papa, da poco rientrato a Roma, ma tenuto   sotto pressione grazie al potere dei Pierleoni, suoi fedeli: la Chiesa borgognona non ha vinto sulla Chiesa romana; i cardinali callistini  hanno imposto il loro papa, non la loro riforma!

L’esplosione, quindi , di Bernardo può essere anche  accettata e compresa, nonostante che l’abate manchi   di misura e di pietas  nei confronti di un ecclesiastico, benemerito, di certo, non leo rugiens in innocentem  agnum,  e non inferiore per vita, per morale,  per cultura e per  lungimiranza  politica del suo competitore, Innocens di nome.

Professore, forse ho capito, qualcosa del problema dello scisma ma della lettera 147- sicuramente scritta secondo retorica, strutturata con le regole del  cursus e di tutte i pregi dell’ars praedicandi– cosa può dire, oltre al valore  documentale, culturale e letterario?

Non voglio fare una lettura tecnica,  ma mostrare solo l’animus  dell’ abate, che  ha un  incipit, costituito da un exordium  speciale

Visitet te Oriens  ex alto, o bone vir,  quia visitanti me in terra aliena  et in loco peregrinationis  mea consolatus es  me. Bene fecisti, intelligens super  egenum et pauperem. Absens  eram  et absens etiam longo tompore ; et recordatus es nominis mei, homo magnus, occupatus in magnis.

Il rapporto tra i due abati  è di lunga durata, dal momento dello sbarco di Innocenzo II a S. Giles  l’undici  settembre del 1130, dopo  che il papa ha inviato lettere a Diego di Compostela,  quando si costituisce il fronte innocenziano, formato  oltre che  da loro due anche da Aimerycus, garanti  dell’unità della chiesa di Francia di Germania e di Inghilterra, di tutto l’Occidente.

Rilevo solo  l’intreccio di te e me  e l’uso del congiuntivo presente visitet in poliptoto con visitasti  oltre ad Oriens- Il sole che sorge –  che sottende Occidens– Il sole che cala –  per indicare il rapporto epistolare che lega i due, voluto da Dio –Sole, che li assiste nel suo corso regolare e che li tiene legati consolandoli a vicenda e favorendo in terra straniera la sua missione  e  il suo pellegrinare. Metto in evidenza l’affermazione bene fecisti   in quanto Pietro ha  compreso  non solo la condizione di egenus et pauper, ma anche   quella di essere absens (anadiplosi ) dalla Patria e soprattutto noto  come Bernardo faccia captatio benvolentiae  col lodare l’amico, già chiamato, o bone vir, come homo magnus,  occupatus in magnis  (cfr  poliptoto simile a  quello di De vita contemplativa di Iulianus Pomerius , di oraziana memoria) che si ricorda del suo nome.

La chiusura di questa parte  epistolare è fatta con la benedizione del Sanctus Angelus  di Pietro, suggeritore, e   Deus Noster, persuasore:  Benedictus sanctus angelus tuus, qui tuo pio pectore id suggessit: benedictus Deus noster, qui persuasit.

Il nucleo della lettera inizia con En  teneo  in cui  specifico valore introduttivo ha En, un’interiezione che vale di norma ecco , ora tengo, ma significa anche, dunque,  ho per mano  (possiedo queste lettere) tanto da poter  dire  bene, ah!  e da poter dare valenza riassuntiva e conclusiva   che autorizza la precisa affermazione di gloriarsi e di vantarsi   presso gli estranei del messaggio del cluniacense,  specie quando questi   lascia trasparirei  propri sentimenti, effondendo la sua anima.

I successivi tre enunciati complessi con l’ anafora di Glorior in sede princeps spiegano che il suo gloriarsi dipende

1.. dal  fatto che Pietro lo tenga non solo in memoria ma anche  in gratia

2, dal fatto che lui per il privilegio dell’amore  sia riconfortato abbondantemente dalla dolcezza   del suo pectus ( petto  metonimia per cuore ).

3.e soprattutto dalle tribolazioni , patite per la Chiesa, il cui trionfo risulta essere la sua gloria, che innalza il suo capo.

En teneo unde glorier  apud extraneos, litteras tuas  et illas litteras  in quibus  tuam mihi animam effudisti.

Glorior quod teneas me non modo in memoria,sed et in gratia

Glorior privilegio amoris tui, refectus sum  de abundantia suavitatis pectoris tui

Non solum autem, sed et glorior in tribulationibus, si quas dignus habitus sum pro Ecclesia pati.

Haec plane  gloria mea et exaltans caput meum, ecclesiae triumphus.

Marco, esamina  Plane  che ha valore  non solo di  completamente ma anche  chiaramente  ed è segno della coscienza del suo lavoro ribadito con il poliptoto mea/meum.

Professore, mi scusi, sono in difficoltà io, che la seguo da anni e che ho lavorato con lei, cosa può opporre il popolo o anche il miles, nobile guerriero semianalfabeta, di fronte alla doctrina S. Petri?

Niente!  il sacerdotium ha sempre ragione: il laborator fa il laborator e il miles il miles; ad ognuno il suo mestiere!

Come arriva ad esultare della morte di Anacleto?

Per gradi, Marco, lentamente, pacatamente in apparenza, ma poi, improvvisamente mostra la  ferocia di un  animo barbarico militaresco.

Dapprima, infatti,  mostra che Lui e Pietro sono stati socii nel tempo della lotta e lo saranno insieme nel tempo della consolazione: essi hanno dovuto collaborare e soffrire con la Madre Chiesa  per non far lamentare la Chiesa che implora col Salmista di tenersi stretti accanto a lei quando i nemici fanno impeto.

Nam si socii fuimus,erimus et consolationis. Clloborandum  fuit et compatiendum  matri, ne et nobis quereretur  dicens . qui iuxta me  erant de  longe steterunt et vim faciebant  qui quaerebant animam meam  Psalm, XXXVII,12,13.

Poi ,  fa seguire il ringraziamento a Dio – recitando il Te deum– che ha assistito e dato la vittoria alla chiesa, la onora aumentando la maestà nei lavori, portandoli a compimento tanto da volgere Tristitia  nostra in Gaudiumluctus noster  in Cytaram:

Deo autem gratias qui dedit ei victoriam, honestavit eam in laboribus  et complevit labores illius . Tristitia nostra in gaudium e luctus noster in cytaram versus est.

Infine,   Bernardo crea la scena di un paesaggio da una parte invernale, da un’ altra primaverile, essendo la data della morte  di Anacleto in gennaio inoltrato,  evidenziando il passaggio dello Hiems, l’ andarsene e il recedere degli acquazzoni e lo spuntare dei fiori in terra nostra, mentre marca il tempo di potatura quando è tagliato il sarmentum inutile  e il putre membrum (chiasmo).

Hiems transiit, imber abiit  et recessit, flores apparuerunt in terra nostra, tempus putationis advenit  anoutatum est sarmentum inutile, putre membrum.

Alla natura  fa seguire l’ azione vendicativa di Dio, che agisce  conformemente alla oikonomia divina, che punisce Anacleto, assorbendolo, inghiottendolo  risucchiandolo,  per trasportarlo in ventrem Inferi

Vien punito ille, ille iniquus qui peccare fecit Israel.

Allora cita Isaia (abbiamo stretto alleanza con la morte/ e con lo Sheol abbiamo fatto un patto) ed Ezechiele che parla del malvagio, che ha breve vita!.

Ecco l’intero passo della lettera  col famoso incipit: Ille, ille iniquus  qui peccare fecit Israel morte absorptus est  et traductus in ventren inferi. Fecerat quippe  secundum prophetam, pactum cum morte,et cum inferno foedus inierat (Isaia ,XXVII,15): ideoque  iuxta Ezechielem  factus est perditio, et non subsistit in aeternum.

Bernardo, dopo aver  mostrato che Anacleto fu un altro nemico  e  il maggiore  tra tutti ed anche  il peggiore,  tuttavia   fu da Dio troncato,  si ricorda che  il defunto papa fu uno degli amici della Chiesa anche se di quelli di cui  ci si può  lamentare secondo il detto del Salmista.

Alius quoque omnium  sicut maximus,ita et pessimus inimicus  abscissus est nihilominus et Is erat unus ex amicis ecclesiae sed illis , de quibus solet queri etdicere: Amici mei et prossimi mei  aversum me appropinquaverunt et steterunt (Psal. XXXVII,12) Ai qui restant, cito speramus  de similibus idem iudicium

La condanna è totale su Anacleto  e sui suoi  partigiani che  presto avranno la stessa  sorte.

Marco, così scrive ragiona e condanna Bernardo di Clairvaux, un abate santo, un dottore della Chiesa!