enthousiasmòs II

Non ho esaminato di proposito un caso, a me capitato rare volte (mi sembra, cinque), quello del soggetto “rallentato“.
Il caso riguarda ragazzi, nati da genitori anziani o che hanno subito un forte trauma (coma): sono di grande intelligenza  ma non hanno i tempi degli altri alunni, cioè  tempi normali di lettura e di acquisizione e comprensione  testuale, specie dei messaggi  orali.

In caso di formulazione critica sintetica complessa  acquisiscono il dato iniziale tecnico e poi si assentono dalla restante comunicazione, anche se scritta alla lavagna.

Sanno operare solo lentamente  su ogni singolo dato  e perdono il contatto con la lezione e con l’insegnante, specie se  dotato di enthousiasmos, aperto a più problemi, dinamico e vulcanico.

In casi simili l’insegnante deve darsi una calmata ed essere semplice, deve dividere gli enunciati, rallentare e  spezzare la lezione ed attendere …

I soggetti sono, comunque, elementi normali che, pur con questo svantaggio,  hanno capacità ed abilità tecniche  perfino superiori, che giungono, anche se in ritardo, ad una totale acquisizione di qualsiasi insegnamento, in quanto sanno sviluppare autonomamente i dati grazie ad una maggiore indagine analitica: la lentezza  li rende come filologi che, grazie all’arte, da orafi, esaminano e studiano il termine,  lo leggono lentamente  in profondità guardandosi avanti ed indietro  (F. Nietzsche, L’elogio della Filologia , in  Prefazione ad Aurora  1886)…

Dunque, questi soggetti, pur lenti, pur svantaggiati, sono da seguire attentamente, in quanto la loro tipicità è sorprendente …

Chi comunica con enthousiasmos deve fare molta attenzione a questo particolare caso: perciò, ho deciso la trattazione a parte per le peculiarità specifiche.

L’individuazione è semplice: il soggetto attento, meticoloso, appartato,  riflessivo, abilissimo nelle denotazioni  non arriva con gli stessi tempi degli altri compagni alla risultanza conclusiva, giungendo quindi a forme sintetiche e critiche con ritardo.

Avviene ciò perché frammentarizza l’enunciato e si sofferma maggiormente nell’analisi e di conseguenza avendo una elasticità mentale ritardata e lenta, non riesce a fare ponti e a legare i vari termini in modo da semplificare da una parte e da armonizzare significativamente il tutto, da un’altra: insomma preferisce operare perfettamente ed analiticamente su una porzione e poi procedere sull’altra e poi su un’altra ancora, dopo aver fatto tutte le operazioni che ritiene necessarie, senza fretta,  piuttosto che correre superficialmente su ogni elemento e non capire.

Soggetti tali sono classici , moderati , oraziani , tendono alla perfezione  arando il proprio campicello, avendo orizzonti molto circoscritti…

La risultanza è l’incoerenza globale conclusiva in quanto il soggetto è coerente solo a porzioni e, quindi,  arriva a conclusioni personali e si abitua ad un  vivere taciturno, da sfigato,  isolato dalla classe e si crea un suo orizzonte con una sua logica  da protagonista, vivendo contraddittoriamente il periodo scolastico, avendo una autostima alta non relata a quella dei compagni.
Egli sa , comunque, che, così facendo, perde l’insieme e non ha visione unitaria , ma non ha altra possibilità operativa per cui decide di comprendere almeno quello che può, in un isolamento scolastico, convinto di fare il suo dovere, giustificando se stesso, giudicando in cuor suo gli altri, superficiali ed appariscenti…

Capisce, dunque, male e traduce di norma ancora peggio anche se è preciso e funzionale: ha una sua idea di quanto dice o legge o sente ed agisce di conseguenza.
Ha la consapevolezza, perciò, di non arrivare mai con gli altri, ma non ritiene questo un demerito e perciò fa la sua strada senza curarsi dell’interlocutore e dei presenti, avendo una sua arroganza,  purvedendo la migliore abilità di analisi congiunta con la certezza di una coerenza e pertinenza conclusiva.
Egli, quindi, rielabora attentamente i dati, mentre gli altri seguono la lezione del professore, che ha l’urgenza di terminare il proprio pensiero e dimentica chi non segue- di cui conosce e o crede di conoscere  le capacità e qualità-.
L’insegnante rileva inizialmente solo l’ incapacità conclusiva nella sua totalità e  coglie la parziale conoscenza dell’informazione…
Inoltre quando l’insegnante ha già iniziato un altro nucleo, si sente tirare indietro dalle domande del soggetto rallentato, che chiede ,dopo quache tempo, inopportunamente, delucidazioni lessicali o semantiche, o ulteriori spiegazioni tecniche su un problema cheil docente  ha considerato già completato ed archiviato o crede di aver concluso.
Per fortuna il soggetto così dotato non ha timore di chiedere né si pone il problema di incorrere nelle “ingiurie” dei compagni  ma ha di mira solo la propria conoscenza e il suo iter: solo una volta ho trovato uno, intimorito dal vicino di banco, che lo frenava con epiteti…
Di norma, perciò, il soggetto può essere ben seguito anche se attarda  ed importuna i compagni che hanno ritmi normali.
Per me,  data la particolarità della mia lezione, divisa in quattro tempi di sette/otto minuti con un nucleo,  portato a conclusione  parziale con risultanza conclusiva in un quarto d’ora, non era difficile capire poiché il rallentato iniziava le sue esplorazioni con titubanza,  quando già era avviato il discorso sul secondo nucleo e destava le risate dei compagni che, seguendo il nuovo corso, lo invitavano a tacere e a non interrompere, desiderosi di apprendere il nuovo messaggio.
Il doppio passo della classe era evidente e perciò dovevo fermarmi, sorridere e scherzare  sulle domande tardive e fare spiegazioni ulteriori, stoppando la lezione iniziata.
Questo si verificava puntualmente ogni ora, due o tre volte, e, grazie a Dio, il ragazzo non si lasciava intimorire dagli altri ed andava per la propria strada, facendo il suo percorso che completava di norma a fine ora, con un ulteriore micromessaggio.

La comprensione totale, comunque, era per il soggetto molto difficoltosa per il fatto che tendeva a reagire ai compagni con forme autoritarie, data la precisione degli interventi.
Il soggetto a fine anno risultava sempre tra i migliori, anche se ritardava la lezione e diventava elemento di grande importanza per la classe: l’insegnante, infatti, decideva la sua strategia operativa in relazione alle risultanze del “rallentato” che, d’altra parte, dava la possibilità di ulteriori spiegazioni tecniche per i superficiali e per quelli di mediocri capacità intellettive.
La funzione del soggetto rallentato, sviluppata, autorizzava l’insegnante a lavori di passaggio tra la denotazione e la connotazione e permetteva di fare scattare le intuizioni conclusivo-sintetiche e, quindi, quelle critiche…
il soggetto, comunque, essendo per natura  attardato, è conservatore e di conseguenza valuta e giudica gli altri in relazione ai suoi tempi, presuntuosamente, senza avere vere capacità docimologiche: è un problema in famiglia dove ogni suo intervento  è demolitore non costruttivo: sa infatti vedere l’errore ma non è in grado di migliorare la situazione cotestuale e contestuale che gli sfugge, incapace com’è di portare un proprio contributo al superamento.

Genitori mi raccontavano del loro rapporto col figlio e dicevano che  in ogni discussione  era autoritario, inflessibile, testardo, unilaterale e chiedevano consigli sui modi per riportarlo ad una  misuramodus, secondo normali formule di compromesso e di moderazione: non ho mai trovato soluzioni, data la chiusura del soggetto: ho sempre pensato che si trattasse di  un tara  genetica, o, comunque di un difettoso funzionamento delle sinapsi, come per gli autistici.
Eppure,  per anni mi sono informato sulla eziologia del fenomeno a livello clinico, chiedendo spiegazioni tecniche a psichiatri, a medici, a psicologi ed anche a logopedisti, ma non ho mai avuto un’ esauriente risposta  né sul motivo, né sulle cause, né sugli organi e sulla loro sanità  globale…
Ho rilevato, però, che attendendo, con fiducia, le conclusioni, anche se tardive,  il “rallentato” arriva pertinentemente alle risultanze di qualsiasi genere ed anzi devo precisare che le sue risultanze conclusive e i suoi paradigmi sintetico-critici erano alla fine eguali, se non  migliori degli altri che, in un certo senso, (specie quelli della fascia centrale, normodotati), diventavano perfino dipendenti dalla sua formulazione critica.
Inoltre l’enunciazione critica, nominalizzata, formulata all’inizio del cosiddetto tema, come risultanza sintetico-critica di tutto il lavoro, utile ai fini della dimostrazione tecnica e della argomentazione era molto apprezzata dai compagni.

Il rallentato, però,  non dialogando, perde la reale  possibilità di comunicazione  e  non avendo  impostazione  e predisposizione alla dialettica in quanto rigido nel suo schematismo mentale, è pericoloso perché  può, se ha ascendente su un minore,  condizionare con la sua lucidità analitica,  apparendo perfino migliore di quanto in effetti sia e diventare punto di riferimento…

Il soggetto, perciò, non si sforza di comunicare perché sta bene nel suo guscio e credendo di essere  in questo modo importante e perfino necessario, crea un suo alone magico di benessere e tende all’egoismo, trascurando il vicino, tutto preso da una sua ricerca  di piacere…
Resta, però,  il disagio dell’attesa, di quel momento di transizione, se diventa lungo e per il soggetto e per chi comunica: il primo  potrebbe avere problemi psicologici istantanei di insicurezza e di timore; l’insegnante potrebbe innervosirsi e non sopportare quel rallentamento continuo di programma  che potrebbe condurlo ad etichettare il ragazzo (cosa che fanno, d’altra parte, subito i compagni) come ritardato, un epiteto che, anche se del tutto inesatto e completamente sbagliato,  è partorito dalla constatazione del fatto e dai dati apparenti  che, comunque,  sono struttura superficiale di un struttura profonda molto complessa e ricca…
Nella quotidianità della vita il “rallentato” procede allo stesso modo ed è portato a valutare gli altri come superficiali, provvisori ed  inferiori, dal fatto di essere stato a lungo in una condizione di inferiorità e di avere avuto un maggior tempo di ponderazione.

Egli ha grande voglia di rivincita e non è affatto comprensivo: a mio parere deve, invece, tenere presente che lui ha sempre il problema di arrivare in ritardo (che resta irrisolvibile)  e che gli altri, che arrivano per primi, ci  possono arrivare di norma superficialmente ed asistematicamente, ma non deve generalizzare: ci sono anche quelli che concludono bene e meglio di lui  in tempi normali.
Solo uno su cinque mi è parso consapevole di questo e quindi moderato nei giudizi sugli altri, capace di ridere su se stesso e sui propri difetti e su quelli degli altri.
Gli altri erano chiusi a riccio e non erano disposti a misurarsi effettivamente coi compagni ad operazione conclusa, timorosi di  far vedere di nuovo la loro “lentezza” di rivelare la propria inferiorità, dopo aver conseguito una stabilità sulla base di una presunta superiorità.
Compreso questo, a mio parere il ragazzo deve cercare di non valutare gli altri e lasciare ad ognuno il proprio tempo di acquisizione: solo così il “rallentato” può pareggiare la sua situazione con quella degli altri ed avere un ‘autonoma crescita, seguendo un proprio percorso senza competizione, fare la sua strada  in modo parallelo.

Per lui, però, che è un  anaffettivo, che tende all’egoismo,  bramoso solo di emergere, è quasi impossibile amare l’altro, rispettarlo e capirlo: è troppo impegnato nella ricerca di spazi propri per pensare effettivamente all’altro, per essere un  vero compagno di vita, capace di sacrificarsi.
Un pericolo grosso nella pratica, perciò, esiste: il rallentato, se misura col suo ragionamento e con la sua ottica, vede l’altro inferiore e lo censura continuamente in quanto ha maggiore capacità di riflessione, ponderazione, tempo, prima di agire e quindi può rilevare quanto sfugge al normale, che vien logorato, condizionato, ridotto allo stato di sudditanza dalla continua pressione inquisitiva…
Inoltre tali soggetti avendo grande austostima, vivendo una vita di coppia, vivono come il partner, ma non confessano il loro  segreto disagio, pur se non comprendono mai interamente il messaggio dell’altro,  che, invece, procede  nella propria esposizione concettuale e perde l’ interlocutore, che invece lo bolla, lo controlla in una volontà di umiliarlo, considerata la sua più intima insicurezza….

Il rallentato impone, così, la sua dittatura e non permette la comunicazione, per cui l’altro (uomo o donna) lo deve subire e di solito non comprende i motivi di tale ottusità e  grettezza mentale e diventa nervoso ed, a lungo andare, non accettando la situazione di vittima, può esplodere in modo violento o cadere in depressione…
Ne deriva che il rallentato  fa affermazioni inopportune  improvvise, sporadiche  quasi freddure  che gelano l’enthousiasmos comunicativo del compagno o compagna, che può sentirlo, come una palla al piede e si chiude  anche lui ….
Se, però, il rallentato comprende  per caso la  inopportunità,  diventa muto, si astrae dalla comunicazione costruttiva  per cui il partner, specie se comprensivo e disponibile,  ne risulta condizionato tanto da rinunciare alla leadership, lasciando libero il campo per l’espressione dell’altro, restando passivo in una fase attardata.

La presa di coscienza di questa inopportunità ed inadeguatezza del proprio stato comporta inizialmente una caduta della austostima e quindi un abbandono della cooperazione e dell ‘effettiva produzione: bisogna saperlo attendere e farlo riprendere  coi suoi tempi ma nel frattempo si stabilisce un rapporto tra i due attanti  non certamente di complicità e di amicizia, ma di strano  mutismo collegato a forme di acredine in quanto l’uno diventa il limite dell’altro…
C’è, comunque, una soluzione  parziale al problema: che  il rallentato conosca effettivamente il suo stato, si accetti, sorrida della sua reale condizione, scherzi sul suo disagio effettivamente riconosciuto, si astenga dal giudizio dell’altro che è in vantaggio e cerchi  di arrivare fino alla fine del messaggio senza tirare parziali conclusioni in itinere, allora il colloquio può essere  paritario e costruttivo, favorito dal compagno/a, che ha ridotto il suo messaggio, lo ha frammentato e limitato in sezioni secondo i tempi di acquisizione del partner…
In questo modo forse i due,  conoscendosi, possono suddividere i tempi,  comunicare e svolgere una precisa funzione sociale (pur consapevoli di una imperfetta comunicazione, rassegnati ad un rapporto tronco- questo passa il convento-), appaiando il loro codice possono anche  vivere serenamente senza reciproche critiche ed accuse, considerando normale il loro rapporto…

Si complica, però, tutto nel caso in cui il soggetto deve educare il minore  in quanto i suoi schematismi, rigidi, non gli consentono la necessaria flessibilità nei confronti di chi sta imparando:  la sua lezione è sempre cattedratica, frontale, categorica…

Personalmente non affiderei mai un nipote ad un rallentato perché ha tutto per condizionare il minore: ha sufficiente pazienza, sa disciplinare fermamente,   sa avere toni moderati, sa giocare, sa interessare, in quanto è ancora infantile  nei comportamenti…

Se dovessi affidarlo per necessità, poiché so bene che il rallentato  non ha continuità  in quanto si stanca facilmente ed è  pesantemente rigido nell’impostazione e  soprattutto non è in grado di orientare effettivamente perché ha un breve raggio di azione e gli sfugge l’intero percorso educativo, cercherei di subentrare nell’educazione e formazione del  minore creando un sistema ludico alternativo con precisi percorsi  paradigmatici in modo da dare alternative   in relazione alla varietà situazionale …

E questo accade se la vita scorre normalmente, ma cosa succede quando ci sono difficoltà, disagi, malattie, quando è necessaria una vera comunicazione  tra i coniugi?…