Ellenizein significa ellenizzare ed ellenizzarsi, diventare greco, comporta la perfetta conoscenza della lingua (come unico mezzo per koinonein, per comunicare nel kosmos della basileia ellenistica) e l’uso del sistema pratico tradizionale greco. che sottende l’avvenuta integrazione culturale.
Ma cosa pensiamo quando sentiamo dire ellenìzein?
Pochi hanno le idee chiare: forse solo chi conosce ellenismo (il termine ellenismos deriva da G.Gustavo Droysen che lo coniò sulla base degli Atti degli apostoli che parlano di cristiani ellenisti, distinti dai cristiani giudaici) comprende ideologicamente il significato di un fenomeno che diventa pratica di vita dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.), dopo l’uso comune di una lingua (dialetktos koiné), in tutto l’ecumene orientale, caduto sotto il potere macedone.
Esso è una cultura che si esprime chiaramente, dopo la battaglia di Ipso (302 a.C.) tra i diadochi (successori di Alessandro ) e poi dopo Kyropedion (282 a.C.) nell’assetto costituzionale di quattro monarchie fondamentali (Regno di Siria, Regno di Egitto, Regno di Macedonia, Regno di Pergamo), in cui si attua una politica liberale, basata sulla legge garantita dal basileus, sulla omonoia (concordia). sulla isonomia (parità dei diritti), sulla philanthropia (humanitas, coscienza di essere uomo, solidale con gli altri uomini), su un’etica platonico-stoica, centrata sul logos animatore della phusis e sul logos animatore (psuchè,anima, to egemonikon guida del soma, corpo umano,) dell’uomo corporeo, microKosmos, parte del tutto, macrokosmos, al fine di un benessere personale, di una eudaimonia sociale ed universale, in una visione armonica di ogni parte, cosciente di essere razionale e naturale.
Il vivere secondo ragione e natura è proprio di ogni saggio, che tende a conformarsi armoniosamente con il tutto.
Se si comprende questo modo di pensare, forse si riesce a capire il modo di vivere da greco, sia in Occidente che in Oriente, dove il sistema ellenico è veicolato dalla nuova cultura, formatasi dall’incontro di più popoli e da una comunicazione nuova per tutti coloro che aspirano ad uniformarsi secondo la nuova via progressistica, che è anche via di collaborazione e di pacificazione tra le varie etnie, mediante le attività commerciali e finanziarie (emporeuesthai, askein trapezan- mensam exercere), favorite dalla diffusione della dracma.
Quelli che hanno questa coscienza, di norma, sono aristocratici e cittadini (protoi kai politai) non popolari e contadini, che, pur vivendo in diverse patrie, hanno la comune coscienza di essere cosmopoliti: perciò ci sono romani, cartaginesi, galli, egizi, cilici, panfili, bitini e perfino sacerdoti giudaici che sono ellenisti cioè greci di cultura, senza esserlo di nascita, che sono razionali e miti, qualità che li distinguono dai barbari, che costituiscono l’altro mondo, connotato da irrazionalismo e da ira e violenza.
Cosa vuol dire, dunque, ellenizein concretamente per un giudeo, che ha mentalità greca, che si fa greco?
Significa avere una doppia patria, una doppia nazionalità, una greca ed una universale, frutto di una paideia katholikotera (educazione più universale), in relazione alla paideia specifica della propria stirpe.
Ellenizein, in quanto comporta un’acquisizione culturale nuova, diventa, quindi, un nuovo modo di vivere con una nuova educazione, oltre a quella patria (secondo la formazione, ricevuta in sinagoga fino ai tredici anni, in relazione alla torah– al nomos, alla legge-), che viene impartita ai giovani nel ginnasio, nell’ efebia, a cura di un ginnasiarca, per essere neoi ed essere censiti tra i politai (cittadini) della patria in cui si vive: senza questo corso non si era greci e quindi non si poteva partecipare alla vita della città, in cui l’ebreo era nato e viveva.
Mi sono sempre chiesto come un giudeo possa entrare nell’ efebia ed integrarsi nello statuto del cittadino, cosa che avveniva durante la festa delle Apaturie, secondo il sistema attico-ionico.
Questa festa culminava, al terzo giorno, detto Koureotis, con una cerimonia d’iscrizione dei giovani, censiti per la guerra, in cui si faceva un sacrificio ad Artemide, detto Koureion, durante il quale c’era l’offerta dei capelli di ogni neos.
Forse c’era una qualche dispensa per il giudeo circonciso che, in alternativa, faceva un sacrificio al suo Dio o pagava denaro per la festa pagana: non ci sono però decreti in tal senso ma solo prostagmata invitanti i governatori e città dell’imperium romano a fare concessioni generiche gli ebrei e a volte anche a proteggerli dai pagani (Cfr. Flavio, Ant.Giud. XIV, 185-323).
Ellenizein significa, però, un cercare di mediare tra le due culture, un mettere insieme il theos (Zeus) con Shaddai (Altissimo) , un trovare una sincresi unificante il culto greco con quello ebraico, cucire insieme filosofia pagana e teologia giudaica.
Questa sintesi non era concepibile per ogni amante della legge e risultava inconciliabile con la tradizione per gli hasidim (i puri) in quanto la conciliazione tendeva ad un‘ eudaimonia umana sulla terra, costruita dall’ingegno personale e la separazione netta e recisa consisteva nel subire passivamente il volere di Dio, che ha ab aeterno un piano sul fedele, sconosciuto ed inconoscibile per l’individuo.
Quindi se si voleva rimanere nella retta via del giudaismo non bisognava cercare nemmeno i compromessi e le scorciatoie legalistiche…
Essere methorios filoniano invece è il risultato di una doppia cultura sincretisticamente vissuta, che certamente era un grande problema per ogni individuo e comportava un cedimento alle prescrizioni e un distacco dalla cultura tradizionale (che mal sopportava una ibrida integrazione con altre culture perché rigidamente ancorata alla legge mosaica) e procurava lacerazioni profonde nello spirito di un giudeo della diaspora, necessariamente obbligato a misurarsi con i pagani, con i quali conviveva in ogni città del Mediterraneo e dai quali era odiato per la ricchezza.
Ellenizzarsi era il prezzo pagato per vivere in mezzo agli altri senza conformarsi, restando sempre ebreo, per mantenere la ricchezza tutelata proprio dai diritti, derivati dall’essere definito greco e dall’essere iscritti tra i cittadini dell’impero romano, dopo la dokimasia (il giudizio dei delegati della comunità cittadina).
Bisognava pagare per essere accettati nella loro diversità, bisognava corrompere per essere alla pari degli altri greci.
Ellenizein era però, soprattutto, un’interruzione di comunicazione tra fratelli che si sentivano divisi in quanto uno, quello palestinese, era e rimaneva di cultura aramaica ed agricola un ham ha aretz, (popolo della terra), zelante della fede, legato alla legge, mentre l’altro viveva nel benessere, in quanto emporos/commerciante ed ellenistico, ma aveva un morale equivoca, una fede filosofica: la preghiera dello Shemà era differente per le referenze sottese nei due diversi codici linguistici.
Ellenizein per un Giudeo era un vivere pericolosamente, un rischiare ogni giorno, avere una spada di Damocle sulla testa perennemente: in Palestina, per il pericolo dei fratelli integralisti; in ogni città del Mediterraneo, per il timore delle classi superiori greche, commercialmente antagoniste, e dell’irrazionalismo delle masse cittadine: bastava un niente (una parola, una falsa notizia, una pestilenza, una carestia, un terremoto, una guerra, un qualsiasi accidenti) a scatenare la folla di nemici, che distruggevano il lavoro di generazioni.
Perfino in Parthia era pericoloso essere ellenizzati perché a Ctesifonte e nelle altre città predominava la cultura mesopotamico-medico-persiana e, siccome spesso giudaismo era sinonimo di benessere e di commercio, capitavano tumulti popolari che massacravano l’etnia straniera: comunque, gli scontri di culture erano molto più ricorrenti nell’impero romano in cui, di solito, c’era l’eccidio (o espulsione) della pars vinta.
Per un giudeo, dunque, ellenizein nel primo secolo d-C. significava avere un tenore di vita da greco, seppure mediato e sincretistico, un servire due padroni, un essersi integrato nel sistema greco-romano, pur rimanendo barbarico nell’animo: vivere da greci contraddiceva il pensare da israelita; la cultura della vita e dell’individuo non poteva sposarsi con la cultura della morte e del collettivismo; la libertà dell’uomo non poteva fondersi con la totale dipendenza da Dio; l’autonomia della filosofia, come episteme, contraddiceva necessariamente la teologia.
Quanto era faticoso, difficile, equivoco percorrere la via del giudeo ellenista!