Di una probabile centuriazione romana nel Piceno

Mattia, tuo nonno ha una sola massima: volere il meno possibile e cercare di conoscere il più possibile!. Sono stato, perciò, uomo, curiosus, libero di parlare, lavorare e costruire ed ho operato da solo, senza dovere niente a nessuno, facendo, spesso, lo stupido, sorridendo dell’avidità  altrui, vivendo entusiasticamente, anche da vecchio.

*Sento parlare da tempo di scoperte archeologiche nell’ ager cuprensis ed alcuni compagni mi hanno detto di chiederti cosa c’è di vero non solo su Cupra marittima ma anche sulla villa maritima di S.Benedetto del Tronto. Io ho detto che sto leggendo Erode basileus, un tuo libro che parla di Ventidio Basso, un ascolano vincitore di Parthi e di un suo ritorno nel Piceno, dopo il trionfo a Roma.

Mattia, se mi stai leggendo, hai già capito dalle domande di Marco, mio ex alunno, la mia theoria

di una centuriatio picena sull’ager cuprensis e di una probabile villa maritima del dux ascolano!

*Nonno, i romani possono aver fatto, davvero, una divisione territoriale nell’ager cuprensis, con Ventidio Basso, che, oltre tutto, si costruì una villa marittima? Faccio questa domanda perché sono sollecitato dai miei amici, ma specialmente perché ho letto nelle pagine 95-97 di Erode basileus in Giulio Erode il filelleno-opera da poco  edita – quanto dici all’ingegnere Marco, un ex alunno, ora tuo amico, anche se ho capito poco o niente circa il tuo reale pensiero:….Ci sembra utile, per concludere definitivamente circa la figura di Ventidio Basso, riportare quanto afferma Strabone (Geografia, XVI, 1,28), che mostra come i parthi abbiano fatto in epoca augustea concessioni alla supremazia dei romani, rinviando a Roma i trofei, sottratti a Crasso, e come Fraate abbia affidato ad Augusto anche i suoi figli e i figli dei figli, per assicurarsi tramite ostaggi, l’amicizia, tanto da chiedere, perfino, il nome di chi li possa comandare. Strabone, poi, aggiunge: (Ibidem, VI, 4,2 C 288): i parthi vengono spesso a cercare chi li governi e sono quasi pronti ad abbandonare tutta la loro autorità nelle mani dei romani/oi de nun metiasin enthende pollakis ton basileusonta, kai schedon ti plhsion eisi tou epi Roomaiois poihsai thn sumpasan eksousian. Ed infine il geografo, magnificando Augusto e Tiberio e l’imperiumne giustifica l’egemonia, affidata ad un solo uomo oos patri/ come ad un padre, lodando il potere autocratico imperiale, capace di assicurare pace ed abbondanza di beni (ibidem). Tu, nonno, comunichi che il re dei re dei Parthi, vinti, vuole non la guerra, ma la pace, e., perciò, invia i figli ad Augusto come ostaggi, a Roma e sottendi che già è finita la guerra tra Ottaviano ed Antonio, dopo la battaglia di Azio, e che comincia la pax augusta; chiuso il capitolo della guerra parthica mostri il rinvio del vincitore per il trionfo romano, pur destituito dal comando militare, con una conclusione riassuntiva: Dunque, l’episodio di Samosata  rientra nella guerra di Antonio contro Antioco di Commagene, dopo una guerra iniziata tardivamente da Roma sotto  il consolato di L. Marcio Censorino e C. Calvisio Sabino, anno 39, poi conclusa  nel 38, sotto i consoli Appio Claudio Pulcro e G. Norbano Flacco. Subito dopo, Antonio, giunto in Commagene, dà a Sosio il mandato, di governare la Siria,  dopo aver destituito Ventidio, che torna in Italia. Sosio sottomette  gli Aradi e vince Antigono, poi, fatto uccidere ad Antiochia, da Antonio, che dà il trono ad Erode. Strabone, tante volte citato da Flavio, è, per te, la voce reale del tempo, capace di  evidenziare esattamente la situazione di Erode, subito dopo la vittoria di Ventidio Basso a Gindaro – Cfr.  www.angelofilipponi.com  I commentari storici di Strabone – e quella generale dell’impero romano!. 

Mattia, tutto mi sembra chiaro!

*A te, ma non a me. Io, nonno, non ho ancora capito bene ed entro in merito alla questione solo con la successiva  domanda di Marco – Professore, Ventidio,  tornato in patria, vive nel Piceno? – e poi con la tua nuova risposta ho cominciato, nonostante la confusione, ad orientarmi nel problema : Non si sa, ma si ritiene che coi suoi uomini, specie con quelli del consilium principis, abbia fatto la centuriazionecome fece Munazio Planco  in Campania e poi Ottaviano  in Puglia, a  Racale e a Taviano, – e costituito su una vecchia colonia il municipium – munus capio/assumo il diritto-dovere di civis – di Cupra, dove esisteva un culto di una dea autoctona,  ora,  invece, venerata con riti tipici della Commagene  e Cyrrestica, come Hera. Ho capito, quindi, che il condottiero ascolano può fare una centuriazione, come già avevano fatto altri duces e forse ha la possibilità di costruire una villa marittima in zona di Ripa cuprensis (Cuprae mons) e supponi -secondo quanto dice G. Colucci, (Antichità picene, Fermo, 1786) Haec fuerant quondam montana cacumina Cuprae– che la località possa trovarsi sotto il Colle di Guardia, in contrada Magazzini odierna!.

Cosa non ti è chiaro?

*Il fatto che la tua supposizione, nonno, suscita meraviglia in Marco. Infatti il tuo amico dice di meravigliarsi che  tu, professionista serio, possa  fare affermazioni simili, contrarie al tuo stile di ricerca e la tua risposta sorprende ancora di più il tuo interlocutore . Infatti ribadisci  di sapere   da Strabone, Plinio, Dione Cassio, Procopio e da carte medievali che il mare  … all’epoca  penetra nell’interno piceno, dove ora sono gli alvei dei fiumi e dei torrenti – Tronto, Ragnola, Albula, Tesino e Menocchia che formano fiordi/rias lambendo Cupra/ Marano/ Ripatransone attuale –  e parli dell’esistenza di una villa di notevoli dimensioni,  di cui sei testimone avendo tu  visto tracce  e trovato mattoni, embrici  e pietre di diverso peso e perfino piccole fornaci. Arrivi, nonno, perfino ad ipotizzare una villa  di vaste dimensioni, che possa arrivare non solo al paese alto dell’odierno S. Benedetto del Tronto, ma anche alla  Villa Sgariglia, a Grottammare, fino a Cupra alta, di cui il parco archeologico è parte – che potrebbe includere  terme, teatro, odeion, ninfeo, – essendo una villa molto più grande di  quella dell’eques Vedio Pollione, a Posillipo, di solo 36 iugeri – 9 ettari – (cfr.  I. Varriale,  “Posillipo. Tra  mito e storia”,  Napoli, Valtrend  2011  e  A. Della Ragione,  Posillipo e Mergellina tra arte e storia,  Napoli,  2017) .… e sulla base  di Cupra, come municipio, costituitosi,  dopo la  battaglia di Gindaro del  38 a.C.,  dopo  il ritorno di Publio Ventidio Basso  nel Piceno- un civis che ha volontà  di finire la sua vita  nell’otium e in patria, dopo il trionfo romano– consideri  non  improponibile l’idea di una sua villa  non lontana da Cupra, dove sono i suoi commilitoni come decuriones o centuriones, eletti  quattuorviri municipali, avendo già reso colonia triumviralis Asculum.  Come vedi, nonno, io ho letto, ma sono in difficoltà anche perché devo poi parlarne con gli amici.

Mattia, ritengo davvero che Ventidio Basso, un consularis di grande fama, sia tornato nel Piceno, sua patria, da cui era stato portato via come prigioniero di guerra con la madre da Pompeo Strabone, dopo la presa di Asculum nell’89 a.C. e la costituzione della città, iscritta alla tribù Fabia, come municipium.

*Nonno, tu  vuoi dire che Ventidio Basso sia morto nel 27 a.C.   nel Piceno, dopo  avere, in un decennio, costituito Asculum colonia triumviralis, costruito la sua villa e fatto la centuriatio per i suoi uomini, compagni di battaglia a Gindaro, – forse 1.600!- ?

Mattia, è possibile  che il dux possa aver fatto queste tre cose e che specialmente abbia edificato la sua villa di cesariano, in una zona,  dove fino a pochi anni prima aveva dominato la familia di Gneo Pompeo, ora  controllata dai triumviri Ottaviano ed Antonio, anche se vi sono rimasti uomini  come Lucio Taruzio – cfr. L. Taruzio  in www.angelofilipponi.com – innamorati di una regione frastagliata,  incantevole  per  i golfi, molto simile, come paesaggio,  a quello che oggi possiamo ammirare a Kotor, in Montenegro, nell’altra parte dell’Adriatico- cfr. H. Mielsch , La villa romana, Giunti, Firenze 1990-.

*Nonno, la villa romana, come già hai detto altre volte, è di vario tipo e di diversa grandezza

Mattia, secondo Plinio il vecchio e Vitruvio, esiste una villa come  residenza di campagna del dominus -padrone, raggiungibile  in qualche ora o in qualche giorno di viaggio dalla capitale  (o da un’altra città),  di solito con  villa rustica,  con funzioni di fattoria, occupata in modo permanente dai servi o dagli schiavi, che ci lavorano per i padroni. Cicerone chiama la sua villa praedium e la chiama dal toponimo Tusculanum, Pompeianum, Puteolanum e non fundus, che ha valore solo agricolo; Orazio parla della sua villa di Licenza (Sat. II. 7.118; Ep. 1 14 1-3 ), di un vilicus con cinque famiglie di coloni e con otto schiavi; Lucullo di quella del Circeo e di altre ville (cfr. Varrone, III,17,9 e Plinio il vecchio , St.nat.IX,170). Di Lucullo è nota anche la villa di Miseno costata 10.000.000 di sesterzi, oltre a quella di Miseno, famosa per le spese folli per l’approvvigionamento di acqua per le piscine, in quanto fu necessario forare intere montagne, a detta di Plutarco ( Lucullo ,59,) tanto da destare l’ironia di Pompeo che, dopo il suo maestoso quadruplice trionfo, lo bollò come Serse togato per aver fatto uccelliere nella villa di Tuscolo costose più per suo diletto personale che per guadagno . Nel periodo di Ventidio, infine molti cives , specie duces in pensione, costruiscono ville non solo in Italia ma anche in Gallia e Spagna e oltre che in Oriente, come Fabato e lo stesso Erode.

*Tu, nonno,  parli delle ville come di una moda ed ubichi la villa domini,  pars dominica, a S. Savino- dove c’è l’odierna Fattoria Merli, – che, allora , aveva sotto il mare molti terreni, oggi collinari , degradanti verso il torrente Tesino, mentre collochi  quella massericia  – pars rustica-  nel  terreno agricolo di Evandro Terenzi, in quanto  abitazione servile del vilicus con depositi, anch’essa con terreni posti sotto il mare, nella dorsale che ha ai suoi piedi l’Albula mentre  quella fructuaria  era adibita alla lavorazione dei frutti e del pesce a S. Benedetto Alto, – che era una piccola penisola con due lingue collinari, una minore separata e racchiusa tra la vallata dell ‘Albula e quella del Tesino, circondate da acqua, che formavano una barriera al mare, anche se rotta da fossi, che formavano con l’altra maggiore, compresa tra Tesino e S.Egidio – Menocchia un unicum di elevata altezza, che era la punta delle dorsali appenniniche e sibilline che giungevano degradando sulle rive boscose marine con S.enedetto, Monte Secco e Grottammare- Monte s. Aureliano e colle s. Andrea fino al colle cuprense settentrionale, bagnato da ogni parte dalla sommersa vallata fluviale.

Pars dominica – Fattoria Merli

Pars massericia -rustica e fructuaria- S.B.T (Abazia, Palazzo vescovile, Chiesa di S. Benedetto martire e vecchio incasato)

 Si Mattia,.A me sembra  che la villa marittima,  di cui parliamo,  consti di varie parti 

*Dunque, nonno, tu parli di tre parti, una dominica e due massericie rustiche?

Si, Mattia io mi riferisco ad un’ azienda agricola romana, simile a quelle guidate da un dioicheths  in Oriente-  Cilicia,  Egitto,  Siria,   come ho mostrato in Giulio Erode il filelleno,– cfr. M. Rostovtzeff, The Social and Economy History of the Ellenistic Word, 1941- mentre in Occidente, specie in Italia, penso ad un vilicus –fattore e considero la villa Rustica in epoca imperiale,  sostanzialmente, nucleo agrario, a conduzione familiare, con migliaia di schiavi , che  produce  quello che serve per il sostentamento quotidiano,  ma  che vende  quello che avanza  della produzione di olio, vino,  ed anche di pesce, specie salato, messi in anfore, di cui se ne sono trovate nella nostra zona, molte, alimentari,  del tipo  Nino Lamboglia ( Cfr. BRUNO B. 1986, Considerazioni sul commercio e l’importazione di anfore nel territorio mantovano, in annali benacensi, VIII, pp. 41-53; CARRE  M. B. 1985, Les amphores de la Cisalpine et de l’Adriatique au début de l’Empire, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, 97, pp. 207-245;  LYDING WILL E. 1982, Greco-Italic Amphoras, in Hesperia, 51.3, pp. 338-356)

 Museo del mare San Benedetto del Tronto con alcune anfore Nino Lamboglia, simili a quelle del museo dell’isola Maddalena

*Nonno, ma… da Contrada Magazzini a San Benedetto del Tronto sono circa 5 km. La villa non era troppo grande, come estensione di territorio?

Non devi meravigliarti, Mattia, perché  con l’accrescersi della potenza di Roma, nel I secolo, già nell’epoca del II triumvirato, le ville marittime  passarono da 125 ettari – di solito dati ai milites assegnatari per Centuratio- ad oltre 6.000 ettari,  il cui scopo non era più semplicemente quello di sfamare il padrone e la sua familia, ma anche e soprattutto di vendere i prodotti in eccesso, anche su mercati lontani, specie quelli provenienti dall’allevamento ittico di acqua dolce e salata. Sappi che nel I secolo a.C. sorgono peschiere costruite, secondo Varrone (De re rustica II,17,2 – cfr. Economie rurale, a cura di J.Heurgon, 1978) con bacini, in muratura, molto costosi e di non facile manutenzione.

*Nonno, pensi davvero che la villa marittima sambenedettese potesse avere questa funzione?

Non lo posso dire con certezza, ma è opinabile che la servitù locale con gli schiavi orientali potesse svolgere un compito costruttivo e fare piscine più probabilmente sulla dorsale collinare che volge verso l’Albula che sulla zona dell’ odierna Villa Sgariglia e monte Secco, anche se si sono trovate fornaci sulla cresta della collina, che scendeva verso il Tesino.

*Ecco perché Marco, che conosceva realmente il valore della villa, azienda agricola, e sapeva dei tanti schiavi impiegati nel lavoro,  chiedeva  anche sul fenomeno del nuovo culto della dea Cupra, da parte di migliaia di milites, designati come destinatari dei lotti della divisione terriera in una terra pompeiana, confiscata, dicendo: Professore, il culto della dea Cupra preesisteva, con riti autoctoni, comunque? Antico era il culto di una dea autoctona, venerata da popolazioni di agricoltori,  che avevano seguito  il dux piceno nella campagna contro i parthi e che avevano visto i riti religiosi tipici della Cappadocia, della Commagene e della Cirrestica, specie della dea Ma, a Comana  Khrush-aurea,  distinta da Comana pontica, un santuario succursale del Ponto, regolato da una comunità sacerdotale…Per lei, quindi, Ventidio, vista l’assimilazione della dea autoctona con Cibele e con Ma, decide di fare la centuriazione nell’ager cuprensis, con l’approvazione del senato, per un motivo anche religioso, dopo la campagna parthica e il trionfo celebrato a Roma, come imperator,  avendo avuto il consenso del triumviro Antonio, riappacificatosi con Ottaviano, fratello di Ottavia,  e il mandatum – l’incarico di sistemare i suoi fedeli milites, come ricompensa del servizio ai veterani, congedati?   e tu, nonno,  perciò, gli rispondevi  che  la scelta dell’ager cuprensis era  connessa con la religiosità picena e col sistema agricolo…. e che il culto di Cupra arcaico assomigliava a quello di Enyon-Ma della Cappadocia, venerata anche in Commagene come Magna mater-grande madre-,  oltre che in tutta l’Asia minore, secondo Strabone- Geografia,12,3,32-  che parla di una comunità retta da sacerdoti, il cui sommo sacerdote talora diventava basileus della nazione stessa,  come Archelao, consuocero di Giulio Erode il grande, padre di Alessandro, marito della Cappadoce Glafira, deposto da Tiberio nel 17 d.C.. e quindi aggiungevi  Sappiamo poco,  ma possiamo compararlo con quello di esseni  e farisei, -che contrariamente ai sadducei, facevano distinzione, volendo la separazione del potere sacerdotale da quello politico, convinti di dover dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio– e con quello del collegio degli augures. Il culto di Enyon-Ma, trasferito a Cumana pontica, e poi in Italia, a Cupra – se è esatto il nostro ragionamento-   mantiene la stessa funzione comunitaria  e la stessa separazione tra poteri ed, assimilatosi con quello  dell’ antica dea  autoctona, diviene nel Piceno culto di Cibele magna mater,  Demetra-Cerere, secondo le linee varroniane  agricole,  come quelle originarie  di Marte e di Bellona, ora con le caratteristiche fogge importate,  cappadoci,   di divinità portatrice di vittoria,  tanto da essere invocata  come  Hera guerriera vittoriosa-Nikeforos thea. Da questo dialogo, nonno,  ho avuto l’idea di  chiedere di Ventidio Basso e di una suddivisione dell’ ager picenus per i suoi soldati vincitori dei parthi, come per una compartecipazione concreta alla gloria del suo trionfo di dux , vendicatore della morte di Licinio Crasso con quella del partho Pacoro!.

Mattia, io, 5 anni fa, così dicevo a Marco, ritenendo possibile la centuriazione a Cupra e la costituzione di un municipio, in una località, dove era l’antico santuario di Cupra, perché i rappresentanti dei suoi soldati erano venuti nella zona, loro assegnata dal senato, con gli augures e gli agrimensori, contenti di seguitare a venerare la dea cappadoce Enyon-Ma, ripristinando il culto della loro dea autoctona, fuso, comunque, con quello orientale.

*Nonno, se lo dicevi, avevi i tuoi motivi per scrivere! tu sai e sai fare e questo insegni ame risulta che tu di norma non parli a vuoto!.

Mattia, io so da Varrone che nel I secolo a. C. a Roma c’è volontà da parte senatoria di investire sesterzi sui terreni italici e di fare industria, in un impegno ad adattare lo sfruttamento del suolo al bisogno del mercato -cfr. P- Grimal, La civiltà dell’antica Roma, Newton Compton editori 2006-. Quando finisce la Repubblica, anche cambia l’agricoltura italica, che prende a modello la dioikesis orientale , amministrata da professionisti economico -finanziari, gestori di immensi territori, dati in concessione dai re lagidi e seleucidi, specie ad ebrei, funzionante da secoli. Sembra che si attua in Italia, in larga scala, un processo agricolo che incentiva il suolo italico, specie quello campano e quello della costa del centro Adriatico, per la cultura delle vigne e degli oliveti – oltre che dell’allevamento aviario ed ittico – . Pensa, bello di nonno, che secondo Varrone le nostre vigne possono produrre centinaia di ettolitri ogni ettaro ( cioè con quattro iugeri, 10.000 metri quadri!)- P. Grimal ( op. cit p.198) arriva ad affermare che i vigneti italici possono dare 210 ettolitri all’ettaro ! Varrone, infatti, dice, dopo aver affermato che nessuna regione può competere con l’ Italia per frumento, per vino ed olio, citando Apulia, Falerno e Venafro , oltre che per frutteto, in considerazione del clima ottimo, peninsulare, in quanto è terra, capace di dare iugerum unum denos et quinos denos culleos vini/dieci ed anche 15 cullei di vino- un culleo vale 520 litri perché equivale alla capacità di 20 anfore – di 26 litri ciascuna- e perciò, 10 cullei sono 52 ettolitri, mentre 15 cullei 78 ettolitri, per cui 4 iugeri – 1 ettaro – producono rispettivamente 208 e 312 ettolitri -cfr. De re rustica 2, p.590, Opere di Marco Terenzio Varrone, a cura di Antonio Traglia, Utet 1974- : l’erudito aggiunge che nel territorio di Faenza – ager gallicus romanus… qui viritim cis Ariminium datus est ultra agrum Picentium/ situato tra Rimini e il Piceno che fu ripartito tanto a testa fra i soldati ogni iugero produce trecento anfore di vino (15 cullei, in quanto ogni 20 anfore hanno il contenuto di un culleo, che è un otre- sacco di pelle, cucito a mano, ristuccato ) per cui le viti sono chiamate trecenarie ! –ibidem -.

* Pet te, nonno, Varrore è basilare in questo tuo lavoro.

Non solo Varrone ma anche Cicerone, Plinio il vecchio e il giovane, Columella. Infatti, Varrone di Rieti, conosce la zona picena e, pur vecchio, ottantenne, quando dedica la sua opera a Fundania, sua moglie, proprio nell’anno in cui noi pensiamo che Ventidio venga nel Piceno nel 37 a C. , insegna alla donna che ha comprato un fondo- emisti fundum, e che lo vuole rendere fructuosum bene colendo/ fruttuoso con una buona coltivazione, a procedere funzionalmente nel lavoro e prova ad orientarla col De re rustica, mediante la precettistica greco-ellenistica, citando re (Gerone ed Attalo III) filosofi, poeti, narratori oltre ad Esiodo, a Menecrate di Efeso a Magone cartaginese, a Dicearco di Messina, discepolo di Aristotele.

* Nonno, mi vuoi dire, allora che Ventidio, uomo che aveva fatto carriera coi muli e col ritiro dell’ immondizia urbana, in quanto garzone addetto allo stallaggio, divenuto ricco, poi, e capace di fare politica tra i populares ed abile nel trasporto delle vettovaglie di Cesare in Gallia, tanto da diventare suo auriga personale, per giungere ad avere un grado militare nel suo esercito gallico, come legatus alla pari di Marco Antonio, Asinio Pollione, Emilio Lepido, Munacio Planco, Tito Labieno e da essere determinante nel bellum mutinense e da trionfare infine coi parthi e da esser osannato a Roma dal senato, risulta infine un civis che, congedato dal servitium militare , come dux emeritus, autorizzato a fare una centuriatio e a costruirsi un villa marittima, diventa un commerciante attivo con la sua azienda agricola che funziona come nuovo modello produttivo!?.

Mattia, un militare di valore, amato dai suoi soldati, può anche creare una fattoria modello, avendone visto la funzionalità in Oriente e poi anche in Italia da altri comandanti di eserciti, emeriti, come Lucio Lucullo

Veduta della piscina di Lucullo al Circeo
Ricostruzione della piscina di Lucullo al Circeo

 

 

 

e pur avendo qualità da commerciante, si era segnalato per le abilità pratiche e quotidiane contadinesche, e per la gestione finanziaria dell’ erario militare, anche nel corso del Bellum mutinense, e si era comportato, dopo la morte di Cesare come suo fidus legatus e seguace popularis contro i Cesaricidi e i Pompeiani,- ora di nuovo esultanti col favore del senato, che lo bollava come hostis nel 43 a.C., prima della battaglia di Modena e di Forum Gallorum,- per cui ebbe i beni sequestrati con la sua domus romana: solo, dopo 5 anni, poté ritornare a Roma coi suoi milites vittoriosi nella campagna parthica, per il trionfo e per il risarcimento dei danni finanziari subiti precedentemente, tra lo stupore e la meraviglia degli aristocratici, che lo avevano conosciuto come schiavo, liberto e mulattiere cfr. A. Gellio, Notti attiche XV,4 – .

Nonno, una bella storia quella di Ventidio Basso!

Certo , Mattia, Ventidio è un vir felix, fortunato in ogni impresa. E’ uomo che dimostra di essere dotato di grande ingenium, di esser dux prudens, avveduto ed astuto, in quanto risulta in situazione il migliore, non solo in politica e in guerra, ma anche in pace e nell’amministrazione della azienda agricola della villa marittima sambenedettese-cuprense, giustamente definito dai greci anhr theios kai eutuches. Ora, da dominus di villa, ha al servizio dioichetai e vilici, segue anche i consigli del pompeiano Varrone reatino, che conosce la legge Licinia del 367 a.C. – che vietava di avere più di 500 iugeri,- e la Lex Iulia del 59 a.C. sull’ ‘ager campanus e le ultime leges applicative per le centuriationes italiche, affidate a commissioni di 20 membri , tra cui lui stesso, che controllavano le nuove ville che ora appaiono fondi agricoli spettacolari più dei palazzi urbani senatori, pur sontuosi, tanto che i patres andavano a vedere il loro deposito di frutta –oporotheka- e le loro voliere e pescherie, come Lucio Lucullo andava a vedere pinakotheka (Varrone, I.10): ormai il sistema agricolo è considerato ars, un’ars non modo necessaria ac magna/sed etiam –scientiaconoscenza di quello che si deve seminare e fare in ogni campo per produrre regolarmente i frutti più copiosi,( ibidem 1, 3)!.

*Nonno, quindi, all’ epoca di Ventidio Basso c’è in Italia una fioritura di villae maritimae, dato il valore della Lex Iulia e l’abrogazione di quella Licinia ?

Dopo la sconfitta di Marco Antonio ad Azio, inizia la moda delle villae sulle coste italiane tirreniche ed adriatiche ed in particolare di quelle, dotate di piscine, ad imitazione di quelle ellenistiche dei re orientali, usate, però, solo come riserva di acqua per l’irrigazione o come vasche per i pesci, da servire in tavola per i bisogni delle corte nei palazzi regi, situati vicino a bacini lacustri o fluviali e talora anche sulle coste marine. Si conoscono ville di pubblicani, esattori di tasse in Galilea, sul lago di Tiberiade oltre a quelle di Erode il grande ad Ascalona e a Torre di Stratone- Cesarea marittima, sul mare.

*Si conoscono anche vivaria con allevamenti di specifici pesci ?

Si. Secondo Plinio il vecchio ( St. Nat, IX 170) i romani, diventati ghiotti di pesci, faranno in seguito sontuose cene facendosi servire a tavola infinite portate di ogni genere di carne e di pesce (cfr. Petronio Sathyricon Coena Trimalchionis e cfr. Tacito-, Historiae – che afferma tutta l’Italia, dall’uno all’altro mare, fu saccheggiata perché il grande ghiottone avesse squisite vivande; e le più autorevoli persone delle città e le città medesime andarono in rovina a furia di imbandir mense ). Questo è confermato da Svetonio -(Vita di Vitellio) che parla del piatto preferito dall’imperatore, detto Scudo di Minerva con fegati di scauro, cervelli di fagiano e pavone , lingue di fenicotteri ed animelle di murene, pescate nel Mediterraneo dalla Siria alla Spagna.

*Dunque, nonno, i romani nel I secolo a C. fanno aziende agricole come industrie commerciali.

Mattia, noi trattiamo di una villa funzionante tra il 37-27 a. C. ma già da tre o quattro generazioni si costruivano ville sontuose, iniziate col ritorno di Lucio Lucullo dalla contestata spedizione contro Mitridate. Infatti Plinio fa la storia degli ostrearum vivaria parlando di Sergio Orata (140-91) e della sua villa di Baia, come uomo abile a .popolare di pesci piscine artificiali e laghi naturali, così da avere sul Velino e sul lago di Bolsena spigole, orate e tutte le altre razze di pesci che tollerano l’acqua dolce, e , come inventore.- primus pensiles invenerit balineas-impianti per bagni , che poi le rivendeva così allestite, a prezzi altissimi e facendo grande profitto ed era così bravo da trovare posti diversi in Italia, arrivando perfino a mettere in competizione le ostriche di Brindisi con quelle del lago Lucrino. (cfr Varrone III,12.1, Columella de re rustica, VIII ,16; Macrobio III, 15.3; Valerio Massimo, IX 1.1; oltre a Marziale III, 60 e Giovenale 4.140). Plinio il giovane nel suo Epistolario parla anche di ville, specializzate in allevamento di chiocciole ad opera di Quinto Fulvio Lippino, e tratta anche di voliere con centinaia di di volatili, e soprattutto ad opera di Lucio Licinio Murena, un legatus di Lucullo nella III guerra mitridatica, pretore, governatore della Gallia transalpina, console nel 63, vir accusato di corruzione e difeso da Cicerone, considerato inventore di ogni tipo di vivai per murene e per tutti gli altri pesci / reliquorum piscium vivaria invenit, divenuto per i patres, latifondisti, modello di innovazione industriale , per le generazioni seguenti. Lo zio naturalista fa perfino i nomi dei tanti imitatori, l’oratore Quinto Ortenzio e i comandanti militari Lucio e Marco Lucullo, che furono i proprietari maggiori delle migliori ville che, alla loro morte, furono vendute a prezzi altissimi, anche per il valore delle opere d’arte in esse esposte (ibidem, 170). Anche C. Hirrio è ricordato per aver fornito murene a Giulio Cesare dittatore per i le cene , durante il suo trionfo e per aver venduto la sua pur piccola villa a 40.000.000 di sesterzi. Sembra che da questo evento inizi una competizione tra i vari allevatori, che si impegnano a fornire ogni tipo di pesce non solo a corte ma anche sui mercati cittadini anguille, polipi, gronghi, muggini aragoste- sull’esempio dei commercianti orientali ed africani – Ponto, Bitinia , Egitto e Cirenaica-. I romani , dunque, diventano ghiotti di pesce, seguendo anche Ortenzio Ortalo – che per l’allevamento nelle piscine della sua villa di Bauli paga schiere di pescatori , adibiti a catturare varie specie ittiche in alto mare, selezionate per per la riproduzione- e gareggiano nel fare commercio di pesce di acqua dolce e marina. Perciò, non dovrebbe destare meraviglia se Ventidio Basso, dux emerito, avesse costruito una villa maritima nel Piceno!.

*Nonno, a questo punto mi sembra quasi naturale che lo abbia fatto!.

Mattia, ancora di più ti convinci, se pensi che il dedicarsi all’ agricoltura e in specie all’allevamento è dettato dal sicuro reddito e dal godimento , in quanto l’azienda produce ricchezza e dà soddisfazioni e piacere (ad utilitatem et ad voluptatem,) e che ciò si verifica in un momento iniziale di pax tra i due triumviri, legati da parentela, e poi di pax augusta dopo la vittoria di Azio di Ottaviano su Antonio e di grande euforia occidentale, agricola, rispetto all’oriente vinto, di superiore cultura commerciale ed industriale: gli stessi terreni agricoli italici, specie centrali, ora, hanno maggiore valore per la conformazione stessa territoriale , che degrada dai monti verso le colline interne fino a quelle marittime.

*Nonno , la morfologia del Piceno è proprio questa: si va dal mare in montagna attraversando le colline interne in un’ ora di macchina.

Questa conformazione picena favorisce la coltivazioni di viti e di ulivi anche per Varrone che indica perfino il punto dove ubicare la villa, alle falde di un colle boscoso /sub radiibus montis silvestris , esposta a venti saluberrimi , in una campagna ricca pascoli …con sotto i piedi il mare … coi pesci.

Pavimento di Villa marittima

*Nonno, I Romani, dunque, costruirono lungo le coste moltissimi impianti come porti, stagni marittimi, peschiere e cave ed allevarono murene, orate, anguille, triglie e persino lo scaro. Le piscine di acqua salata. però, erano segno di ricchezza, costose da costruire, mantenere e gestire e non sempre redditizie?.

Mattia, secondo Varrone che riferisce che Lucio Locullo, facendo addirittura perforare un’altura in modo tale che l’acqua di mare potesse fluire nelle sue piscine da due diversi lati e facendo progettare un tunnel sotto il livello del mare con una diga, per farvi fluire due volte al giorno, grazie alle maree, l’acqua di mare, andò incontro a spese troppo elevate,-e in un certo senso lo condanna alludendo alla megalomania anche di Marco Lucullo, sperperatori di patrimoni come facevano nei loro fastosi pranzi. Varrone invece consiglia gli stagni marittimi in quanto strutture più semplici e remunerative, usate per allevare e vendere il pesce nei mercati locali e per integrare la dieta dei piccoli possidenti.

*Varrone, quindi, dà indicazioni tecniche e semplici, utili ad ogni romano .

Certo, Mattia , Varrone consiglia, però, sua moglie, che gestisce una villa, coadiuvata da esperti dioichetai / vilici e trapezitai-nummularii Gli stagni marittimi, perciò, che sorgono in aree marittime poco fertili non solo del Lazio, della Campania e di alcune isole dell’arcipelago toscano, ma anche nel territorio faentino e in quello piceno , a detta di Columella autore del I se. d. C.) sono da sistemare a seconda dei pesci che vi devono vivere. Infatti l autore afferma che Lo stagno marittimo veramente ideale è quello disposto in modo tale che ogni successiva onda del mare scacci la precedente e non lasci che l’onda vecchia rimanga entro il chiuso….e che sette piedi d’acqua (2 metri) sono più che sufficienti per i pesci. Se lo stagno è allo stesso livello del mare si scava di più, fino a 9 piedi (2,70 metri) e a due piedi (60 cm.) dalla superficie si costruiscono , per mezzo di cunicoli, delle cascatelle d’acqua per far sì che l’onda arrivi con grandissima abbondanza. Inoltre Columella aggiunge che anche le piscine per pesci, come sogliole e rombi, possono essere profonde circa 2 piedi (60 cm.)là dove non c’è punto scoperto neanche durante la bassa marea–.mentre si devono disporre sui margini dei paletti molto fitti, che sporgano sempre dal livello dell’acqua…oltre a gettare in cerchio dei massi in modo tale da abbracciare per un giro l’intera piscina….così da rompere la furia del mare— per cui il pesce, stando in uno specchio d’acqua tranquillo, è indisturbato nel suo riposo, e il vivaio non si riempie così di materiali che il mare getta a riva durante le tempeste.

*La stessa cosa, nonno, quindi si deve dire per i vigneti e per gli oliveti ?

Certo. Infatti gli autori, dopo aver esaltato i prodotti italici affermano che le nostre vigne italiche sono le migliori in quanto possono produrre ad ettaro molti più ettolitri delle altre occidentali ed orientali , come gli oliveti, poiché la cultura di viti e di ulivi risulta redditizia lungo le dorsali collinari interne e le colline marittime, dove sembra che non vengono trascurate nemmeno gli allevamenti di polli, oche, pavoni e fagiani, marmotte cinghiali, castori , nella convinzione varroniana che la nobiltà locala municipale possa consumare anche la carne come accadeva a Roma, rifornita dalle voliere e delle fattorie della vicina Sabina dove la vendita dei tordi allevati rendeva 60000 sesterzi- cfr P. Grimal cit – 199 -.

*Quindi, nonno, la villa poteva rendere anche molto.

Sicuro. Se ci aggiungi le cave di pietre e pietrisco, breccia e arena con le fornaci di cui sono piene le nostre colline marittime, capisci quanto guadagno un dominus poteva avere specie se collegato con la domus Domizia , il cui capofamiglia. Gn. Domizio Enobarbo,- antenato di Nerone- legatus antoniano, anche lui, che, all’epoca possedeva fabbriche di mattoni sulla collina del Vaticano e faceva grandi affari, incentiva altri a seguire il suo esempio in adatte zone italiche.

*Nonno, io ho capito che a Ventidio Basso, ex mulattiere-mulio e netturbino, conveniva come dux venire nella nostra zona, nell’ager cuprensis, una penisoletta costituita da due lingue di terra prospiciente il mare, come già detto, ma davanti a tante informazioni , io mi perdo e mi confondo, non avendo chiaro niente sui culti orientali e sulla centuriazione, su municipio, su augures e agrimensori , e perfino sui condottieri emeriti, che vivevano in otium.

Mattia, io ho parlato con i mei alunni varie volte di questi argomenti ora non ho voglia di ripetermi. Sappi , comunque, che era costume romano chiamare emerito un personaggio che, finito il servizio pubblico, il compito a lui affidato dallo stato, era accantonato, e veniva messo in pensione, dopo aver ricevuto gli onori militari per i suoi meriti. Il termine emerito, infatti, deriva  da emereo, es emerui, emeritum, emerère o emereor, emeresis, emeritus sum emereri che valgono ambedue finire il proprio munus-compito dopo aver ben meritato e si diceva di un  miles veterano che finito il servizio, come uno strumento inservibile per quel lavoro, era utilizzabile per altri compiti-munera  come quello dell’agricoltore.

*Bene, nonno. Mi hai convinto sulla possibile venuta di Ventidio Basso nell’ ager cuprensis, anche perché da te so che, a Roma, aveva perso nella guerra mutinense, la sua domus, confiscata in quanto il senato lo dichiarò hostis!. Comunque, mi riesce difficile pensare alla zona picena come una regione frastagliata con fiordi-rias, là dove ora ci sono i corsi fluviali e le vallate.

Mattia lo deduco dal tragitto fatto da Annibale dopo la vittoriosa battaglia del Trasimeno nel 217 a.C. e da quello dell’esercito di Giulio Cesare, dopo il passaggio del Rubicone nel 49 a.C. e il suo arrivo nella zona picena. Infatti, si sa da Tito Livio che Annibale viene con l’esercito nel Piceno sull’ Adriatico e vi giunge, attuando un piano, già preparato, con precise tappe intermedie, senza attraversamento dell’Appennino centrale, essendo grande il desiderio dei soldati di riposare e di ristorarsi dalle fatiche militari coi cavalli e con gli elefanti, essendo il dux ben consigliato da guide locali. Dopo la battaglia,  Annibale lascia liberi i prigionieri  italici,  affermando che era venuto per liberarli da Roma,  unica sua nemica, cercando di staccare le città umbre dalla federazione con latini, mentre, però, tentava l’assedio di Spoleto  e passava tra le popolazioni dei Pretuzi, Marrucini e Frentani, svalicando l’Appennino, intenzionato, dopo una tappa di riposo sulle rive dell’Adriatico piceno, ad andare in Puglia,  considerata terra ricca di foraggi e di bestiame.

Sabina -Historical Atlas di W.R. Shepherd 1911- Albula posto dopo il Tronto mentre è prima –
Cartina attuale agricola delle Marche
Monti Sibillini e monti della Laga
Cartina attuale di Marche-Abruzzo

* Secondo te, nonno, Annibale non arriva al Mare Adriatico come pensiamo noi oggi, che abbiamo la ss Adriatica 16 e la Ferrovia davanti alle spiagge litoranee, all’epoca, inesistenti, tutte sotto l’ acqua del mare, che formavano, invece, una zona frastagliata con molte rientranze nell’interno piceno?

Mattia, Annibale, a mio parere, arriva al mare,-che allora era ai piedi delle colline trasversali litoranee- in tre punti diversi del Piceno, sulla collina trasversale ripana, boreale, nella vallata del Tesino, oggi zona detta del Ponte– incrocio tra i comuni di Offida, Castignano, Montalto, Montedinove e Cossignano- dove lascia una parte dell’esercito con cavalli ed elefanti da curare, poi, attraversata la dorsale collinare ripano-cuprense, si ferma con parte della fanteria nella valle della Menocchia, incrocio tra Ripatransone, Carassai, Montefiore e Massignano, per scavalcare l’altra dorsale, fino alla zona di Rubianello sotto Monterubbiano, nella vallata dell’Aso, dove si ferma l’altra parte dell’esercito con lo stato maggiore, ad una distanza media dal mare di una diecina di chilometri, avendo timore della flotta romano-picena. Sarebbe ripartito da lì, dopo un mese per ricongiungere l’esercito, non lontano da Asculum per andare in Apulia, dalla zona di S. Giuseppe attuale, luogo di raduno di tutto l’esercito, per la via Aprutina, attraverso il territorio dei Vestini a quello dei Marsi e dei Sanniti prima di giungere nella zona di Canne.

*Tu, nonno, mi hai parlato dell’astronomo fermano Lucio Taruzio, un pompeiano, che insieme ad altri pompeiani, potrebbero aver ceduto terreni ai cesariani antoniani di Ventidio Basso, che avrebbe potuto inglobare parte anche dell’ager firmanus, lungo l’ Aso. Non ci sono potrebbero essere stati altri duces, che si sono fermati nella nostra zona, che è anche segnalata in Tabula Peutingeriana cfr. www.angelofilipponi.com?

Mattia, sappiamo da Tullio Cicerone in Lettere ad Attico, VII,12b, …Caesarem in castrum Truentinum venisse ( Gn. Pompeius procons. L. Domitio procons.) e si conosce anche il tragitto fatto da Giulio Cesare fino al Castro, dal punto dove, allora, era la foce del Tronto,-in zona Marino ? Tra Colli e Poggio di Bretta? a Monsampolo ? ! -a poche miglia da Asculum, dove era un presidio pompeiano – per dirigersi, passando per l’interno collinare, fino a Corfinium e, attraverso il territorio frentano, per arrivare fino a Luceria e poi a Canusium.

Luceria

Detto questo, Mattia, non so né posso aggiungere altro e neanche congetturarlo perché nessun scrittore ne parla, anche se lo ritengo possibile, dato il precedente di Asinio Pollione, che assegna terre ai veterani di Ottaviano nella provincia di Cremona, estendendosi anche in quella di Mantova nell’anno 40, per come si lamenta Virgilio in Egloga IX,28  Mantuae vae miserae  vicina , e per come dice in Egloga I,1-3 Nos patriam fugimus, nos patriae fines/ et dulcia linquimus arva . Impius haec tam culta miles habebit /Barbarus has segetes. D’altra parte è opinabile perché il triumviro Marco Antonio già aveva concesso a Munacio Planco, che sta per partire per l’Asia, di assegnare nell’ager campanus territori ai suoi milites, reduci dalla battaglia di Filippi.

*Perciò, nonno, lascia perdere la mia domanda e torna a dirmi qualcosa sulla centuriazione. Dunque, per fare una centuriatio occorrono molti uomini di diversa professione oltre agli augures, che hanno una funzione sacra.

Mattia, devo dirti che vicino alla zona in questione ci sono stati ritrovamenti del I secolo prima di Cristo e dopo, come dolia e vasa sul monte Cretaccio. Devo aggiungere che certamente l‘ager cuprensis, all’epoca, comprendeva il vasto territorio di Ripatransone di 74,17 kmq- di cui buona parte era sotto le acque marine- abitato da cives cuprensi in quanto la località era detta Cuprae mons.(cfr. Edvige Percossi Serenelli, La civiltà picena. Ripatransone: un museo un territorio ed. Maroni 1989 ) il cui castello fu assediato nel IX secolo d.C. tre volte nell’827, 829, 835, dai saraceni, arrivati via mare, che ancora si estendeva nella vallate odierne del Tesino e della Menocchia. Nel museo di Ripatransone, infatti, ci sono reperti di epoca romana, in quanto il comune insieme a tanti altri comuni limitrofi faceva parte dell’ager cuprensis – nel cui territorio si sono fatti ritrovamenti casuali di monete consolari in contrada Castellano , ceramiche in Fonte antico, Tesino, Piaggiole, Capo di Termine – che confinava col territorio di Truentum a nsud.

*N*onno, il nome di Ripatransone è medievale, allora?

Mattia, se seguiamo l’ amico e collega Alfredo Rossi- autore di Vicende ripane, 2007, insegnante per quaranta anni nella Scuola Elementare statale, insignito di medaglia d’oro dal presidente della Repubblica per il lodevole servizio, nel 1992, curatore dei XX tomi di Antichità picene dell’abate Giuseppe Colucci(1752-1809)- dobbiamo dire che su Ripatransone ci sono molte e diverse letture: alcuni parlano di un nobile, franco, del IX secolo, nominato conte di Truentum e che riunì i quattro castelli dell’acrocoro cuprense ( Agello, Monte Antico, Capodimonte e Roflano- che sembrano invece riunti dal vescovo fermano Ugo nel 1096!), altri di un longobardo beneventano dell’ XI secolo, Transone dopo la battaglia di Civitate sul Fortore del 1053, altri -come G.B. Fedeli, autore di un kronikon– di una Ripa trans Asonem come località montuosa al di là dell’Aso.

*

Nonno, dunque oltre all’attuale territorio di Ripatransone, era parte dell’ager cuprensis non  solo l’acrocoro ripano ma  anche  le colline marittime di SBt., Grottammare, Acquaviva Picena oltre quelle interne Cossignano, Carassai, Massignano, Montefiore, Campofilone?

Si ,Infatti,   Cupra confinava  anche con Firmum e Novana-Montedinove -cfr. Plinio il vecchio Naturalis Historia (III,110-111.112,) –  con cui  faceva  parte della “Quinta regio Piceni”, dal nome della popolazione che vi abitava prima della conquista romana e che era collocata fra il fiume Esino a nord, il fiume Saline a sud (Montesilvano), l’Appennino a ovest e l’Adriatico a est « Quinta regio Piceni est, quondam uberrimae multitudinis  Picentium in fidem p.R. venere. orti sunt a Sabinis voto vere sacro. Tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria (Atri)colonia a mari  p. flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum Novum , flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relicum est, flumina Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit.Cupra oppidum, Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima. intus Novana; in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano . intus Auximates (Osimo), Beregrani – Civitella del Tronto-, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini. 

*Non hai, Nonno, una foto della Tabula Peutingeriana circa l’ager cuprensis ?-

Certo Mattia. Ho lavorato sulla carta a lungo ed anche sulla pars della nostra zona. Eccola

Mattia , mi piace farti vedere anche Decrittione de la Marca d’Ancona già detta il Piceno per mostrarti quanto ancora era frastagliata ancora nel 1572 la costa e farti notare le differenze con quella di Philippo Cluverio del 1619 (cfr.Joseph Partsch, Philipp Clüver, der Begründer der historischen Länderkunde, Vienna 1891)

Descrittione Marca di Ancona di Tommaso Porcacchi
Il Piceno di Philippo Cluverio

*Bene, nonno. Riprendiamo il nostro discorso circa le tante figure, necessarie per una centuriazione. Comunque, prima ho bisogno di sapere da dove venivano o meglio per quale strada passavano i milites per arrivare all’ager cuprensis, a loro destinato.

Mattia, dopo il trionfo col loro dux, avuto il decreto del senato, i 1600 milites congedati e rimandati da Antonio col loro comandante, presero la via salaria, che, da quasi due secoli univa Roma al Piceno.- cfr. Bevan G.L. (Manuale di geografia antica, Firenze 1876) che considera la via un monumento della strategia militare romana e dice che il territorio sabino era attraversato per la sua lunghezza dalla Via salaria, che partiva da Roma per Rieti ed Antrodoco attraverso gli Appennini fin nel Piceno, giungendo ad Ascoli da cui scendeva nell’ Adriatico/ mare superum

*Bene nonno Ma… dove esattamente?

Mattia, mi fai una domanda difficile perché non è stato rinvenuto esattamente tutto il percorso della antica via Salaria e perché esistevano altre vie che andavano apparentemente lungo la costa da Ancona ad Aternum-Pescara, ma in effetti passavano una all’interno e un’altra, partendo da Ancona per Osimo giungeva a Nocera, sempre valicando le direttrici trasversali collinari e perciò, la prima si univa con la via Valeria -cfr. Radke Gerhard, viae pubblicae romanae Bologna 1981-, e la seconda con la Flaminia. Comunque, secondo Delio Pacini (Elementi di geografia antica, Firenze 1876 ) la Salaria varcava l’Appenino presso Amiterno, arrivava ad Ascoli e, passata la città giungeva sull’Adriatico, ma da Ascoli si staccava un ramo che passava per Offida, Ager cupresnis , Fermo e da lì per Potenza picena alta e Numana ava ad arrivava ad Ancona ed infine a Fanum.

*Bene nonno. Hai altro da dirmi?.

Mattia, si sa che Augusto restaura la via salaria nel 16 a.C. come si legge nella pietra miliare CXXIII visibile a villa S. Giuseppe oltre Marino, ad est di Ascoli Piceno , in cui si tratta di un prolungamento fino a Truentum, non ben segnalato come punto geografico cfr. G. Radke, cit. , in U. Picciafuoco, l’abbazia dei SS. Benedetto e Mauro presso il fiume Tronto, 1984. e S. Andreantonelli, Historiae asculanae libri IV, Padova 1673.

*Bene nonno. Non capisco, però, come l’ager cuprensis, che confina col territorio di Truentum, possa essere raggiunto senza passare per Truentum?

Mattia, tu ragioni con la geografia morfologica di oggi e tieni presente la nuova Salaria, che si innesta con la Litoranea statale a Porto d’Ascoli, dove presumibilmente veniva collocata anche Truentum attraversata dal Tronto comprendente anche parte del territorio di Martinsicuro, senza considerare l’acqua marina che in epoca romana, invece, inondava quella parte della vallata fluviale. Tu non pensi che se Augusto aveva fatto porre la pietra miliare nella zona oltre Marino, quella doveva segnare il punto di confluenza del fiume col mare e quindi la Salaria attuale e la SS. Adriatica 16-ex Lauretana – erano inesistenti in quanto il mare lambiva da una parte la dorsale collinare destra della vallata del Tronto coi paesi di Castorano, Colli, Aquitino, Corneto, Sambuco, Monte S.Paolo, Monteprandone Monte Cretaccio, e da un’altra , quella sinistra con Ancarano, Controguerra e Colonnella e Torri del Tronto . Quindi, dopo il decreto del senato, Ventidio poté venire nell‘ager cuprensis e fare la centuriatio iniziando il rito con gli àuguri, quando il sistema agricolo repubblicano, che impediva il latifondo con la legge che imponeva che un civis romano non avesse più di 500 iugeri – cioè 125 ettari- era infranto dalle concessioni per villae di oltre 24.000 iugeri/6000 ettari, fatte con lo scopo di creare fattorie italiche modello, tali da competere in esportazione di prodotti con quelle secolari orientali, ben guidate da dioichetai-amministratori professionisti.

*Chi sono gli augures? nonno

ll collegio degli auguri , inizialmente, era costituito da 9 membri- tre per ogni tribù ( Ramnes Titienses e Luceres) – ed aveva compiti di studiare ed osservare il corso degli uccelli e fare gli auspici (aves spicio/osservo gli uccelli), poi furono aggregati altri per esaminare organi interni degli animali (interiora) o per leggere altri segni, e il numero fu fissato da Cesare pontefice a 16 elementi. Nella centuriazione questi erano incaricati da tre censori di iniziare la pratica con una funzione religiosa collettiva mediante gli auguri cioè con i favorevoli auspici, indicando il tempo opportuno dopo le maledizioni a chi violava i confini segnati e toglieva i cippi, sotterrando perfino una statuetta di Priapo fecondatore, con uccello basculante anche in senso apotropaico . Questo rituale pubblico, veniva registrato, scritto ed inviato ai consoli coi nomi degli agrimensori e censori , che facevano le divisioni territoriali.

*Si tratta di una pratica pagana, che è connessa con funzioni sacro-religiose?.

Si.Mattia. Anche i pagani avevano culti propri e dei che dovevano proteggere i nuovi proprietari, assegnatari legittimi di terre secondo editti senatori che, oltre tutto, disciplinavano l’impiego di tanti schiavi portati dai soldati vincitori a Gindaro, ora devoti della dea Cupra, assimilata ad Enyon Ma, portatrice di vittoria. Ti ricordi che i romani tendono ad assimilare Iuppiter con Zeus, Minerva con Athena, Marte con Ares, Giunone con Hera, Venere con Afrodite, Mercurio con Ermhs, messaggero degli dei e dio dei mercanti – ed anche con Priapo, dio della fecondità.

*Certo nonno.

Tempio di Comana

Quindi, i soldati, assimilata la dea Cupra con Ma, hanno un culto per una divinità autoctona collegata con riti simili a quelli di Bellona   e costruiscono un sontuoso tempio, godente di grande fama, simile a quello orientale che, secondo alcuni storici, era un santuario, punto di incontro di tutte le popolazioni dell’Italia centrale , tale da coprire le spese del suo mantenimento e di quello delle migliaia di suoi hieroduli (schiavi del tempio), in quanto dotato di grandissimi latifondi tanto che la città, essendo appannaggio del tempio, era direttamente governata da un sommo sacerdote che aveva grande rilievo , in relazione al mercato, anche a Cupra?.

Mattia non lo so, se a Cupra accadeva quello che succedeva ad Emesa e nelle succursali della dea Ma, dove i re sacerdoti lentamente acquistarono potere anche politico, come i sampsigeramidi , i soemidi, connessi coi membri della famiglia reale cappadoce e con la famiglia dei bassianidi, di cui risultano poi o membri Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, Giulia Mesa, le cui figlie sono Giulia Soema e Giulia Mammea , rispettive madri di Eliogabalo e di Alessandro Severo, che regnano dopo Macrino, cfr.Eliogabalo in www.angelofilipponi.com

*Nonno, quindi, si tratta di riti necessari per ottenere il favore divino secondo il costume orientale?

Certo Mattia I romani sono religiosi e sono anche razionali e abili in ogni loro azione, specie se pubblica e di utilità comune: si servono di un corpus di geometri, che, fatto il lavoro di divisione sulla base di decumano ( orientamento nord-sud) e cardo (orientamento ovest- est), tengono presenti le varianti territoriali in relazione alla conformazione della zona – paludosa, pianeggiante, collinare, montuosa – e si servono di precisi strumenti di misurazione, propri degli agrimensori che hanno la groma– che ti faccio vedere in una ricostruzione moderna- Roma parla sempre di iustitia! Nelle ripartizioni in 1600 porzioni bisogna procedere con equità e nel rispetto sacro dei limites! .

Lo strumento, detto groma, serve  per tracciare sul territorio allineamenti tra loro ortogonali, necessari per frazionare il territorio in quadrati o rettangoli, al fine del calcolo delle superfici da distribuire equamente.

*Nonno, lo vedo, ma non capisco come è fatto e come funziona?

Lo devi usare?

* No, ma mi piace sapere il suo funzionamento e sono curioso come te.

Bene, comunque, se vuoi, te lo dico. E’ uno strumento costituito da un’asta verticale,  conficcata nel terreno, che ha sulla sommità un braccio di sostegno per due aste, tra loro ortogonali. Le estremità delle  due aste presentano dei fori a distanza uguale, sui quali vengono appesi dei fili a  piombo, che sono a due a due, tra loro ortogonali e sono utilizzati per traguardare i capisaldi. Basta così?. Non è il caso di fare ulteriori aggiunte precisazioni, inutili per il nostro lavoro!.

*Nonno la centuriazione è, quindi, un’opera degli agrimensori, che hanno stabilito secondo giuste misurazioni, già un territorio da dividere, dopo aver avuto un decreto del senato ? Nonno, tu conosci varie centuriazioni a cominciare da quella famosa dei soldati di Ottaviano che hanno ettari da Asinio Pollione e altri generali nel 40 a.C. quando Virgilio scrive ‘egloga IV e riesce a mantenere il proprio terreno grazie alle conoscenze politiche, mi puoi far rilevare le reali differenze tra le centuriazioni?

Mattia, io conosco anche quella fatta da Munacio Planco nello stesso anno nella zona laziale- campana, oltre questa di Ventidio Basso, probabile, e quella successiva di Ottaviano con un numero maggiori di milites da sistemare al suo ritorno dall’Egitto nel 29 a.C. quando autorizzò la centuriazione apula, in cui forse sorsero i municipia di Racale e di Taviano e di altri paesi limitrofi -cfr. A.S. Serio, Racale in età feudale , Claudio Grensi editore, 2022 pp.19-53.- ma non vedo la necessità di seguitare a parlare della divisione territoriale picena, che risultò una normale ripartizione dei terreni in centuriae,- un’unità di superficie equivalente a circa 50 ettari con lati di circa 707 metri, con cui furono appagati i milites con 8.000 ettari – come si potrebbe con molta fatica verificare nelle tracce delle centuriazioni che sono ancora oggi evidenti, nelle linee di confine/limites- dopo modifica delle leggi precedenti che assegnavano due iugeri (che costituivano un heredium) a testa e che imponevano che il quadrato nel suo insieme doveva comprendere 100 lotti e per questo motivo fu detto centuria. Sappi, Mattia, che la centuriatio era un atto di costituzione del municipio stesso coi suoi stabiliti quattuorviri – di cui due erano iure dicundo cioè decurioni addetti alla amministrazione della giustizia e due erano curatores publici come guardie civiche, addetti anche all’edilizia. cfr. R. Camaiora, Territori centuriati nelle province: Cartagine e la Tunisia, in Misurare la terra : centuriazione e coloni nel mondo romano, Modena, s.d. (ma 1984), p. 250-254;B. Campbell, The Writings of the Roman Land Surveyors : Introduction, Text, Translation and Commentary, Londra, 2000.

*Grazie, nonno, e di avermi introdotto allo studio di una pagina storica di Roma repubblicana e di avermi orientato nella comprensione della figura di un grande personaggio ascolano, di cui nessuno sa niente, nonostante la presenza ad Ascoli del Teatro Ventidio Basso, intestato alla memoria di un dux, unico tra i romani, vincitore dei Parthi!.

Verissimo, Mattia. Forse si poté dire nikeths anche Lucio Vitellio nelle sue Memorie! Non certo Traiano né Lucio Vero poterono fregiarsi del titolo di Parthicus, anche se lo fecero: Adriano, successore del primo, dovette accordarsi con loro, riportare i confini all’ Eufrate e riconsegnare l’Armenia, mentre il secondo, pur avendo preso Seleucia, abbandonata, portò e diffuse la peste nell’impero romano cfr. Marco Aurelio e la famiglia, in www.angelofilipponi.com

Foto

Il teatro Ventidio Basso -interno