Cleopatra muore felice: la sua eudaimonia felicità si sta mutando in una sorta di makarioths beatitudine, che si esprime in un sorriso enigmatico e divino, proprio di una paredra della dea Iside.
Muore come Regina, vestita come Iside. Giace come una dea, preparata per il suo viaggio ultraterreno: Carmione ed Ira, le sue devote ancelle, giacciono anche loro morte ai piedi: hanno fatto in tempo ad acconciare anche il diadema sulla testa della signora degna di eternità che regna anche nella morte.
Ottaviano la trova su un letto d’oro, abbigliata degli ornamenti regali (cfr. Plutarco, Antonio 85)…
La sua morte indolore,(la regina ha provato e riprovato come si muore,approvando la soluzione dell’aspide -Ibidem, 71) è evidente nel volto.
C’è la soddisfazione della beffa al suo vincitore, l’imperatore G. Cesare Ottaviano, il figlio adottivo di Gaio Giulio Cesare, suo figliastro.
La regina aveva fatto un operazione di alta ingegneria, in segreto, nella zona di Clisma-Arsinoe per congiungere il Mare Nostrum col mare Eritreo.
Cleopatra calcola mentalmente i tempi necessari di un viaggio fino alle spiagge dell’India.
La regina ha nel viso i segni di una pacificazione totale, la makarioths isidea: ha ancora coscienza, capisce che in India è al sicuro suo figlio Cesarioon, il suo piccolo Cesare, Tolomeo XV.
L’india è grande, lontana dai Romani!
Gode per la realizzazione del suo sogno: l’allontanamento del figlio dall’Egitto e la sua sistemazione in terra indiana: ha ricevuto la notizia del felice approdo di Cesarione!
Le regina, dopo che Antonio si era ritirato a Faro, dove era vissuto in solitudine, come il misantropo ateniese Timone, si era dato a preparare con squadre di architetti e di technitai e con una massa di banausoi, la definitiva sistemazione dell’istmo che, a partire dall’odierna Ismailia, arrivava allo sbocco sul mare Eritreo, utilizzando la precedente canalizzazione pelusiaca.
Sapeva che l’istmo di 3000 stadi (circa 55,5 km), che faceva da confine tra Africa ed Asia, poteva essere percorso con una nave in meno di quattro i giorni e che occorrevano altri 10 giorni per arrivare a Berenice, oggi Bender Kebir, città portuale al confine con la Nubia, a 400 km. da Hurghada attuale e a 151 km. da Marsa Alam odierna .
Aveva disposto parte della sua flotta all’estremità dell’istmo davanti al Mar Eritreo, in una zona dove i Nabatei, pur respinti, avevano perfino fatto incursioni per incendiarla.
Insomma aveva fatto un piano alternativo per una fuga, per salvare almeno i suoi figli, senza informare Antonio, che era a Faro (Plutarco, Antonio, 69).
Aveva fatto imbarcare parte del suo tesoro, depositato nel tempio di Iside, oro, argento, pietre preziose, ebano perle, avorio cinnamomo (ibidem,74)
Al ritorno di Antonio a Lochias nella reggia, l’imperator, dopo la sconfitta di Azio e lo sbarco di Ottaviano in Egitto, aveva ripreso la solita vita anche se aveva annullato la compagnia, il sunodos dei sodali inimitabili e aveva creato quella dei destinati alla morte.
Per fare cosa gradita a Cleopatra, Antonio, che nulla sapeva dei progetti sul suo figliastro, appena tornato a corte, preparò nel gymnasion l’iscrizione, essendo gumnasiarca, di Tolomeo Cesare XV tra gli efebi con la stima dei suoi beni come neos poliths, dopo aver dato la toga virilis, senza l’orlo di porpora, ad Antillo, il figlio avuto da Fulvia, allora quindicenne.
Con un ingente patrimonio il giovane principe era stato affidato dalla regina al pedagogo Rodone, che era anche il suo maestro di retorica e tutore, in quanto therapeuoon.
Questi era stato inviato segretamente dalla regina col compito di congiungersi con una nave allestita appositamente per la rotta indiana, a Berenice.
Nella massima segretezza Cesarione, vestito da militare, si era mescolato ai legionari reclutati da Antonio che dovevano difendere il porto sul confine con la Nubia.
La regina aveva fatto segnare le tappe e si era tenuta costantemente in contatto e col comandante della flotta sul mare Eritreo e col dux della legio, un civis egizio ebraico, Menedemos, che guidava la spedizione verso la Nubia: aveva intenzione di trasferire i suoi tesori regali nei depositi bancari ebraici di Berenice e di Baricaza in India in talenti d’argento e di oro e in pietre preziose, in modo da garantire una vita principesca per il figlio di Cesare, in esilio.
Riceveva messaggi in contemporanea, quasi, dai suoi informatori quasi ogni due settimane, e quindi sapeva dove si trovava la nave, che portava i tesori dopo aver lasciato lo stretto pelusiaco, dove era suo figlio, che faceva il tragitto lungo dalla foce Canopica risalendo il Nilo fino a Tebe (Luxor) e che, poi, a marce forzate, attraversando il deserto, doveva giungere a Berenice, via terra.
Le era giunta la notizia dell’arrivo della nave ebraica coi tesori a Berenice e poco dopo dell’arrivo dell’esercito e di suo figlio nello stesso porto: i suoi ordini erano stati rispettati.
Solo allora si chiuse nel suo Mausoleo, che era un’appendice, con la grande trapeza ebraica, della reggia, sulla collina Lochias.
Non le importava più niente di nessuno, neppure dell’amato Antonio: sapeva bene chi era il vincitore, non stimava nemmeno i tentativi fatti da Antonio il 1 agosto di far uscire la flotta dal Porto grande così da attaccare Ottaviano e da far scontrare le sue legioni con quelle del rivale; aveva capito che ormai crollava il mondo suo e quello del suo imperator circondato da traditori e da disertori pronti a saltare sul carro del vincitore.
Aveva capito l’astuto piano di Ottaviano che, non potendo riconoscere i diritti ereditari dei suoi figli né potendo deporre Antonio, senza correre rischi, come aveva fatto con Lepido, tergiversava ed era benevolo con lei, destinata ad ornare il suo Trionfo a Roma.
Ottaviano temeva Cesarione: il senato conosceva il figlio naturale di Cesare ( e molti senatori lo avevano visto a Roma, prima della sua morte) che, quindi, aveva diritto come lui ad essere il capo della domus Iulia: il figlio di Cleopatra era erede per diritto naturale, (l’imperator l’aveva riconosciuto, innalzato da terra,ed educato secondo legge!) lui come erede testamentario dell’ex dittatore. che l’aveva adottato.
Cleopatra sapeva che Ottaviano non era un vir sentimentale, ma un razionale e ponderato politikos, che non solo solo voleva la morte di Antonio, ma anche quella di Cesarione: la presenza del seme di Cesare non gli avrebbe permesso di governare l’Oriente, se ci fosse stato uno che poteva rivendicare il legittimo dominio su quella pars Orientale.
Roma era garante di legittimità, anche in epoca di diserzioni e di tradimenti, in momenti critici della storia!
Sapeva bene che anche Erode era passato dalla parte del vincitore e che i suoi stessi marinai avevano salutato Ottaviano coi remi alzati in segno di resa e come saluto.
Lo stesso Antonio aveva capito: la sua sfida personale a duello col rivale era l’ultima deficiente sparata irrazionale di un imperator vinto, che irriducibile nel suo illogico procedere strategico, appariva uomo ubriaco, ridicolo nel comando.
Ad Antonio non restava altro che la morte. Ed Antonio, nobilmente, si era gettato sulla spada che, però, non era stata spinta sotto le costole e perciò non raggiunse il cuore, pur essendo penetrata nello stomaco: l‘imperator era caduto sul suo sangue, era svenuto ma non era morto.
Cleopatra aveva ordinato al suo segretario Diomede (cfrCassio Dione, Storia romana, LI, 74-75) di farlo portare nel suo Mausoleo per aver accanto a Lei, Iside, il suo Dioniso Morente, essendo sua moglie e regina.
Il corpo di Antonio era stato portato fin sotto le porte bronzee del Mausoleo, che non furono aperte.
Cleopatra stessa con le sue mani e con l’aiuto delle sue due ancelle tirò in alto con corde la lettiga del triumviro ( Plutarco, Antonio, 77).
Aveva pianto come una normale egizia per l’uomo che amava, il quale, comunque, l’esortava a frenare il suo dolore, ad essere divina, a pensare a lui come al suo Dioniso desideroso ancora di bere vino, e che la consigliava ad avere rapporti diplomatici con Ottaviano e a fidarsi solo di Proculeio, unico amico, rimasto fedele.
Lei, dopo averlo steso sul divano, si batté il petto, lacerò il petto con le mani, s’insanguinò il viso del suo sangue, lo chiamò signore e marito e imperatore : quasi si dimenticò dei suoi guai per la pietà che sentiva per l’amato (ibidem) .
Morto Antonio, aveva trattato con Vincitore da regina: aveva preteso di poter visitare la tomba di Antonio e di fare le offerte di rito ed aveva finto di voler vivere, in modo che Ottaviano potesse sperare di averla al suo trionfo a Roma dietro il carro dell’imperator.
Aveva fatto venire un contadino con un cesto di fichi e li aveva mangiati senza neanche avvertire il morso dell’aspide, nascosta sotto le foglie: lei vedeva sano e salvo, riverito il suo Cesarione in India, lontano dai sicari dei romani che lo avevano inseguito per tutto il territorio egizio. Il cobra dal cappuccio, il Naja haje (Ureo) emblema dei faraoni, non aveva fatto soffrire affatto la regina, come rispettoso della sua tragedia!.Il suo veleno faceva farneticare la regina, immersa ora in in torpore mortale.
Vedeva Il piccolo Cesare che era ormai un uomo forte, alto come Cesare, un atleta, abilitato ai combattimenti dei pancraziasti, ammirato nel Grande Gymnasion, di Alessandria: suo figlio era vivo in una località indiana.
Cleopatra lo sogna Cesarione come il più bel figlio che si possa mai vedere, come il suo vendicatore, come il degno erede dei Lagidi e della domus Giulia, l’unico vero figlio di Cesare, un nuovo Alessandro.
Cleopatra non aveva visto l’entrata trionfale in Alessandria di Ottaviano che aveva al suo fianco Arieo Didimo, che era il letterato più famoso del Museo, con tutti gli artisti e grammatici e gli scolarchi alessandrini.
Neppure aveva visto la morte di Antillo il figlio di Antonio e di Fulvia, col suo terapeuoon Teodoro che nonostante l’intervento di Areio era stato condannato a morte perché aveva rubato la collana di pietre preziose che il giovane portava sempre al collo: i grammatici erano maestri di parola non di fatto , parlavano bene, ma razzolavano male!
Bella la morte di Cleopatra.
Dopo la sua morte, poco prima che Ottaviano si allontanasse da Alessandria per tornare a Roma, fu informato da Arieo il filosofo eclettico, suo maestro spirituale, suo therapeuoon, nutrito di stoicismo e di platonismo accademico, che Cesarione era vivo ed era in India.
La notizia era certa: aveva in mano una lettera di Rodone, un suo amico, grammatico del Museo, precettore del figlio di Cesare.
Ottaviano fece scrivere che era disposto ad incontrare Cesarione in Alessandria, davanti al popolo, e a nominarlo Basileus di una provincia innominata .
Rodone convinse il giovane a tornare in Patria col suo tesoro, a presentarsi all‘imperator che aveva fatto aggiungere nella lettera di Arieo anche: gli altri figli di Antonio vivono già Roma sotto la protezione di Ottavia, educati con le sue due figlie Antonia maior e Minor, come principi (Antillo ed Iullo, Tolomeo Filadelfo, Alessandro Helios e Selene).
Tolomeo Cesare XV, il piccolo Cesare fece il percorso più breve quello navale, lungo il mare indico ed eritreo e lungo l’istmo per presentarsi con tutta la sua ricchezza davanti all‘avido Ottaviano, che lo condannò a morte, senza nemmeno vederlo.
L’ imperator aveva un suo ritratto di Cesarione sedicenne, (subito distrutto) da cui rilevava i medesimi tratti del volto di Cesare, gli zigomi alti e gli occhi a mandorla, caratteristiche tipiche dei Giulii, la somiglianza perfetta col padre, impressionante per ogni romano estimatore del Divus Iulius!
Il consiglio di Arieo era un bene per il popolo romano: non è un bene che ci siano parecchi Cesari /ouk agathon polukaisarih.
Ragione di stato e saggezza politica si associano con la lettura esegetica omerica alessandrina : ouk agathon polukoiranih -Iliade II,204- non è bene che ci siano molti capi (in un gregge).
Cultura e politica, unite, uccidono!