Secondo Svetonio (Augusto, XXV) Ottaviano era solito ripetere in greco Speude bradeoos poiché stimava che ad un perfetto comandante (perfecto duci) nulla fosse più sconveniente della fretta e della temerarietà ed aggiungeva un verso delle Fenicie (612) di Euripide : Asphales gar estin ameinoon h thrasus strateelatees/un condottiero saggio è assai migliore di uno audace.
Ottaviano, secondo Svetonio, concludeva logicamente che per un imperator sat celeriter fieri quidquid fiat satis bene / è fatto abbastanza presto ciò che è fatto abbastanza bene, precisando che nel fare una guerra necessitava verificare se la speranza del guadagno apparisse maggiore del timore della perdita.
Portava perciò l’esempio del pescatore – che va a pesca con un amo d’oro, la cui perdita non può essere compensata da nessuna preda – che era, secondo lui, l’emblema di chi correva dietro ad un piccolo vantaggio affrontando un grande rischio.
Ottaviano era un eques, un argentarius, un ragioniere, un uomo di banca, che nella politica badava al profitto e faceva passi lenti prima di decidere e, nell’incertezza, sospendeva ogni operazione, specie quelle militari, attendendo il tempo opportuno.
Preferiva la trattativa alla guerra: coi Parthi, dopo la sconfitta di Antonio, pensò sempre ad una spedizione militare, sempre dilazionata: nel 20 av. C. sembrava cosa già iniziata, ma l’invio di ostaggi da parte del Re dei re, il rinvio delle insegne sottratte a Crasso, i messaggi pacifici e i tanti regali, giunti da Ctesifonte, lo distolsero dall’impresa, militarmente rischiosa ed economicamente poco fruttuosa; nel 3-4 d.C diede ascolto alle voci del consilium principis di Gaio Cesare figlio di Marco Agrippa, inviato con i migliori comandanti conoscitori dell’area orientale , compresi Quirinio, Varo, Saturnino , nella zona di guerra, ma si verificò solo la morte del figlio adottivo, destinato all’impero, colpito da una freccia, in una scaramuccia sul confine eufrasico.
Mai si impegnò, comunque, in una guerra parthica: il rischio era grande e il kerdos scarso: ragionava come i trapezitai ebrei, divenuti dopo la conquista di Alessandria suoi epitropoi, gestori del fisco imperiale, loro che un tempo davano lavoro ai suoi avi Ottavi, nummularii.
La traduzione in latino, desunta dal sintagma greco, riportato da Svetonio, festina lente/ affrettati lentamente, esprimeva in epoca antonina il pensiero di Ottaviano e di Agrippa nel corso della battaglia di Azio, che cercavano di neutralizzare la flotta di Antonio, stanziata nel golfo di Ambracia, ma era divenuto già una massima filosofica, ad opera di Publio Nigidio – cfr. Gellio, Noctes acticae, X,11,2- che, discutendo su mature affermava che si diceva di ciò che non è più presto né più tardi ma qualcosa di moderato ed intermedio tra i due/quod neque citius est neque serius, sed medium quiddam et temperatum est e ad opera dello stesso Augusto che con speude bradeoos ammoniva che nel fare qualcosa si deve ad un tempo usare la prontezza dello zelo/industriae celeritas con la lentezza dell’attenzione/diligentiae tarditas, dai quali due contrari nasce la maturitas-ibidem 5-.
Il detto era tipico della prudentia del dux Ottaviano e di tutti quelli del consilium principis e della politica giulio-claudia in genere, specie dopo le due sconfitte (quella di Lollio e di Varo), che frenavano l’espansionismo romano sia verso la Germania che verso la Parthia.
L’ossimoro, comunque, indicando due termini in opposizione: la lentezza con cautela e la necessità della fretta di agire, era degno dei sofisti antonini,
Il motto Festina lente rilevava, pur nella contraddizione dell’efficacia della azione veloce, la cautela situazionale generale dei comandanti che ordinavano di circondare con le veloci liburne e di agganciare le biremi, le triremi, le corbite antoniane e cleopatriane, pesanti e lente.
Sotto i Severi e poi nella decadenza il motto era diventato un proverbio che si era ulteriormente modificato in quanto apoftegma utilizzato a seconda dei contesti e delle situazioni…
Molte sono le rappresentazioni pittoriche latine, anche rinascimentali, che spesso mostrano una lepre dentro la chiocchiola di una lumaca, volendo significare il malessere di un vivente che naturalmente corre trascinandosi un peso, in una contraddizione evidente, in affanno palese.
Chiaramente il mondo latino applica alla quotidianità di vita la massima augustea considerando che nella necessità della fretta deve essere maggiore la ricerca della prudenza, in un rallentamento dell’azione veloce.
La massima augustea diventa un proverbio, che è segno di una acquisizione profonda da parte dei populares che l’adattano alla politica cauta, grave e ponderata di Ottaviano e Tiberio e globalmente a quella di tutta la casata giulio-claudia, se si fa una seria lettura degli atti del regno di Caligola, di Claudio e di Nerone, senza i morsi della critica delle domus successive, impegnate a distruggere la popolarità degli imperatori giulio-claudi.
Festina lente, anche se non era una tattica nuova del periodo augusteo e specifica di Agrippa- che già aveva preparato ed esercitato gli equipaggi a Miseno- indicava, comunque, una strategia che rilevava nella velocità navale una peculiarità che, unita all’aggancio dell’unità nemica, risultava vincente come tattica prudente, usata in situazione.
Dal periodo augusteo, dunque, Festina lente diventa una massima cara ai conservatori che desiderano il ritorno alla morale tradizionale, al ripristino dei mores prisci, all’auctoritas e ricercano la gravitas dei patres antichi, secondo il riformismo di Ottaviano.
E’ perciò un gradino di una scala di perfezione etica dell’antico vir gravis ed austerus- non più, però, vir civilis, ma suddito-.
La massima è, dunque, segno dell’opportunismo situazionale di Ottaviano che mostra il valore reale di Speudoo e quello di bradus in una precisa connotazione referenziale del verbo e dell’avverbio: l’avverbio deriva da bradunoo indugio opero lentamente temporeggio (cunctor) tirando a lungo , differendo la battaglia, mentre speudoo vale mi affretto mi affatico dandomi fretta in quanto corro e vado sollecitamente.
Il detto è spia di emotività impellente, di un’ansia o di stress da tenere a freno, da curare.
Il verbo speudoo ha in sé, infatti, una radice indoeuropea comune con studeo e studium e quindi con cura / epimeleia, ed indica l’ansiosa volontà di fare velocemente, che, comunque, deve essere razionalmente corretta da prudenza e cautela (caveo col dativo significa provvedo a , pur con un valore di timore, sotteso a caveo + accusativo ).
La scuola di Apollonia di Atenodoro di Tarso, discepolo di Posidonio d’Apamea, d’ altra parte dava praecepta stoici ed insegnava un’etica rigida ai discepoli come Ottaviano e d Agrippa che, quindi, erano opposti a quella dionisiaca, pazzesca, sublime, del triumvir Antonio.
Ottaviano era il campione in Occidente della gravitas mentre Antonio in Oriente era il vessillifero del contrario e lo era stato fin dal momento della uccisione di Cesare.
Infatti Antonio viveva da scialacquatore di patrimoni, da irregolare con Fulvia, sua moglie, con i suoi amici e suo fratello Lucio, in una coscienza di divino isolamento, rispetto ai comuni mortali ed aveva canoni di vita propri, in opposizione alla regola del sistema bancario, degli argentarii e del conservatorismo senatorio. Era un uomo dalla vita inimitabile, un allegro corrotto e un corruttore in una Roma dove si vendeva ogni bene dello stato – uffici, città, titoli, tasse e privilegi: bastava avere uno schiavo scriba adatto, come Faberio, amanuense di Cesare, ereditato dal triumviro, un falsario capace di falsificare i documenti per far passare come cesariani atti mai compiuti dal dittatore, carte mai firmate dal defunto Cesare.
Nel 44 a.C. Antonio giustificava ogni abuso, a detta di Cicerone (ad Familiares XII,1) del defunto dittatore, perfino quelli non fatti, ratificati come volontà del dittatore: il senato si era riempito di senatori corrotti, gli orcini, quasi che fossero stati nominati dall’Ade da Cesare (Svetonio, Augusto, XXXV.).
Ottaviano ed Antonio incarnano per un dodicennio (43-31) due modi di vivere nel mondo romano, uno occidentale, legato alla tradizione latino-romana , agricola, e l’altro, innovatore, teso al sublime, in relazione alla cultura del Museo alessandrino, industriale e commerciale.
Con la vittoria, però, Ottaviano, verificata la superiorità dell’Oriente sull’Occidente nonostante la vittoria militare della flotta e delle legioni occidentali, passa dalla cultura agricola italica a quella commerciale alessandrina.
Infatti, Plutarco (Antonio, 80) dice: Cesare entrò in città conversando col filosofo Arieo e dandogli la destra perché costui acquistasse subito un ruolo importante tra i suoi cittadini e fosse ammirato per l’onore speciale che gli veniva reso. Lo storico mostra la svolta con la scelta del suo maestro di vita.
Didimo Arieo coi figli inverte la rotta di Ottaviano argentarius e ne fa un Augustus -Sebastos: il suo eclettismo, ispirato allo stoicismo e all’Accademia, giustifica il suo operato, la sua missione politica riformistica e crea un alone di santità e di venerabilità come se il discepolo fosse stato un dio in terra in quanto viene consacrato come nomos empsuchos/legge vivente.
Ottaviano è Autocrator, con tribunicia potestas e con imperium proconsulare, ed è nomos empsuchos.
E così, cultura e ricchezza egizia, connessa col diritto e con la politica romana, risultano i cardini del principato augusteo e di ogni altro principato mentre Festina lente rimane un bel detto proverbiale, un apoftegma popolare!.