ll papa nel suo viaggio in Camerun ed Angola ha voluto propagandare l’ideale cristiano ed entrando nel terreno dell’efficacia delle misure sociali, mettendo insieme religione e società, ha parlato del valore della ragione, ribadendo il concetto della religione genuina.
Egli intende come genuina quella religione, che allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo non solo per i principi di fede, ma anche in base alla retta ragione.
In questa occasione il papa consegna al Presidente delle chiese del continente africano l’instrumentum laboris, un documento di lavoro preparatorio dell’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi di Africa da tenersi in Ottobre in Vaticano.
Basilare sembra essere la ragione, un dono di Dio…, elevata mediante la rivelazione e la fede in Dio. Lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata, lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna in esso.
Il papa aggiunge: credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana.
Naturalmente coerente col suo magistero, il pontefice ha bollato il regno del denaro e le sue infiltrazioni in Africa, condannando tutti coloro che hanno il potere economico e gestiscono i beni.
In un esame generale dei problemi dell’Africa, l’ Aids, piaga africana, viene rilevata esattamente e, in un ‘intervista, viene posto il problema della non realistica e non efficace posizione della Chiesa Cattolica in Africa.
Non è una critica, ma solo un’osservazione sulla metodologia della Chiesa, fatta da una voce francese.
( P. Lombardi: E ora, diamo di nuovo la parola ad una voce francese: è il nostro collega Philippe Visseyrias di France 2:
Domanda: Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? Très Saint Père, Vous serait-il possible de répondre en français à cette question? )
(Viene riportata di seguito la risposta, trascritta da Radio Vaticana)
Questa la risposta del papa: Lei parla bene italiano … Dunque, io direi il contrario.
Penso che la realtà più efficiente, più presente, più forte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto – visibilmente e anche invisibilmente – per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, tante altre cose, a tutte le suore che sono a disposizione dei malati …
Il papa, rispondendo, non mette affatto in discussione, dunque, l’operato della Chiesa, ma, rilevando l’esatto contrario, dice che la Chiesa è la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro l’Aids e porta come prove esemplari l’azione della Comunità S.Egidio, dei Camilliani e delle suore in una (pur giustificata ) esaltazione del lavoro cattolico.
Poi aggiunge:
Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi. Sono necessari, ma, se non c’è l’anima che li sappia applicare, non aiutano, non si può superare con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema.
Per il papa il problema dell’Aids non si può superare solo con i soldi: egli, pur rilevandone la necessità, anche se non aiutano, se non c’ è anima, ritiene che la malattia non si può superare solo con la distribuzione dei preservativi, che invece ne aumentano la gravità.
E conclude dicendo che la soluzione è duplice, secondo la dottrina della Chiesa, basata sulla umanizzazione della sessualità con due diverse strategie comportamentali (amicizia per i sofferenti e disponibilità al sacrifico verso chi soffre).
Insomma il male dell’Aids è rapportato con la positività del bene cristiano: al vizio si contrappone la virtù, al male il bene, secondo una logica manichea e con una ideale impostazione caritativa (che copre un giro di affari miliardario e che comporta interventi speculativi di vario genere, velati, come indegni di una moralis autentica).
Queste le sue parole esatte
La soluzione può essere solo una duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, una disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, per essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano con sé anche veri e visibili progressi.
Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dargli forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno).
Il pontefice ritiene, dunque, che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione dei preservativi non è la via migliore per contrastare il flagello dell’Aids, anche se mostra di aver chiaro il problema africano, di conoscere la moralitas del continente, il sistema morale dell’africano, anche perché quotidianamente sommerso da relazioni missionarie e dalla attività di S. Egidio, che aiuta i sieropositvi ed insegna come prevenire il contagio senza far uso del condom.
L’atteggiamento, quindi, del pontefice è idealista in quanto si rileva, su un piano generale, il problema che deve essere affrontato alla radice e quindi estirpata l’animalità sessuale africana e corretta secondo le norme cristiane, in una promozione della persona e della figura della donna, al fine di formare una societas christiana.
In effetti la linea del papa è quella origeniana, in relazione con la tradizione ebraica biblica.
Il papa ha espresso giustamente il suo pensiero in modo razionale, funzionale e non ha certamente negato l’uso dei preservativi, ben memore della lezione di Suor Emmanuelle al papa Giovanni Paolo II, silenzioso di fronte alle affermazioni della religiosa: non so fare altro che dare preservativi, davanti alla proliferazione del male!.(Lettera di Suor Emmanuelle a papa Giovanni Paolo II, invitato non solo ad autorizzare ma ad incentivare l’uso dei preservativi agli africani).
C’è, comunque, un vizio (di forma) connesso con la tradizione cristiano-cattolica, quello di procedere secondo la logica tradizionale per la soluzione di un problema quotidiano, credendo possibile che ci sia effettivamente un nesso profondo tra theoria e prassi e che l’azione in effetti traduca il pensiero in atto: l’uomo non è compreso solo tra bene e male, né la sua azione è catalogabile in buona o cattiva, ma c’è in ogni atto umano una miriade di soluzioni interne, che hanno una varietà di modi e di comportamenti, che oscillano verso una delle due forme, così manicheamente descritte.
Ne deriva che ogni definizione dell’azione umana è inadeguata ed inesatta, come, perciò, ogni intervento su di esso, specie se chi interviene è influenzato, condizionato da una tradizione secolare di integralismo religioso in senso antipagano, in una volontà di estremizzare i valori secondo una ragione, che giustifica ogni frase dei Vangeli di Christos e delle Lettere di Paolo, ben legata alla cultura biblica ebraica.
Chiaramente parlare di ragione in questi termini non è ragionevole, necessariamente fa perdere quella immediatezza di intervento, opportuna in situazione, procrastinando i tempi, in una speranza di una palingenesi cristiana africana, di una metanoia (cambio di mentalità), che richiede secoli, dopo un corretto cammino ed un avvio, in relazione allo studio situazionale di ogni etnia, rilevata nella sua peculiare natura.
Parlare di ragione ed affidarsi alla soluzione di un problema sociale e ad ideologie del passato, ad un concezione della religione, del sistema e della vita religiosa, in una proposta sottesa dell’ideale monastico del cristianesimo del IV secolo, professato dapprima in modo ereticale dai montanisti e da Origene e poi riproposto da Gerolamo di Stridone, al tempo di Damaso e di Siricio, non è attuabile: verginità e castità, due forme puritane ed oltranziste, comuni con alcune frange ebraiche, divenute poi proprie di quasi tutta la cultura islamica, possono significare, oggi, un attardamento con una inversione eccessivamente tradizionale, in modo da radicare ideologicamente l’ Africa secondo formule, dimostratesi troppo rigide per l’Occidente anche per la cultura romano-ellenistica e poi bizantina, in una volontà di colonizzarla secondo i nostri stessi errori, già nella sua prima fase cristiana, corrispondente (superficialmente) a quella geronimiana.
Benedetto come theologos ha subito il fascino della cultura eremitica della fine del IV secolo e dell’inizio del V secolo, di cui Gerolamo è espressione, nonostante la questione delle agapete.
Questi nella Lettera a Pammachio (2) dice: alcuni mi accusano di essere stato eccessivo nei libri contro Gioviniano sia nel lodare le vergini sia nel dileggiare le donne sposate e dicono che equivale in un certo senso ad una condanna del matrimonio esaltare la castità a tal punto che sembri non essere lasciato margine di confronto tra vergine e moglie. Se ben ricordo la questione tra Gioviniano e noi, c”è stata questa disputa: egli considera il matrimonio allo stesso livello della verginità, noi lo poniamo al di sotto, egli dice che c’è poca differenza o nessuna, noi diciamo che ce ne è molta.
Altrove il santo afferma che egli mostra i tre gradi, quello della verginità, quello della vedovanza e quello della continenza e del matrimonio (seguendo grosso modo Tertulliano, De exortatione castitatis 1), riprendendo Origene, che era giunto alla feroce determinazione dell’evirazione per essere eunuco del Signore, seguendo anche Ambrogio (De viduis,1) ed Agostino e le varie forme di anacoretismo e di ascetismo.
Girolamo, nel periodo romano, aveva portato avanti un programma ascetico, che aveva come base la verginità della donna.
Contro di lui un certo Elvidio, discepolo di Assenzio, vescovo di Milano fino al 374, imitatore di Simmaco, si era opposto in modo netto e lo aveva ostacolato nei suoi disegni di nuova evangelizzazione. Questi aveva cercato di dimostrare che la Madonna era stata vergine con Gesù, ma poi aveva avuto altri figli dal marito.
Elvidio non voleva far franare tutta la costruzione abbattendo questo dogma (tale dopo il concilio di Efeso) ma voleva mostrare la possibilità di una normale vita, alla pari di quella verginale; Gerolamo, invece, aveva acuito il problema dei montanisti, già amplificato da Tertulliano, che, condannando il matrimonio, lo svalutava del tutto nei confronti della verginità elogiata.
Per questo rigore montanista ed origeniano Gerolamo era stato osteggiato nel periodo romano e, per questo, egli, rifugiatosi a Bethlem, intorno al 392-3, scrive contro Elvidio e poi attacca anche Gioviniano, che ha scritto un libretto, in cui condanna l’ideale monastico geronimiano, anche se lui stesso vive da monaco.
Secondo Gioviniano i mezzi per mortificare il corpo e per tendere all’ascetismo sono molti: il monaco non ritiene valida l’anakoresis di Gerolamo specie per la verginità, in quanto considera il matrimonio benedetto da Dio e altra forma di vera e positiva via ai fini della propria salvezza spirituale e giustamente porta a difesa del suo pensiero passi della Bibbia, del Vangelo e delle lettere paoline e della tradizione cristiana.
Le tesi di Gioviniano sono sostanzialmente: Il cristiano, avendo la fede, in quanto battezzato, è già sulla via della salvezza senza doversi preoccupare di essere sposato o essere monaco; dunque, il cristiano, battezzato, può anche peccare e deve essere perdonato senza cadere definitivamente sotto il dominio del diavolo, diventando captivus diaboli (da cui è derivato il nostro cattivo): il cristiano, che si mortifica con sacrifici, non è superiore a quello che vive normalmente la sua vita religiosa, procedendo anche con l’errore e vivendo la sua vita sessuale nel sacramento del matrimonio.
Dio nel giorno del giudizio, infine, non fa differenze a seconda del sistema di vita, ma lo ricompensa egualmente.
Il pensiero di Gerolamo è nel periodo bethlemita ancora più rigido e duro e, perciò, la sua risposta in Adversus Jovinianum è rigida e dogmatica, lontana da ogni moderazione, priva di ogni caritas cristiana.
Infatti il santo ferocemente attacca e condanna Gioviniano considerato un grasso epicureo, simile all’ epulone, relegato in mezzo alle fiamme, contrapposto a Lazzaro, immerso nella luce e gioia paradisiaca.
Il monaco costringe Pammachio a denunciarlo al papa Siricio (successore di Damaso), che segue le sue idee e che nel sinodo di Roma lo condanna.
L’opera di base è tertullianea, come quasi tutte le argomentazioni a favore della verginità ma ha anche una ferocia satirica, indegna di un prelato nei confronti dell’eretico(?), sommerso da una fiumana di citazioni bibliche che, comunque, dimostrano la mancanza di prove e la nullità di argomentazioni effettive.
Da lui si sentono offesi perfino gli amici (Pammachio ritira le copie, mentre Domnione lo prega di correggersi) che pur sempre lo sostengono, vista la violenza verbale e considerata la verginità osannata contro il valore del sacramento del matrimonio.
In effetti di questo approfitta Pelagio che, giunto a Roma dalla Britannia, predica alla aristocrazia, ottenendo grande successo presso le donne (cfr. Lettere, 50).
Le risposte di Gerolamo sono rigidissime: la lettura della 49 e della 50 è dura per la ottusa intransigenza del monaco. Anche la lettera a Paolino (53) e quella a Furia (54) sono sulla stessa lunghezza di onda.
Ancora di più è pesante Adversus Vigilantium, in cui la sua ironia si sposa con l’arroganza della certezza delle sue idee come si rileva anche nella lettera 107 a Leta.
Il pensiero di Gerolamo pervade anche la corte di Costantinopoli sotto Teodosio II: la sorella Pulcheria è la fedele espressione di una verginità geronimiana.
La linea, dunque, tertullianea, origeniana, geronimiana e di frange costantinopolitane ha dominato a lungo il cristianesimo ed è ritornata in certe applicazioni tridentine e riproposta in altre post -moderniste ed è chiaramente impressa nella formazione di papa Ratzinger.
Questi nel viaggio in Camerun ha parlato della necessità di una formazione cristiana secondo le formule di verginità e di ascetismo, quando la situazione africana della popolazione richiede ben altro: cambiare la mentalità africana è un obiettivo a lunga scadenza, ma la realtà impone una continua attenzione al progredire dell’Aids e una concreta opera di contenimento e di sbarramento, in attesa di un nuovo civis christianus africano: si rischia la fine di una etnia e quindi di operare nel deserto, senza più uomini, se non si trovano efficaci rimedi: ora non è tempo di formazioni, è tempo di interventi medici radicali o di leggi politiche che favoriscano un costante servizio di controllo e una massima attenzione alla potenza del male, da circoscrivere e da ridimensionare, anche grazie ad un aumento di capitali per la ricerca.
Il discorso di Ratzinger, come quello di Gerolamo, (su cui ci siamo volutamente dilungati per meglio far comprendere il sistema di ragionare cattolico, puritano) tende a concludere con una domanda: obsecro te quid in hac dissertione peccavi? Ti scongiuro in che cosa errai in questa discussione?
Il monaco è teorico e pensa teoricamente, come Benedetto XVI, sicuro di non peccare: ora non bisogna pensare alle discussioni, ora si deve agire.
Gerolamo partendo da I Corinti 7,9, già interpretato da Tertulliano in De exortatione castitatis 3,7-10 “ è meglio sposarsi che bruciare” aveva discusso, citando Paolo (vuole che le donne non sposate e le vedove restino senza aver rapporti sessuali e le richiama al suo esempio e le dice felici se rimangono così): ma se non sono in grado di stare in continenza e vogliono estinguere il fuoco della libidine, non tanto con la continenza quanto con la fornicazione è meglio per loro sposarsi che bruciare ed aveva aggiunto Dunque è meglio sposarsi perché bruciare è peggio ed aveva precisato Se tu ci avessi insegnato che bruciare o fornicare è un bene, allora si anteporrebbe il meglio, ma se bruciare è un male ciò che viene anteposto a questo male non appartiene a quella purezza schietta ed immacolata né a quella beatitudine che viene paragonata agli angeli. Se avessi detto è meglio essere vergine che sposata, avrei anteposto al bene il meglio, ma se ho fatto un altro paragone è meglio sposarsi che fornicare, lì non ho anteposto al bene il meglio, ma il bene al male e c’è molta differenza tra quel meglio che viene preferito al matrimonio e quel meglio che viene preferito alla fornicazione.
Gerolamo si pone il problema di Utrum melius non quid restando sul piano teorico senza trattare di interventi concreti ed è preso dalla “discussione” non dal problema e delle sue conseguenze: viene la fine del mondo ( tanto attesa dai primi cristiani!) per estinzione dell’uomo, se tutti sono vergini!
Gerolamo da retore cerca il meglio tra due cose, non fra più e in modo astratto.
Benedetto XVI allo stesso modo sceglie tra due non fra più e in modo astratto anche lui, credendo come il santo di aver risolto il problema con le indicazioni generali e generalizzate: Mehmet II prendeva Costantinopoli nel 1453, mentre i teologi parlavano accapigliandosi del sesso degli angeli!
L’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi, che al contrario aumentano il problema, dice il papa.
Egli, invece, crede nella umanizzazione della sessualità cioè in un rinnovamento spirituale e umano, che porta con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, pensando che la vera amicizia con i sofferenti dia un contributo grandissimo e importante.
Sono, però, parole belle, umanizzazione ed amicizia, nobili ma, sempre parole equivoche per giunta, in quanto ognuno dà una sua interpretazione e una propria semantizzazione a seconda della propria ideologia.
Benedetto XVI, comunque, vede che è meglio dei preservativi l’umanizzazione cristiana della sessualità e quindi un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, che sottende anche una vera amicizia con le persone sofferenti: la scelta di un comportamento giusto rispetto a quello della scelta ingiusta di dare preservativi.
Nella sua mente di pontefice, educato secondo le strutture diairetiche ed oppositive, è chiaro che la verità ha sempre un utrum oppositivo e contrastivo che diventa un aut aut in senso religioso o meglio una scelta tra due cose opposte, un procedere solo su una via, non dare altre possibilità, non adattamenti tali da consentire sia l’una che l’altra e tante altre forme intermedie.
La logica christiana è sempre un rifiutare qualcosa ed aprirsi ad una sola direzione: questo rigidismo cristiano diventa un pericoloso intransigentismo ed esclusivismo e sottende un integralismo con oltranzismo.
Gerolamo, come anche Agostino, ha, nonostante le diversità oggettive, un modo di essere sempre alla ricerca di un meditato scarto dell’ altra via, il fare storia tagliando un ramo dell’albero come se sempre sorgessero solo due rami, come se in natura non ci fosse un germogliare e pullulare multiforme, ma solo uno, biforcuto.
L’ordine, che egli dà, è in relazione alla sua ricerca sulla Bibbia e sui Vangeli e dimostra il diverso grado di acquisizione meritoria, secondo l’esempio di Ambrogio, che, diversamente, paragonando vergini e matrimonio parla di frumento ed orzo (De viduis 13,81).
La conclusione del papa è, comunque, moderata, propria del magistero della chiesa: ricreare la moralitas in relazione alle forze giovani africane.
C’è implicita forse anche una qualche linea di modernismo?
Il modernismo, condannato dalla Pascendi di Pio X nel 1907, potrebbe aver insegnato qualche valore aggiunto, con la volontà di armonizzare tradizione e cultura moderna, e potrebbe dare qualche contributo al magistero della Chiesa in questo particolare momento storico, tanto critico: un suo recupero potrebbe dare tanto, dopo oltre un secolo di condanna!.