Storia o teologia ?
Benedetto XVI dice di aver scritto un libro sulla vita di Gesù e sulla sua storia avvertendo che il suo lavoro “non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della … ricerca personale del volto di Signore “.
Egli tratta in Gesù di Nazaret solo degli eventi che vanno dal Battesimo alla Trasfigurazione e, quindi, si riserva di completare l’opera con un secondo libro, in modo da concludere tutto l’iter della vita e commentare il totale messaggio del Maestro.
Il papa ha scritto un libro di storia per precisarsi personalmente la reale figura di Gesù Cristo Signore e precisarla ai cristiani? potrebbe dire qualcuno.
E si potrebbe pensare che, per questo, deposta l’ auctoritas papale, il papa, da privato, dichiara che “ciascuno è libero di contraddire”.
Si può credere, perciò , che il pontefice sia animato da desiderio di ricercare qualcosa di nuovo, in quanto in possesso di manoscritti riservati, oppure voglia lavorare su varianti testuali, o che desideri indagare su autori basilari per la conoscenza delle origini del cristianesimo, oscure, per definire e far luce sulla figura storica ed umana di Gesù, così mistificata e così variamente letta e distorta da tanti ricercatori, desiderosi più di profitto che di conoscenza storica.
Il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI, quindi, secondo alcuni, avrebbe dovuto porre fine alle chiacchiere sulla figura del fondatore o per lo meno zittire qualche facinoroso, chiarire le controversie storiche essenziali sulla nascita, sulla vita pubblica, sui rapporti con scribi, farisei, sadducei, sulla morte, sulle cause del suo crimen, sullo zelotismo galilaico, e perfino sulla famiglia e su Maria Maddalena: insomma questo libro, vista l’autorevolezza della persona, dovrebbe risultare la pietra angolare, basilare per ogni ricercatore serio, non solo cristiano.
Nel dargli credito di benevolenza, come lettore, si spera, perciò, di incontrare, nella lettura del libro, fonti nuove, fatti, studi specialistici politico-storico-economico-sociali, prove epigrafiche, archeologiche o numismatiche, o esami tecnici su basi storiche di prima mano, a seguito di traduzioni di testi nuovi, di recente scoperta o di testi antichi, noti, commentati diversamente, insomma, di rilevare un taglio decisamente storico, o per lo meno, qualcosa di nuovo sulla vicenda umana e sulle parole dette da Gesù e sulle sue opere.
Nel libro del papa non c’ è niente di tutto questo, non c’è nulla di nuovo né in questo senso né secondo queste linee biografiche e storiche: c’è, però, un’ apertura al dialogo, specie con l’ebraismo (l’esame del testo del rabbino Jakob Neusner, pp.125-150, ne è una prova) si potrà dire.
Joseph Ratzinger segue la solita lettura, tipica dei teologi, fatta alla luce mista di fede e di ragione, secondo un duplice canale improponibile per ogni soggetto razionale, lasciando tutto secondo la tradizione, come se il Nuovo Testamento fosse stato partorito direttamente da Gesù Cristo Signore, come testo unico, santo, intoccabile, perché ispirato dallo Spirito Santo, secondo la volontà di Dio Padre, a conclusione e completamento del Vecchio Testamento.
Ma fa un commento, vero e proprio, senza apologie, senza opporsi al metodo storico-critico? Dirà qualche fedele, che condivide le scelte di metodo e ogni parola scritta da Ratzinger.
Siamo grati per la non presenza di lavori espressamente apologetici., ma siamo spiacenti nel rilevare una comunicazione antiquata, ancora medievale, oggi riconosciuta come fallimentare proprio per la sua doppia contemporanea lettura, che produce ambiguità: non è sufficiente non opporsi al metodo storico, non basta predicare sul relativismo, è opportuno cercare la via più probabile e sicura in caso di dubbio.
Il papa, però, non ha dubbi e procede dogmaticamente nella sua via della verità e della vita, seguendo i Vangeli, considerati sicuri come testo, secondo tradizione: egli legge le pagine evangeliche e commenta secondo la tradizione cristiana: così tutto quadra e tutto diventa un insegnamento per i cristiani che consentono con quel testo e con quel pensiero così strutturato e tramandato, divenuto ancora più sacro per l’antichità.Così la conoscenza diventa una morale universale umana e comunicabile, mentre essa è relativa ad un ‘esperienza sensibile dell’uomo e ad una precisa epoca storica, in cui vive ed ha valore, utile, come cultura, ma incomunicabile come sistema di vita.
I fatti vengono interpretati con una volontà competitiva e con una implicità presunta oggettività, in cui non esiste separazione con distinzione del carattere universale della cultura e della specificità di ogni singola cultura, unica, di cui i costumi di ogni popolo sono giustificazione e degni di rispetto: l’interpretazione competitiva ed oggettiva determina la volontà operativa, di superiorità sull’altro, la cui cultura deve essere sostenuta e migliorata.Questa lettura porta solo ad un magistero, non ad una comunicazione: o si legge razionalmente e scientificamente secondo acribia storica o si legge teologicamente, partendo dal presupposto della fede: leggere insieme è un assurdo e la lettura mista produce necessariamente syncresis e mythos: predicare perché investiti di autorità divina è un privilegio usurpato e sottende necessariamente una falsificazione.
La stessa autorità, non richiesta, su un altro di qualsiasi genere, è un sopruso come il proselitismo, come il colonialismo in quanto ogni forma di autoritarismo e di verticismo è theoria elitaria che copre di buonismo, di umanitarismo, di carità un’arbitraria sovrapposizione , che sottende una millantata superiorità sul minore ritenuto bisognoso di tutor: ogni popolo, come ogni individuo, in quanto cultura autonoma. frutto di dolorose acquisizioni personali irripetibili, deve maturare il proprio sistema di vita secondo i propri tempi senza accelerazioni o incitamenti estranei o controlli o imposizioni o azioni violente esterne.
Se non ha scritto un libro di Storia, il papa ha forse scritto un libro di esegesi. Si potrebbe pensare.
Un cristiano allora, considerato l’incipit di ogni pensiero papale da una frase evangelica o da un evento, vista la sua interrogazione sul significato, letta la sua conclusione in senso predicatorio e formativo delle generazioni presenti, rileva, però, che il suo studio verte sul commento, grazie al processo di attualizzazione di Gesù Cristo –Dio vivente, sempre operativo nella società attuale.
Dalla lettura del libro è palese la presenza del commento bibblico, ma staccato da ogni lavoro esegetico, e risulta ancor più chiara l’assenza di ricerca della parola veramente detta dal Signore, e di studi specifici dei cotesti e dei contesti per stabilire se il termine è coevo o è spurio, se il termine (o il sintagma o l’enunciato) è aggiunta successiva e manipolazione in quanto la retorica artificialis è segno di dubbia autenticità.Dal sistema di scelta delle letture e dalla tipologia di commento si evince che siamo di fronte solo a un commento della parola del Signore o di eventi narrati, su cui non ci sono dubbi circa l’autenticità, nonostante gli infiniti problemi testuali, le controversie di datazione, l’inattendibilità dei fatti, da secoli dibattuti. Sorprende che si proceda nel commento e non si faccia un minimo cenno o rimando alla tradizione del testo aramaico-giudaico, da una parte e di quello greco dall’altra, alle due differenti culture, e che si sorvoli sulle differenze di significato tra le lingue, si passi sotto silenzio sui tempi e sui luoghi di semantizzazione del testo sacro Vetero-neo testamentario.
La contrapposizione Torah di Gesù e Torah di Mosé (Fu detto, ma io dico) costruita sul sistema abituale diairetico di Filone, dando per scontata l’autenticità testuale dei brani citati di Paolo, dei tre vangeli canonici e soprattutto del quarto vangelo, diventa nucleare ai fini propagandistici del libro.
Il pontefice confessa di aver tratto giovamento dal ragionamento di J. Neusner (1932, vivente scrittore di A rabbi talks with Jesus) un rabbino praticante, che pur resta in Israel Eterno e non si si lascia cristianizzare da Gesù, che predica dalla montagna.Seguendo il rabbino, che si finge discepolo e che ascolta e parla con Gesù (il quale proclama il liberalismo e il soggettivismo cristiano ponendosi come Legge, come signore dello shabat, come santo e Dio, come comunità stessa, non solo famiglia), Ratzinger mostra di aver individuato esattamente la differenza tra Torah di Mosè e quella di Gesù, tra la passiva accettazione ebraica della condizione umana fiduciosa in Dio Padre e creatore e l’attiva e personale adesione del cristiano, che in Gesù per Gesù e con Gesù vive, muore risuscita e si deifica. Si tratta di un’ innovazione grandiosa, in quanto completamento della torah mosaica che, però, non convince Neusner, rabbino (come già sostanzialmente manifesta Trifone nei confronti di Giustino apologista), che rileva l’errore solo nel soggettivismo classico (tipico della romanitas ellenistica), nel porsi di un uomo come Dio a modello di santità, come signore del sabato, come comunità stessa, come Legge per i fedeli, come se il Vecchio Testamento si concludesse effettivamente con il Nuovo e come se lui Christos fosse Chrhstos, il Logos (il Verbo ), Figlio, Dio venuto per la salvezza dell’uomo, mediatore tra il Padre e l’humanitas.
Nel testo matteano Del discorso della montagna e in Paolo (lettera ai Galati) è presente un equivoco determinato dalla presenza di Regno dei Cieli e Regno di Dio, indistinti.
I testi matteano e paolino (lucano) sottendono due diverse fasi storiche, una derivata dal giudaismo e ad essa ancorata in senso popolare, come volontà di coesione contro la Romanitas in un momento storico di guerra contro le legioni e un’altra successiva alla morte di Cristo, enucleatasi nel corso del I secolo dopo la distruzione del tempio e definitasi nel corso del secondo secolo, nel convulso clima ereticale gnostico e poi monarchiano, come volontà di difesa dell’unità di Dio.
Il testo presenta la lezione unitaria definitiva di questo processo sotteso, di cui restano segni, specie in Matteo, che ha scritto per i giudeo-cristiani.Il cristianesimo ha fuso storicamente due credi quello di Gesù umano, giudeo (che si mantiene nella Legge e che con i suoi seguaci crea un corpo unico religioso militare, costituito da giusti, liberi in senso antiromano, basato sul suo esempio di Signore del sabato con tutte le conseguenze, compresa la stessa costituzione di un nuovo sacerdozio, quello essenico) e quello di Paolo (lettera ai Galati, entrata in circolo effettivamente dopo il settanta) misto al Vangelo giovanneo, che è studio sulla figura di Gesù divinizzata, successivo all’impresa fallita di Shimon bar Kokba.
Il cristianesimo è fenomeno sincretistico, che è una spugna che prende agli inizi le ragioni degli altri e si nutre del pensiero coevo nella sua crescita; è sincresi di quanto prodotto da altri, specie dall’ebraismo, ellenistico, che ha fatto la stessa operazione diversamente da quello aramaico, che, invece, coerentemente procede, in un rifiuto delle linee ellenistiche romane, restando ancorato alla torah mosaica.
Roma cristiana ingoia, metabolizza, digerisce tutto nel corso dei primi tre secoli e e poi ingloba tutto l’elaborato pensiero cristiano orientale costantiniano e postcostantiniano e la cultura teodosiana (Teodosio I, Arcadio, Pulcheria, Teodosio II); il papa fa lo stesso con Neusner che, comunque, rimane nel suo credo proprio per la chiara conoscenza delle due diverse figure, sottese nel Gesù della montagna: Gesù uomo creatura, non avrebbe usato un linguaggio da Dio: lo spavento della sua ecsousia da parte del popolo si sarebbe tradotto in lapidazione in quella situazione specifica. Il sincretismo cristiano si rileva ancora di più nella preghiera del Padre Nostro dove il papa minimizza il problema delle due diverse redazioni (quella di Luca più breve e quella di Matteo più lunga ) e parla secondo tradizione del Regno di Dio anche se se il pater matteano era di un’altra tradizione, quella del Regno dei Cieli.
Il ricordo del pater hmon, matteano. è diverso dal pater lucano senza hmon, fissato a seconda dei due diversi ascolti ed interpretazioni.
Il Regno dei Cieli aveva fissato il pater hmon in uno schema memoriale già nel corso della vita di Gesù, diviso in invocazione e in richiesta e rimane così stabilito fino al 135 d.C. nella forma dettata da Cristo, in aramaico, anche quando già esisteva l’altro pater per quelli uomini che si erano formati a comunità nel nome di Chrestos- Christros ad Antiochia, come già eresia scismatica dal pensiero del maestro.
La storia del pater matteano è connessa con l’azione antiromana di Gesù in quanto esso è preghiera militare che unisce gli adepti secondo lo schema di Giovannni il battista, in una stretta coesione nel nome del capo, in una coscienza di figliolanza con Dio, che viene invocato perché favorisca il malkut e si compia la sua volontà nel suo nome benedetto in una prospettiva universale, secondo il pensiero della tradizione escatologica ed apocalittica.
La richiesta di pane, di remissione dei debiti e di liberazione dal male e di assistenza nella prova e liberazione dal male ha valore militare come speranza ed attesa di aiuto celeste nel momento dell ‘azione militare e di martirio.
La traduzione successiva in greco ha alleggerito i toni sia della invocazione che quella della richiesta conformando il pater hmon a quello lucano, per cui dalla seconda metà del II secolo diventa preghiera ufficiale della grande CHIESA cristiana, comune a tutte le comunità cristiane in un’apertura verso l’universalismo secondo le linee paoline e secondo retorica (omoteleuto ed anafora del sou), dopo la galuth ebraica in epoca adrianea.
Il papa senza rilevare le varianti dei due testi e tanto meno la differenza dei due Regni, accetta la tradizione degli apologisti (Tertulliano) e dei padri (Cipriano): il termine (hmon di noi /nostro,espresso come genitivo plurale,dopo pater e dopo ton arton il pane) diventa espressione di universalismo ed emblema della Cattolicità, sottratto al giudaismo, che rivendica il padre e creatore come Dio e che non ha alcun bisogno di una preghiera come questa (insegnataci da Gesù) che, così scritta, è un piccolo Credo in cui è sintetizzata la fides cristiana con una terminologia giudaica ellenistica.
Al papa non interessa la questione dell’ autenticità ma solo la spiegazione del pane nostro, della remissione dei peccati , della tentazione, e della liberazione, insomma, degli effetti della venuta del Signore come possibili doni ad un fedele che prega il suo dio come padre, che entra nell’economia del suo regno e che fa la sua volontà dopo averne santificato il nome.Neppure la santificazione del nome di Dio (un assurdo dall’angolazione giudaica) lo turba : per lui in nome di Gesù, che è la Legge nuova, il santo, l’uomo stesso santifica Dio (che è il santo, già santo) in un processo tipicamente pagano (proprio della cultura augustea, del divus).
Il padre nostro non è preghiera giudaica di Gesù umano che dice Shema Israel, e che lo usa forse solo per coordinare i suoi alla lotta antiromana: esso poi diventa preghiera di un Gesù Dio, costruito dopo lo gnosticismo, quando si è lacerata anche l’ultima connessione tra i seguaci di Cristo di Antiochia e l’ebraismo proprio per la santificazione della domenica al posto dello shabat. Il papa è spedito nel commento e non si preoccupa delle molte cruces testuali, della necessità di referenziazione concreta di termini controversi come epiousios (solo un cenno decodificatorio) non precisa i tanti equivoci sottesi, nati dalla retorica greca ed inesistenti in quelli della tradizione ebraica.
Egli segue la via agostiniana appresa da Ambrogio, seguace di Origene, che permette di conoscere un’interpretazione della Bibbia che rende trasparente nella direzione di Cristo la Bibbia di Israele, tanto da rendere visibile in essa la luce della sapienza ricercata.Una tale lettura della Bibbia di Israele che riconosceva nelle sue vie storiche la trasparenza di Cristo e così la trasparenza del logos della terrena sapienza stessa ritenuta fondamentale per la conversione di Agostino diventa il fondamento della decisione di fede della Chiesa nel suo insieme (prefazione a Pontificia Commissione Biblica Il popolo giudaico e le sue sacre scritture nella BIbbia Cristiana,2001).
Insomma per Ratzinger Cristo trasparente è punto di riferimento di tutte le vie dell’Antico testamento e per questo, pur riconoscendo il valore della critica di Adolf von Harnack del 1920 sull’ errore di conservare il Vecchio Testamento come documentro canonico del valore dello stesso Nuovo testamento, (che pur era stato rifiutato nel II secolo nel periodo di Marcione, segno di una paralisi religiosa ed ecclesiale) ritiene valida la lettura agostiniana, prefissata su Cristo, centrale nella storia.
La centralità di Cristo nella storia è meglio rilevabile con l’accettazione del Vecchio Testamento ai fini del Nuovo Testamento! Le infinite quaestiones dottrinali, gnostiche, cristologiche, trinitarie, presenti nei passi esaminati, sottese in precise parole e detti, restano ancorate ai loro termini di base greca: neanche fa luce su casi evidenti ed ormai storicamente chiari, sulla datazione dei vangeli canonici, con la sola eccezione per quella del vangelo di Giovanni, privilegiato da lui rispetto agli altri, in cui accetta nel complesso il pensiero di Martin Hengel, che, ottimo in tanta parte della sua opera, è nebuloso, claudicante ed incerto proprio nella ricerca della autenticità del Vangelo di Giovanni di Zebedeo, improponibile ed impossibile.
Convinto di questa trasparenza, accenna, perciò, solo ai problemi sulla trasmissione dei due diversi canoni veterotestamentari quello ebraico (Torah) e quello cristiano( Bibbia dei settanta), e non rileva l’impostazione paolina della tradizione di tutti i libri canonici neotestamentari, che solo tardivamente accoglie Giacomo (la sua epistola), il fratello di Gesù nella carne.Insomma il papa, senza aver chiarito qualcosa sul piano tecnico, procede come se fosse sicuro e certo il testo della nostra tradizione cristiana, ed insiste per la sua spiegazione in senso formativo, senza entrare in merito alle questioni esegetiche.
Se non ha fatto nessuna di queste operazioni storiche ed esegetiche ma ha solo sentito il problema di dover scrivere, di dover puntualizzare il suo pensiero sul cristianesimo, oggetto di tutta la sua vita di uomo e di teologo, ed evidenziare la retta dottrina cristiana, avrà avuto le sue ragioni? si dirà.
Non ha voluto scrivere di ciò su cui non è maestro: ha fatto onestamente lezione magistrale solo là dove ha competenza effettiva. Potrebbe dire qualcuno.
Ma in questo modo il suo scrivere potrebbe essere solo una voce delle tante, inutili ai fini della soluzione dei problemi, una ripetizione di contenuti, un ribadimento di un messaggio già codificato e semantizzato tra la fine del terzo e il quarto secolo, dopo il travaglio dottrinale e rituale dei primi secoli, prima e dopo la scissione con la cultura giudaica, da cui era nato.
Il suo commentare potrebbe apparire l’inizio di una nuova evangelizzazione cristiana su basi medievali.
Il papa, che commenta come un commentatore medievale, secondo la logica comunicativa ancora medievale, in cui c’è un magister con discipuli, tutti uomini della stessa cultura e classe sociale, in cui un docente spiega a minores (uomini e popoli) considerati rudes ed agrestes, mandando messaggi elementari ad ignoranti che accettano ogni parola detta, codificata , dogmatizzata, e che seguono il rito latino della chiesa ed esprimono rabbia, impotenza e dolore nella bestemmia dialettale e volgare, in una maledizione della vita stessa umana di suddito, di servo della gleba, di bisognoso di conforto, di solidarietà, di speranze, di promesse ultraterrene, può sembrare un conservatore, lontano dalla realtà attuale? Potrebbe pensare qualche cristiano, poco praticante.
L’exemplum di Gesù, mediano tra dio e uomo, utile per l’accettazione della quotidianità della vita, del destino umano di vita dolorosa e di morte, di uomo che risorge dalla morte e che ricongiunge l’humanitas con Dio, è stato vincente per secoli grazie alle connessioni politiche tra la classe sacerdotale e quella politica ed economica a scapito della massa popolare, tenuta nella ignoranza, assoggettata con il militarismo germanico e con il condizionamento religioso.
Questa tipologia di comunicazione non è comunicazione, è condizionamento retorico del superiore sull’inferiore, del clero sul laico, del governante sul governato, del ricco sul povero. Il papa non ha di fronte più un laico da indottrinare, agricolo, ignorante bestemmiatore, emotivo, fantastico, bambino bisognoso di parabole, trascinato dalla apparente semplicità e genuinità dell’artificio secolare religioso, nonostante gli equivoci del messaggio cristiano, ma un laico, occidentale, che ha acquisito in vario modo i processi culturali settecenteschi, ottocenteschi e novecenteschi, che ha studiato, ha sufficiente cultura e possibilità di discernimento, ed è capace di cercare e trovare via internet altri magisteri di parole, di confrontarsi realmente mediante viaggi, con altri messaggi religiosi, di aprirsi ad altre comunità per saziare le proprie angosce esistenziali, per illuminare le zone d’ombra della sua anima, dilacerata, turbata dallo stress industriale e cibernetico, afflitta da tanti mali e sollecitata in senso edonistico ed insoddisfatta del proprio esistere, curiosa di cultura.
L’uomo contemporaneo, occidentale introverso, psicolabile, nauseato e stressato dalla quotidianità cittadina neanche bestemmia più, non ha quella capacità di sopportazione agricola perché più debole fisicamente e mostra così un’altra faccia dell’ umanità quella del disturbi psichici, delle nuove turbe, del rinnovato phobos, del tutto lontano e sicuro dagli spauracchi delle paure grossolane infernali, razionalizzato dall’illuminismo.
Ora l’uomo contemporaneo esplora il proprio intimo in una ricerca dello spirituale e di Dio, oltre la lettera cristiana, così palesemente contraffatta, in una mistica nuova secondo un’askesis diversa.
La figura mista di Gesù, costruita, non ha più presa sulle masse occidentali, acculturate male, ma pur capaci di intendere la mistificazione, avvenuta tramite i giochi letterali e le aggiunzioni, gli spostamenti e le interpretazioni dell’ ermeneutica di parte.Il popolo contemporaneo, inoltre, non essendo più un fantastico bambino che crede nei semidei, in un uomo-dio, è diventato un adolescente rabbioso che si placa solo se conosce la verità, non vuole parvenze, e se rompe l’equivoco, non predilige l’ambiguità poetica, ma segue solo se trova la sua via della conoscenza storica.
Da questo irrazionalismo giovanile si potrebbe conseguire l’ adultismo della totale padronanza razionale e quindi del potere scientifico sulla physis.
Il papa anche se non ha il dovere di promuovere questo processo culturale dell’uomo, della sua maturazione, potrebbe, però, dare il via alla ricerca storica su Gesù umano, grazie alla sua auctoritas morale, liberarlo dalla ignoranza e paura religiosa.
Questo forse è il suo intento sotteso? Dirà qualche fedele precisando:Il papa vuole mostrare la reale portata del messaggio salvifico della effettiva impresa umana del Redentore e quindi evangelizzare gli uomini del terzo millennio guidando alla lettura, evidenziando i signa moralia del percorso eterno del maestro, che fa un metaforico viaggio terreno fino a Gerusalemme, a Gerusalemme Celeste.
Se così vuole dire, si è in un vicolo chiuso, da cui non è possibile uscire. Per parlare di Dio in Gesù c’è tempo: la sua esplorazione con definizione è da ricostruire, sulla base storica, in seguito, in un tempo successivo, dopo la chiarificazione della persona di Gesù.
Noi uomini cerchiamo il nostro fratello, giudeo, prima, la sua sostanza di uomo, i suoi tratti umani, le sue parole, il suo reale contributo alla storia del suo popolo e a quella greco-romana e infine a quella universale.Senza questo inizio critico storico, ogni storia è teleologica: il Vecchio Testamento è ai fini del Nuovo, in contrapposizione al giudaismo secondo la linea di Paolo di Tarso, oppositiva a quella di Giacomo, e di tutta la Chiesa gerosolomitana, rimasta pura fino al 135 d.c..In questo senso i profeti sono anticipatori e figura del Cristo, la sapienza esprime la saggezza che vela il misterioso disegno divino e la sua realizzazione in epoca augustea e tiberiana con la vita, la morte e resurrezione di Gesù Cristo Signore.
Così si fa una storia di risultanze presupposte, troppo ovvia per essere vera; è una lettura finalizzata alla risultanza stessa, prefissata: la figura di Gesù Cristo realizzante le sacre scritture, come uomo dio, come l’atteso, venuto per redimere il mondo caduto nel peccato è interpretazione, lettura secondo verità date ad un popolo di bambini, in un particolare momento storico, poi stratificate, sancite e stabilizzate come nuclei dogmatici.Questa lettura storica è durata come lezione magistrale, a lungo, troppo a lungo, grazie ad accorti aggiustamenti e concili mirati.Ma dopo la crescita dell’uomo, col passaggio da una fase bambina ad una adolescenziale (o adulta) in un ‘epoca nuova, nel terzo millennio, necessita una inversione netta di tendenza, tale da far nascere l’uomo contemporaneo e creare una storia più umana, più democratica, meno confessionale, più laica, meno clericale.Il papa procede solo sulla vecchia strada, parla di Cristo in tono iperbolici miracolistici, mitici, per attirare l’attenzione popolare per una edificazione morale, basata sul rispetto del prossimo, sull’amore, sulla pace, in generale, con termini astratti, per una umana e sociale convivenza.
E’ incline ancora ai valori della obbedienza, del perdono, del rispetto e timore di Dio (Padre, Figlio e Spirito santo- Dio padre e Dio figlio, dio fatto uomo) secondo le linee servo-padrone, secondo le teorie cristiane migliori, ma sempre condizionate da lectio cristiana equivoca. Dirà qualche laico, aggiungendo che ognuno tira l’acqua al proprio mulino.
La figura indefinita storica di Gesù se ha prodotto questa ambiguità ed equivocità comunicativa e quindi accettazione passiva della vita umana nelle sue aberranti e contraddittorie lacerazioni e nei conflitti, grazie alle tecniche predicatorie attrattive, e quindi ha permesso il dominio di pochi eletti e la servitù di molti reietti, pur consolati con le speranze sovrumane e ultraterrene, e quindi la disparità sociale ed etnica, sulla base di teorie cristiane o nate nel solco cristiano assistenziale, caritativo, ha avuto una funzione storica, ha creato una comune cultura, quella occidentale dominante. Perché lamentarsi? dirà qualcuno scetticamente.
Occorre una totale revisione delle ideologie e dei sistemi di vita attuali ai fini dei una diversa politica mondiale, occidentale e di una diversa divisione di beni su altre basi non più cristiane, non più perfino religiose: si deve proporre una nuova cultura senza più centralità occidentale-americana, anche se è utopia! Dirà qualche vecchio brontolone che già vede i segni di un nuovo mondo che emerge prepotentemente con le culture cinesi, indiane, islamiche, latinoamericane e che rileva il graduale attenuarsi e quasi spegnersi della luce culturale Europea.
L’autodeterminazione dei popoli, la libertà individuale, il godimento della vita e lo sfruttamento razionale della natura sono presupposti ad un vivere civile, basato sulla pace e sull’amore, sulla tolleranza di ogni forma di diverso.
E’ necessaria la ruolizzazione dei popoli (giuridicamente persone) civili,l iberi autonomi, indipendenti sovrani assoluti del proprio territorio e destino, senza alcun interferenza di altri ritenuti di superiore cultura, e quindi invasori, nuova oltre i principi cristiani, esclusa la belligeranza di ogni tipo, ed ogni supremazia tra simili e viventi (specie come eredità del passato coloniale): in nome di Dio ci deve essere solo la paritarietà con fratellanza universale tra i popoli di uno stesso universo( o di ogni pars anche extra galattica) senza dominatori e dominati.Sono tutte belle idee, non storia!Dirà mestamente qualche idealista, scuotendo la testa. Khrhstos-Christos, una paronomasia felice e fortunata che ha dominato retoricamente il mondo e ha fatto la sua storia, deve essere di nuovo ristudiata e riesaminata o cancellata in quanto il nostro Cristo ha coperto troppe ingiustizie, ha creato sotto forme di carità e di amore una politica falsa ed ha favorito equivoci, di cui la nostra storia recente porta numerosi segni e quindi non ha caratteri di universalismo effettivo ma solo quello di una cattolicità, non riconosciuta perfino in ambito cristiano.
L’humanitas deve essere la connotazione unica dell’uomo con la sua fisicità: la sua integrazione nella phusis è la vera grande espressione del terzo millennio, come graduale e reale conquista.Il modello cristiano non deve essere perduto, ma deve essere capito: ha certamente permesso una crescita dell’uomo, ha fatto la storia dell’uomo, come prolungamento e promulgamento del militarismo imperialistico romano! Potrà dire qualche politico accorto, mediatore e sincretista.
L’utilizzazione di Cristo a fini paradigmatici come edificazione morale dell’uomo sulla base dell’uomo dio, è tutta da rivedere perché sottende un foedus iniquum in una pacificazione concordata ed apparentemente equilibrata.
Se si elimina l’interpretazione, si può eliminare anche la classificazione dei popoli, degli uomini, ed operare per l’uomo oltre i credi religiosi e le formule, i riti, nell’ accettazione del differente e del diverso: esistono rudes agrestes,simplices ancora nel mondo ma non devono essere in nome di Dio condizionati ed assoggettati, ma rispettati; anche per loro c’è stato il trionfo del razionalismo, l’inizio di una società nuova basata sull’humanitas come completa espressione della sua complessa fisicità di cui bisogna scoprire le regole e i genomi per meglio vivere senza attese messianiche, senza elpides sovrumane, nell’accettazione di qualsiasi credo a seguito della adesione di individui, gruppi, popoli, spontaneamente voluta, non imposta da élite sacerdotali con la loro superiore cultura. Dirà con sicurezza il riformista cristiano, convinto di poter cambiare tutto.
Ratzinger, nella sua lettura, (vedi la tentazione, parabola del figlio prodigo, trasfigurazione, ecc) procede nelle sue certezze teologali, e fa la lectio della parola e dei fatti e dei miracoli di Gesù.
Ma la persona risultante di Gesù non è né quella di Dio, né quella di uomo, ma di un essere intermedio che a metà ha contorni umani, in quanto fornito di corpo-materia, teso a fare la volontà del padre, a morire per risorgere, perché conosce il futuro come dio, e che in parte è mezzo uomo, misteriosamente apparso per predicare il regno di Dio, quasi staccato dalla sua patria, avulso dalla sua famiglia, immerso tra un corpuscolo di apostoli, per lo più pescatori, itineranti verso Gerusalemme, dimentichi delle proprie origini, del proprio destino, di quello dei figli, delle mogli, elementi tesi ad un regno ultraterreno, volti ad una missione futura, destinati a fondare in suo nome una religione nuova basata sulla philantropia, sull’amore, sulla pax, i grandi valori, a cui anelava la cultura pagana.
Insomma viene fuori dalle pagine di Benedetto XVI un uomo-dio, un tragico-comico essere, perché costruito l’uno in funzione dell’altro, un personaggio contraddittorio, frutto di una comunicazione oltretutto sbagliata, fatta per uomini semplici ispirata dallo Spirito Santo.
Più il papa commenta, più si evince tale figura strana, esangue come uomo e indefinita come Dio, di Gesù, essere misterioso (proprio come quella idealizzata della iconografia ufficiale cristiana ) alonato con la corona della santità, con i tratti idealizzati della ritrattistica imperiale latina.
Ma se Ratzinger parla , come privato e non come pontefice dalla cattedra di S Pietro, lasciando perfino la possibilità di critica, di contraddizione e chiedendo solo di aver una benevolenza da parte di lettori, il suo esercizio predicatorio non diventa così ancor più equivoco? Potrà pensare qualcuno.
Il cristiano, fedele, si aspetta da un prelato una apologia del cristianesimo una presa di posizione dogmatica e non può pensare che abbia limiti in senso storico e d esegetico: lui è il sommo pontefice di santa romana chiesa, infallibile in materia di fede, un mostro di dottrina.In questo modo la sua lezione teologica porta frutti negativi alla sua figura stessa, al suo carisma.
La captatio benevolentiae preliminare di un professore di teologia, tipico modo di presentarsi al suo gregge di un pastore abile nelle artes praedicandi, riesce, ma a caro prezzo.Il mondo cattolico non ha bisogno di questo libro, specie quello laico, che vuole prima una netta separazione tra ragione e fede e poi sulla base razionale la presentazione di una figura ricostruita, umana, di Cristo, certa, su cui poter ancorare la fede nella resurrezione, senza la quale non c’è Cristianesimo. Il mondo laico non più analfabeta non più massa credulona a cui dare contenuti di carnalia sensibilia palpalbilia (cose carnali, sensibili e palpabili), ha bisogno di indicazioni serie di oggettiva critica storica su basi scientifiche per poi ricostruire la propria fede. Il laico cristiano sta rivelando in altre religioni il male del fanatismo religioso fomentato dal clero e rivede la propria storia medievale con orrore, e condanna l’irrazionalismo come dannoso per l’uomo. L’irrazionalismo religioso non esiste più nel cristianesimo dove vive lo scetticismo, la cui azione razionalistica ha liberato l’uomo dal peccato , dall’ignoranza ed avviato alla conquista del sapere in senso pagano , come riconquista del valore dell’esser uomo tra uomini e animale tra animali, come particella di una physis vivente da rispettate e proteggere e da lasciare incontaminata alle prossime generazioni.
Il popolo cristiano ha già razionalizzato la sua fede in modo inconscio ma ora va solo cercando le ragioni scientifiche, nauseato del male, connesso con la religione e con il clero.Allora un pastore della Chiesa Romana che non sfiora nemmeno il problema delle fonti storiche e dei reali rapporti con il giudaismo (nonostante la volontà di rimanere collegato al giudaismo) e non mostra l’ esatta derivazione da quel giudaismo ellenistico filoromano, e non dichiara la propria preclusione dal giudaismo palestinese e partico aramaico, antiromano, difficilmente può aver presa su lettori che vogliono conoscere il volto di Gesù umano, la storia vera della propria religione, ad di là dei riti, per vivere da cristiani secondo una cultura d’amore, vero, senza la doppiezza politica.
Se, però, il papa non distingue il Regno dei Cieli dal Regno di Dio, sostanziale ai fini di una positiva impostazione storica, rilevabile dai testi tramandati, nonostante le torture a cui sono stati sottoposti nel corso dei secoli chiaramente non si possono porre quaestiones critiche ed esegetiche, e per forza deve fare la storia di un Gesù senza coordinate storiche e geografiche, senza la ricostruzione dei contesti, senza entrare nella cultura romano-ellenistica senza distinguere il mondo giudaico nelle sue varie anime, senza neanche rilevare una guerra di duecento anni tra Romanitas ed ebraismo (63 a.c.-135 d.C.)
Ma è un libro di un teologo non di uno storico? qualcuno potrebbe dire.
Ma allora a che scrivere un libro su Gesù di Nazaret?
Ma il pontefice scrive non di Gesù di Nazaret ( se era di Nazaret!), ma del Cristo vivente e della sua parola eterna vivifica e salvifica valida in ogni tempo , sempre, parla di Gesù di ieri ma vivo oggi e vivente per sempre come Dio? risponderanno in molti i fedeli e chiederanno chi io sia che oso contraddire un magistero, non solo del pontefice ma di tutta una tradizione.
Io? Sono un laico, anonimo. Non ho titoli accademici di prestigio, sono solo un insegnante che conosce le lingue classiche e qualcosa di aramaico, scrittura cuneiforme (sumerico ed accadico) cultura mesopotamica ed iranica ed ho studiato per quaranta anni il cristianesimo delle origini , la storia e cultura romana ed ellenistica, dopo aver fatto traduzioni di autori utili alla conoscenza dell’epoca come Filone di Alessandria (25 a.c. 41-2 d.C) e Flavio Giuseppe (38 d-c- 100-105 d.c), oltre a Giustino, Clemente Alessandrino ed Eusebio, Gregorio di Nazianzo.
Sono un nessuno che non vuole contraddire nessuno, e tanto meno un papa.
So bene cosa significa se da parte di un superiore si invita a contraddire: un colonnello sotto le armi negli primi anni sessanta invitava le reclute a parlare liberamente sul servizio militare e poi rinchiudeva in prigione gli incauti che parlavano di una nazione che rifiutava l’uso delle armi e che quindi per costituzione non doveva arruolare uomini, se non per difesa, chiamandoli sovversivi e obiettori di coscienza.
Mai è servito essere parresiastés, uomo libero di parola tanto meno nel mondo cristiano che è doppiezza , falsa moderazione, apparente pazienza , sopportazione con sorriso, bizantinismo , come quello della politica italiana.
La crisi dei valori cristiani è iniziata con la sfiducia nel clero che legge, interpreta i testi sacri sulla base della lezione farisaica, adottata dagli apologisti , dai padri della chiesa ispirati dallo Spirito santo, e detenendo il potere religioso, vive ed è vissuto e vivrà bene.
La frattura tra clero e laico non si è ancora ricucita: l’ uno crede di capire e e di aver diritto di indottrinare l’altro, che deve eseguire facendo i riti imposti come esecutore passivo non partecipe del vero sacerdozio, che è ermeneusis del testo sacro e celebrazione dei mysteria, diokesis (amminsitrazione) del tutto estraneo alla storia.
Benedetto XVI è la massima espressione del clero, che ha scritto per ribadire una tradizione magistrale quella dei padri della chiesa in un tentativo di ricucire lo strappo con il giudaismo, ma in modo equivoco, perché non ha fatto luce sull’ebraismo di Gesù, sulla vita ebraica di Gesù, sulla fedeltà al giudaismo di Gesù e dei suoi seguaci e famigliari che non accettarono di essere cristiani e che vissero separati come chiesa di Gerusalemme fino al 135 .Il papa ha accettato, non avendo metodo storico, né esegetico, le formulazioni grosso modo, storiche di R. Schnackenburg(1914-2002 ) scrittore di Die persone Jesu Christ im Spiegel der vier Evangelien (La persona di Gesù Cristo nei quattro vangeli), considerato da lui il maggior storico, forse, del ventesimo secolo.
Ma lo scrittore ha concluso il suo lavoro sulla figura umana del Cristo in modo scettico, dubbioso, ed è rimasto in queste idee fino alla morte, convinto che senza il radicamento in Dio la persona di Gesù rimane sfuggevole, irreale e inspiegabile.
Questi,come già Rudolf Bultmann (1884-1976), ha considerato, quindi, mitizzata la persona di Gesù, riprendendo la tradizione settecentesca ed ottocentesca, pensando che sia compito dello storico, prima di documentare la veridicità del cristianesimo, rilevare la veridicità della figura umana del Cristo, senza la quale non è opportuno operare sul fenomeno derivato del cristianesimo.
Solo dopo la reale conoscenza dei fatti umani di un Gesù, elemento di stirpe giudaica, che vive effettivamente, nella realtà umana e storica dell’impero romano, (di cui è parte integrante , seppure periferica, l’ex regno di Erode il grande) è possibile operare sulla religione da lui derivata (e nel suo nome costituita).Uno studio sincronico della Ioudaea e dell’impero romano in epoca Augustea e Tiberiana con dilatazioni retroattive fino alle ultime fasi della Repubblica prima del principato , e con proiezioni verso il regno di Caligola e Claudio e di Nerone,con aperture anche al regno flavio e a quello dei primi antonini può permettere la conoscenza del popolo giudaico e di un giudeo del I secolo d.C.
Specialmente risulta fondamentale il periodo Seianeo (23-31)e postseianeo,(32-37), caligoliano (37-41) e primi anni dell’impero di Claudio in cui si verificano la dilacerazione e lo sdoppiamento dell’imperium tiberiano, nella convulsa lotta tra il partito giulio e quello claudio ai fini della successione imperiale prima e poi, dopo l’uccisione di Caligola , quando dopo il rischio mortale per tutto l’ethnos giudaico, c’è la riqualificazione del sistema giudaico col suo ripristino statutario, dopo l’atimia. Lo storico in questo preciso contesto può rilevare il costituirsi di una comunità “cristiana” antiochena e seguire la sua storia nell’impero, dopo aver colto, rilevato ed evidenziato l’effettivo evento glorioso, che ha reso unico, controverso, ed irripetibile per il giudaismo, il personaggio di Jehoshua- Jehu – Gesù.
Senza la centralizzazione di questo evento (prescindendo da quello mitico della nascita di un dio-uomo,della sua morte e resurrezione) e la sua ricostruzione, è impedita ed atrofizzata ogni storia (direi, preclusa e volutamente negata).
Quanto scrisse Bultmann nel 1941 circa il carattere storico della interpretazione religiosa è ancora attuale.Le sue parole, dette nella conferenza sulla demitologizzazione del contenuto evangelico e specificamente della figura e della vita di Cristo sono da tenere in considerazione.Il problema del cristianesimo storico è nella assimilazione ed equivalenza di Regno di Cieli e Regno di Dio: se si dissociano questi due regni e si riesce a dare un’area semantica ad ognuno , allora può iniziare la storia del cristianesimo e quindi forse ritrovare la figura di Gesù umana. Senza questa iniziale distinzione ogni operazione storica non è possibile.
Da qui la necessità di stabilire il compito dello storico (specie di quello delle religioni) nell’ accertare i fatti ( come eventi ordinari o straordinari) e quello dell’ esegeta (come lavoro sul testo e sulle parole dette senza interpretazione, lasciate nel loro cotesto e contesto). Ora dunque lo scetticismo storico di Schnackenburg, chiaro in ogni parte della sua opera, si precisa in questa frase: mediante gli sforzi della ricerca con metodo storico-critico, non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazaret ….(cfr Storia o Teologia)