Considerazioni su Gesù di Nazaret di Benedetto XVI

Storia o teologia ?
Benedetto XVI dice di aver scritto un libro sulla vita di Gesù e sulla sua storia avvertendo  che il suo lavoro  “non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente  espressione  della … ricerca personale  del volto di Signore “.
Egli tratta  in  Gesù di Nazaret  solo degli eventi che vanno dal Battesimo  alla Trasfigurazione  e, quindi, si riserva di completare l’opera con un secondo libro, in modo da concludere tutto l’iter della vita  e  commentare il totale messaggio del Maestro.
Il papa ha scritto un libro di storia per precisarsi personalmente la reale figura di  Gesù Cristo Signore e precisarla ai cristiani?  potrebbe dire qualcuno.

E si potrebbe pensare che, per questo, deposta l’ auctoritas papale, il papa, da privato, dichiara  che “ciascuno è libero di contraddire”.
Si può credere, perciò , che il pontefice   sia animato da  desiderio  di ricercare  qualcosa di nuovo, in quanto in possesso di manoscritti riservati, oppure voglia  lavorare su varianti testuali,   o  che desideri indagare  su autori basilari  per la conoscenza delle origini del cristianesimo, oscure, per  definire e far luce sulla  figura storica ed umana  di Gesù, così  mistificata e così variamente letta e distorta da tanti ricercatori, desiderosi più di profitto che di conoscenza  storica.
Il Gesù di Nazaret  di Benedetto XVI, quindi, secondo alcuni, avrebbe dovuto porre fine alle chiacchiere sulla  figura del fondatore o per lo meno zittire qualche facinoroso, chiarire le controversie storiche essenziali sulla nascita, sulla vita pubblica, sui rapporti con scribi, farisei, sadducei, sulla morte, sulle cause del suo crimen, sullo zelotismo  galilaico, e perfino sulla famiglia e su Maria Maddalena: insomma questo libro, vista l’autorevolezza della persona,  dovrebbe risultare la pietra angolare, basilare per ogni ricercatore serio, non solo cristiano.
Nel dargli credito di benevolenza, come lettore,  si spera, perciò, di  incontrare, nella lettura del libro,  fonti  nuove, fatti, studi specialistici politico-storico-economico-sociali,  prove  epigrafiche, archeologiche o numismatiche, o esami tecnici su basi storiche di prima mano, a seguito di traduzioni di   testi nuovi, di recente  scoperta  o di  testi antichi, noti, commentati diversamente,  insomma, di rilevare  un taglio decisamente storico, o per lo meno, qualcosa di nuovo sulla vicenda umana e sulle parole dette da Gesù e sulle sue  opere.

Nel  libro  del papa non c’ è niente di tutto questo, non  c’è nulla di nuovo né in questo senso né secondo queste linee biografiche  e storiche:  c’è, però, un’ apertura al dialogo, specie con l’ebraismo (l’esame del testo del rabbino Jakob Neusner, pp.125-150, ne è una prova) si potrà dire.
Joseph Ratzinger  segue la solita lettura, tipica dei teologi,  fatta alla luce  mista di fede e di ragione, secondo un duplice canale  improponibile per ogni soggetto razionale,  lasciando tutto secondo la tradizione,  come se il Nuovo Testamento fosse stato partorito direttamente da Gesù Cristo Signore,  come testo unico, santo, intoccabile, perché ispirato  dallo Spirito Santo, secondo la volontà di Dio Padre, a conclusione e completamento del Vecchio Testamento.
Ma  fa  un commento, vero e proprio,  senza apologie, senza opporsi al metodo storico-critico?  Dirà qualche fedele, che condivide le scelte  di metodo e ogni parola scritta da Ratzinger.
Siamo grati  per la  non presenza di lavori espressamente apologetici., ma siamo spiacenti nel rilevare una comunicazione  antiquata, ancora medievale, oggi riconosciuta come fallimentare proprio per la sua doppia contemporanea lettura, che produce ambiguità:  non è sufficiente non opporsi al metodo storico, non basta predicare sul relativismo, è opportuno cercare la via più probabile e sicura in caso di dubbio.
Il papa, però, non ha dubbi  e procede dogmaticamente nella sua  via della verità e della vita, seguendo  i Vangeli, considerati sicuri come testo, secondo tradizione: egli legge le pagine evangeliche e commenta secondo la tradizione cristiana: così tutto quadra e tutto diventa un insegnamento per i cristiani che consentono con quel testo e con quel pensiero così strutturato e tramandato, divenuto ancora più sacro per l’antichità.Così la  conoscenza  diventa una morale universale umana  e comunicabile, mentre essa è  relativa ad un ‘esperienza sensibile  dell’uomo  e ad una  precisa  epoca storica, in cui vive ed ha valore, utile, come cultura,  ma incomunicabile come sistema di vita.
I fatti vengono interpretati con una volontà competitiva e con una implicità presunta oggettività, in cui non esiste separazione con distinzione del carattere universale della cultura e della specificità di ogni singola cultura, unica,  di cui i costumi di ogni popolo sono giustificazione  e degni di rispetto: l’interpretazione competitiva ed oggettiva determina la volontà operativa, di superiorità sull’altro,  la cui cultura  deve essere sostenuta e migliorata.Questa lettura porta solo ad un magistero, non ad una comunicazione:  o si  legge razionalmente e scientificamente  secondo acribia storica o si legge teologicamente, partendo dal presupposto della  fede: leggere insieme  è un assurdo  e la lettura mista produce necessariamente syncresis  e  mythos: predicare perché investiti di autorità divina è un privilegio usurpato e sottende necessariamente una falsificazione.

La stessa autorità, non richiesta, su un altro di qualsiasi genere, è un sopruso come il proselitismo, come il colonialismo in quanto ogni forma di autoritarismo  e di verticismo è theoria elitaria  che copre di buonismo, di umanitarismo, di carità un’arbitraria sovrapposizione , che sottende una millantata  superiorità sul minore ritenuto bisognoso di tutor: ogni popolo, come ogni individuo, in quanto cultura autonoma. frutto di dolorose acquisizioni personali irripetibili, deve maturare il proprio sistema di vita  secondo i propri tempi senza accelerazioni o incitamenti estranei  o controlli o imposizioni  o azioni violente esterne.

Se non ha  scritto un libro di Storia, il papa ha forse  scritto  un libro di esegesi. Si potrebbe  pensare.

Un cristiano allora,  considerato l’incipit di ogni pensiero papale da  una frase evangelica  o da un evento, vista la sua interrogazione sul  significato, letta la sua  conclusione in senso predicatorio e formativo   delle generazioni presenti, rileva, però, che il suo studio verte  sul commento,  grazie al  processo di attualizzazione di Gesù Cristo –Dio vivente,  sempre operativo nella società attuale.
Dalla lettura del libro  è palese la presenza del  commento bibblico, ma staccato da ogni lavoro esegetico,  e  risulta ancor più chiara  l’assenza di ricerca della parola veramente detta dal Signore,  e di  studi specifici  dei cotesti e dei  contesti per stabilire  se il  termine  è coevo o è spurio, se  il termine (o il sintagma o l’enunciato)  è  aggiunta successiva e manipolazione in quanto la retorica artificialis è segno di dubbia autenticità.Dal sistema  di scelta delle letture e dalla tipologia di commento  si evince che  siamo di fronte solo  a un commento  della parola del Signore  o di eventi narrati,  su  cui non  ci sono dubbi circa l’autenticità, nonostante  gli infiniti problemi testuali, le controversie di datazione, l’inattendibilità dei fatti, da secoli dibattuti. Sorprende che si proceda nel commento e non si faccia un minimo cenno  o rimando alla tradizione del testo aramaico-giudaico, da una parte e  di quello greco dall’altra,  alle due differenti culture, e che  si sorvoli sulle differenze di significato tra le lingue,  si passi sotto silenzio sui tempi e sui luoghi di semantizzazione del testo sacro Vetero-neo testamentario.
La contrapposizione Torah di Gesù e Torah di Mosé (Fu detto, ma io dico)  costruita sul sistema abituale diairetico di Filone, dando per scontata l’autenticità testuale dei brani citati  di Paolo, dei tre vangeli canonici e soprattutto del quarto vangelo,  diventa nucleare ai fini propagandistici  del libro.
Il pontefice confessa di aver tratto giovamento dal ragionamento di J. Neusner (1932, vivente scrittore di A rabbi talks with Jesus) un rabbino  praticante, che pur resta in Israel Eterno e non si si lascia cristianizzare da Gesù,  che predica dalla montagna.Seguendo il rabbino, che si finge discepolo e che ascolta e parla con Gesù (il quale proclama il liberalismo e il soggettivismo cristiano ponendosi come Legge, come signore dello shabat,  come santo e Dio, come comunità stessa, non solo famiglia), Ratzinger mostra di aver individuato esattamente la differenza tra Torah di Mosè e quella di Gesù, tra la passiva accettazione  ebraica della condizione umana  fiduciosa in Dio Padre e creatore  e l’attiva e personale adesione  del cristiano, che in Gesù per Gesù e  con Gesù vive, muore risuscita e si deifica. Si tratta di un’ innovazione  grandiosa, in quanto  completamento della torah  mosaica  che, però, non convince Neusner, rabbino (come già  sostanzialmente manifesta Trifone  nei confronti di Giustino apologista), che rileva l’errore solo nel soggettivismo  classico (tipico della romanitas ellenistica), nel porsi di un uomo come Dio  a modello di santità, come signore del sabato, come comunità stessa, come Legge  per i fedeli,  come se il Vecchio Testamento si concludesse effettivamente con il Nuovo e come se lui  Christos  fosse  Chrhstos, il  Logos (il  Verbo ), Figlio, Dio venuto per la salvezza dell’uomo, mediatore tra il Padre e l’humanitas.
Nel testo matteano  Del discorso della montagna e in Paolo (lettera ai Galati)  è presente un  equivoco determinato dalla presenza di Regno dei Cieli e Regno di Dio, indistinti.
I testi matteano e paolino (lucano) sottendono due diverse fasi storiche, una derivata dal giudaismo e ad essa ancorata  in senso popolare,  come volontà di coesione contro la Romanitas in un momento storico di guerra contro  le legioni e un’altra successiva alla morte di Cristo, enucleatasi nel corso del I secolo dopo la distruzione del tempio e definitasi nel corso del secondo secolo, nel convulso clima ereticale gnostico e poi monarchiano, come volontà di difesa dell’unità di Dio.
Il testo presenta la lezione unitaria  definitiva di questo processo sotteso, di cui restano segni, specie in Matteo, che ha scritto per i giudeo-cristiani.Il cristianesimo  ha fuso storicamente  due credi quello di Gesù umano,  giudeo (che si mantiene nella Legge  e che con i suoi seguaci crea un corpo unico religioso militare, costituito da  giusti, liberi  in senso antiromano, basato sul suo esempio di Signore del sabato con tutte le conseguenze,  compresa la  stessa costituzione di un nuovo sacerdozio, quello essenico) e quello di Paolo (lettera ai Galati, entrata in circolo effettivamente dopo il settanta)  misto al Vangelo giovanneo, che  è  studio sulla figura di Gesù divinizzata, successivo all’impresa fallita di Shimon bar Kokba.
Il cristianesimo è  fenomeno sincretistico, che è  una spugna che prende agli inizi  le ragioni degli altri e si nutre del pensiero coevo nella sua crescita; è sincresi di quanto  prodotto da altri, specie dall’ebraismo, ellenistico, che ha fatto la stessa operazione  diversamente da quello aramaico, che, invece, coerentemente procede,  in un rifiuto delle linee ellenistiche romane, restando ancorato alla torah mosaica.
Roma  cristiana ingoia, metabolizza, digerisce tutto nel corso dei primi tre secoli e  e poi ingloba tutto l’elaborato  pensiero cristiano orientale costantiniano e postcostantiniano e la cultura teodosiana (Teodosio I, Arcadio, Pulcheria, Teodosio II); il  papa fa lo stesso con Neusner che, comunque, rimane nel suo credo proprio per la chiara conoscenza delle due diverse  figure, sottese nel Gesù della montagna: Gesù uomo creatura, non avrebbe usato un linguaggio da Dio: lo spavento della sua ecsousia  da parte del popolo si sarebbe tradotto in  lapidazione in quella situazione specifica. Il sincretismo cristiano si rileva ancora di più nella preghiera del Padre Nostro dove il papa  minimizza il problema delle due diverse redazioni (quella di Luca più breve e  quella di Matteo più lunga ) e parla secondo tradizione del Regno di Dio anche se  se il pater matteano era di  un’altra tradizione, quella del  Regno dei Cieli.
Il ricordo del pater  hmon, matteano. è diverso dal pater lucano senza hmon, fissato a seconda dei due diversi ascolti ed interpretazioni.
Il Regno dei Cieli  aveva fissato il pater hmon in uno schema memoriale  già nel corso della vita di Gesù, diviso in invocazione e in richiesta  e rimane così stabilito fino al 135  d.C.  nella forma dettata da Cristo, in aramaico, anche quando già esisteva l’altro pater  per quelli uomini che si erano formati a comunità nel nome di Chrestos- Christros ad Antiochia, come già eresia scismatica dal pensiero del maestro.
La storia del  pater matteano  è connessa con l’azione antiromana di Gesù  in quanto  esso  è preghiera militare che unisce  gli adepti secondo lo schema di Giovannni il battista, in una stretta coesione nel nome del capo, in una coscienza di figliolanza con Dio, che viene invocato  perché favorisca il malkut e  si compia la sua volontà nel suo nome benedetto  in una prospettiva universale, secondo  il pensiero  della tradizione escatologica ed apocalittica.
La richiesta di pane, di remissione dei debiti e di liberazione dal male e di assistenza nella prova e liberazione dal male ha valore militare  come speranza  ed attesa di aiuto celeste  nel momento dell ‘azione militare  e di martirio.
La traduzione  successiva in greco ha alleggerito i toni sia della invocazione che quella della  richiesta  conformando il pater hmon a quello  lucano,  per cui dalla seconda metà del II secolo diventa preghiera ufficiale della grande CHIESA cristiana, comune a  tutte le comunità cristiane  in un’apertura verso l’universalismo secondo le linee paoline  e secondo retorica (omoteleuto ed anafora del sou), dopo la galuth ebraica in epoca adrianea.
Il papa  senza rilevare le varianti dei due testi e tanto meno la differenza dei due Regni, accetta la tradizione degli apologisti (Tertulliano) e dei  padri (Cipriano): il termine (hmon  di noi /nostro,espresso come genitivo plurale,dopo pater e dopo ton arton  il pane)  diventa espressione di universalismo ed emblema della Cattolicità, sottratto al giudaismo, che rivendica il padre e creatore  come Dio  e che non ha alcun bisogno di una preghiera come questa (insegnataci da Gesù)  che, così scritta,  è un piccolo Credo  in cui è sintetizzata la  fides cristiana con una terminologia giudaica ellenistica.
Al papa  non interessa la questione dell’ autenticità ma solo la spiegazione del pane nostro,  della  remissione dei peccati , della  tentazione, e della liberazione,  insomma, degli effetti della venuta del Signore come possibili doni ad un fedele che prega il suo dio come padre, che entra nell’economia del suo regno e che fa la sua volontà  dopo averne  santificato il nome.Neppure la santificazione del nome  di Dio (un assurdo dall’angolazione giudaica) lo turba : per lui in nome di Gesù, che è la Legge nuova, il santo, l’uomo stesso santifica Dio (che è il santo, già santo) in un processo  tipicamente pagano (proprio della cultura augustea, del divus).
Il padre nostro non è preghiera giudaica di Gesù umano che dice Shema Israel, e che lo usa forse solo per coordinare i suoi alla lotta antiromana: esso poi  diventa  preghiera di un Gesù Dio, costruito dopo lo gnosticismo, quando si è lacerata anche l’ultima connessione tra i seguaci di Cristo di Antiochia e  l’ebraismo proprio per la santificazione della domenica al posto dello shabat.  Il papa è spedito nel commento  e non si  preoccupa  delle molte  cruces  testuali, della necessità di referenziazione  concreta   di  termini controversi come epiousios  (solo un cenno decodificatorio) non   precisa i  tanti equivoci  sottesi, nati dalla retorica greca ed inesistenti in quelli  della tradizione ebraica.
Egli segue la via agostiniana  appresa da Ambrogio, seguace di Origene, che permette di conoscere  un’interpretazione della Bibbia  che rende trasparente nella direzione di Cristo la Bibbia di Israele, tanto da rendere visibile in essa  la luce della sapienza ricercata.Una tale lettura della Bibbia  di Israele che riconosceva nelle sue vie storiche la trasparenza di Cristo e così la trasparenza del logos  della terrena sapienza stessa   ritenuta fondamentale per la conversione di Agostino  diventa  il fondamento della decisione di fede  della Chiesa nel suo insieme  (prefazione a Pontificia Commissione Biblica Il popolo giudaico e le sue sacre scritture  nella BIbbia Cristiana,2001).
Insomma per Ratzinger Cristo trasparente  è punto di riferimento di tutte le vie dell’Antico testamento  e per questo, pur riconoscendo il valore della critica di Adolf von Harnack del 1920  sull’ errore di conservare  il Vecchio Testamento come documentro canonico del valore dello stesso  Nuovo testamento,  (che pur era stato rifiutato nel II secolo nel periodo di Marcione,  segno di una paralisi religiosa ed ecclesiale) ritiene  valida la lettura agostiniana,  prefissata  su Cristo, centrale nella storia.
La centralità di Cristo nella storia  è meglio rilevabile con l’accettazione del Vecchio Testamento ai fini del Nuovo Testamento! Le infinite quaestiones dottrinali, gnostiche, cristologiche, trinitarie, presenti nei passi esaminati, sottese in precise parole e detti,   restano ancorate ai loro termini di base greca: neanche  fa luce su  casi evidenti ed ormai  storicamente chiari, sulla datazione dei vangeli  canonici,  con la sola eccezione per  quella del vangelo di Giovanni,  privilegiato  da lui rispetto agli altri,  in cui accetta nel complesso il pensiero di Martin Hengel, che, ottimo in tanta parte della sua opera, è nebuloso, claudicante ed incerto  proprio nella ricerca della autenticità del Vangelo di Giovanni di Zebedeo, improponibile ed impossibile.
Convinto di questa trasparenza, accenna, perciò, solo ai problemi sulla trasmissione dei due diversi canoni  veterotestamentari  quello ebraico  (Torah) e quello cristiano( Bibbia dei settanta), e non rileva l’impostazione paolina  della tradizione  di tutti i libri canonici  neotestamentari, che solo tardivamente accoglie Giacomo (la sua epistola), il fratello di Gesù nella carne.Insomma  il papa, senza aver  chiarito qualcosa  sul piano tecnico,  procede come se fosse sicuro e certo il testo della nostra tradizione cristiana, ed  insiste  per la sua spiegazione in senso formativo, senza entrare in merito  alle questioni esegetiche.
Se non ha fatto nessuna di queste operazioni storiche ed esegetiche ma ha solo sentito il problema di dover scrivere,  di dover puntualizzare  il suo pensiero sul cristianesimo, oggetto di tutta la sua vita di uomo e di teologo, ed evidenziare la retta dottrina cristiana, avrà avuto le sue ragioni? si dirà.
Non ha voluto scrivere di ciò  su cui non è maestro: ha fatto onestamente  lezione magistrale solo là dove  ha competenza effettiva. Potrebbe dire qualcuno.
Ma in questo modo  il suo scrivere potrebbe essere  solo una voce delle tante, inutili ai fini della soluzione dei problemi, una ripetizione  di contenuti, un ribadimento di un messaggio già codificato e semantizzato  tra la fine del terzo e il quarto secolo, dopo il travaglio dottrinale e rituale  dei primi  secoli, prima e dopo la scissione con la cultura giudaica, da cui era nato.
Il suo commentare potrebbe apparire l’inizio di una nuova evangelizzazione cristiana  su basi medievali.
Il papa, che  commenta come un commentatore medievale,  secondo la logica comunicativa ancora medievale,  in cui c’è un  magister con  discipuli, tutti uomini della stessa cultura  e classe sociale,  in cui un docente  spiega a minores (uomini e popoli)  considerati rudes ed agrestes,  mandando messaggi elementari ad ignoranti che accettano ogni parola detta, codificata , dogmatizzata,  e che   seguono il rito latino della chiesa  ed esprimono rabbia, impotenza e dolore nella  bestemmia  dialettale e volgare,  in una maledizione della vita stessa umana  di   suddito, di  servo della gleba,  di  bisognoso di conforto, di solidarietà, di speranze, di promesse ultraterrene,  può sembrare  un conservatore, lontano dalla realtà  attuale? Potrebbe pensare qualche cristiano, poco praticante.
 L’exemplum di Gesù,  mediano tra dio e uomo, utile per l’accettazione della  quotidianità della vita, del destino umano  di vita dolorosa e di morte, di uomo che risorge dalla morte  e che ricongiunge l’humanitas con Dio,  è stato vincente per secoli grazie alle connessioni politiche tra la classe sacerdotale e quella politica ed economica  a scapito della massa popolare, tenuta  nella ignoranza, assoggettata con il militarismo germanico e con il condizionamento religioso.
Questa tipologia di comunicazione  non è comunicazione, è condizionamento retorico del superiore sull’inferiore, del clero sul laico, del governante sul governato, del ricco sul povero. Il papa non ha  di fronte più un laico  da indottrinare, agricolo, ignorante  bestemmiatore, emotivo, fantastico, bambino   bisognoso di parabole,  trascinato dalla apparente  semplicità e genuinità dell’artificio secolare religioso, nonostante gli equivoci del messaggio cristiano,  ma un laico, occidentale, che ha  acquisito in vario modo  i processi culturali settecenteschi, ottocenteschi e novecenteschi,  che ha studiato, ha sufficiente cultura  e possibilità di discernimento, ed è capace di  cercare e trovare  via internet  altri magisteri di parole, di confrontarsi realmente mediante viaggi,  con altri messaggi religiosi, di aprirsi ad altre comunità per saziare le proprie  angosce esistenziali, per illuminare le zone d’ombra della sua anima, dilacerata,  turbata  dallo stress  industriale e cibernetico, afflitta da  tanti mali e sollecitata in senso edonistico ed insoddisfatta  del proprio esistere, curiosa di cultura.
L’uomo contemporaneo, occidentale  introverso, psicolabile,  nauseato e stressato  dalla quotidianità cittadina neanche bestemmia più, non ha quella capacità di sopportazione agricola perché più debole fisicamente  e mostra  così   un’altra faccia dell’ umanità  quella del disturbi psichici, delle  nuove turbe, del  rinnovato  phobos,  del tutto lontano e sicuro dagli spauracchi  delle paure grossolane infernali, razionalizzato dall’illuminismo.
Ora  l’uomo contemporaneo esplora il proprio intimo in una ricerca dello spirituale e di Dio,  oltre la lettera cristiana, così palesemente contraffatta, in una mistica nuova  secondo  un’askesis diversa.
La figura mista di Gesù, costruita,  non ha più presa sulle masse occidentali, acculturate  male, ma  pur capaci di intendere la mistificazione, avvenuta tramite i giochi letterali e le aggiunzioni, gli spostamenti  e le interpretazioni  dell’ ermeneutica di parte.Il popolo contemporaneo, inoltre, non   essendo più  un fantastico bambino che crede nei semidei, in  un  uomo-dio,  è diventato  un adolescente rabbioso che si placa solo se conosce  la verità, non vuole parvenze, e se rompe l’equivoco, non predilige l’ambiguità poetica,  ma segue solo se  trova la sua via della conoscenza storica.
Da questo irrazionalismo  giovanile  si potrebbe conseguire l’ adultismo della totale padronanza razionale e quindi del potere scientifico sulla physis.
Il papa anche se non  ha il dovere di  promuovere questo processo culturale dell’uomo, della sua maturazione, potrebbe, però, dare il via alla  ricerca storica su Gesù umano, grazie alla sua auctoritas morale, liberarlo dalla ignoranza e paura religiosa.
Questo forse è il suo intento sotteso? Dirà qualche fedele precisando:Il papa vuole mostrare la reale  portata del  messaggio salvifico della effettiva impresa umana del Redentore e quindi evangelizzare  gli uomini del terzo millennio guidando alla lettura, evidenziando i signa moralia  del percorso eterno del maestro, che fa un metaforico viaggio terreno  fino a Gerusalemme, a Gerusalemme Celeste.
Se così vuole dire, si è in un vicolo chiuso, da cui non è possibile uscire. Per parlare di Dio in Gesù  c’è  tempo: la sua esplorazione con  definizione è da ricostruire, sulla base storica, in seguito, in un tempo successivo, dopo la chiarificazione della persona di Gesù.
Noi uomini cerchiamo il nostro fratello,  giudeo, prima, la sua sostanza di uomo, i suoi tratti umani, le sue parole, il suo reale contributo alla storia  del suo popolo  e a quella greco-romana e  infine a  quella universale.Senza questo inizio critico storico, ogni storia è teleologica: il Vecchio Testamento è ai fini del Nuovo, in contrapposizione al giudaismo  secondo la linea di Paolo di Tarso, oppositiva a quella  di Giacomo, e di tutta la Chiesa gerosolomitana, rimasta pura fino al 135 d.c..In questo senso  i profeti  sono anticipatori e figura del Cristo, la sapienza esprime  la saggezza che vela il misterioso disegno divino e la sua realizzazione in epoca  augustea e tiberiana  con la  vita, la morte e  resurrezione di Gesù Cristo Signore.
Così si fa una  storia di risultanze presupposte,  troppo ovvia per essere vera; è una lettura finalizzata alla risultanza stessa, prefissata: la figura di Gesù Cristo   realizzante le sacre scritture,  come uomo dio,  come l’atteso, venuto  per redimere il mondo caduto nel peccato è  interpretazione, lettura  secondo  verità date ad un popolo di bambini, in un particolare momento storico, poi stratificate, sancite e stabilizzate come nuclei dogmatici.Questa lettura storica  è durata come lezione magistrale,  a lungo, troppo a lungo, grazie ad accorti aggiustamenti e concili mirati.Ma dopo la crescita dell’uomo,  col passaggio da una fase bambina ad una adolescenziale (o adulta) in un ‘epoca nuova,    nel terzo millennio, necessita  una inversione netta di tendenza, tale da  far nascere l’uomo contemporaneo  e creare una storia più umana, più democratica, meno confessionale, più laica, meno clericale.Il papa procede solo sulla vecchia strada, parla di Cristo in tono iperbolici  miracolistici, mitici,  per attirare l’attenzione popolare per una edificazione morale,  basata sul rispetto del prossimo, sull’amore, sulla pace,  in generale, con termini astratti,  per una  umana e sociale convivenza.
E’ incline ancora ai valori della obbedienza,  del perdono, del rispetto e timore di Dio (Padre, Figlio  e Spirito santo-  Dio padre e Dio figlio, dio fatto uomo)  secondo le linee servo-padrone, secondo le teorie  cristiane migliori, ma sempre condizionate da  lectio cristiana  equivoca. Dirà qualche laico, aggiungendo che ognuno tira l’acqua al proprio mulino.
La figura indefinita storica di Gesù se ha prodotto questa ambiguità ed equivocità comunicativa  e quindi  accettazione passiva della vita  umana nelle sue aberranti e contraddittorie  lacerazioni  e nei conflitti, grazie alle tecniche predicatorie  attrattive, e quindi ha permesso il dominio  di pochi eletti  e la servitù di molti reietti, pur consolati  con le speranze sovrumane e ultraterrene,  e quindi la disparità sociale ed etnica, sulla base di teorie  cristiane o nate nel solco cristiano assistenziale, caritativo, ha avuto una funzione storica, ha creato una comune cultura, quella occidentale dominante. Perché lamentarsi? dirà qualcuno scetticamente.
Occorre una totale revisione  delle ideologie e dei sistemi di vita attuali ai fini dei una diversa politica  mondiale, occidentale e di  una diversa  divisione di beni su altre basi non  più cristiane, non più perfino religiose: si deve proporre una nuova cultura senza più centralità occidentale-americana, anche se  è utopia! Dirà qualche vecchio brontolone che già vede i segni di un nuovo mondo che emerge prepotentemente  con le culture cinesi, indiane,  islamiche, latinoamericane e che rileva il graduale  attenuarsi e quasi spegnersi della luce culturale  Europea.
L’autodeterminazione dei popoli, la libertà individuale, il godimento della vita e lo sfruttamento  razionale della natura sono presupposti ad un vivere civile,  basato sulla  pace e sull’amore, sulla tolleranza  di ogni forma di diverso.
E’ necessaria la ruolizzazione dei popoli (giuridicamente persone) civili,l iberi autonomi, indipendenti  sovrani assoluti del proprio territorio e destino, senza alcun interferenza di altri ritenuti di superiore cultura, e quindi invasori, nuova oltre i principi cristiani, esclusa  la belligeranza di ogni tipo, ed ogni supremazia tra simili e viventi (specie come eredità del passato coloniale): in nome di Dio  ci deve essere solo la paritarietà con fratellanza universale tra i popoli  di uno  stesso universo( o di ogni pars anche extra galattica) senza dominatori e dominati.Sono tutte belle idee,  non storia!Dirà mestamente  qualche idealista,  scuotendo la testa. Khrhstos-Christos, una paronomasia felice e fortunata  che ha dominato retoricamente il mondo e  ha fatto la sua storia, deve essere di nuovo ristudiata e riesaminata o cancellata  in quanto  il nostro Cristo ha coperto troppe ingiustizie, ha creato sotto forme di carità e di amore una politica falsa ed ha favorito equivoci, di cui la nostra storia recente porta numerosi segni e quindi non ha caratteri di universalismo effettivo ma solo quello di una cattolicità,  non riconosciuta perfino in ambito cristiano.
L’humanitas deve essere la connotazione unica dell’uomo con la sua fisicità: la sua integrazione nella phusis è la vera  grande  espressione del terzo millennio, come graduale e reale conquista.Il modello cristiano  non deve essere perduto, ma deve essere capito: ha certamente permesso una crescita dell’uomo, ha fatto la storia dell’uomo, come prolungamento e promulgamento del militarismo  imperialistico romano! Potrà dire qualche politico accorto, mediatore e sincretista.
L’utilizzazione di Cristo a fini  paradigmatici  come edificazione morale dell’uomo sulla base dell’uomo dio, è  tutta da rivedere perché sottende un foedus iniquum  in una pacificazione concordata  ed apparentemente equilibrata.
Se si elimina l’interpretazione, si può eliminare anche la classificazione dei popoli, degli uomini, ed operare per l’uomo oltre  i credi religiosi e le formule, i riti, nell’ accettazione del differente e del diverso: esistono  rudes  agrestes,simplices ancora nel mondo ma non  devono essere in nome di Dio condizionati ed assoggettati, ma rispettati; anche per loro c’è stato il  trionfo del razionalismo, l’inizio di una società nuova basata sull’humanitas  come completa espressione della sua complessa fisicità di cui bisogna scoprire le regole e  i genomi   per meglio vivere senza attese messianiche, senza elpides sovrumane, nell’accettazione  di qualsiasi credo  a seguito della   adesione di individui, gruppi, popoli, spontaneamente voluta, non imposta da élite sacerdotali con la loro superiore cultura.  Dirà con sicurezza il riformista cristiano,  convinto di poter cambiare tutto.

Ratzinger, nella sua lettura, (vedi la tentazione, parabola del figlio prodigo, trasfigurazione, ecc)  procede nelle sue certezze teologali,  e fa la  lectio della parola e dei fatti e dei miracoli di  Gesù.
Ma la persona risultante  di Gesù  non è né  quella di Dio, né quella di  uomo, ma di un essere intermedio che a metà   ha contorni umani, in quanto fornito di corpo-materia, teso a fare la volontà del padre, a morire per  risorgere, perché conosce il futuro  come dio, e che  in parte è  mezzo uomo, misteriosamente apparso per predicare il regno di Dio,  quasi staccato dalla sua patria,  avulso dalla sua famiglia, immerso  tra  un corpuscolo di apostoli,  per lo più pescatori,  itineranti verso Gerusalemme, dimentichi delle proprie origini, del proprio destino, di quello dei figli,  delle mogli, elementi tesi ad un regno ultraterreno,  volti ad  una missione futura, destinati a   fondare in suo nome  una religione nuova basata sulla philantropia, sull’amore, sulla pax, i grandi valori, a cui anelava la cultura pagana.
Insomma viene  fuori dalle pagine  di Benedetto XVI  un uomo-dio, un tragico-comico  essere,  perché costruito l’uno in funzione dell’altro, un personaggio  contraddittorio,  frutto di una comunicazione oltretutto sbagliata, fatta per uomini semplici  ispirata dallo Spirito Santo.
Più il papa commenta, più si  evince tale figura  strana, esangue come uomo e indefinita come Dio,  di Gesù, essere  misterioso  (proprio come quella idealizzata della iconografia  ufficiale cristiana )  alonato con la corona della santità, con i tratti idealizzati della ritrattistica imperiale latina.
Ma se  Ratzinger  parla , come privato e non  come pontefice  dalla cattedra di S Pietro, lasciando  perfino  la possibilità di critica, di contraddizione e  chiedendo solo di aver una benevolenza da parte di lettori,  il suo esercizio predicatorio   non diventa così ancor più equivoco? Potrà pensare qualcuno.

Il cristiano, fedele,  si aspetta da un  prelato una apologia del cristianesimo  una presa di posizione dogmatica   e non può pensare che abbia limiti in senso storico e d esegetico:  lui è il sommo pontefice di santa romana chiesa, infallibile in materia di fede, un mostro di dottrina.In questo modo la sua lezione teologica porta frutti negativi alla sua figura stessa, al suo carisma.
La captatio benevolentiae preliminare di un professore  di teologia, tipico modo di presentarsi al suo gregge di un pastore  abile nelle artes praedicandi,  riesce, ma a caro prezzo.Il mondo cattolico  non ha bisogno di questo libro, specie quello laico, che vuole  prima una netta  separazione tra ragione e fede e poi sulla base razionale  la presentazione di  una figura ricostruita, umana, di Cristo, certa, su cui poter  ancorare  la  fede  nella resurrezione, senza la quale non c’è Cristianesimo. Il mondo laico  non  più analfabeta non più massa credulona  a cui dare contenuti di  carnalia sensibilia palpalbilia (cose carnali, sensibili e palpabili),  ha bisogno  di indicazioni  serie  di oggettiva critica storica  su basi scientifiche per poi  ricostruire la propria fede. Il laico cristiano sta rivelando in altre religioni  il male del  fanatismo religioso fomentato dal clero  e rivede la propria storia medievale con orrore, e condanna l’irrazionalismo come dannoso per l’uomo. L’irrazionalismo religioso non esiste più nel cristianesimo dove vive lo scetticismo, la cui azione razionalistica ha liberato l’uomo dal peccato , dall’ignoranza  ed  avviato alla conquista del sapere  in senso pagano , come riconquista del valore dell’esser uomo tra uomini e animale tra animali, come particella di  una physis vivente  da rispettate e proteggere e da lasciare incontaminata alle prossime generazioni.
Il popolo cristiano ha già razionalizzato la sua fede in modo inconscio ma  ora va solo cercando le  ragioni scientifiche, nauseato del male, connesso con la religione e con il clero.Allora un pastore della Chiesa Romana che  non sfiora nemmeno  il problema delle  fonti storiche  e dei reali rapporti con il giudaismo (nonostante la volontà di rimanere collegato al giudaismo)  e  non  mostra l’ esatta derivazione da quel giudaismo ellenistico filoromano, e  non dichiara la  propria preclusione dal giudaismo palestinese e partico aramaico, antiromano,  difficilmente può aver presa su lettori  che vogliono conoscere  il volto di Gesù  umano, la storia vera della propria religione, ad di là  dei riti,  per vivere da cristiani  secondo una cultura d’amore, vero, senza la doppiezza politica.
Se, però, il papa non distingue il  Regno dei Cieli dal  Regno di Dio, sostanziale ai fini di una positiva impostazione storica,  rilevabile  dai testi  tramandati, nonostante le torture  a cui sono stati sottoposti nel corso dei secoli chiaramente  non si possono  porre quaestiones critiche ed esegetiche, e  per forza deve fare  la storia di un Gesù senza coordinate storiche e geografiche, senza la ricostruzione dei contesti, senza  entrare nella cultura romano-ellenistica senza distinguere il mondo giudaico nelle sue varie anime, senza neanche rilevare  una guerra di duecento anni tra  Romanitas ed ebraismo (63 a.c.-135 d.C.)
Ma  è un libro di un teologo non di uno storico?  qualcuno potrebbe dire.
Ma allora a che scrivere un libro  su Gesù di Nazaret?
Ma  il pontefice scrive non di Gesù di Nazaret ( se era di Nazaret!), ma  del Cristo vivente  e della sua parola eterna vivifica e salvifica  valida in ogni tempo , sempre,  parla di Gesù di ieri ma vivo oggi e vivente per sempre come Dio? risponderanno in molti  i fedeli  e chiederanno chi io sia che oso contraddire un magistero, non solo del pontefice ma di tutta una tradizione.
Io? Sono  un laico, anonimo.  Non ho titoli accademici di prestigio,  sono solo un insegnante  che conosce le lingue classiche e qualcosa di aramaico, scrittura cuneiforme (sumerico ed accadico) cultura mesopotamica ed iranica  ed ho studiato per quaranta anni il cristianesimo delle origini , la storia e cultura  romana ed  ellenistica,  dopo aver fatto traduzioni di autori utili alla conoscenza  dell’epoca  come Filone di Alessandria (25 a.c. 41-2 d.C) e Flavio Giuseppe (38 d-c- 100-105 d.c), oltre a Giustino,  Clemente Alessandrino ed Eusebio, Gregorio di Nazianzo.

Sono un  nessuno  che non vuole contraddire nessuno, e tanto meno un papa.

So bene cosa significa  se  da parte di un superiore  si  invita  a contraddire: un colonnello sotto le armi  negli primi anni sessanta invitava le reclute a parlare liberamente sul servizio militare  e poi rinchiudeva in prigione gli incauti che parlavano  di una nazione che rifiutava l’uso delle armi e che quindi per costituzione non doveva arruolare  uomini, se  non per difesa, chiamandoli  sovversivi e  obiettori di coscienza.
Mai è servito essere parresiastés, uomo libero di parola tanto meno nel mondo cristiano  che è doppiezza , falsa moderazione, apparente pazienza , sopportazione con sorriso, bizantinismo , come  quello della politica  italiana.
La crisi  dei valori cristiani  è iniziata con la sfiducia nel clero  che legge, interpreta i testi sacri   sulla base della lezione farisaica, adottata dagli apologisti , dai padri della chiesa  ispirati dallo Spirito santo, e  detenendo  il potere religioso,  vive  ed è vissuto e vivrà bene.
La frattura tra clero e  laico non si è ancora ricucita: l’ uno crede di capire e  e di aver diritto di indottrinare l’altro, che deve eseguire facendo i riti imposti  come esecutore passivo non partecipe del vero sacerdozio, che è  ermeneusis del testo sacro e celebrazione dei mysteria, diokesis (amminsitrazione)  del tutto estraneo alla storia.
Benedetto XVI è la massima espressione del clero,  che  ha scritto per ribadire una tradizione magistrale  quella dei padri della chiesa  in un tentativo di ricucire lo strappo con il giudaismo, ma in modo equivoco, perché non ha fatto luce sull’ebraismo di Gesù, sulla vita ebraica di  Gesù, sulla fedeltà  al giudaismo di Gesù e dei suoi seguaci  e famigliari che non accettarono di essere cristiani e che vissero separati come chiesa di Gerusalemme fino al 135 .Il papa ha accettato,  non avendo metodo storico, né esegetico, le formulazioni grosso modo, storiche di  R. Schnackenburg(1914-2002 ) scrittore di Die persone Jesu Christ  im Spiegel der vier Evangelien  (La persona di Gesù Cristo  nei quattro vangeli), considerato da lui  il maggior storico, forse, del ventesimo secolo.
Ma lo scrittore  ha concluso  il suo lavoro sulla  figura umana  del Cristo  in modo scettico, dubbioso, ed è rimasto  in queste idee fino alla morte,  convinto che  senza il radicamento in Dio la persona  di Gesù  rimane sfuggevole, irreale e inspiegabile.
Questi,come già Rudolf  Bultmann (1884-1976),  ha considerato, quindi,  mitizzata la persona di Gesù, riprendendo la tradizione settecentesca ed ottocentesca, pensando che  sia  compito dello storico, prima di  documentare la veridicità del cristianesimo,  rilevare la veridicità della figura umana del Cristo, senza la quale  non è opportuno  operare sul fenomeno derivato del cristianesimo.
Solo  dopo la reale conoscenza dei fatti umani di un Gesù,  elemento  di stirpe giudaica, che vive effettivamente, nella  realtà umana e storica dell’impero romano, (di cui è parte integrante , seppure periferica, l’ex regno di Erode il grande) è possibile operare sulla religione da lui derivata (e nel suo nome  costituita).Uno studio sincronico della Ioudaea  e dell’impero romano in epoca Augustea e Tiberiana  con dilatazioni  retroattive fino alle ultime fasi della Repubblica  prima del principato , e con proiezioni verso il regno di Caligola e Claudio e di Nerone,con aperture anche al regno flavio e a quello dei primi antonini può permettere la conoscenza  del popolo giudaico e di un giudeo del I secolo d.C.
Specialmente risulta  fondamentale il periodo Seianeo (23-31)e postseianeo,(32-37), caligoliano (37-41) e primi anni dell’impero di Claudio in cui si verificano la dilacerazione e lo sdoppiamento dell’imperium tiberiano, nella convulsa lotta tra il partito giulio e quello claudio ai fini della successione imperiale prima e poi, dopo l’uccisione di Caligola , quando  dopo il rischio mortale per tutto l’ethnos giudaico, c’è  la riqualificazione del sistema giudaico col suo ripristino statutario, dopo l’atimia. Lo storico  in questo preciso contesto può rilevare il costituirsi di una comunità “cristiana” antiochena e seguire la sua storia nell’impero, dopo aver colto, rilevato ed evidenziato l’effettivo evento glorioso, che ha reso unico, controverso, ed irripetibile per il giudaismo, il personaggio di Jehoshua- Jehu – Gesù.
Senza la centralizzazione di questo evento (prescindendo da quello mitico della nascita di un dio-uomo,della sua morte e resurrezione) e la sua  ricostruzione, è impedita ed atrofizzata ogni storia (direi,  preclusa e  volutamente negata).
Quanto scrisse Bultmann  nel 1941 circa il carattere storico della interpretazione religiosa è ancora attuale.Le sue parole, dette nella conferenza sulla demitologizzazione del contenuto evangelico  e specificamente della  figura e della vita di Cristo sono da tenere in considerazione.Il problema del cristianesimo storico è nella assimilazione ed equivalenza di Regno di Cieli e Regno di Dio: se si dissociano questi due regni  e si riesce a dare un’area semantica ad ognuno , allora può iniziare la storia del cristianesimo e quindi forse ritrovare la figura di Gesù umana. Senza questa iniziale  distinzione ogni operazione storica  non è possibile.
Da qui la necessità di stabilire il compito dello storico (specie di quello delle religioni)  nell’ accertare i  fatti ( come eventi ordinari o straordinari)  e quello dell’ esegeta  (come lavoro sul testo e sulle parole dette senza interpretazione, lasciate nel loro cotesto e contesto). Ora  dunque lo scetticismo storico di Schnackenburg, chiaro in ogni parte della  sua opera,  si precisa   in questa frase: mediante gli sforzi della ricerca  con metodo storico-critico, non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente  a raggiungere  una visione affidabile  della figura  storica di Gesù di Nazaret ….(cfr Storia o Teologia)