Apage, noctua

1,4 דּ֤וֹר הֹלֵךְ֙ וְד֣וֹר בָּ֔א וְהָאָ֖רֶץ לְעוֹלָ֥ם עֹמָֽדֶת׃
Qo1,4 Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa!

Magari fosse così, Kohelet! Saremmo fortunati! L’uomo – un essere presuntuoso e stupido, ignorante educato dal clero (che predica di venerare e temere Dio!) ad essere re dell’universo – ha cambiato nella sua superbia e tracotanza l’ambiente, ha modificato il clima e, pur conoscendo la genetica, tende a trasformare perfino se stesso, snaturandosi!

*Nonno, ho visto scritta una frase nel cornicione di una casa in via F.Crispi, mentre giravo per andare al coro, nella Chiesa di Sacramentini, a cui appartiene quel padre Mario, nostro parroco, che ha benedetto la nostra casa.

Quale frase?

*Apage, noctua

Tu parli della casa della mia amica Di Sebastiano, una vecchia professoressa, e del marito, un avvocato con la passione del latino, il cui figlio, Angelo, ha venduto la bella villa paterna all’immobiliare Spina-Marchei!.

* Forse. Nonno . Che significa? Io non so tradurla!

Va via, gufo! e sottende ...stai lontano da questa casa ! Mattia, è un sintagma latino, pagano, molto importante per le caste sacerdotali, che, ritenendo di saper scongiurare il male, che viene dall’alto, con tiritele e litanie propiziatorie, specie nei giorni funesti di febbraio 13-15, chiedevano aiuto al nume, avendo retribuzione e remunerazione dai poveri contadini, proprietari di piccoli fondi ed anche, poi, dai ricchi domini-padroni di villae!. Col cristianesimo, i sacerdoti hanno stravolto i riti per celebrare Gesù, la luce venuta dal cielo, come la manna, ed hanno cambiato le feste pagane, a cominciare dal 2 febbraio, il giorno della Candelora – festa dei ceri e della presentazione del neonato bambino dopo 40 giorni al Tempio – anche se era in anticipo, rispetto all’arcaica festa di Lupercalia (che era anticamente una celebrazione sul Palatino in onore di Fauno-lupercus, che proteggeva dai lupi il bestiame e consentiva, tramite anche Priapo, la fecondazione ed, insieme a Giunone, favoriva un buon parto alle donne!).

*Nonno, la Candelora non è una festa cristiana? non è quella del proverbio, detto da nonna Pina, Quando vien la candelora dall’inverno semo fora, ma se piove o tira vento, nell’inverno semo dentro?

Si. Non è, però, festa cristiana!. Era un’ antica festa, in cui due gruppi di 12 Luperci, sacerdoti che formavano due corporazioni quella dei Fabiani e quella dei Quinctiales , si incontravano sul Palatino, seminudi ed impiastricciati di fango nel volto. Dopo aver fatto il sacrificio di una mucca, insieme, le due corporazioni facevano corregge con la pelle e con esse colpivano i fianchi delle giovani donne, che incontravano e poi andavano a fermarsi vicino al Rominale, dove si diceva che Acca Larenzia, la lupa, aveva trovato i due bambini, salvatisi dalle onde del Tevere, ed erano raggiunti dalle fanciulle destinate ad avere un figlio, dopo 10 lunazioni, secondo la leggenda di re Evandro, il mitico monarca venuto dall’ Arcadia con Pallante.

Il Rominale?

Era un albero, un fico-erineos, detto Roominalios, un tempo ai piedi del Palatino, verso il Velabro, presso il quale le acque del Tevere deposero la cesta con i gemelli Romolo e Remo, che furono trovati ed allevati da Acca Larenzia, la lupa, e dal marito, il pastore Faustolo ( cfr. Plutarco, Romolo,4-6 ) viventi presso la grotta con la sorgente del Lupercale, per cui il nome sembra poter derivare dal fiume vicino, detto  Rumon. Secondo gli antichi storici l’albero prodigiosamente venne trasportato dal Palatino nel mezzo del Foro, dove fu venerato dai Romani, che ebbero la sorpresa nel 58 d. C., in epoca neroniana, di vedere il vecchio rinsecchito tronco, rinverdito, dopo 840 anni (Plin., NatHist., XV, 77; Tac., Ann., XIII, 58) Ti aggiungo che là, dove era piantato il fico, c’erano anche un olivo ed una vite e forse anche la statua di Marsia con un’otre sulle spalle!.

*Nonno, I cristiani, una volta vittoriosi, si appropriano, dunque, dei riti pagani e delle basiliche?

Si Mattia. Questo ed altro fanno i christianoi, vincitori! io ne ho parlato a lungo coi miei alunni. Comunque, sappi che, a Roma, avviene con papa Gelasio ( che, poco prima della sua morte, nel 492 d.C. chiese al senato di cambiare il rito pagano a favore della purificazione della vergine Maria, la quale con Giuseppe aveva presentato Gesù al tempio ed aveva ricevuto da Simeone l’augurio del Christos futura luce del mondo ) il passaggio dal culto pagano a quello cristiano e che , all’ epoca, vengono autorizzati così anche altri cambiamenti.

*Ci sono altre feste cambiate, allora? Me le dici.

Certo. Altrimenti non si spiega come possa esserci una tale iscrizione in una casa costruita agli inizi del Novecento, come segno tangibile di religio- superstizione!. Le feste, come le Robigalie o le Ambarvalia, erano processioni in mezzo ai campi e le corporazioni degli augures e degli arvales, procedendo a passo di danza, con turiboli, incensavano sfumicando da una parte e da un’altra, facendo riti propiziatori a scopo apotropaico, salmodiando, a volte, recitavano, talora, preghiere per ottenere il favore divino, sacrificavano animali, facendo per tre volte il giro della città, oltre che tra i campi (quod ambiat arva hostia– perché la vittima girava per i fondi) .

*Nonno, ho sentito parlare dei carmina arvalia. Mi puoi dire qualcosa?

Certo, Mattia. Ti dico che sono carmina popolari, canti della corporazione degli arvales – i 12 figli di Faustolo e di Acca Larenzia, consacrati da Romolo sacerdoti per la purificazione dei campi/arva – che prima della primavera, a febbraio, dovevano fare esorcismi campestri recitando brevi preghiere ed invocando per tre volte l’aiuto dei lari- lases rurali (protettori anche domestici, familiari, patrii) per 9 volte quello di Mars/Marmar /Marmor, Dio agreste, confuso con i semunes, celebrati anche loro per tre volte, e chiudere col grido di triumpe, cinque volte ripetuto.

Ecco, cosa esattamente gli arvales dicevano nel carmen-canto, composto di cinque strofette-triplici- :

  1. Enos, Lases, iuvate / o Lari aiutateci
  2. Satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber / sii sazio, o feroce Marte, balza oltre la soglia, rimani lì.
  3. Neve lue, Marmar, sins incurrere in pleores / non permettere, Marte. che rovina incorra, cadendo su molti
  4. Semunis alterni advocapite conctos/ invocate a turno tutti gli dei delle sementi-semones
  5. Enos, Marmor iuvato/ ci aiuti Marte. Con Triumpe, triumpe, triumpe, triumpe, triumpe/trionfo,trionfo,trionfo, trionfo, trionfo ripetuto cinque volte, in relazione alle 5 invocazioni ai numina celesti, si esprimeva il tripudio popolare per la sicura speranza di una futura assistenza, ben marcata nell’imperativo futuro di 3^ persona con soggetto Marmor.

*Dunque, l’uso cristiano propiziatorio deriva dai riti pagani latini?

Prima della primavera, Mattia, i sacerdoti romani, facendo le lustrationes, purificazioni con sacrifici animali, s’ingegnavano con pratiche rituali per stornare pericoli dal gregge , decimato dai lupi, timorosi dell’arrivo di bestie famelici o dell’insorgere della ruggine-robigo nei campi, seminati a grano, spaventati dalla presenza di cornacchie o da uccelli notturni, strige, civetta. gufo, allocco, ritenuti portatori di cattivo augurio, che presagivano mali imminenti. Le interiezioni ouai in greco e vae in latino valgono guai o ahi! e sono espressione di dolore o di sdegno.

*Dolore o sdegno per cosa e per chi e quando?

Di solito, in certe situazioni, per qualcuno ma anche per cose o animali infausti, che venivano posti al dativo e all’accusativo. Infatti, si può usare vae mihi o vae tibi, guai a me o guai a te ma anche vae me o vae te/ povero me o povero te!

*Nonno, si dice anche vae victis! guai ai vinti! per indicare la triste condizione dei popoli vinti che subiscono il giogo dei vincitori. Non per nulla nel Medioevo, nel corso delle tante invasioni barbariche, il contadino latino prega Dio di liberarlo, oltre che dai fenomeni naturali, dalle epidemie ed anche dalla guerra!.

Certo, Mattia. Da qui l’imitazione delle antiche rogazioni campestri delle Robigalie con preti cristiani che, portando croci, turiboli ed acqua santa, fanno lustrationes-purificazioni per esorcizzare campi e contadini, pregando a peste, a fame, a bello, libera nos domine, lanciando maledizioni contro animali ed uccelli predatori. Da qui anche le maledizioni contro strigidae, uccelli rapaci notturni, dagli striduli buboli, da ripetuti e ritmati uh, uh che suonavano come presagi funesti in quanto lo strix-strige era stato associato da commediografi come Plauto, da poeti come Ovidio, o da naturalisti come Plinio il vecchio, a strega, ad arpia, a vampiro, che si avvicinavano alle culle dei neonati ed instillavano, di notte, nelle loro labbra, latte avvelenato!. Queste, che erano feste primaverili in onore di Robigo- divinità della ruggine o golpe, confusa con Dhmhther erusibih ( il 25 aprile) -, divennero in Gallia, intorno al 470 , grazie a S. Mamerto, vescovo di Vienne, in occasione di una calamità, festività che si assimilarono e finirono per sostituire anche le Ambarvalia, processioni dei contadini per i campi che, pregando la dea Cerere, ancora facevano riti a presidio della vegetazione. Dalla chiesa gallicana l’uso delle rogazioni passò nella liturgia romana al tempo del papa Leone III, quando si creò il Sacro Romano Impero con l’incoronazione di Carlo Magno a Roma, nel Natale dell’anno 800, quando fu prescritto il digiuno.

*Chiaramente, nonno, era utile per tranquillizzare il popolo ignorante, la preghiera, oltre l’ acqua santa, e le benedizioni, che dovevano dare sollievo ai poveri contadini assillati dai suoni ritmati, striduli dell’uccello, che risultava insopportabile, anche se era un rapace, innocuo, dotato di vista acuta, notturno, benefico normalmente, col difetto abitudinario di fare nido su nidi altrui-!.

Certo, Mattia- comunque gli aristocratici romani del I secolo a. C., come i due fratelli Lucullo, nella loro villa, pars dominica, facevano scrivere a lettere cubitali A .P. A.G.E, N.O.C.T.UA, dopo un rito apotropaico. Altri popoli invece li consideravano profeti e li tenevano come uccelli sacri, e li cantavano nei loro poemi: gli ateniesi, poi, celebravano e veneravano la civetta, uno strigide come il gufo, animale sacro a Athena parthenos-vergine!.

*Nonno, perciò, non riuscivo a tradurre la frasetta!

Lo credo: un termine è greco ed uno è latino.! Il primo è un presente imperativo greco da apagoo, già in uso in epoca del commediografi, quando già inizia il fenomeno dell’ellenizzazione in Roma tra i nobili, come gli Scipioni.

*Quindi, nonno, è un rito di propiziazione, che vale maledizione, come il contrario di una benedizione cristiana con l’acqua santa.

Certo. Con aràs arasthai un greco lanciava un’arà imprecazione minacciosa e maledica contro qualcuno, uomo o animale. Plauto lo usa per inviare anche in quel paese un amico cum nostro Sesto Servilio-col nostro Sesto Servilio, mentre Terenzio usa l’imperativo alla greca per cacciare dalla propria vista qualcuno, importuno, invidioso e nemico!

*Bravi latini e greci nella loro religio-superstizione! bravissimi i cristiani, che, pur credendo alla provvidenza, hanno bisogno di fare rogazioni !,

Purtroppo, Mattia, maledizioni o benedizioni servono a poco all’uomo, su questa terra che sta andando alla deriva come un barchetta nell’Oceano immenso, senza più foreste, senza più ghiacciai, con buchi atmosferici, tutta in via di desertificazione, con un sole- che non è più radioso di vera luce benefica, ma è di forza letale, con la luna afunzionale e con le altre stelle non solo del sistema solare ma anche della Via lattea e perfino di quelle Extragalattiche- già contaminato dalla presenza umana negli spazi siderali ! L’uomo ha un suo destino naturale, come la terra, come l’universo: quel che deve accadere accade!. La mano di un mortale niente può di fronte all’eimarmenh, se non peggiorare la situazione!. Fermarsi di fronte all’abisso è ultima res possibile! E’ fatale ciò che è naturale, nonostante le leggi fisiche!. A nulla serve dire Vattene, gufo! E’ segno della nostra personale idiozia ed impotenza, come le rogazioni sacerdotali! Esiste la Sapienza?!

Tutto è trasformato: è progresso, Kohelet! Povero, poverissimo Salomone!