Trionfo di Cesare e morte
Secondo Flavio (Guer. Giud: I,193-4) Cesare, dopo aver sistemato le cose in Egitto, navigò e tornò in Siria.
Non si crede che il dittatore, scortato da Antipatro fino ai confini con l’Asia (Ant. Giud,XIV, 156,) sia passato via terra, ma che, giunto alla Torre di Stratone (la futura Cesarea Marittima) -dove esisteva un piccolo porto- approda in Idumea, terra giudaica come ospite di Antipatro.
Cesare porta con sé molti scienziati del Museo, tra cui alcuni caldei e l’alessandrino Sosigene, esperto nell’osservazione del corso del sole, capace di riformare il vecchio sistema di misurazione ufficiale del calendario lunario.
Probabilmente, lì sulla costa Cesare, col suo questore e con gli schiavi addetti agli acta, e con copisti alessandrini detta conferendo la cittadinanza romana politeia h romaioon e immunità ateleia insieme ad altri onori e riconoscimenti militari tanto da rendere Antipatro zhloton invidiabile.
Infine, per merito suo, il dittatore conferisce l’archieroosunh ad Hircano (Guer. Giud., I.194),
Antipatro ha così diritto ad essere chiamato Giulio e alla esenzione dai tributi perché civis/poliths e la possibilità di trasmetterla ai suoi figli: è un dono di inestimabile valore.
Tra i tanti decreti fatti da Cesare e dai suoi amici, poi, per gli ebrei riportati da Giuseppe Flavio c’è l’esenzione dal servizio militare come privilegio ebraico in considerazione della tipicità di vita giudaica a causa del particolare modo di vivere giudaico (casherut, astensione da cibi di maiale, sospensione dell’attività dal venerdì al sabato, interruzione per le preghiere quotidiane ecc) e dal pagamento dei tributi.
Tutti questi decreti sono segni di una riconoscenza da parte di Cesare ma anche di una sua profonda conoscenza di un ethnos, capace di dominare il mondo con la funzione commerciale emporistica e trapezitaria e la superiore organizzazione sociale in senso universale come cosmopolita, che trae profitto proprio dalla sua stessa dispersione coloniale, avendo un’unità culturale grazie alla legge mosaica e al tempio.
Cesare accanto a Hircano e a Antipatro matura l’idea universale giudaica di penetrazione in Parthia e in India, i suoi due sogni, a seguito della visione mercantilistica ebraica, che già ha preceduto con la sua funzione methoria, le legioni romane!
Cesare pontifex maximus, imperator, nikeths, rappresentante di Zeus, onora la famiglia sacerdotale e regale asmonea riconfermando il sommo sacerdozio ad Hircano, exemplum per la romanitas di unità e simbolo religioso in quanto Nomos empsuchos legge vivente, grazie al valore militare e alla fides di Antipatro.
Essendo in un ambiente di romanizzati e in una festa, in cui c’è ringraziamento da parte del dictator, despoths del mondo, ad Antipatro, si presenta, senza invito, una delegazione giudaica, comunque accettata da Cesare, composta da ribelli, capitanata da Antigono, fratello di Alessandro, figlio di Aristobulo neoteropoiios, in casa proprio di chi ospita, per chiedere il riconoscimento dei suoi diritti al trono.
Si tenga presente che si conoscono altre feste a Baia e Pozzuoli di amici e parenti che ospitano nello loro ville il dux con quasi mezza legione.
Il giovane Antigono si lamenta di fronte a Cesare, ben cosciente che il padre Aristobulo è stato avvelenato dai pompeiani e che suo fratello Alessandro è stato decapitato da Scipione, e desta la compassione del dittatore. Antigono è veramente personaggio sfortunato a capitare nel momento peggiore in quanto Cesare è debitore della vita stessa ad Antipatro, che è il nemico giurato della sua famiglia!. Accade allora che Antipatro si straccia le vesti e mette a nudo le sue ferite numerose e dice che della sua lealtà verso Cesare non ha bisogno di parlare perché lo conclama il suo corpo ed aggiunge di stupirsi dell’ardire di Antigono che, essendo figlio di un nemico dei romani, anzi di un prigioniero fuggito da Roma, ha ereditato dal padre l’inclinazione alla rivolta e alla sedizione (polemiou romaioon uios,oon kai romaioon drapetou kai to neooteropoios einai kai staisodhs autos patrooion echoon) e del coraggio di accusare gli altri davanti ad un generale romano.
E conclude dicendo di meravigliarsi che invece di ringraziare di essere vivo , cerca di trarre profitto e precisa che la sua ambizione non nasce dal bisogno ma dalla volontà di spingere alla ribellione i giudei, una volta ritornato in patria, per servirsi dei suoi mezzi a danno di chi gliel ‘ha offerti. (Ibidem, 198).
Cesare, neanche ascolta le richieste di Antigono per il principato e tanto meno le accuse contro Hircano ed Antipatro stesso, di cui sa bene il valore.
Secondo Flavio (Ibidem, 200) Cesare allora dichiara Hircano ancora più degno del principato e concede ad Antipatro il titolo di epitropos Iudaias di governatore di Giudea e lo autorizza a ricostruire le mura abbattute della patria e stabilisce che il decreto sia iscritto in una lapide da affiggere sul Campidoglio, a testimonianza e della sua giustizia e del valore di quello (tas men dh timas tautas Kaisar epestellen en tooi Kapitooliooi, ths te autou dikaiusunhs shmeion kai ths tandros esomenas areths).
Dalla località idumea Cesare di nuovo con le sue tre legioni si imbarca fino ad Efeso dove l’attende Mitridate, con cui, unite le truppe, a marce forzate fa il percorso di 600 km, in poco più di un mese, per arrivare nei pressi di Zela dove il 2/ Agosto/12 giugno sconfigge Farnace.
Mentre Cesare dopo la vittoria, sistemata l’Asia, fa scalo ad Atene e poi a Patrasso e da lì giunge a Taranto, dove riceve i senatori pentiti pompeiani tra cui Cicerone, Antipatro subito rifece le mura abbattute da Pompeo, secondo Flavio, cioè Iosip ben Mattatia – che è sacerdote e bravo a consultare gli archivi sacerdotali- abile a mostrare l’esaltazione da parte dei romani e dei greci nei confronti del sommo sacerdote Hircano – pronto a sfruttare l’occasione di dare valore e prestigio a lui stesso, erede di quella tradizione-!
Lo storico poi aggiunge (Ibidem 156-7) che l’epitropos
seda ogni tumulto girando per la regione, minacciando ed esortando a stare in pace dicendo: se date il vostro consenso ad Hircano, potete vivere serenamente ed indisturbati godere dei propri beni, ma se qualcuno spererà di ribellarsi con sedizione e di guadagnare qualcosa, avrà me signore/despoths al posto del prefetto prostaths e Hircano turannos invece del re e i romani e Cesare invece di governatori, terribili nemici:
Flavio chiude: infatti essi non possono consentire che si cambi colui che essi hanno stabilito.
Insomma Antipatro ristabilisce l’ordine, dopo le sommosse, fissa i ruoli di potere, propri di Prostaths , che può degenerare in despoths quelli della potestas sacerdotale e regale con possibilità tiranniche, in caso di neoteropoiia/rivoluzione.
In questo discorso di Flavio è sotteso un netto divieto per gli ebrei: ogni potere deriva solo da Roma e da Cesare e suoi discendenti .
Flavio poi aggiunge che vedendo, però, Hircano indolente e pigro, nominò suo figlio maggiore governatore militare di Gerusalemme ed Erode, il secondogenito, che aveva solo 15 anni (in effetti ne ha 25), ebbe la stessa carica per la Galilea. A lui non nocque la giovinezza/ neoths: essendo un ragazzo nobile nel pensiero, trovava l’occasione per manifestare il suo reale valore.
Antipatro legge il mandato di Cesare a sua discrezione ed inizia a costruire la sua fortuna e quella della sua famiglia.
Antipatro è in contatto con Antonio nel periodo del suo consolato, in cui sono manipolati gli acta Caesaris?
Non ci sono prove di contatti diretti, ma non si possono negare che non ci sono stati, se Cicerone in II Filippica 36.91 afferma che su tutto quanto il Campidoglio non si faceva altro che affiggere leggi per giungere all’affissione del decreto concernente il re Deiotaro e per concludere con un apoftegma Haec vivus eripuit, reddit mortuus! Da vivo portò via i beni ed ora li restituisce da morto, dopo aver dichiarato che l’esenzione dai tributi veniva venduta non più a singole persone, ma pure ad intere comunità e la cittadinanza romana veniva concessa non più individualmente, ma ad intere province.
Per Flavio mostrare i documenti ebraici è una necessitas perché in epoca flavia gli scrittori ebraici sono in polemica con altri greci e persiani,che parlano di non presenza degli atti in biblioteche pubbliche, ma solo presso di noi e presso alcuni barbari; però non si può dubitare dei decreti romani in quanto sono riposti in pubblici luoghi e pendono nel Campidoglio, intagliati su tavole di metallo.
Flavio è scrittore apologista, molto nazionalistico, desideroso di evidenziare la grandezza del suo popolo, affermandolo nel contesto di un sistema universalistico romano-ellenistico.
Anche da Cesare, però, è rilevato Hircano come bradus e noothhs e per questo viene autorizzato il potere di Antipatro, non quello dei figli, che invece ora occupano due dei distretti gabiniani migliori, Gerusalemme e Sefforis, cioè il cuore della Giudea col tempio e la frontiera galilaica.
Mentre Antipatro inizia la sua trionfale ascesa come padrone della regione Cesare si avvia verso il trionfo definitivo sui nemici pompeiani dopo il suo ritorno a Roma e la espropriazione dei beni di Pompeo accaparrati subito dai suoi fedelissimi specie da Antonio, che è il massimo beneficiario (ha perfino la sua casa).
Dopo l’arrivo in Sicilia, Cesare passa in Africa, dove intorno a Giuba re di Mauretania, si è coagulato un grande esercito sotto il comando di Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, che ha come legati uomini di grande valore come i due figli di Pompeo, Fausto Silla, Catone il Censore ed Afranio
Cesare, disposte le truppe su tre fronti, pone alle ali i veterani mentre tiene al centro la V legione , che ha uomini specializzati contro gli elefanti già spaventati dal lancio di proiettili con fionde e di frecce incendiarie e in breve l’esercito avversario si sbanda: muoiono 10000 pompeiani e solo 50 cesariani, mentre fuggono Labieno e Sesto Pompeo.
La battaglia di Tapso del 6 Aprile/6febbraio è vinta da Cesare, che subito procede secondo proclami di perdono e di clementia, inascoltato da Catone e da Silla, che si uccidono, mentre gli altri si disperdono e in maggioranza si riuniscono in Spagna.
Tra le ambascerie dei molti sovrani, che vengono a riverire l’invitto imperator c’è pure quella di Hircano e di Antipatro, che riceve da Cesare una copia di un suo decreto per la curia e al popolo di Sidone di cui parla Flavio (Ant Giud, XIV 191-195) Cesare, imperator, pontefice massimo, dittatore per la seconda volta, ai magistrati, alla curia e al popolo di Sidone salute: se state bene, pure io col mio esercito. Vi mando copia del decreto, inciso su tavoletta fatto ad Hircano figlio di Alessandro, principe dei sacerdoti ed etnarca dei giudei perché si riponga nelle vostre pubbliche memorie e voglio che si intagli in lettere greche e latine su tavole di metallo.192. Questo è (il testo): io, Giulio Cesare, dittatore per la seconda volta, pontefice massimo di mia volontà e col parere del consiglio ho deciso così: poiché Hircano figlio di Alessandro, ebreo ora e in passato in pace e in guerra ha dimostrato lealtà e cura per le nostre cose, come testimoniano per lui molti comandanti e nell’ultima guerra è venuto in soccorso come alleato con 1500 soldati e mandato da me in aiuto a Mitridate superò in valore tutti i commilitoni per queste ragioni voglio che Hircano, figlio di Alessandro, e i suoi figli siano etnarchi dei giudei, che abbiano il sommo sacerdozio sul loro popolo secondo i costumi patri e che lui e i suoi figlioli, miei alleati, ed anche siano annoverati nel numero dei miei amicissimi e che per mio ordine lui e i suoi figli posseggano tutte le giurisdizioni sacerdotali tradizionali. Nel caso dovesse sorgere questione su cose giudaiche, mi piace che si venga al nostro giudizio e comunque non voglio che paghino per lo svernare dei soldati e che si riscuota da loro altri denarii.
Cesare afferma, con questo decreto (ouk dokimazoo) di non autorizzare che si faccia la paracheimasian lo svernamento che non ci siano le richieste di denarii ( khrhmata): era in uso che lo svernamento era a carico non dei romani ma degli alleati, che si assumevano l’onere di far svernare l’esercito romano con il versamento di sesterzi, se non erano sufficienti i viveri.
In conclusione Flavio vuole dire che i giudei hanno nel mondo romano una considerazione secondo i decreti cesariani simile a quella dei cives romani e quindi il loro particolare politeuma è comparato con quello della Politeia/civitas.
Ne consegue che lo statuto di Alessandria, Cirene, Efeso, Antiochia e quello delle altre maggiori città dell’impero, dominate dai giudei ellenisti, vale quasi come Politeia, specie in seguito, quando è riconosciuta e confermata da Augusto e da Agrippa che, insieme ad Erode sono considerati gli uomini più importanti di tutto l’impero.
E’ questa un’ulteriore prova della superiorità giudaica tra gli altri popoli dell’impero romano in quel lasso di tempo.
A Roma, dopo il suo ritorno il 25 luglio (poi 25 maggio) intanto si comincia a preparare il trionfo: viene invitata Cleopatra con suo fratello minore Tolemeo XIV anche se la loro sorella Arsinoe con Ganimede è destinata ad ornare il carro del vincitore, in quanto Cesare trionfa sui ribelli alessandrini che l’ hanno intrappolato in città.
Il trionfo risulta più grandioso di quello di Pompeo ed è fatto in quattro giorni.
Il primo è sui Galli e termina con la morte di Vercingetorige, dopo la sfilata delle legioni galliche – che inneggiano satireggiando sui vizi del comandante che ha sottomesso la Gallia, ma è stato sottomesso di Nicomede re di Bitinia (Svetonio Cesare 51)- delle insegne militari, dei nomina dei capi tribù e delle gentes galliche e germaniche
Nel secondo si celebra la vittoria di Cesare sull‘Egitto: sfila per prima la statua del dio Nilo, poi il disegno di un modello del Faro di Alessandria portato da 4 giganti , e ogni tipo di animali, zebre e giraffe sconosciute ai romani. Infine sono mostrate le immagini di Achilla e Potino mentre sfilano come prigionieri, insieme ad altri egizi, Arsinoe e Ganimede.
Nel terzo viene celebrata la vittoria su Farnace, mostrati i carri falcati, le ricche credenze della corte, le regine e concubine del re, oltre ai tanti prigionieri di guerra, che portano in processione la famosa frase di Cesare veni vidi vici, che lo acclamano come Nikeths/vincitore. Cesare col suo mantelletto rosso, su un cavallo bianco, sfila coi suoi migliori legati, seguito da quaranta elefanti, bardati, con sul dorso monumentali torce, alla presenza di Cleopatra, che tiene il figlio in braccio, in mezzo ad ancelle e alla sua corte.
Vengono portati carri pieni di talenti d’argento e d’oro presi nelle città nemiche, che sono destinati a donativi per il popolo.
Per ultimo c’è la celebrazione della vittoria su Giuba e non si fa menzione dei prigionieri di guerra romani, ma solo dei numidi e di altre popolazioni mauritane.
Come appendice al trionfo c’è la memoria della Diva Giulia, la sfortunata figlia di Cesare, moglie di Pompeo, morta 8 anni prima: si fanno finte battaglie navali, giochi di gladiatori e un banchetto- dopo la premiazione dei soldati segnalatisi in battaglia, i congedi e i compensi dovuti-, per 66000 Romani, che trovano posto sui 22 000 divani tricliniari (Plutarco, Cesare,55) e sono serviti con quattro vini Falerno, Chio, Lesbo e Mamertino (Plinio il Vecchio, Nat, Hist, XIV,97)
Il senato nomina Cesare console per cinque anni e dittatore a tempo indeterminato.
Cesare ora essendo pontefice massimo, imperator, basileus e nomos empsuchos per l’Oriente tende a dilatare la stessa idea divina, procedendo secondo le formule di ektheosis divinizzazione tolemaica, connesse con la consacrazione del Foro Giulio, con la dedica del tempio di Venere Genitrice e con l’installazione di una statua d’oro di Cleopatra VII.
Cesare ha intenzione di rinnovare non solo la costituzione del mondo romano ma anche il sistema monetario e il calendario
Secondo Cesare I cives romani in ogni parte del mondo devono avere un unico sovrano un’unica legge, un’unica moneta, un unico calendario per avere una comunicazione reale e per una fraterna interazione, in modo da costituire un kosmos con armonia, mantenendo per ora Occidente la lingua latina e in Oriente la koinè, sopportando un bilinguismo per facilitare per il momento l’integrazione tra i popoli destinati però ad un’unica lingua quella latina..
Perciò avendo, grazie alla rapina militare, fatta in Occidente e in Oriente, grande disponibilità di metalli preziosi, crea una nuova moneta ed affida al senato e ai questori il controllo della circolazione monetaria.
Fino al 49 si erano coniate monete d’oro del peso di 8,21 grammi, un quarantesimo di libbra romana del valore di 25 denarii di cioè 100 sesterzii, ora Cesare introducendo nella giusta proporzione del 12/1 il rapporto tra l’oro e l’argento fissa il denario al peso di 3,88 grammi e il sesterzio a quello di 0,97 e stabilisce il valore reale creando così il monopolio monetario romano, che è basilare, in confronto alle altre monete, coniate dai re barbari, favorendo la funzione methoria ebraica specie nelle zone di confine (Cfr A. Petrucci, Mensam exercere, Iovine Napoli 1991).
L’altra riforma necessaria nel 46 – ultimo anno di confusione- è quella del calendario.
Cesare, grazie al matematico Sosigene, comprende che l’omissione del mese intercalare dal 51 al 46 ha provocato disordini nel calendario repubblicano lunisolare e quindi rimedia colmando la differenza tra le date ufficiali e i fenomeni astronomici.
Perciò viene ripristinato l’accordo tra la cronologia e le stagioni, inserendo tra novembre e dicembre tre mesi intercalari, (due di 22 giorni ed uno di 23) per un totale di 67.
Infatti Sosigene da matematico e da astronomo mostra che la durata della rivoluzione terrestre è di 365 giorni più un quarto di giorno per cui se Cesare abolisce il sistema precedente lunisolare, lo può sostituire
uniformando gli anni alla lunghezza solare della rivoluzione terrestre, facendo iniziare l’anno con I gennaio:in questo modo l’inizio dell’anno solare coincide con il potere dei consules designati.
Infine Cesare aggiungendo al 28 febbraio un giorno ogni 4 anni bissestus ( bissestilis completa l’operazione della riforma chiamando dal suo Nome Iulius il mese di Quintilis,.
Mentre Cesare prepara il suo trionfo ed è ancora in attesa dell’arrivo di Cleopatra ed è impegnato nel calendario, sembra che, grazie ad Erode e all’amicizia con Sesto Pompeo, cugino di Cesare, Antipatro cominci a dare un colpo alla stabilità del principato di Hircano, nonostante la correttezza formale nei confronti del sommo sacerdote.
La propagazione dei decreti cesariani e il riconoscimento della tipicità ebraica, la stima giudaica e per Antipatro e per i suoi figli e l’amore dei siriani per Erode, divenuto il beniamino delle folle, per averle liberate dai Lhsthai, sono testimonianza della popolarità dell’epitropos giudaico in tutta quella zona orientale.
Secondo Flavio (Ibidem 159) accade che Erode cattura Ezechia, un capobrigante che devastava le regioni vicine di Siria con una folta banda e lo fece uccidere con molti suoi compagni ladri.
Questa azione, però, non è conforme alla legge e va contro l’auctoritas del Sommo pontefice che, sobillato dai sadducei e dai suoi familiari, invidiosi dell’enorme potere degli idumei, lo convoca a Gerusalemme per essere giudicato dal sinedrio.
A Cesare le notizie della fortuna del suo amico Antipatro vengono da relazioni di Sesto e da quelle di Hircano, oltre che da agenti segreti,- un corpo speciale di spie da lui formato in Gallia e sparso poi nelle province dell’impero-.
Cesare, a Roma, riceve notizie circa la congiunzione di eserciti e l’arrivo di legati pompeiani in Iberia, dove si stanno riunendo sotto il comando di Sesto e di Gneo Pompeo e di Labieno e di altri capi anticesariani, convinti ancora di abbattere la dittatura.
Cesare alla fine dell’anno (o forse ai primi di gennaio del 45) con sole due legioni, conscio di averne in Iberia altre sei, oltre ad un’altra di stanza in Sardinia, già imbarcata su navi, inizia il viaggio che risulta faticoso e tanto duro che il dictator cade malato e viene portato in lettiga o su carri.
Fatto l’iter con la celerità consueta, finge un attacco a Cordova, invece diverte verso Ategua, roccaforte pompeiana, che viene circondata e poco dopo presa
Siccome Gneo Pompeo si è appostato su una collina di Munda con 13 legioni, Cesare, confidando nella superiore organizzazione militare, nonostante la posizione sfavorevole, attacca, pur essendo in inferiorità numerica, avendo solo 8 legioni.
La battaglia subito piega a favore dei nemici, data la posizione, e le truppe cesariane sbandano, si scompaginano ed iniziano a fuggire alcuni, ad indietreggiare altri. Cesare in persona, distinguibile dal suo mantelletto rosso, entra in battaglia, andando minaccioso contro i suoi in fuga e li rimprovera, impone il combattimento ai pavidi, mentre combatte come un forsennato, impavido tra le frecce e lotta per la sua stessa vita (Plutarco, Cesare 56) , coinvolgendo anche il pretorio, le sue guardie del corpo, e stimolando i milites che ripiegano e che ora seguono il cuneo aperto dal condottiero cinquantacinquenne, esempio di virtus militare. Inoltre sopraggiunge la cavalleria gallica cesariana che prende alle spalle i nemici, che subito vanno in fuga: 30000 sono i morti tra i pompeiani, tra i quali Labieno- e dopo qualche giorno viene portata la testa di Gneo, che ferito ad una gamba, è ucciso da un iberico- e solo 1100 sono le perdite dei cesariani.
Finisce la guerra civile il 27 marzo del 45, dopo quattro anni di lotte fratricide.
Fatto di nuovo il trionfo, con poca partecipazione di popolo (molte sono le famiglie romane che piangono!) Cesare ora console e dictator perpetuus ritiene giunto il momento delle ricostruzioni e comincia a sanare le lacerazioni sociali economiche, finanziarie, a ricompensare i veterani con l’assegnazione di terre, invia ottantamila coloni a Cartagine e Corinto, ricostruite dopo un secolo di distruzione, e si dedica a tanti progetti (La costruzione della curia Iulia, il prosciugamento del Fucino, la congiunzione del Tevere con l’Aniene il taglio dell’istmo di Corinto ecc).
Questo periodo, specie l’inverno del 45/44, è trascorso totalmente a Roma: lo vive alternandosi tra la famiglia romana con Calpurnia e quella Egizia con Cleopatra che vive alla periferia nei suoi horti sulla destra del Tevere, lungo la via Appia.
Sembra che Cesare, dopo aver collocato strategicamente la sua armata nei territori provinciali sia su isola che su terraferma, – oltre ad aver allestito un esercito di 16 legioni , pronto ad Apollonia, dove è inviato il pronipote Ottaviano diciottenne, per la guerra contro i Parti- ne assegna anche il comando a legati: 1 in Sardinia; 4 in Iberia; 2 nella Cisalpina;5 nelle Gallie; 4 in Egitto; 4 nell’Illirico; 3 in Africa.
Cesare ha così sotto controllo una potenza militare senza pari, allestita per nuove conquiste.
Inoltre ha un contingente navale non ancora ben distribuito, ma funzionante nei porti occidentali iberici e gallici e in quelli orientali ad Efeso e ad Alessandria tanto da essere il dominatore incontrastato del mare Mediterraneo.
Esercito e marina anche in tempo di pace hanno la funzione di favorire al colonizzazione, incrementare il commercio tra le parti dell’impero, data la sicurezza delle vie, autorizzando la libera circolazione marittima e fluviale.
Cesare è convinto che la pace sia collegata con la guerra, e che la guerra porti progresso, che l’imperium romano espandendosi verso Oriente risolva i suoi problemi sociali interni, ed avendo sicuri già i confini occidentali, debba necessariamente fare la spedizione contro i Daci e contro i Parthi.
Il suo imperium così ha valore sociale perché con la sua clementia ha vinto gli avversari, con la sua philanthropia e generosità ha attirato gli amici con benefici e ricompense superiori all’ attesa ed ha conquistato il popolo con spettacoli, monumenti, elargizioni e banchetti e ha creato lavoro e dato terra per i più bisognosi mediante la colonizzazione e grazie al progetto di razionalizzazione della frumentazione.
Il Kosmos cesariano, nato dalla guerra, sarebbe stato il regno della pace, dopo l’integrazione dei vari popoli secondo la pietas e il diritto ormano, avendo come base l’unità romano-greca philanthropica e la paritarietà dei cives al di là della diversità delle gene, nel rispetto delle singole differenze etniche, nella cultura della convivenza multietnica.
A Cesare sembra che la pacificazione sia generale e che non esistano più oppositori ed avversari, e che tutti, amici e nemici siano vinti oramai della superiorità della sua figura ormai universalmente accettata come divina, in quanto pater patriae, sublimazione del tradizionale pater familias.
Avendo portato avanti la divinizzazione personale con il progressivo riconoscimento dell’origine divina dei Giuli, da Venus-Anchise, giunto ad essere proclamato Zeus Iuppiter Iulius, come re assoluto di tutti gli uomini in rappresentanza di Zeus re di uomini e Dei, pur avendo rifiutato la corona offerta da Antonio, ora attende la convocazione del senato per ottenere il permesso di portare il diadema tanto da essere come un re orientale con auctoritas e potestas dittatoriale.
Infatti secondo Plutarco (Cesare, 60) alcuni, avendo interrogato la Sibilla chiedono espressamente che si faccia quanto è stato predetto per conseguire la vittoria parthica: i parthi non potevano essere vinti se i romani non li avessero attaccati sotto il comando di un re.!
Ora la notizia è diffusa degli amici di Cesare che vogliono il riconoscimento della basileia universale di Cesare dal Senato. D’altra parte tutti riconoscono i meriti del dictator perpetuus e il senato ha concesso il pulvinar il sacro cuscino per la statua del dictator, ha autorizzato il fastigium proprio dei templi come adornamento della casa di Cesare e di Calpurnia, ha dato un flamen sacerdote , addetto al suo culto, in attesa di concedere il titolo di basileus kosmios per la conduzione della guerra parthica.
Lo stesso Cicerone dice di lui dopo la morte: aveva natura geniale, discernimento, memoria, cultura, operosità, previdenza, diligenza (II Filippica. 45,115).
Cicerone che ha visto in Cesare l’uomo che ha pensato solo al regno per tutta la vita, si è logorato in fatiche, ha affrontato pericoli per lunghi anni per ottenerlo senza realizzarlo, lui che lo ha salutato allo sbarco di Cesare in Puglia, imperator dux vincitore per eccellenza, guida dell’ esercito e flotta, che ha riconosciuto il suo imperium proconsulare maius, la tribunicia potestas e che è stato da lui graziato ed ottenuto di vivere come privatus, lontano dal negotium, ora da morto lo contrappone ad Antonio e al suo malgoverno in Città.
Cicerone è vir civilis, o politikos, abile a passare da una parte all’altra, infido anche come ideologo della restitutio rei publica!
Certamente ora che Cesare è morto, Cicerone, non più supplice, non più privato, è tornato in senato nei giorni che seguono le idi di marzo!.
L’oratore è formale, solo formale; il politico, strategos, riformatore dello stato è operativo, sostanzialmente creativo, sublime.
Cesare sa bene chi deve temere, conosce gli uomini infidi dal livore delle facce, ma ha fiducia nel suo piano, nel suo sogno universale, convinto di avere tanti collaboratori, sicuro della fine degli odi civili e dell’inizio di un nuovo ciclo, compos sui padrone di sé, cosciente di essere anhr theios, di poter fondare una dinastia.
L’enthousiasmos, che è stato l’arma vincente di una vita operosa, diventa il suo limite!
Troppo fiducioso, comunque, degli altri perché troppo sicuro di sé!
Eppure quella mattina sente che non è il caso di andare in Curia non solo per i presentimenti di Calpurnia, ma per un certo personale malessere, indistinto.
Convinto dal fidus Decimo Bruto Albino, erede testamentario, ad entrare nella curia per ricevere il diadema dal Senato (non si accorge che Antonio è trattenuto fuori!), secondo Plutarco(Ibidem,66) gli amici di Bruto gli si disposero, in parte, dietro il suo seggio, mentre alcuni gli andarono incontro per unire le loro preghiere a quelle di Tillio Cimbro che lo supplicava per il fratello esule, e continuarono le loro suppliche accompagnandolo fino al suo seggio. Sedutosi, egli respingeva le loro preghiere e quando essi insistettero con maggior forza, egli si irritò con ciascuno, allora Tillio gli afferrò con ambedue le mani la toga e gliela tirò giù dal collo. Questo era il segnale dell’azione. Per primo Casca lo colpisce col pugnale nel collo, con un colpo non profondo né mortale …quando ognuno dei congiurati ebbe sguainato il pugnale Cesare, circondato, ed ovunque volgesse lo sguardo, incontrando solo colpi e il ferro sollevato contro il suo volto e i suoi occhi, inseguito come una bestia, venne a trovarsi irretito nelle mani di tutti: era infatti necessario che tutti avessero parte alla strage e gustassero del suo sangue. Perciò anche Bruto gli inferse un colpo all’inguine.
Plutarco aggiunge che solo quando vide Bruto tra i congiurati, mentre ancora si difendeva, ..si tirò su la toga sul capo e si lasciò andare… e ricevette 23 pugnalate (Ibidem).
Dal senato Cesare ha la morte, non il riconoscimento della Basileia universale, il titolo per avere la consacrazione di imperator contro i Parhi, per poter partire con auspici favorevoli per la sua impresa parthica il 18 marzo: le legioni ed Ottaviano ad Apollonia erano già pronte sulle navi per Efeso, punto di incontro tra il dux e le sue truppe!
I senatori e Cicerone, ora lodano, dopo le la morte, le sue imprese anche sociali e le sue riforme agricole in una celebrazione dell’attività cesariana per la plebe (la feccia della città, cfr. Ad Attico, I,19,4), per sanarne i debiti, per pagare gli affitti, per migliorare le condizioni dei più bisognosi (cfr. Cassio Dione, St. Rom., XLII,32)
Dovunque, nel mondo romano riesplode la guerra civile, alla notizia della morte di Cesare, dopo lo sbalordimento generale: invece della pax e della conclamata armonia ci sono staseis e caos.
In Giudea già la lotta è iniziata con la morte di Cecilio Basso, ucciso da cesariani come Antistio Vetere, come in Siria dove i legati cesariani si dividono in due partes ,gli uni per i cesaricidi ora fuggiti da Roma, gli altri per il senato ed il neos Ottaviano, erede di Cesare favorito da Antonio e da Lepido.
Dopo la lettura del testamento, conosciuti i nomi dei beneficiari, (Decimo Bruto, Ottaviano, lo stesso popolo romano) ingigantisce a dismisura l’amore per Cesare del popolo e dei militari e del senato stesso, pur espressione del conservatorismo repubblicano.
Tutti ora a Roma e prima e dopo i funerali del dictator perpetuus applaudono e magnificano la sua opera e reclamano vendetta su Bruto e Cassio.e gli altri millantati tirannicidi.
In una Roma senza Cesare , in uno stato di continui scontri urbani, in una tensione tra le varie fazioni cittadine, in una situazione incontrollata, vista la varietà dei competitori , sorgono ogni mattina tribuni dhmagoogoi, che arringano il popolo.
E Cleopatra? E suo figlio Cesarione? e la sua corte egizio-romana suburbana?
Cleopatra alla chetichella se n’è andata e in tutta fretta su navi alessandrine, facendo un corso diretto, dopo il tragitto via terra, lungo, pericoloso e penoso fino a Pozzuoli, ha attraversato il Mare Mediterraneo ed è approdata ad Alessandria, e si è rinchiusa nel Palazzo.
Nessun cenno nel testamento di Cesare su Cesarione e su Cleopatra, sulla dinastia universale!
Non è concepibile a Roma il testamento di un pater familias senza il nome del figlio legittimo, erede: tutto è cancellato dai romani abili a cassare anche parti del testamento di Cesare, a fare correzioni e sostituzioni opportune.
In una situazione, come quella della morte di Cesare, indescrivibile, il timore di un’altra guerra civile è nei volti di ogni senatore, che diventa paura nei cesaricidi, che dopo i vuoti ed inascoltati proclami di libertà hanno trovato scampo nella fuga, ed anche nei filocesariani che ora vogliono dividersi l’eredità sulla base delle forze attuali di Antonio e di Lepido che hanno un potere reale ,l’uno come console l’altro come capo di truppe, oltre ad Ottaviano che, partito da Apollonia con uno stuolo di fedeli legati cesariani, riunito un esercito con forze raccogliticce e coi disertori delle legioni Martia e Macedonica, prende Roma (Cfr. L. Canfora, La marcia su Roma, Laterza 2009).
Per il popolo Cesare è vivo nei suoi eredi: questa è la verità? O la falsificazione dei documenti fa sì che Cesare comandi anche dall’Ade! Ecco quanto dice Cicerone, l’oratore che mostra il dopo Cesare a Roma in Filippica II 42,109 :
Qui chirographa Caesaris defendisset lucri sui causa, is leges Caesaris easque praeclaras, ut rem publicam concutere posset, evertit/ Chi per trarne guadagno si era fatto sostenitore della validità degli appunti autografi di Cesare, eccolo annullare le leggi di Cesare e per di più le migliori, per poter far vacillare lo stato fin dalle fondamenta
Ed aggiunge: numerum annorum provinciis prorogavit; idemque cum actorum Caesaris defensor esse deberet e in publicis et privatis rebus acta Caesaris rescidit/ ha prorogato la durata del governo nelle province; proprio lui che doveva essere il difensore degli atti di Cesare , li ha aboliti e come pubblici atti e come privati.
E conclude: in publicis nihil est lege gravius, in privatis firmissimum est testamentum. Leges alias sine promulgatione sustulit, alias ut tolleret promulgavit. Testamentum irritum fecit, quod etiam infimis civibus semper obtentum est . Signa tabulas, quas populo romano Caesar una cum hortis legavit eas hic partim in hortos Pompei deportavit, partim in Villam Scipionis./Nel diritto pubblico non c’è nulla di più grave della legge, in quello privato l’istituto più saldo è quello del testamento. Quanto alle leggi, alcune le ha abrogate senza consultare il popolo, mentre per abrogarne altre, ne ha pubblicato delle nuove. Quanto al testamento di Cesare ne ha annullato ogni effetto. Eppure si tratta di un istituto che vien sempre rispettato perfino dalla gente di infima condizione Le statue e i quadri che Cesare ha lasciato al popolo con i suoi giardini costui se li portati via, parte nei giardini di Pompeo, parte in quelli di Scipione.
Il pensiero di Cicerone sulla fine di Cesare e sul consolato di Antonio, suo primo Flamine, sottende lo sfacelo giuridico pubblico e privato nel momento della nuova spartizione dell’imperium romano repubblicano ad opera di tre viri cesariani che, comunque, hanno il compito del ripristino della res pubblica dal senato contro i cesaricidi che, nelle province raggruppano uomini, eserciti e denarii per opporsi alla delibera senatoria.
In questo scempio di diritto pubblico e privato cerchiamo di rilevare la probabile cancellazione nel testamento autografo di Cesare del nome d Cesarione e di Cleopatra
Un dubbio ragionevole pensiamo di poter sollevare, a questo punto, sulla legittimità del testamento letto da Antonio, che ha al suo servizio il più abile falsificatore di Atti, quel Faberio scriba copista, che fa deliberare Cesare da morto, per bocca del console. Noi riteniamo ehe gli atti horcyni di Cesare siano stati manipolati conoscendo tanti copisti non solo in epoca repubblicana ma anche in quella imperiale, che si vendono a chi paga di più.
Un uomo, pianificatore razionale, capillare in ogni dettaglio, come Cesare,che ha una donna e un figlio a Roma -Cleopatra e Cesarione-, fatti venire, nonostante la sua conoscenza dei concittadini populares romani, appositamente dall’Egitto, riveriti ed amati pubblicamente alla presenza della legittima moglie, dell’aristocrazia, della plebs e del senato, delle sacrae vigines vestali, -lui pontifex maximus- partecipi del trionfo, non può non aver lasciato una riga a favore della uxor egizia, regina ufficiale riconosciuta come amica ed alleata dallo stato romano, congiunta con rito egizio per il riconoscimento del figlio da parte del pater familias.
Antonio più tardi sarà patrigno di Cesarione e lo educherà nel gumnasion alessandrino secondo il sistema romano-alessandrino e ne farà un neos , poliths, un iuvenis civis, iscrivendolo nell’ephebia come gumnasiarcha, anche se scomodo – in quanto figlio legittimo- per il futuro Gaio Giulio Cesare Ottaviano, erede adottivo, allora suo cognato, zio di Antonia Maior e Minor!.
Non è credibile, quindi, che nel testamento di Cesare, che nomina Decimo Bruto Albino come erede ed Ottaviano, non ci sia un riferimento al figlio di Cleopatra!