Storia o teologia?

seguito di Considerazioni su Gesù di Nazaret di Benedetto XVI (Curiosità) 
…..Perfino  il fondamento storico  appare al tedesco presupposto che viene oltrepassato nella visione di fede degli evangelisti  e, perciò, tenue involucro, che non può dare consistenza alla figura umana di Gesù, che non ha una reale humanitas di giudeo.
Anzi lo storico rileva perfino che i vangeli vogliono, per così dire, rivestire di carne  il misterioso figlio di Dio, apparso sulla terra.
Schnackenburg, però, dà  un valore latino medievale a rivestire di carne, operazione cara ai predicatori dell’artes sermocinandi che  al popolo ignorante davano non concetti, ma sostanze grossolane carnali, palpabili, come ghiande ai porci.

Da qui la necessità di ritrovare la natura ebraica di Gesù, di inserirlo nel sistema ebraico, nella vita religiosa ebraica, vincolandolo alla legge mosaica, alla torah, al tempio di Gerusalemme, dopo aver distinto il giudaismo agricolo conservatore, mesopotamico, di lingua aramaica, da quello della diaspora, cittadino, ellenistico, innovatore.  
Perciò la lettura evangelica di un Gesù trentenne che inizia la sua missione di figlio di Dio, la sua predicazione secondo il dettato teleologico, divino, di Marco  non ha valore storico. 
Anche se non ci sono fonti canoniche, si può ricercare, al di là di quelle apocrife, il sistema educativo giudaico sia palestinese aramaico che quello ellenistico greco secondo le ricostruzioni grazie alla Bibbia, a Filone, a Flavio e alla tradizione giudaica Talmudica. 
Gesù  circonciso come bambino ebreo, divenuto bar mitzvah sui 13 anni ed un giorno,  dotato di  musar-paideia, conformemente alla cultura del padre Giuseppe e della madre Maria, in relazione all’appartenenza alla tribù  di Giuda e, specificamente  alla famiglia davidida, in connessione con il luogo di origine e con quello, in cui vive, come Galileo, è facilmente individuabile, se si leggono attentamente le fonti proprie, giudaiche.
Insomma, si può ricostruire la formazione di un giudeo, palestinese, aramaico, la sua scelta  possibile dopo l’entrata nell’adultismo a tredici anni, la sua professione, il suo pensiero,  secondo coscienza di essere giudeo, un figlio di Dio, come tutto il suo popolo. 
L’indagine sulla professione, come qain- tecton, la sua coscienza di essere  palestinese aramaico, posto in quel dato ambiente giudaico, in quella società  agricola, comporta anche una conformazione allo statuto della legge e quindi una certa dipendenza dal pensiero o sadduceo o farisaico o  essenico e quindi una duplice via comportamentale di filoromanità o di antiromanità a seconda della adesione  culturale, in un rapporto con la legge, con Gerusalemme, la patria comune di tutto il giudaismo e  col Tempio, il segno della unione profonda tra popolo e Dio stesso.
Contemporaneamente  con la scelta, dunque, si connota la  sua conformazione ad uno schieramento politico, in relazione anche  alla sua professione, al suo essere popolo, e quindi al rispetto della legge dall’angolazione essenica e  farisaica  e non da quella sadducea.
Chiaramente l’adesione  alla cultura farisaica antiromana comporta anche una pietas religiosa legalistica, connessa con una pratica di vita zelotica, di aramaico che lotta per la patria e per la fede insieme con i  giudei aramaici della Partia. 
Quindi viene fuori un altro contesto di grande valore  per la comprensione dell’humanitas di Gesù: il ruolo  di Artabano III e quello di Monobazo e di Izate di Adiabene, i rapporti con la cultura mesopotamica e con quella del  regno di Nabatea.
Anche l’humanitas degli apostoli non è indagata:  viene rilevato solo la loro missione di esorcizzare, di guarire e  annunziare. 
Il papa, seguendo Heinrich Schlier (1900-1978), non si  rende conto che quel sodalizio aveva  altro valore.
Il forte attaccamento alla persona del capo, la devozione e il loro stesso ammaestramento, lontano dagli altri, nella zona ituraica,  sono spie di un sistema militaristico,  basato sul capo, proprio di ogni capo giudaico zelota (esempio  Menahem figlio di Giuda il gaulanita).
Le stesse parabole, senza essere colte come patrimonio culturale della nazione, sono viste come espressione, comparativa, di quel soggettivismo, di cui abbiamo parlato (non come fenomeno,  proprio di una comunità, che si compatta secondo la musar  giudaica: la citazione di Joachim  Jeremias (1900-1979) è da intendere in senso letterario, come una lettura allegorica. 
Essa, infatti, è sciolta da ogni tentativo del biblista di ricercare effettivamente  il contesto di Gesù, in quel particolare momento storico e in quella determinata situazione.
Comunque, il papa non vede il radicamento di Gesù e dei suoi discepoli  nella loro terra, ma  tende a cercare una connessione profonda solo in Dio: non si rileva nessun rapporto effettivo di uomo con uomo, né di un gruppo con altri gruppi, in senso sociale e  politico. 
Il rapporto privilegiato  con  gli altri aramaici sia palestinesi  (galilaici, Idumei, Ituraici , peraici  ecc) che partici  deve essere rilevato, ma anche deve essere studiato quello con i  fratelli ellenisti della diaspora, seppure scismatici e romanizzati, specie alessandrini ed egizi: avrebbe anche potuto vederlo in La confessione di Pietro  (pp.333 -356) quando parla della professione di fede di Simon Cefa  a Banyas. 
A parte la piccolissima  svista  di Erode figlio,  fondatore della capitale Cesarea di Filippo,  (si tratta  precisamente di  Erode  Filippo, figlio di Erode  il grande, tetrarca dal 4 a .c fino al 34 d. C.), Ratzinger non tiene presente che la zona era piena di  zelotai, e che Gesù era fuori della patria (Galilea e Perea  sotto il tetrarca Erode Antipa  in un altro stato); neanche pensa ad una  relegazione sotto il monte Hermon di una comunità di partigiani  in lotta con i romani, sovversivi, che avevano giurato  che  dovevano perdere se stessi per trovare se stessi secondo l’insegnamento  escatologico- apocalittico, essenico, già proprio di Giovanni il Battista.
Nemmeno pensa alla contraddizione effettiva, che c’è in Pietro,  una volta biasimato ed un ‘altra elevato alle stelle,  nelle  due risposte  pronunciate da Gesù.
Il maestro aveva detto  allo stesso Simone di stare indietro, apostrofandolo  prima, come Satana , e poi  lo aveva definito benedetto ed ispirato da Dio, a causa della sua formulazione (Tu sei il Christos -l’unto!- ).
Eppure cita Pierre Grelot  (1917, scrittore di Jésus de Nazareth,  Christ e Seigneur I,II  e di tanti  saggi sul simbolismo, di vera esegesi evangelica), che ha rilevato, anche lui,  incongruenza e ha manifestato perplessità di fronte a due risposte, così differenti e a breve giro di tempo.
Insomma il volere difendere la divinità di Gesù, mentre si parla dell’uomo o il volere mostrare Pietro come fondatore della Chiesa romana, come capo  di tutta la Grande Chiesa (sorta nella seconda metà  del II secolo d. c.), diventa cosa ardua: le parole  anche se sono in contraddizione (si conosce il capo reale, successore di Gesù a Gerusalemme, suo fratello Giacomo), sono  girate e torte al fine della trasmissione del potere e della divinizzazione palese, poi, in la Trasfigurazione, sulla scia delle indicazioni dei Padri.
L’appartenenza di Gesù al popolo, in quanto am ha aretz, seppure qain, è già segno di una condizione nei confronti degli scribi, dei farisei e degli zeloti e degli esseni. 
Quindi tutto questo mondo deve essere evidenziato, se si vuole parlare di humanitas di Gesù, altrimenti la sua figura non ha consistenza storica, ma solo ideali tratti incolori, sbiaditi, oltre il tempo e oltre la geografia: compito primario storico è rilevare la figura di Gesù nella sua configurazione giudaica ed aramaica e poi operare in senso  greco-ellenistico e latino medievale, insomma far luce, per quanto è possibile, su Jehoshua bar Josip, identificarlo in base  non solo ai Vangeli canonici ma anche a tutte le fonti che possono aggiungere particolari dati  per una sua oggettiva, per quanto è possibile ad un uomo, ricostruzione storica.
Benedetto XVI,  quindi, si rifà solo a storici, germanici in prevalenza, e senza seguire un  metodo, non essendo  un storico, né  operando da  esegeta,  riprende alcune conclusioni parziali di  Schnackenburg, senza entrare effettivamente in merito alla frase dello storico, perplesso di fronte ad un radicamento di Gesù in Dio senza storia, fondendo  factum  et  verum historicum, in una connessione di umano e divino.
Insomma il papa  parla di una humanitas senza la storicità accertata dell’uomo, la cui essenza è nella concretezza delle operazioni effettivamente quotidiane che il factum, nella sua  puntualizzazione storica, non può dare, specie nella sua specificazione evangelica.
I fatti evangelici effettivamente avvenuti, devono essere provati o valutati come possibili, probabilmente accaduti, o  in caso di  aperta contraddizione con la storia o di confusione, devono essere limitati, circoscritti e poi tolti dal testo.
Ogni fase della vita e della morte e perfino la resurrezione, se storicamente provata, ha valore ed ha credibilità  anche se  non è secondo tradizione storica, specie dopo l’esame delle  fonti successive la vita e  la morte ( e resurrezione)  della persona Gesù e delle testimonianze dirette ed indirette. 
Inoltre il papa passa sotto silenzio  la doppia tradizione canonica della bibbia giudaica e di quella cristiana  derivata da due mondi opposti, quello aramaico palestinese- partico e quello ellenistico, dopo la netta separazione del cristianesimo dal giudaismo alla fine del I secolo e definitiva all’inizio del II secolo d.C.
L’equivoco che ne deriva  deve essere necessariamente eliminato se si vuole indagare sulla figura umana di Gesù ebreo.
L’uso  della traduzione dei Settanta, ellenistica,  la Lettera di Aristea, la costituzione del canone  biblico cristiano vetero-neostetamentario, ancorato a Paolo di Tarso, l’accettazione della allegoria filoniana, sulla cui base si è costituita la lettura teologica  cristiana, in relazione a  Policarpo,  Giustino, Ireneo, alla scuola di Alessandria di  Panteno,Clemente Alessandrino Origene , ad Eusebio e poi ai Cappadoci, ad   Efrem,  a Gerolamo, ad Agostino sono tutte derivazioni che deviano dalla via giudaica canonica  e  sottendono una via diversa,  comprovando solo la mitizzazione della figura umana di Gesù e la sua divinizzazione. 
Insomma il papa, pur  avendo rilevato da tutta la storiografia  la presenza di uno strappo tra Gesù storico e il Cristo della fede, nota che  esso dalla seconda metà del Novecento  è sempre cresciuto ma non si pone il problema di questa continua crescita di una lacerazione e di una ricerca storica in cinquanta anni.
Egli è già prefissato nella sua logica: il suo procedere è  secondo linee teologiche, proprie di un dottore di teologia. 
Con tutta umiltà e con infinita insicurezza oso dire quanto mi risulta da uno studio quasi quarantennale, condotto sul fatto storico, come ricerca di vero storico, con tutte le limitazioni  e le circoscrizioni possibili, dopo un lungo esercizio di traduzione del testo di  Filone e di Flavio, dopo un  lavoro di ricostruzione storica dell’impero giulio-claudio.
Non penso minimamente di contraddire un teologo, ma solo di indicare un possibile  ulteriore cammino  storico,  sapendo di avere messo insieme storia giudaica e romana e di avere colto forse qualche aspetto sconosciuto e di dare un piccolo contributo alla conoscenza delle origini del cristianesimo e alla fase precedente, quella del Regno dei Cieli.
Anche Giuseppe Ricciotti (1890-1964) nella sua vastissima opera sembra indicare un’altra via storica, diversa da quella percorsa dal cristianesimo ufficiale. 
Con questo  so bene  di non avere  fatto niente di nuovo, ma  penso di poter indicare  ad altri una via percorribile, non mitica.
Benedetto XVI,  radicando tutto in Dio,  come papa,  crede  che l’uomo Gesù,  attraverso la sua umanità,  permette di rendere visibile Dio  e, a partire da Dio, si possa vedere l’immagine dell’autentico uomo. 
E’ questa  una interpretazione teologale non una lezione storica, non una ricerca o un tentativo di conoscere l’uomo Jehoshua, figlio dell’uomo, che risulta una lettura simile a quella fisica, universale, mosaica, ebraica di Israel eterno.  
A conforto della sua tesi prefissata  e quindi secondo lo schema tipico della Chiesa, teleologicamente, Benedetto XVI  sviluppa il suo pensiero in relazione all’enciclica del 1943 di Papa Pacelli  Divino Afflatu spiritu, e  poi procede secondo le risultanze  proprie delle esegesi cattolica , chiare in La costituzione Conciliare  Dei Verbum  sulla Divina rivelazione  e specificamente sui  due documenti  della Pontificia commissione Biblica  (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993) e  il Popolo ebraico  e le sue sacre scritture nella Bibbia  Cristiana 2001).
Mi sembra che il papa, perciò,  nel suo lavoro su Gesù abbia operato, unilateralmente, al fine di svolgere la  sua missione pastorale, secondo la sua consueta impostazione teologica, conosciuta.
M. Hengel, anche lui citato da Benedetto XVI, sembra avere seguito un’altra linea per comprendere la vera anima del giudaismo, per capire un  giudeo, la sua vita, il suo pensiero, la sua antiromanità o filoromanità, il suo essere uomo di fede  in mezzo ad altri uomini di fede e in mezzo a goyim.  
Le sue opere (Giudaismo ed ellenismo, Zeloti,  Crocifissione ed espiazione, Il figlio di Dio, La storiografia protocristiana, Il Paolo precristiano, L’ellenizzazione della Giudea  pubblicate in Paideia) -come espressione  del suo magistero ad Erlangen e a Tubinga come  professore emerito di Nuovo Testamento e Giudaismo antico  e come direttore dell’Istituto per il Giudaismo Antico e la Storia della religione Ellenistica- mandano un messaggio duplice, da una parte  di una umanità giudaica costretta a misurarsi sia con l’impero romano che con l’ellenizzazione, in un rilievo del complesso mondo ellenistico  mediterraneo  giudaico, partecipe di tutti i processi  culturali  dell’epoca, sincretistico nella sua  adesione razionale  alla romanitas  e da un’altra, di un  rigido conformarsi secondo la tradizione escatologica e  apocalittica del giudaismo aramaico antiromano, zelotico, convinto solo della sua elezione a popolo santo, in un’assurda frontale opposizione al potere politico e  militare romano.
Anche lui, mi sembra, come Bultmann (che nel 1967 aveva visto un problema  storico nel cristianesimo), voglia indicare, in controluce, percorsi alternativi alla via teologica per la conoscenza storica di Gesù.
Su questa via mi sembra necessario procedere in modo da rilevare i fatti storici e le ideologie e  tutta la cultura giudaica nella sua varia stratificazione e nelle sue due lingue portanti (aramaico-ebraico e greco) per cogliere un protagonista della storia giudaica, uno dei  tanti  che hanno lottato (da Ezechia a Giuda il gaulanita  fino a Shimon bar Kokba) in una guerra antiromana, durata duecento anni.  
Nei vangeli canonici, i fatti storici sono connessi  con i logia e con i Thaumasia  secondo l’ ideologia sincretistica giudaica, che ha una grande  tradizione fino a Filone di Alessandria (25a.C.-41-2 d.C.). 
Gli evangelisti avevano tessuto fatti e immesso miracoli  ai logia, aramaici, scritti da Matteo, scomparsi (e  riapparsi  a seguito di un soggiorno di  Panteno in India, per riscomparire per sempre, definitivamente, dalla storia), mentre cominciavano a circolare i  tre vangeli sinottici, che sostanzialmente sono testi  in cui sono fusi  fatti, pensieri, miracoli del maestro ormai mitizzati, secondo gli schemi biografici dell’epoca.
Nell’esame dei fatti già la tradizione cristiana ha fatto la sua scelta, ai fini di una divinizzazione.
Nella scelta dei pensieri  attribuiti a Gesù, grande è stato l’apporto degli scritti  di Filone (Il seminatore, il buon pastore, le beatitudini ecc.) e di altri  giudei come Hillel il grande; nella selezione dei miracoli si è cercato di conformare la figura di Gesù con  quella di molti  profeti  e, specificamente,  nel momento della scrittura, con quella di  Apollonio di Tiana (un taumaturgo, asceta nato i primi del I sec. d.C. e morto forse nel 98 d.C.) .
Gesù  non fu uno scriba, né un dottore,  né un esegeta, ma solo un tecton: il suo pensiero, quindi, era di tutta una cultura esistente, le sue idee erano proprie di quel mondo che aveva nel conservatorismo della  tradizione e della legge la sua massima espressione, come  fede  in Dio, intesa come timore di Dio.
La semplificazione e l’impostazione mediante parabola, l’abilità del  gioco retorico, sono modi di un processo successivo, propri dei  tre vangeli sinottici, per avere un consenso vasto popolare intorno alla figura di Gesù mitizzata. 
I modi, invece, profetici del vangelo giovanneo sono collegati con le formule escatologiche ed apocalittiche e connessi con la matrice valentiniana gnostica ( e questo fa pensare ad epoche posteriori all’impero flavio).
Dalla lettura di Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger, quindi, non si rileva un taglio storico nuovo, ma neanche vengono  indicazioni per risolvere il problema storico:   
la figura di Gesù, rimane ancora nell’ombra, resta sempre nello stesso modo, misteriosa, enigmatica  ed ambigua.
Il papa non ha  dato alcun contributo alla conoscenza della realtà umana dello pseudo – fondatore del cristianesimo, di un ebreo  necessariamente cristianizzato, proprio perché  la religione deriva dal suo nome:  non viene riconosciuta la memoria di  un eroe antiromano, il cui crimen era stato condannato con la crocifissione dall’auctoritas imperiale.
Gesù, criminale per i romani, è martire per i giudei aramaici: due diverse letture ed interpretazioni di una morte sulla croce. 
Crimen o martyrium ?: due diverse interpretazioni di una stessa realtà ieri come oggi.
Di fronte allo scontro tra l’Occidente americano, liberale e democratico, a parole,e il sistema variegato culturale musulmano, tradizionale e conservatore, di fatto, si danno ancora due diverse interpretazioni a seconda della fides: i meslim che si immolano per il trionfo dell’Islam contro il demone americano sono definiti dagli occidentali  suicidi pazzi e criminali  ma sono visti come  testimoni cari a Dio, che li accoglie nella sua gloria e li premia dai seguaci di Bin Laden, che li recluta  con una sapiente strategia religiosa.
Cambiano solo i nomi dei contendenti, non più romani ma americani,  resta,  sempre e comunque, la sostanza  di una prevaricazione di una parte sull’altra, allora come imposizione di integrazione ellenistica nel Kosmos classico, ora come democratizzazione americana nel nuovo ordine ecumenico.
Allora, come oggi, c’è sempre la difesa di una cultura minacciata, una difesa violenta di fronte all’invasione in nome di nobili principi libertari e democratici.  
Allora, come oggi, ambedue le culture combattono in nome di Dio, della giustizia divina, secondo formule religiose.    
S. Benedetto del  Tronto, 3 Luglio 2007