Ho ripreso da Quotidiano.it 21 Aprile 2009, un mio vecchio articolo, volendo ricordare Rita Levi Montalcini, a sei anni della morte, il 30 dicembre 2012 – seppure con qualche giorno di anticipo -.
Di lei vorrei ricordare una frase che evidenzia, mediante l’anadiplosi, la sua ferma fiducia nella capacità di anonimo e consueto sacrificio femminile rispetto alla millantata superiorità maschile: le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello pubblico.
La neurologa, concludendo il suo pensiero, sancisce con chiarezza il principio della centralità femminile nel contesto sociale: le donne sono la colonna vertebrale della società.
Di lei vorrei rimarcare, perciò, la caparbietà nella sua ricerca di scienziata, che è stata esemplare per molte giovani ricercatrici.
Con lei vorrei esaltare il lavoro, nascosto, di sperimentazione di quelle , impegnate a La Jolla – S.Diego – (The Scrippe Research Institute) a cercare di dare speranze concrete a tante madri di bambini autistici.
A loro vorrei augurare di essere premiate per il 2019 col Nobel insieme al professor Stuart Lipton, come lei nel 1986 – seppure tardivamente – per aver trovato una via per debellare il Disturbo Autistico.
Nel nome di Rita Levi Montalcini mi permetto di dire che è doveroso continuare a lottare, ogni giorno, eroicamente, con tutte le forze, in modo che la scienza sani la Natura da un suo mostruoso errore!
Ogni bambino ha naturale diritto a sentimenti ed affetti.
Il testo del vecchio articolo
Ha cento anni, ma è la più giovane delle donne ebree italiane, delle italiane, delle israeliane e di ogni donna del mondo: ha la giovinezza tipica di ogni idealista, che non invecchia mai perché è sempre impegnato in pensieri eterni e vive di beni immortali.
Ha vinto la morte lei, ebrea sefardita, pur educata secondo i principi maschilisti, perché, ribelle e divergente, è stata alla ricerca di un’ autenticità personale, volendosi laureare in medicina, in un ‘epoca in cui la donna era destinata a rimanere in casa, a cucinare, a crescere figli, ad essere solo moglie e madre, volendo seguire le orme del suo maestro, Giuseppe Levi, volendo essere completamente se stessa, libera di essere compos sui, di dimostrare di essere epimeletes eautou, per gignoskein eauton (conoscere se stessa).
Ha vinto la morte lei, costretta dal regime fascista ad emigrare in Belgio, a lavorare in casa, ad accettare l’invito dell’Istituto di neurologia dell’università di Bruxelles fino al 1940, a tornare clandestina in Italia nell’astigiano e a lavorare con laboratori di fortuna sul sistema nervoso negli embrioni di pollo, fino ad operare sui meccanismi specifici di formazione del sistema nervoso dei vertebrati, in una conquista della propria autonomia classica e della methodos connessa con la musar (cultura) ebraica.
Ha vinto la morte lei con la sua passione per la ricerca, a cui ha dedicato gli anni migliori della vita, isolandosi e rinunciando alle gioie della normalità di vita, di amore comune, di maternità, tesa a conseguire qualcosa di nuovo, ad inseguire il sublime l‘adrepebolon, il suo Israel eterno, a seguire Giacobbe in una scalata infinita ed eterna verso l’alto ( Dio Upsistos, Shaddai) .
Lei ha cercato la vita vera nella dura, caparbia e continua sfida con se stessa, passando dalla erudizione giovanile, alla cultura della maturità e alla scientificità epistemica rimanendo sempre giovane, connotata da uno slancio verso l’alto, nell’impegno al Dipartimento di Zoologia della Washington University, in Missouri.
Lei ha cercata la vita vera in trenta anni di ricerca senza avere riconoscimenti, senza essere sostenuta da nessuno, senza conforto alcuno, paga del lavoro.
Lei si è eternata nella solitudine di quel lavoro maniacale, ossessivo, idealmente prolifico, creando la corazza del militante, plasmando il simbolo dell’ eroe, formando l’emblema del martire in sé giovane, ricercatrice, indomabile specie negli insuccessi continui, abile a proporsi nuovi stimoli grazie alla capacità di riiniziare e di riprendere il lavoro, a riinventarsi, quasi a rinascere, dopo l’abbandono delle vie esplorate, di acquisire infine un nuovo metodo, personale, utile non solo ai fini euristici, ma esemplare per chi ricerca.
Lei si è eternata con questa nuova forma di ascetismo, di esercizio continuo, che rende unica la personalità di chi lavora e la santifica perché fuori da ogni processo speculativo, da ogni propaganda e partito: lei è diventata modello di vita per tutti quelli che cercano e vivono nel lavoro e diventa monito severo per tutti i fannulloni, per i venditori di fumo, per i virtuosisti del pallone, per le civetterie delle miss, per i programmi delle tv spazzature.
La sua scoperta del fattore di crescita nervoso, noto come NGF (Nerve Growth Factor) nella differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche dopo la ricerca sulla molecola proteica e sul suo meccanismo di azione, viene riconosciuta solo nel 1986, a 77 anni.
La sua ricerca non è più un sogno di una ricercatrice, giovanile, ma una realtà scientifica tanto che lei ebrea italiana è insignita del Premio Nobel per la medicina insieme al biochimico Stanley Cohen (Usa) con la seguente motivazione: La scoperta del NGF all’inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo.
A 77 anni, finalmente, dopo un lungo percorso, dove errori e speranze si fondono in una unione ideale derivata da diacrisis e sugcrisis continue, da analisi e da sintesi congiunte in un parto continuato, infinito, lei ebrea martire, militante di sinistra, santificata dal suo lavoro, ha il riconoscimento mondiale del suo lavoro.
Rita Levi Montalcini è la vera eroina del nostro tempo, la vera miss, la vera vincitrice di tutti gli spot pubblicitari, l’emblema femminile per ogni popolo, l’esempio di immortalità ebraico classico cristiano, la sintesi più alta di epistemologia platonica e di ideale aristotelico-cristiano, di cultura universale .
Per 23 anni ha seguitato nel suo lavoro come se fosse una donna comune presso l’Istituto di Neurobiologia del CNR, operando ancora come presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, come membro delle accademie più titolate italiane, pontificie, statunitensi (Accademia nazionale dei Lincei, Accademia Pontificia, Accademia Nazionale delle scienze dei XL, La National Academy of Sciences, la Royal Society ,) come senatore a vita, eletto dal Presidente Ciampi.
Rita Levi Montalcini, nonostante le lauree honoris causa (università di Uppsala-Svezia- Bocconi -Milano ,St Mary Usa Weizmann-Rehovot -Israele- e i premi per la ricerca (Saint Vincent, Il Feltrinelli, Albert Lasker) è e rimane la tipica ricercatrice comune italiana, bandiera per le tanti ricercatrici sconosciute e di tanti giovani ricercatori.
Da ricercatrice comune, grazie alla sua eccezionale tempra di combattente e di lavoratrice Rita Levi Montalcini è diventata la ricercatrice per eccellenza, la donna più prolifica d’Italia , la miss più bella, la eroina di tanti film di sacrificio e di amore, perché studiosa, spoudaia, propagatrice di una nuova tzedaqah.