Professore, perché, scrivendo Jehoshua o Iesous?, lei, che conosce bene che iod aramaico ed ebraico si rende di norma con Y, ha scelto la dizione di Gesù, Geova, Giosue con l’uso di J palatale?
Marco, tu sai che l’alfabeto aramaico ha lettere, che sono consonanti, e che Iod, la decima, si suole trascriverla come Y, ma questa in greco e poi in latino e nelle lingue romanze ha un doppio valore di U e di I vocalico, anche se, come I, è consonante – se è all’inizio di termine ed è seguito da vocale, oppure, quando è in positio media tra due vocali -.
Dunque, lei ben sa che da Iod derivano e Ypsilon e Iota, nona lettera greca?
Certo, Marco, ma so anche che iota greco, iniziale, seguito da vocale, ha valore non gutturale, ma palatale.
Devo pensare che, se ha scelto J, lei ha optato per la Iota e non per la ypsilon, anche per il Tetragramma divino JHWH!.
Marco, io ho fatto una scelta paleografica, in relazione a tante epigrafi lette, avendo fatto studi di epigrafia e di paleografia, avendo operato prima su scriptoria romano-ellenistici e bizantini, poi su quelli latino-medievali.
Sembra che il problema sorga, in epoca antonina, nel II secolo d. C. in Alessandria, quando si fa la trascrizione dei Vangeli greci nel Didaskaleion e si usa in Greco Ieesous col fonema Iee, come già avevano fatto i Settanta- cfr. Lettera di Aristea a Filocrate, trad. F. Calabi, BUR 1995- e Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche V, 1, per indicare Gesù /Ieesous di Nun.
I grafemi Ia, Ie,Ih, Io, Iu assumono valore palatale e diventano gia, gie/ge, gio, giu: si inizia cioè un processo non gutturale di iod, ma palatale, in quanto le consonanti sono in relazione all’apertura parziale della bocca, come fonemi pronunciati a bocca chiusa o semichiusa.
Professore, dunque, è solo un fatto di trascrizione delle lettere iniziali del nome di Gesù in Ihsous/Ieesous?
La trascrizione del nome diventa comune nelle successive scritture, greche, e viene regolata ad opera di copisti, specie nel III, IV e V secolo, quando più stretta è la collaborazione tra gli scrittori in lingua greca e in lingua latina, essendo l’impero romano bilingue (In Oriente la koinè domina nei territori romanizzati, ma anche in Parthia, dove ancora si sono isole linguistiche aramaiche; in Occidente ci sono isole greche, ma prevale la lingua latina, che predomina in Africa, in Spagna, Gallia, Britannia e Germania, Italia ed Illiricum!).
Allora lei, professore, mi vuole dire che la iota in greco ha valore consonantico, se seguita da vocale ed ha funzione palatale, distinta da kappa gamma e chi, consonanti gutturali pure, in quanto rispettivamente tenue, sonora ed aspirata!.
Marco, il fenomeno ancora d più si evidenzia in latino dove la i consonante iniziale, congiunta ad a, suona ja /gia come in iam jam/già) ed assume valore di consonante doppia tra due vocali, come in maior che vale Magior/Major – in Italiano Maggiore-. Non è il caso che ti faccio una lezione di fonetica o fonematica e nemmeno di epigrafia e di paleografia. Devo, però, segnalarti almeno E. M. Thompson, Paleografia Greca e Latina, a cura di Giacomo C. Bascafè, Hoepli 1940, uno dei tanti testi da me usati e consultati.
Professore, mi scusi, ma io non comprendo neanche la distinzione tra fonetica e fonematica e tanto meno quella tra epigrafia e paleografia?!
Marco, non fare il modesto! mi hai sempre seguito in corsi di linguistica e di semantica ed hai sempre capito le differenze tra grafemi e fonemi e il valore di Fonetica e di Fonematica. Forse non ti ricordi la distinzione di Epigrafia e di Paleografia? e forse non sai che l’uso di J anglosassone (germanico), come decima lettera dell’alfabeto inglese e francese, è recente, direi successivo alla stampa e diventa comune come lettera negli altri idiomi nel Seicento e nel Settecento, quando J si impone come consonante.
Mi spieghi, professore, io cercherò di seguire.
Non ho intenzione di fare lezione tecnica e perciò procedo per cenni per farti comprendere l’uso di I consonantica attraverso l’Epigrafia e la Paleografia.
La prima è scienza che rileva i segni nelle iscrizioni, scolpite sulla pietra o sul metallo, o altro materiale duro, destinate ad essere monumento per il futuro. La paleografia, invece, studia gli scritti di qualsiasi argomento, fatti secondo stile, col calamo, o con la penna su tavolette o su rotoli o libri in lingua, di norma, greca o latina.
L’alfabeto greco – qui non si parla di altro materiale, pregreco, come sumerico- accadico, egizio, assiro, fenicio , etrusco ecc- servì solo per scribi hllenes ed Hllenistai, che scrissero in determinate epoche quel che scrissero, come testimonianza storica e il suo studio si diffuse in Europa, in Asia, in Africa come codice di una cultura evoluta, che, nelle sue lettere sintetizzava le altre culture e credeva di avere una propria metretica con tipica visione del mondo, secondo schemi katholikoi universali mediterranei, risultanza di un crogiolo di popoli, mescolatisi a seguito di una un’ infinita storia di migrazioni e di stabilizzazioni violente. Si ha, allora, la diffusione del codice greco con la sua cultura e letteratura che, con Alessandro Magno, consegue il primato in tutto l’Oriente e crea, poi, una lingua comune / koiné dialektos, che veicola una cultura universale ellenistica su basi elleniche che, comunque, non impedisce la moltiplicazione di codici, che entrano in competizione e che in Occidente, a seguito della vittoria delle legioni romane, deve dividere il primato con la lingua latina, tipico prodotto sincretico di una tradizione etrusco -greco- romano-italica, che si consolida in ogni zona occidentale conquistata, mentre viene progressivamente limitato l’elemento fenicio e greco. L’ ecumene, quindi, viene civilizzata su una base linguistica latino-greca, per cui fare lo studio paleografico greco e latino è fare lo studio del mondo antico nella sua generale civiltà e con gli schemi ellenici, con quelli latini e quelli delle culture gotiche, come espressione di una evoluzione anche linguistica e di nuovi fruitori romanizzati occidentali, europei ed afri, oltre a quelli asiatici.
Si ha, quindi, una diversa scrittura delle due lingue, dominanti, che si mutano in quanto hanno fasi proprie di sviluppo, di perfezione e di decadimento, anche se c’è una coscienza di una superiorità greca, specie cattolica, terminologica, con albagia retorica dottrinale, filosofico-teologica, con predominio delle sedi episcopali orientali di Antiochia di Alessandria, di Gerusalemme e di Costantinopoli, poi, su quella romana!
Quindi, professore, lei mi vuole dire che ogni epoca ha un suo stile classificatorio di una scrittura perfetta calligrafica, caratteristica, che si deteriora e decade fino a scomparire, oppure tende a vivere artificialmente, mentre si sovrappone un nuovo tipo, sorto dalla vecchia struttura formale.
Devo presupporre, quindi, che c’è una storia della scrittura greca e di quella latina!
Certo, Marco. Ad esempio la scrittura greca passa dalla forma onciale del tipo primitivo a quello calligrafico, cedendo poi all’uso della minuscola. Ti preciso che la scrittura romana- capitale, onciale semionciale e corsiva – nota a tutte le nazioni occidentali, autorizza la formazione di tipi di scrittura in Irlanda e in Inghilterra ma anche in Italia, in Spagna e Francia dove sono attestate forme italiche visigotiche, merovingiche che si servono del corsivo. Senza entrare in merito, la scrittura romana passa da una fase ad un’altra divenendo pratica comune. Queste stesse scritture nazionali cedono il passo a forme nuove di capitale e di onciale, sostituite infine dal moderno carattere italico cinquecentesco.
Professore mi sto confondendo, anche se ho capito che lei mi vuole dire che ogni tipo di scrittura, dopo aver raggiunto il suo acme, decade e che dallo studio delle lettere quindi viene un’indicazione precisa per la datazione in quanto non si può nascondere nello scrivere la decadenza e la natura imitativa di ogni calligrafia, che viene rilevata e dallo stile ed dall’assetto formale generale e perfino dall’incertezza dei grafemi. Devo pensare che, prima dell’invenzione della Stampa, ci sono precise scritture?
Certo Marco! Ce ne sono due: quella calligrafica e quella corrente o corsiva. Thompson chiude la prefazione in questo modo: i testi scritti con la prima scrittura tenevano il luogo degli odierni libri a stampa ed avevano una calligrafia accurata, le linee guidate dalla riga, e le pagine circondate da margini regolari con le iniziali spesso ornate o miniate. La scrittura corsiva -in cui le lettere impiegate erano in fondo sempre le stesse dell’altra, ma deformate e modificate, fu prevalentemente impiegata per gli usi ordinari della vita: la prima disparve col comparire del torchio tipografico, l’altra necessariamente rimase.
Perciò, lei classifica e parla in relazione al materiale scrittorio che esamina, oltre alla lingua e allo stile, secondo competenza epigrafica e paleografica!
Marco, ci sono stati grandi maestri, studiosi di paleografia settecentesca, ottocentesca e novecentesca, che servendosi di tegole di argilla, di tavolette cerate, dittici d’avorio latini, papiro, pergamena, carta, esaminando tipi di inchiostro e strumenti scriptorii hanno definito esattamente il momento stesso di scrittura, stabilendo la reale fase paleografica.
In effetti, inizialmente si erano distinti nella ricerca diplomatica, specie di diplomi clericali e nobiliari e poi avviarono lo studio paleografico, greco e latino, in una volontà di separare la diplomatica dalla paleografia che, connessa con l’epigrafia latina, distingueva scrittura documentaria e diplomatica, separandola da quella libraria o letteraria, al fine di tracciare la storia stessa delle scritture.
Perciò, professore, ha importanza non solo la grafia delle lettere ma anche il materiale scrittorio?
Marco, è importante non solo il modo di scrivere lettere, ma anche il materiale, su cui è lo scritto per la definizione dell’antichità della scrittura.
Quindi, trascurando le tavolette cerate, si ha col papiro il Kulindros/rotolo e con la pergamene il libro, che sono spie di antichità!.
Mi può dire qualcosa di più per entrare nel merito della questione, per capire che lei non ha trovato la J né in rotolo di papiro né in libro di pergamene.
Marco, la mia competenza in materia non è così alta da poter fare tale affermazione, ma so che si usa iota greca ed I latina iniziale con valore palatale, quando sono seguite da vocale e perciò inferisco che ci sia una diretta derivazione da Iod, usato per il nome di Gesù come J . Un ‘opera, che è in rotolo/ volumen, ha la forma dei documenti più antichi- nel caso di più rotoli che contengono una stessa opera il tutto si chiama biblion, charta, tomos, bibliotheca, pandettes, a seconda del tempo-!.
Sappi, Marco. che, comunque, il titolo è scritto in fondo al rotolo, dove è segnato anche il numero delle colonne e degli stichoi/linee e che, se il testo è stato letto, cioè svolto ed usato per explicare /ecseilein, c’è la scritta di liber explicitus.
La scrittura testuale è solo nella faccia anteriore, ricorda! Rari sono gli opistographoi/opistografi le scritture nel verso, nell’altra facciata. La forma del libro moderno, invece, deriva da caudex /codex /codice, dalle tavolette cerate e si compone di quaternii/tetras o tetràdion.
Il testo dei rotoli papiracei di norma ha quattro membrane piegate in modo da ottenere 8 fogli, ma può essere composto di quinternii e sesternii con rispettivi 10 o 12 fogli. Per la rigatura c’è l’uso nelle pergamene di tracciare le linee su cui si scrive e quindi delimitare il testo.
Il testo dei rotoli papiracei è in colonne dette pagine/ selìdes o schedae, mentre nei libri in pergamena la scrittura può occupare tutta la pagina, ma può anche essere divisa in due colonne, anche se esistono tre colonne (Codice Vaticano) o quattro (Codice Sinaitico della Bibbia)!.
Professore, per chiudere un discorso per me difficile, mi può spiegare esattamente il termine palinsesto, che ha anche uso moderno e televisivo?.
Il temine palimpshstos – palim/psaoo- vale raschiato di nuovo e sottende l’ uso di scribae di cancellare un testo per scrivere sopra un altro messaggio. E’ un tipico sistema greco e latino, noto a Cicerone e a Catullo, non ignoto a Plutarco – Moralia,779- che paragona il tiranno di Siracusa, Dionisio, ad un biblion palimpsheston affermando che la sua natura difficile a cancellarsi/ disekpluton è simile alla scrittura mal cancellata di un libro palinsesto.
Era complicato anche raschiare il testo professore?
Marco, non tutti conoscono la difficoltà di cancellare uno scritto tramite grattatura e raschiatura specie in relazione al materiale papiraceo o a pergamena.
Raschiare una tavoletta cerata non era difficile, ma era difficilissimo, se non impossibile, fare l’operazione col papiro, mentre era possibile operare con la pergamena!.
A seconda dei secoli e in caso di bisogno di pergamene si fa l’uso della lavatura mediante spugna, per togliere l’inchiostro, che, comunque, tende a far riapparire, se la cartapecora non ha superficie levigata, la scrittura originaria: ecco perché ancora oggi molti palinsesti in capitale o in onciale possono essere decifrati, a meno che l’amanuense non abbia fatto un’opera di obliterazione con latte e farina, raschiata con pomice; se, invece, ha fatto l’uso di tintura di galla per levigare e pulire la vecchia scrittura, oggi, con reagenti chimici si può riscoprire, anche se annerita, pur incontrando molte difficoltà nel lavoro.
Ti dico solo, Marco , questo, seguendo Thompson: i più preziosi palinsesti latini si trovano nei volumi che furono scritti tra il VII e il IX secolo d.C.
Professore, la ringrazio per la spiegazione di Iod, letto come J palatale, e per le notizie di Paleografia, una scienza per me del tutto ignota. Le sono, davvero molto grato!
Tu, Marco, sei un raro esempio di gratitudine!