Origene e Paolo

Origene  commenta ed interpreta le seguenti lettere di Paolo:  1 Corinzi, Efesini, Colossesi, 1 Tessalonicesi, Tito, Filemone ed Ebrei
Quindi possiamo dire che l’alessandrino commenta solo una metà del corpus paolino;  eppure nella Lettera a Paola (Ep.33,4) Gerolamo dà notizie diverse rispetto ai commenti di Origene a Paolo: forse questi si rifà ad una Vita di Panfilo eusebeiana  e perciò le sue informazioni sono di seconda mano e non sicure in quanto Eusebio, come storico, non è certamente una fonte attendibile.
Comunque, a noi il problema interessa superficialmente in quanto nostro specifico interesse è il modo (tropos) di  commentare e d’ interpretare di Origene oltre alla ricerca del testo originario di Paolo, al fine di constatare se ci sono discrepanze testuali tra il testo attuale e quello del  tempo di scrittura (intorno al 210 d.C. circa) in cui  l’esegeta fa la sua analisi.

Il sistema di esegesi di Origene è basilare per il commento biblico ed è guida per ogni commentatore successivo, esempio per i patres della Chiesa,  che ne sono i veri fondatori
Ad un esame superficiale sembra che Origene proceda più secondo il senso letterale-carnalis che su quello allegorico  spiritalis  in modo diverso di quanto fa nei commenti di Matteo e  in altre opere come in I principi: è solo una sensazione, non è reale, perché è unico ed unitario il suo sistema di lettura, capace di rilevare il solecismo e la imperizia linguistica di Paolo e del suo gruppo di scribi…
Paolo, comunque, è per Origene già un modello come lo è Filone di Alessandria: dall’alessandrino e da Paolo derivano le sue idee esegetiche già esplicate da Panteno e da Clemente.
La lettura di Paolo da parte di Origene non è certamente quella gnostica di Marcione di Sinope (85-160),  in quanto l’alessandrino deriva da una cultura diversa, essendosi formato sulla  scia dei maestri del Didaskaleion, e dipende , specie  nella fase iniziale, dalla lezione  magistrale alessandrina seguendo  rigidamente l’allegoresi filoniana (Cfr.Angelo Filipponi,  De Josepho).

Infatti Origene rileva la vera legge ( di cui Mosé  era skià kai upodeigma ombra e figura) che è dogmata mallon h nomos entolon: il Cristo annulla la legge dei precetti in dottrine  e fa disprezzare la lettera della legge dei precetti come lettera che uccide.

Perciò, Cristo annullando la legge  crea un uomo nuovo  rinnovato di giorno in giorno  per farlo abitare in un mondo nuovo perché ci saranno un cielo nuovo e una terra nuova (Efesini,II,26-27).
Marcione, invece, aveva magnificato il tentativo di Paolo di ridimensionare la Legge Giudaica e di sovrapporre alla legge la figura di Jesous Christos Soter,  a seguito della anastasis  ton nekron (resurrezione dai morti che è in effetti un risveglio anegersis).
Su questa base l’eretico aveva costituito una teologia dualistica fin dal 144 d.C, proprio a Roma in opposizione al credo cattolico ed aveva proposto il rifiuto del Vecchio Testamento: egli infatti opponeva il dio della vendetta e della guerra dell’antico Testamento al Dio buono e misericordioso del Nuovo Testamento, padre del Figlio unigenito, Gesù Messia e quindi poneva in modo contrastivo ed  antitetico  il dio creatore e Dio padre: da qui la sua selezione anche dei Testi del Nuovo Testamento: solo il Vangelo di Luca ed alcune lettere di Paolo, rilette in senso gnostico,  diventavano basilari (fondanti)  per il cristianesimo.
Marcione apparve a molti come il vero seguace di PAOLO, l’unico capace di interpretarlo e di imitarlo, anche se poi lo fraintese  in quanto  seguì una propria via, quella gnostica.
Origene, dunque, ha un sistema di lettura diverso da Marcione perché ha un’altra cultura e formazione che lo autorizzano  in un senso, in  modo da avere altre soluzioni e  risultanze (cristologiche).
Egli  ha una sua interpretazione di Paolo, letto in un’ Alessandria severiana, in cui i cristiani e gli ebrei vivevano ancora insieme ed ancora  si confrontavano sui testi sacri, pur formando due comunità diverse, si rispettavano in quanto nate da una stessa radice, educate secondo lo schema di lettura dello stesso maestro Filone, caro allora ad ambedue le parti religiose, secondo un metodo non dissimile da quello dei terapeuti, attestati  fino al periodo di Sinesio (inizio V secolo)…..
Il ruolo di Filone in Alessandria  unificava e, in un certo senso, teneva legate le due pur differenti comunità: l’allegoresi era comune perché l’educazione di cristiani e di ebrei era stata comune nei didaskaleia alessandrini: accanto alla sinagoga (quasi 50 all’epoca di Filone) si erano formate e costituite eccklesiai  cristiane  (cfr. Anania e Saffira) che in un certo senso avevano cristianizzato il giudaismo filoniano e lo studiavano nei didaskaleia, comune palestra per i fedeli di ambedue le confessioni…
Non si si sa esattamente se in epoca severiana i cristiani studiavano insieme ad Ebrei nei Didaskaleia ebraici: ci sono dubbi  se ci fossero anche  didaskaleia effettivamente cristiani  o se maestri giudaici si alternavano nelle lettura a maestri khristianoi o se erano indipendenti.
Di sicuro c’era una tradizione comune ebraica, quella filoniana, basata sul tempio sul sacerdozio della casa di Dio…su Christos sacerdote- cfr. Lettera agli ebrei 3,4-6- superiore a Mosè fedele in tutta la casa di lui, come ministro e come testimonio  delle cose che dovevano essere dette . Christos  invece come figlio -uios nella casa di lui-patros- , la cui casa siamo noi  se però conserviamo la sicurezz a e il vanto della speranza …
Essendoci una sproporzione culturale e una tradizione di lettura ebraica  infinitamente superiore rispetto a quella cristiana ritengo, comunque, che il comune (?)  studio al didaskaleion era  dominato dall’elemento giudaico che permetteva l’audizione  e la scuola a giovani cristiani accanto a maestri cristiani, che forse potevano prendere di tanto in tanto la parola…per dire che Gesù è apostolos-inviato da Dio, pontefice della nostra confessione di fedele… fedele come Mosè di tutta la casa in quanto architetto della  casa costruita …
Una metropoli come Alessandria aveva certamente la comunità ebraica più popolosa e ricca rispetto a quella cristiana anche se  questa aveva perso quel rilievo e valore che aveva avuto sotto i Giulio-Claudi  nel periodo dei  Flavi e  degli antonini,  ma il suo credito doveva essere ancora grande, rispetto alle altre etnie…
Forse  nel periodo di Panteno cominciarono ad esserci didaskaleia solo cristiani,  ma dovevano essere molto limitati rispetto a quelli giudaici predominanti: solo con Clemente  si era stabilito un tipico sistema di lettura, forse elitario in relazione alla suddivisione clementina  pneumatica, come se si dovesse formare un elemento pneumatico privilegiato rispetto agli ilici e agli psichici…essere ecclesiasths  allepoca valeva anche oltre che lettore per un pubblico  di nincapci a leggere  Cfr. Prologo del Siracide  anche educatore e  formatore di un’ assemblea capace di tener un  discorso ad uomini che ne hanno bisogno perché non lettori. . affscinati dall’esperienza e scienza  del saggio figlio di Davide, il sapeinet Salomone…
Quando Origene, giovanissimo, diviene  maestro nel didaskaleion, necessariamente segue l’indirizzo  e l’orientamento
di una didacsis ( insegnamento) già collaudata: la retorica origeniana è così alta, tipica di un giovane retore: basterebbe leggere alcune pagine per rilevarla  come quella di Efesini III,48-50 ( …non affliggete lo spirito santo di Dio nel qual foste sigillati per il giorno della redenzione) :l’uso spropositato del poliptoto di sphragisthhte (9 volte) l’anafora di sphragizetai, l’insistenza su sigillo (il cui uso era tipico degli oniadi nei depositi bancari)  sono indici di una  volontà esegetica troppo pesante, direi vergognosa per  la ridondanza delle forme retoriche. del giovanissimo figlio di Leonida, deciso nella volontà di essere  eunuco del Signore …
Perciò , la lettura di Paolo  è in relazione a un tale sistema interpretativo… tanto che Girolamo (Commentarii in Hieremiam 5, 27SS). dice allegoricus semper interpres et delirat et in hoc loco  lo definisce eretico, falso  anche se ne rileva la cultura e la potenza intellettiva.
Origene, in effetti. è geniale, ma ha anche l’eredità alessandrina già patrimonio culturale di ogni  orientale grazie al neoplatonismo filoniano che, fuso con i commenti di Clemente, suo maestro, gli dà auctoritas nella lettura biblica e nella interpretazione paolina.
I frutti maggiori li raccoglie una volta trasferitosi a Cesarea marittima  (dopo la sua espulsione da Alessandria nel 232) dove  si impegna nel lavoro,  in un tentativo di precisare la  sintassi  e il  pensiero di Paolo (cfr. Pauli opera ommia ,I,II,II,IV  A. CRAMER Oxford,1841-44 rist.anast, Hildsheim) prima, e, poi, a Cesarea di Cappadocia…
Origene in quella epoca ha già chiaro che un’ecclhsia senza divisione ci può essere solo se non ci sono skhismata dottrinarie in quanto tutti sono d’accordo “sumphonontestooi orthooi logooi kai ekklhsiastikooi dogmati peri te Patros kai Uiou, kai agiou Pneumatos.
Si è  già stabilito, dunque,  in ambiente alessandrino il sistema trinitario, che poi sarà meglio perfezionato e diventerà basilare per tutte le numerose comunità disperse e differenti che si uniformeranno, in sintonia con la lezione del Didaskaleion di Alessandria  e poi di Cesarea di Cappadocia…
Origene,  come già Ireneo, però, ritiene che la Sacra scrittura  è ispirata ed unificata dallo Spirito Santo ed è quindi di origine divina: il compito  iniziale dell’esegeta é  trarre dagli aspetti umani dei compositori  reali  quanto lo Spirito ha loro dettato.
L’ esegesi origeniana  consiste nel ricercare l’economia divina nell’opera umana degli scribi biblici (vetero e neotestamentari):e quindi utilizza la grammatica e la perizia linguistica nell’indagine sull’autore.
In effetti Origene in questo studio opera come operavano i grammatici alessandrini pagani su Omero che leggevano Omero mediante Omero.
Origene  contemporaneamente segue l’esempio e i modelli  dei rabbini che interpretano la Bibbia mediante la Bibbia.    Dopo l’operazione umana sullo scriba  si cerca l’autore divino delle scritture secondo un procedimento comune anche ad Agostino  (La dottrina, II,5,6)  scoprire i pensieri  e le intenzioni di quanti  l’hanno messa per iscritto  e  tramite loro ,  scoprire la volontà di Dio  in modo anche da rilevare  l‘ammaestramento di Dio e l’apprendimento umano  (Ireneo,  Contro le eresie  II,28,3).
Origene si spiega ancora meglio quando invita a  passare da una fase ad un’altra cioè dal senso  litteralis a quello spiritalis: “veniamo alla realtà” ( Comm., al Cantico dei Cantici, II,7,2)  precisando che  “bisogna entrare nella stanza del Re”… 
Nel fare questa operazione  si stacca nettamente e dai pagani e dagli ebrei in quanto la sua ricerca è finalizzata a ritrovare Christos  di cui  è piena per lui  ogni pagina biblica: Cristo, per Origene, accorda le più disparate sinfonie che possano derivare  dai tanti passi biblici ed anche omerici che trovano nel suo nome l’armonia (armonizoo= congiungo).
Origene, clementino,  dunque, tiene presente che nell’esegesi si debba considerare l’ispiratore divino che ha invaso l’animo dell’entusiastico scriba, che è solo la canna vuota che, comunque, ha un suo valore  di risonanza: diversa è la canna diverso è il suono!.
Lo studio, quindi, verte sull‘enthousiasmos, sulla divina ispirazione e possesso di Dio sulla creatura incosciente ed  invasata,  la cui ricerca diventa reale solo se il ricercatore esegeta  ha fede, prega  ed ha subìto già una profonda metanoia, tipica delle conversioni a Christos, come quella di Paolo….
Christos, quindi, in quanto logos (parola di Dio) diventa il centro della indagine  che necessariamente obbliga a separare la ricerca spirituale da quella grammaticale fissata  sulla lecsis  sullo studio della lettera.
I due modi sono eredità di Filone, di un Filone già cristianizzato, che ha letto Christos-logos, Verbum: di Filone si conosce solo quanto è già divenuto patrimonio di Panteno e di Clemente, non le sue continue distinzioni divisioni e sottigliezze  “teologali”, proprie di un discepolo dei contemplativi, anche se corrotto dal platonismo: scavare il pozzo di Giacobbe nella traduzione dei Settanta ha esito diverso dallo scavare masoretico: nell’una  non esiste il trovare l’acqua da parte dei servi, nell’altra si trova l’acqua…
Dallo studio  della profondità abissale come in quella celeste c’è la realtà del nomos degli ebrei, c’è nei Settanta il logos dei cristiani…
i cristiani  credendo nella scrittura in senso filoniano,  cercano  il volto di  Christos al posto della legge  e rifiutano, pur utilizzando la retorica, il sofisma delle parole, che, comunque, non bandiscono.
Per Origene la lettura spirituale della BIBBIA diventa un’ indagine, al di la della lettera,  sulla legge, sui profeti , sui salmi e sui proverbi (sulla Sapienza in genere)  e sullo stesso Cantico dei cantici  per trovare la chiave della scrittura, che è Christos.
Le scritture, infatti, annunciano il Cristo e sono una testimoninza di lui : per Origene (commento al Salmo 1: Le parole divine  dicono che le divine scritture  sono chiuse a chiave  sigillate; chiuse dalla chiave di Davide). 
Ora il percorso dell‘esegeta  è, quindi, quello di ricercare Cristo  nell’antico testamento alla luce delle parole  e delle azioni chiuse nei Vangeli.
Origene afferma che, così facendo,  si toglie il  velo  e si può vedere il Cristo che sale  sulle colline dei profeti: da qui l’esigenza cristiana nel II secolo di difendere il Vecchio testamento, rifiutato da Marcione,   e di vedere il Nuovo testamento come realizzazione tramite il Cristo della verità neotestamentaria.
Senza il vangelo accettato nella sua santità  e veridicità lessicale,  totale,  che è il basilare e centrale nucleo  di tutto, ogni lettura diventa espressione umana falsa. Senza Christos e senza il vangelo, quello derivato dagli apostoli (non quello ebionita o quella di Giovanni dei Valentiniani) non è possibile esegesi…
Eppure l’esegesi origeniana, pur condannando la cultura pagana e quella ebraica, ne segue anche la tradizione esegetica omerica e quella biblica ebraica e si conforma su di essa sulla base dell’ ameicsia filoniana, tenendosi in una posizione intermedia (methoria) …  non per nulla il figlio di Agar, Ismael,  è methorios, pareco,  figlio a metà tra quello legittimo e quello spurio, espressione di una sapienza enciclica, propedeutica, alla vera sapienza (cfr. Filone, Il connubio con gli studi preliminari,V, 20-24). L’ esegesi patristica è teleologica cioè è una lettura pastorale  tesa a invitare il lettore  alla comprensione  della verità dello Spirito  a seguire il Christos  ad assecondare il piano di Dio. Il fine, quindi,è quello dell’utilità  per il bene ecclesiale comunitario, di portare ogni uomo alla conversione a migliorare la vita cristiana.  E’ una parenesi con volontà di moralizzare  in senso apostolico sulla base di una vera interpretazione e di una tradizione  di verità
Da una parte, dunque,  è rivolta ai figli già partecipi del mistero e da un’altra a quelli che devono essere attirati nella luce della verità e quindi c’è contemporaneamente la denigrazione del vangelo di Marcione e dei Valentiniani e degli ebioniti, ma anche della lettura pagana,  in una condanna del razionalismo di Celso …
E il testo di Paolo ? che funzione ha in un discorso teleologico?….
Le lettere paoline (così come sono in Origene) sono un altro vangelo, un vangelo aggiunto, un’aggiunta del signore, una methodos,  propria di un apostolo, testimone di una tradizione a cui non appartiene, ma di sicura ispirazione divina, vero documento  nonostante le controversie con Giacomo: la tradizione alessandrina ha cancellato dal 70  d.C, dalla scomparsa della casa di Dio, del tempio  gerosolomitano tutta la linea  giacomita, integralista, aramaica,  ed ha creato un’alternativa romano-ellenistica, secondo l‘ameicsia filoniana, sviluppando il pensiero paolino della centralità del Christos morto per l’uomo (redento col suo sangue), risorto, simbolo della ascensione al padre, guida nell’ emigrazione terrenaaevidenzinaos la eprsenaz di un ecclesia romana, la nuova casa di  Dio,  la comnunitas assembleare dei Credenti in Christos ..