Lo “storico” “cristiano”!?

 

Lo storico cristiano e la dioikesis (I PARTE)

Non è facile capire come e quando e dove sorge la storiografia cristiana, anche se  si dice  genericamente a corte, presso Costantino, ad opera di Eusebio di Cesarea  e di Lattanzio…

E’ riduttivo far confluire un fenomeno dottrinale  così complesso e disorganico, già avviato  verso soluzioni aggreganti nel nome di Iesous Christos, risorto,- sulla base di logia prima, poi di fatti miracolosi  al fine di una mitizzazione della sua storia umana di giudeo galilaico,  divino redentore, inviato dal Padre per la salvezza dell’uomo –  nel corso del II e III secolo a seconda delle dioikeseis dominanti in Oriente, prima, (Antiochia, Efeso ed Alessandria, Hierapolis )  e in Occidente, poi, (Cartagine, Lione, Vienne e Roma, Milano,Treviri )-,  a soli due nomi:  sarebbe  invece opportuno operare in una ricerca tecnica e scientifica sui  singoli dioichetai provinciali, che hanno storicamente in precisi tempi evidenziato un tipico sistema cristiano, chiaro nella loro opera scritta in una precisa sede, dove sono sollecitati da  urgenti    problemi, che li spingono o ad una testimonianza  scritta del proprio pensiero o ad una difesa del proprio Credo o al martirio…

Non, quindi, una storia dei primi martiri e vescovi della chiesa, ma una storia del  vario cristianesimo provinciale, nelle sedi orientali e in quelle occidentali, nel convulso  habitat domiciliare locale, nel vissuto quotidiano con i rapporti  concreti con la societas pagana senza la coordinazione di retori, che ricostruiscono le origini in relazione alle fonti ormai perdute, comunque vive  ancora nelle comunità cristiane originarie, nel clima euforico ed entusiastico del riconoscimento ufficiale della liceità della propria fides, dopo la grande paura dello sterminio…

Meglio non affrontare nemmeno il motivo del  sorgere del Cristianesimo  in epoca ancora pagana, come tentativo di apologia e di opposizione agli imperatori illirici, dopo una convivenza  difficile,  molto limitata, in epoca commodiana e  severiana…

E’  preferibile prima  rintracciare il corso dei tanti rivoli cristiani sparsi nel kosmos romano, e rilevare i   tanti differenti rapporti con l’imperium, poi seguire  gli storici cristiani e la loro ricostruzione ed infine valutare il reale contributo giudaico-cristiano  nella storia del pensiero classico ed ellenistico, al di là dell‘apostolocità delle sedi …

Ci sembra  opportuno, però,  in sede storica, precisare i  criteri strutturali (che sono alla base della storiografia cristiana) e  le due precise epoche, in cui  il cristianesimo si struttura in modo unitario ed organico  in età costantiniana e  in età teodosiana, tagliando i rami secchi e facendo una sistematica potatura delle eresie e degli scismi, operatisi in oltre due secoli di storia nel kosmos greco-romano pagano, avviato, seppure in modo sincretico,  verso soluzioni integrative delle varie componenti etniche occidentali ed orientali, mentre si attuano due migrazioni, l’una  dalle province verso Roma e l’Italia, e l ‘altra dalle campagne verso le metropoli  dell’impero.

Ci piace precisare, perciò, la struttura diocesana su cui si basa il sistema cristiano primitivo di fare storia, connesso con i riti e con la funzione del clero (diakonos, presbus, episkopos), con le attività missionarie e con l’iniziale evangelizzazione, diversificata a seconda delle sedi…

Effettivamente il cristianesimo (che era rimasto acefalo  o meglio era stato a lungo autarchico, avendo molti centri  con propri dioichetai, episcopoi,  che  si autoproclamavano in nome di una discendenza apostolica, separati  in Occidente e in Oriente, con scarse possibilità di comunicazione) non era stato un fenomeno unitario fino dai primi anni del II secolo…

Si ha la diffusione  del cristianesimo  cioè del Regno di Dio, inteso come una piccola propagazione christiana,  dopo la distruzione del tempio e la presa di Masada,  dopo la rottura col regno dei Cieli e con il giudaismo, chiaro già nel periodo 73 d.C e chiarissimo dal 100 circa fino al 135-136, anni della fine dell’impresa di Shimon bar Kokba ….

La diffusione cristiana è in relazione all’ esempio  dei christianoi  orientali, da tempo stanziati a Roma, e dei loro capi, che avevano visto con i loro occhi il trionfo flavio sul giudaismo e lo avevano celebrato al pari dei pagani, separandosi, quindi, dalla sinagoga, rifiutando lo shabat, la stessa Pesah e i riti giudaici, insomma l’integralismo aramaico della Torah, mantenendo solo la struttura organizzativa  che era quella scismatica oniade, comunitaria-propria dei giuli alesandrini e dei giuli erodiani,  in quanto dipendenti  direttamente da Antiochia, di nome, ma di fatto dalla impostazione del  didaskaleion alessandrino …

Alessandria, già sede di episcopato, sotto il nome di Marco ( ?), ben strutturata come dioikesis  sia in direzione nubiano-nilotica  lungo la la via canopica, che verso  il territorio cirenaico, già alla fine del periodo flavio,  è esemplare come ecclesia christiana nel seno stesso dell’ebraismo alessandrino, in lotta con  le eresie gnostiche e con il pensiero neoplatonico…

L’ Epistola  di Barnaba, datata intorno al 130 d.C  ( che tratta della circoncisione, del sabato e del  tempio) discute sulla  eredità, non più concessa da Dio  ai giudei, empi- conosce  l’autore( un probabile alessandrino non certamente il discepolo autorevole, come Zeus, di Paolo!) gli atti ebraici  esacrandi,  compiuti dai Giudei nella guerra di Kitos contro i greci, a Cipro e a  Cirene ?-,  ma solo ai christianoi, grazie al sangue versato da Christos...

Infatti per Barnaba  il cleronomos è in relazione a Gesù redentore, che ha  versato il suo sangue per molti/ pollois ( inteso come equivalente di  pasin /per tutti- Matteo 26,28-)  per la salvezza dell’umanità,  che viene riscattata dal peccato originale, per colpa /grazia  proprio dei giudei e dei loro capi, che hanno voluto la sua morte…

A parte il fatto che l’umanità per la Bibbia si estingue con il diluvio e che solo Noè il giusto si salva e quindi tramite i suoi figli ricrea una nuova umanità, la cognizione del peccato originale dovrebbe concludersi con tale  stirpe di uomini prediluviana...

S. Agostinocomunque, accettando l’ipotesi adamitica, nel V secolo  crea il pensiero cristiano  del peccato originale e quindi accetta l’invio del figlio ad opera del Padre per la redenzione dell’uomo:  il problema non è nel II secolo, occidentale, ma risulta solo una questione orientale, per di più circoscritta in Antiochia e in Alessandria…

Tutta la questione antigiudaica sorge in ambiente mediorientale e forse esplode  in zona di Cipro ed anche a Cirene,  che è collegata come amministrazione  romana con Creta -in cui  è la capitale della Provincia, Gortina – dove profonda è la rabbia contro il giudaismo reo di delitti estremi

I giudei non hanno capito la volontà di Dio e perciò, essendo colpevoli della morte di Jehoshua, sono indegni dell’eredità, che passa al cristianesimo, nato per il nuovo patto tra Dio e l’uomo, tramite la figura di Iesous Christos Kurios. cfr. Jehoshua o Iesous ?…

Si accentua in questo periodo la concezione di una  ecclesia/communitas  che, essendo separata in mezzo a pagani, greci o barbari, e non avendo contatto con altre comunità cristiane,  risulta ancora confusa con quelle giudaiche eretiche o scismatiche, con cui condivide il Libro sacro, di cui ancora riconosce la dipendenza e a cui va una certa solidarietà, specie nel quadro persecutorio imperiale, specie antonino…

I fatti di quegli anni sono terribili per il giudaismo aramaico che ha attirato dalla sua parte anche quello ellenistico, specie in occasione dell’invasione della Parthia ( Cfr.  Impresa di Lucio Vero in Giudaismo romano, III non ancora pubblicato, rilevabile comunque in temi di Un’altra storia del Cristianesimo in www.angelofilipponi.com ), dopo il tracollo del sistema oniade…

Gli antonini (Traiano ed Adriano) portano alla massima esasperazione il giudaismo  tanto che  i giudei dapprima nel corso della guerra antinabatea poi con la guerra di Kitos  e infine  con quella nazionalistica  di Shimon bar Kokba giungono ad infamie  a crudeltà indicibili, a dimostrazione di un parossismo etnico e di uno squilibrio mai registrato nella storia…

Cosa è successo per giungere a tanto!

Come mai i giudei da ghenos prediletto dai giulio-claudi  in quanto costituito da  molti Ioulioi, di stirpe sacerdotale,  ed erodiani, ricchissimo, ora è diventato nel periodo antonino gens taeterrima, perfida, a detta di Tacito?…

Cosa è successo nel periodo flavio e poi in quello antonino per scadere tanto nella stima della romanitas?

Per la trasformazione del popolo ebraico da ethnos philosophoon  – inteso come genos  sapiente in quanto conoscitore di fatti umani e divini (h tou nomou paideia) ad una stipe molto  miserabile rinviamo al 3 volume di Giudaismo romano   (molte parti sono sparse nel Sito), ma qui  soltanto precisiamo quel che avvenne dopo la fine di Domiziano che incrinò definitivamente i rapporti tra il giudaismo aramaico e il kosmos romano e che favorì la ricongiunzione dei  tre giudaismi (quello gerosolomitano, quello ellenistico e quello parthico)…

Per noi tre avvenimenti sono determinanti  in epoca antonina per acuire la tensione già esistente tra  gli aramaici e la romanitas e per far decidere di tradire il kosmos romano da parte degli ellenisti che erano stati del tutto accantonati e annichiliti  finanziariamente  nel periodo flavio, specie in quello domizianeo.

Il passaggio dinastico dai flavi agli antonini ( Nerva e Traiano) risulta traumatico per gli orientali; la politica  di Traiano di annessione della Nabatea  e la successiva guerra contro i Parthi, coincisa con la ribellione ebraica e la disastrosa ritirata culminata con la morte dell’imperatore  destabilizzano l’ordo imperiale  delle province di Siria e di Asia;  l’avvento al potere di Adriano  e il nuovo assetto provinciale orientale dopo la congiura di Quieto, il rescritto di Adriano antiebraico e anticristiano a Minucio Fundano, governatore di Asia, 122-23,  sono atti utili ai fini della costituzione di un nuovo vinculum  con l’imperatore che,   a seguito della nuova insurrezione Giudaica, interviene di persona  cancellando dal kosmos romano la Iudaea e Gerusalemme, rinomimata Aelia Capitolina, determinando la galuth ebraica, la vera dispersione del giudaismo….

Il documento di Adriano,  pur indirizzato a Fundano, risponde in realtà a un’istanza, sollecitata da Quinto Licinio Silvano Graniano  (Cfr Giustino, Apologia I ed Eusebeio  St. Ecclesiastica, II), predecessore del destinatario, che  ha chiesto lumi sul comportamento da tenere nei confronti dei  Christianoi e delle accuse infamanti che vengono loro rivolte…

Di questo lasso di tempo  (98- 122 d. C) è anche la separazione netta tra il giudaismo e il cristianesimo (il regno di Dio)  che si è già dissociato dal regno dei Cieli  del tutto aramaico, che subisce poi  la stessa sorte dell’ebraismo.

Noi abbiamo mostrato come tutto dipenda dalla politica traianea  che dal 101, dalla morte di Giulio Erode Agrippa II, aveva iniziato una politica antiparthica e che aveva seguitato la  lotta  contro gli ebrei, convinto dello stretto legame  degli  ellenisti ebraici con la Parthia …

La successiva conquista della Arabia e poi la pressione contro i parthi e la nuova spedizione antiparthica del 117,  risultano fallimentari per l’imperatore,  che pur si è fregiato del titolo di parthicus.

La situazione non fu  favorevole a Traiano, che  si era ritirato,  a seguito del tradimento  dei battellieri ebraici, dopo le  battaglie intorno a Ctesifonte,  in direzione settentrionale, sotto il continuo martellamento degli arcieri e della cavalleria catafratta, lungo le vie desertiche per ritornare ad Antiochia …

La lettera di Barnaba- scritta probabilmente  tra il 130 e il 131, in ambiente alessandrino risente degli eventi traianei  e  mostra  tra l’altro, un aspetto, quello della separazione netta tra la la chiesa e la sinagoga,  tra il cristianesimo e il giudaismo,  poi ribadita da Giustino nel dialogo con Trifone in modo più pacato, ma sempre di grande polemica, da parte del giudaismo nei confronti degli eretici cristiani che cercano una vita autonoma sotto Adriano…

Il momento degli apologisti  è  già storia del primo Cristianesimo?.

Si può parlare di storia se si fa apologia del nomen christianum in epoca antonina, senza una reale memoria del fondatore e degli apostoloi ?

Una strana storia sul nomen christianum nel mondo romano, non sul Christos!

Una storia  che mostra  un’integrazione  non avvenuta ed evidenzia la repulsione  dei gentili di fronte alla proposta, ancora circoscritta in aree orientali o africane, di un Gesù Cristo, indefinito tra uomo e dio,dopo la mitizzazione giudaica e la fine del messianesimo   aramaico e del Malkut ha shemaim!

Sono storici Melitone, Giustino,  Atenagora, Taziano, Teofilo di Antiochia ?

Sono storici Tertulliano  e Minucio Felice?

Per noi no.

I primi sono orientali, retori, in cerca di  notorietà, secondo una concezione christiana, mitizzata,   che rivendica il diritto di culto per una esigua minoranza di fedeli, ancora incerti  sulla figura del Christos, nonostante l’accettazione globale del pensiero paolino.

I secondi sono africani dipendenti direttamente o indirettamente dalla dioikesis della metropoli di Alessandria, ancora legata alla lezione allegorica filoniana, date le connessioni con la scuola di Panteno, di Clemente Alessandrino e di Origene: sono maestri di doctrina antignostica, ma non storici, ricercatori di memoria  christiana, propugnatori di una methodos teleia, avendo come esemplari i terapeuti, espressione più pura del giudaismo internazionale.

Tutti questi sono strani christianoi che non hanno niente di storicamente cristiano  ma solo  una certa comunione  di tradizione ebraica, mista con un evangelion  dei Padri apostolici,  che  si arrogano il diritto di  difendere il loro Credo, molto differenziato,   in relazione ai luoghi di residenza, ed  hanno memoria del particolare seme christiano ricevuto, ormai diversificatosi a seconda dei contesti…

La lettera ad Autolico di Teofilo (in PG 6, 1026-1027), perciò,  è solo un documento trinitario, proprio  della comunità antiochena, non una storia  della religio christiana, comunque rispettata  d Eusebio, che pure ha una strutturazione  più apologetica che storica.

In essa Teofilo,  commentando i primi tre giorni della creazione,  pone in relazione, secondo il sistema filoniano, come già lo pseudo Barnaba,  Dio Padre e Logos/ il Verbo  e Sophia Sapienza, secondo un processo trinitario, rifacendosi  a Giovanni  evangelista e al libro dei Proverbi…

La notizia è storica, ma non è oggettivamente cattolica in quanto tipica informazione locale, provinciale, riferita in connessione con la risultanza dell’ecclesia efesina, ancora legata a Paolo e a un Theos-Christos, sulla base  sapienziale proverbiale  giudaica dei meshalim. cfr M. HENGEL,L’incontro tra pensiero giudaico ed ellenistico in connessione con la speculazione sapienziale  giudaica in  Giudaismo ed ellenismo in Paidea 2001-trad, it. di Sergio Monaco-pp. 314-360)...

Non credo che  si possa definire storico un apologista come d’altra nemmeno Giuseppe Flavio in quanto scrittore di apologia, non è vero storico, anche se professa di seguire la verità  Alhtheia e di essere scrittore secondo akribeia, in senso prammatico

In effetti, nonostante l’indottrinamento retorico  da scriba ellenistico e la cultura  stoica  del grapheus  ellenico, la sua opera rimane una toledoth ( uno studio su generazioni), un ricerca sulla funzione giudaica nell’impero romano, fatta dall’angolazione di  una lettura flavia della storia, oppositiva a quella giulio-claudia

Lo stesso Luca, scrittore del Vangelo  e degli atti degli Apostoli non fa storia ma solo vede le generazioni di christianoi, ne segue il destino e ne rileva la funzione tra l’epoca flavia e quella antonina, in una volontà di raccontare  parole e fatti di  Iesous Christos Kurios , fondatore  della setta giudaico- antiochena del Regno di Dio, già distaccata  da quella aramaica  del Regno dei  cieli, ai fini della costituzione di una  ecclesia paolina, strutturata  sulla morte e resurrezione del Christos, venuto per tutti gli uomini, liberi e schiavi. L’applicazione della legge  della carità e dei principi di eguaglianza, con peripeteia ed aprosdokhton al fine del rovesciamento dei ruoli  secondo l’oikonomia divina imperscrutabile dalla creatura umana, non è in relazione al diritto romano, che resta immutato,  ma al nuovo sistema di rapporto  tra la pars dei liberi e quella degli schiavi in nome della comune paternità di Dio.

Il padrone giudaico -cristiano non ha schiavi, e lo schiavo non ha padrone nella famiglia giudaico-cristiana perché (così stigmatizzerà secondo il principio biblico, poi, Agostino in  De civitate Dei 19,15) l’ homo rationalis, naturalis,  è fatto ad immagine e somiglianza di Dio

Già Origene (Contra Celsum,3,29) crede di confutare il filosofo pagano, presentando le comunità di Dio, ammaestrate da Cristo, come pellegrine quasi astri nell’universo rispetto alle comunità   dei popoli in cui vivono, tenendo presente Paolo( lettera ai Filippesi,2,15/).

Il paragone tra i politici delle comunità pagane- che nel loro comportamento non hanno nulla della dignità loro attribuita, per cui sembrano sovrastare  i loro concittadini– e quelli delle comunità cristiane  – che, pur non essendo perfetti in quanto indolenti, comunque, sono superiori nel progresso in virtù – è generico  e rivela solo una non partecipazione alla vita della comunità intera e la non integrazione cristiana nel tessuto sociale comunitario, perché si sentono “spirituali”, unici figli del Padre, secondo la tradizione ebraica (cfr. Pater hmoon dove  hmeis- matthaico-  vale noi giudeo-cristiani).

Cosa  significa essere storico per i  christianoi ?

Ritrovare le linee comuni  di un cristianesimo, sparso  e diviso tra le province romane  e rilevare  il  sistema di vita, in modo unitario, al di là della storicità dei fatti e delle testimonianze discordi.

Eusebio sceglie la via di Egesippo e non quella di Papia, per cui noi possiamo leggere solo una direzione senza avere la minima conoscenza delle differenze  dottrinali e comportamentali delle due impostazioni ecclesiali, se non tramite eretici o cenni da parte di  Melitone e di un antipapa oppositore di Callisto a Roma, Ippolito romano 

Specialmente ci pare necessaria, da una parte, precisare la mentalità,  sorta in sede cristiana di un domicilio transitorio  in una snervante attesa della parousia del Christos trionfante,  non  di appartenenza all’impero romano e, da un’altra, la volontà ancora eversiva del giudaismo minacciato nella sua radice aramaica e nel suo integralismo religioso…

Quindi, questo studio sul periodo antonino serve a precisare la nuova conformazione cristiana e quella sempre più marcatamente aramaica del giudaismo che giunge al massimo scontro con il kosmos romano, risultandone la pars barbara e quindi necessariamente corpo da stroncare, come un cancro da estirpare, insinuato nel testo armonioso del mondo ordinato civile romano.

Il cristiano, popolo, in quanto cliens,  anche se civis, nella pars elitaria provinciale, che amministra la comunitas, non vuole i diritti  e i doveri  civili, rifiuta la sua posizione soggettiva e si massifica all’ombra del clero,  che gestisce la ricchezza comunitaria e che invita a vivere serenamente la propria vita  di uomo nato per morire, contento della sua  quotidianità di dolore  e a pregare  nell’accettazione del male  con  la speranza di un domani paradisiaco, quindi,  a svolgere la sua funzione terrena transitoria  cosciente della promessa di un  premio eterno…

Si badi bene il primo cristianesimo è  costituito da un ‘élite (edah) che guida l’haburah, secondo lo schema comunitario  ancora giudaico: ne deriva che sempre più si presenta come fenomeno elitario che domina una massa di fedeli  che costituiscono l’ecclesia senza effettivi diritti  civili, sia che viva in città che  in comunità montane, e, comunque, periferiche , sparse nell’immenso impero romano orientale specie in Asia minore in Egitto,  e in Siria …

Il popolo cristiano, senza diritti, vivente in una terra non più come propria,  sentendosi un inquilino  che ha un’altra patria, ultraterrena, aspetta la parousia/ritorno del signore e la accelera in un certo senso a seconda della comunità cristiana- chi più chi meno – specie se si adegua alla concezione della verginità e del celibato, forse tipica della linea di Papia …

Secondo questa impostazione il primo cristianesimo vive  seguendo la precettistica cristiana non più quella mosaica, ma avendo diverse forme dottrinali non univoche a seconda delle regioni in cui vive e secondo le sollecitazioni di  gruppi sociali, incivili e barbarici, maturando diverse strutture di separazione  come  quella di Hierapolis dove il culto di Cibele si fonde con quello misterico e  con quello delle profetesse sulla scia della  predicazione di Filippo e delle sue figlie…

Comunque,  solo il clero, patronus  ne trae effettivi benefici perché rafforza il suo potere sacerdotale e ne ha vantaggi economici data la crescente ricchezza ecclesiale  e diocesana, che viene trasmessa da generazione in generazione, tramite i vertici episcopali, essendo per i cristiani favorevole la situazione politica ed assente ogni forma persecutoria di massa: solo i capi di tanto in tanto di  alcune città dell’Asia minore sono inquisiti ma perché non in regola con le tasse perché evasori fiscali  in quanto paganti solo per se stessi , cives, e non per la massa dei fedeli la cui ricchezza è gestita comunitariamente…

La definizione, quindi, della dioikesis cristiana -che era un ‘haburah  antica giudaica, una comunità  giudaica  autonoma  che doveva gestirsi in relazione alla comunità pagana in cui conviveva e alla legge romana a cui sottostava l’intera regione in cui i christianoi  avevano domicilio -. in epoca antonina non è facile …

Abbiamo detto che solo il clero ha una personalità giuridica e non l’elemento popolare che è amministrato  che non ha una sua fisionomia fino al periodo di Caracalla (212), data la sua scarsa registrazione fideistica.

Ne deriva che questo sistema verticistico senza una base di effettiva consistenza giuridica   dura per oltre un secolo  nelle varie province  romane e si stabilizza solo quando crea un forte accumulo di denaro in trapeza,  che fa da deposito per le successive  amministrazioni diocesane, che risultano ricche rispetto alle societates /sunousai pagane.

Inoltre la volontà  dei Christianoi di rimanere separati sia come riti che come culti  li isola  ancoar di più anche perché non censiti,  quasi apolidi, cittadini di un altro Regno  determina un odio delle masse pagane  che si manifesta in improvvise  un rappresaglie contro gli estranei, forestieri.

I pagani hanno di fronte un muro  di fanatici che, pur vivendo loro accanto, non hanno niente in comune con la loro cultura e il loro sistema quotidiano di vita, figure evanescenti controllate da santoni, autoritari che sono maestri che educano con una catechesi strana  che inneggia ad un servitium transitorio  e che da speranza di un tesoro celeste accumulato con la propria vita di sacrificio e di rinuncia: solo il clero ha relazione con la societas   vicina ed ha una sua consistenza civile e quindi è noto all’ amministrazione  locale…

A questa mancanza  di  coscienza civile, chiara in epoca antonina e severiana si aggiunge   una diversa concezione della vita e della morte, non più in senso umano classico, ma in senso spirituale…

Si  precisa di nuovo  che la communitas cristiana, costituita  dal gruppo dirigente e dalla massa di fideles, distribuita in  catecumeni e cristiani,  giuridicamente è rappresentata solo dal clero, essendosi azzerata come dignità soggettiva nel seno comunitario, di cui ognuno è parte effettiva passiva.

Ogni complesso comunitario costituisce così  un gruppo di cui si conoscono solo i vertici, la cui presenza nelle città e nelle province romane  deve essere ancora esplorata nella sua tipica vita reale  entro la communitas maggiore cittadina e provinciale pagana.

Noi riteniamo che le comunitates cristiane si comportino come quelle giudaiche oniadi nel sistema romano imperiale,  di cui hanno ereditato le sedi, le  organizzazioni e le stesse tecniche operative  con le strutture bancarie ed  emporiche.

Come effettivamente e quando realmente ci sia stato questo passaggio non riusciamo a saperlo: ma ci sembra che questo già  sia avvenuto durante la impresa di Shimon bar Kokba, ma forse anche tra le  due guerre giudaiche ( 116-117/ 135-6) o qualche anno prima nel corso della guerra nabatea,  in epoca traianea  più che in quella adrianea.

La vicenda di Ignazio di Antiochia e le sue sette lettere testimoniano da una parte il prestigio di un elemento apostolico (su cui bisogna indagare) e da un’altra il senso di unità tra le chiese  che già hanno coscienza di una precisa gerarchia rappresentativa (vescovo, presbiteri e diaconi) ed ancora di un Dio unitario , non trinitario (anche se ci sono forme di docetismo).

Dopo la morte di Ignazio nel 107 d.C., comunque, Policarpo  ha un suo potere tra i vescovi  in quanto ha una doppia elezione sia petrina che giovannea e il suo discepolo Ireneo esporta  dunque il modello orientale che sottende il sistema trapezitario ed  emporico oniade  in Gallia a Lugdunum, dove si struttura l’organizzazione di tipo orientale già  funzionale  in  Hierapolis con Papia e  a Sardi con Melitone…

Naturalmente non c’è una precisa attestazione o menzione diretta.

Il  pensiero ireneiano  sul cristianesimo (Adversus aereses, Demonstratio) che presenta sotto l’aspetto ideologico la  sottesa realizzazione pratica organizzativa, come elaborazione  di una sua teoria contro lo gnosticismo e il neoplatonismo , diventa segno  di una tradizione cristiana nell’ambito della chiesa cattolica ignaziana, che  utilizza il principio della successione apostolica e con essa il sistema comunitario implicito.

La tradizione degli apostoli, per Ireneo, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità, e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi…

(Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto, coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento.

Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo

Così facendo, Ireneo  radica il potere degli amministratori nelle diocesi e poi quello dei Papi in Roma, in quanto eredi degli apostoli  nelle sedi metropoliti in genere, e di Pietro e  Paolo in  quella romana “A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata…” (Adversus haereses, III, 3, 2: PG. 7,848).

Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa, a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità (Ib., III, 3, 3: PG. 7,851).

Ireneo, comunque,  dà per scontato la conoscenza di tutta la amministrazione cristiana  e parla solo della funzione spirituale,  non di quella economica, anche se il sintagma  potior principalitas si compone di potior-da potis/e  potente, capace – e principalitas- da princeps, che rimandano a potestas /kuros e a princeps augustus /sebastos con valore chiaramente politico-religioso e si connettono con Roma imperiale.

Noi  deduciamo la presenza di tale organizzazione dal fatto che un capo come Ignazio, senza essersi appellato all’imperatore  e senza avere la cittadinanza romana,  venga accompagnato e protetto da una decuria  nel suo viaggio di trasferimento,  dopo una formale condanna ad bestias.

Non è comprensibile un tale dispendio di denaro per un prigioniero, la cui  potestas  ed auctoritas dovevano essere grandi in Oriente, ma solo in Oriente: tale azione di norma veniva fatta segretamente da oi epi ton aporrhton (agenti segreti), come per Paulus, che pur è cittadino e collegato per parentela con i giuli erodiani,  tramite la sorella, sposata con un nipote di  Giulio Fasael, fratello di Erode il Grande!.

Probabilmente la punizione di Ignazio doveva essere esemplare per tutti, ma specie per i capi delle comunitates cristiane, inquisiti come non paganti le tasse, come estorsori di proprietà indebite.

Ad ogni tappa portuale c’è  la riverenza del vescovo della comunità locale,  coordinata con altre auctoritates, come segno di un collegamento cristiano, societario, tipico del sistema oniade, che diventava una  forma di proselitismo  e di esaltazione della communitas cristiana,   della sua  ideologia cosmopolita, estranea alla vita  del kosmos romano-ellenistico e propensa ad un’altra vita extraterrena, propria di elementi farneticanti e teatrali.

Specie dalla lettura delle sue lettere  ci vien fuori una figura di santo  che aspira a congiungersi con Cristo, anelando  ad essere mangiato per far parte della divinità al più presto: niente traspira della amministrazione di cui è dioichetes,  ma si rileva benissimo dalla presenza di altri capi  che gli si affollano accanto nel suo viaggio verso Roma  e come le sue lettere tendano a mantenere l’organizzazione tale e quale, come se la fine di un individuo non solo non scalfisse il generale funzionamento, ma  anzi lo rafforzasse.

La figura di Ignazio, se vista dall’angolazione economica, potrebbe risultare  diversa: uno epitropos,( epimeletes, dioichetes) che non ha pagato le tasse, un evasore  doveva essere esemplare per tutti i christianoi nel suo iter di  traditio a Roma.

Il santo è stato alonato dalla tradizione cristiana e  quindi non è letto storicamente, secondo la vera accusa romana, ma è visto secondo le linee della vittoria successiva dei cristiani, in epoca costantiniana ed ancora di più in epoca teodosiana quando le ritorsioni nei confronti dei pagani diventano persecutorie  verso coloro che non fanno parte del sistema cristiano.

Dopo Ignazio, la sede di Antiochia  perde di auctoritas perché direttamente controllata dai governatori di Siria, che meglio potevano valutare la situazione giudaica  o  giudaico-cristiana nella città e quindi facevano prevalere l’elemento greco o siriaco.

Quindi, dopo Ignazio,  Antiochia perde di prestigio anche se aumenta il valore della chiesa romana  dove i papi, di nascita  orientale, sono di cultura antiochena.

Al suo posto sembra avere nel mondo cristiano orientale maggiore peso   il centro di Efeso, il più grande porto del Mediterraneo dopo Alessandria, la terza città del mondo romano, con una popolazione non inferiore a 500000 abitanti, dove l’elemento giovanneo aveva prevalso su quello paolino e dove il ricco entroterra agricolo doveva aver fatto prosperare la comunità che, oltre tutto, gestiva anche il commercio  artigianale di immagini,  quello delle attività scultorie e pittoriche, dopo aver soppiantato l’elemento greco  sacerdotale, eunuco, del santuario della dea Cibele  e quello dello stesso santuario dell’ Artemision.

Efeso era il polo cristiano di attrazione di una vasta area  che comprendeva  un raggio di oltre 50 chilometri  all’intorno anche sull’Egeo insulare: le città sotto la sua orbita sono quella citate nell’Apocalisse Smirne, Sardi, Pergamo, Tiatira città della porpora  Laodicea ecc).

Anche la posizione di Erma a Roma, autore del Pastore, è indicativa sul piano dell’organizzazione,   sulla sua ricchezza ,sulla  perdita di denaro, sulle forme di assistenza sulle istituzioni, palesi  in Clemente Alessandrino di Quis dives salvetur  e nella comunità stessa di Alessandria intorno alla fine del II secolo…

La communitas, comunque, è costituita nel II secolo da elemento popolare (artigiano e contadino) che affida all’episcopos  ogni cosa e che da lui  ha la sicurezza  della propria vita  e della propria famiglia  con la protezione cristiana.

I christianoi sono uomini di diversa professione (banausoi/operai  macellai, calzolai, fabbri, panettieri, barcaioli,  marittimi in genere, ma anche medici,  negotiatores,  emporoi/commercianti,  orefici  trapezitai  come ,d’altra parte, afferma Celso   (Origene, Contra Celsum, 3,18,3,44; 3,50; 3,55; 6,12 e altre parti sparse)  e ripete  Minucio Felice (Octavius, 5,4,8,4), elementi operativi per la communitas…

Giustino, che parla di persecuzioni (Apologia,2 ) , non fa testo anche se ci sono morti  a Tiatira ed altre zone e sono massacrati  perfino gruppi come gli abitanti di  Scillium  da  masse di pagani che restano impuniti:  gli  eccidi religiosi  non sono una novità nell’impero romano, specie in epoca Commodiana , in un periodo in cui domina la peste / loimos

In effetti i gruppi cristiani nelle città diventano una forza politica, se manovrata abilmente da dioiketai episcopoi intelligenti,  che sono patroni,  a seconda delle situazioni, rappresentanti popolari, mestatori, demagogoi.

Perciò, la persecuzione nel II secolo è solo  una questione che riguarda l’imperatore e i vertici e in questo caso,  Ignazio, Policarpo, Ireneo, che risultano casi isolati e ben circoscritti: non hanno rilievo  le poche decine di cristiani uccisi da masse inferocite, a seguito di propagande antigiudaiche ed anticristiane, date le accuse rivolte ad apolidi, felici di raggiungere il premio meritato proprio per aver rifiutato la cittadinanza di questo mondo, in quanto appartenenti ad un  Regno celeste (ourania basileia).

Precisato questo,  bisogna rilevare come si sia cambiata la struttura classico greco-latina  di partecipazione allo stato e come si sia passati ad una indifferenza alla vita cittadina,  insomma, come si siano potuto annullare i propri diritti civili ed  come si si possa essere costituito un  vir fidelis al posto del vir civilis/o politikos, del civis capace di esprimersi solo nel negotium, inadatto all’otium.

E’ questo un problema di insicurezza di molti cives nel I e  II secolo dove l’arbitrio di patroni  teneva soggetto le masse di liberti  semiliberi e di liberi che preferiscono riunirsi  e delegare  i loro diritti  schierandosi sotto una potente famiglia che li ingloba come clientes  o parassiti e simili sotto la propria protezione.

E’ il sistema clientelare modificato del periodo antonino dove pochi hanno il potere effettivo  e dove anche comunità religiose hanno un loro sistema clientelare mediante simmoriai e thiasoi.

In Asia (in Bitynia e Ponto,  in Cappadocia,  in Pamphilia, in Licaonia e  in Galatia  e in Licia ) e in Commagene,  come  in Syria  e in Ioudaea e in tutto il bacino del Mediterraneo,  come anche in Grecia e Italia e in tutto l’Occidente pochi soggetti giuridici controllano le masse che, sottoposte, vivono la vita quotidiana,  soggette solo  a scadenze festive, in modo bestiale,   protette dagli statuti delle loro corporazioni, popolari,  priapee, di selvaggio edonismo, avulse dalla vita delle classi nobiliari…

E’ questa, però, una questione interna, tra le masse e i capi del corporazioni, siano esse pagane che cristiane, comunque, tutte immorali  ed indocili.

Lo scontro tra cristiani e pagani avviene in questo campo comunitario, da addomesticare ed assoggettare,   tra gruppi  popolari pagani,  legati al sistema  della  tradizione classica -ora connessa con la divinità   di Zeus  e degli dei olimpici o con quella egizia sincretica  di Serapide o con quella del culto di Mitra e del Sol  invictus–   e gruppi di tradizione monarchiana  di radice giudaica o giudaico-cristiana di impostazione oniade.

Non c’è odio né rancore tra confessioni e credi diversi,  anche se soggetti tutti  ferini e servili,  ma c’è da parte di quella di tradizione  giudaica, compresi i cristiani, la coscienza di elezione e di esclusività monoteistica, connessa con l’appartenenza ad un Regno,  che non è di questa terra,  e quindi di aver una cittadinanza in Cielo, e, perciò, di rifiutare la vita stessa terrena.

La cittadinanza in cielo e il rifiuto della vita eterna  rendevano odiosi i cristiani, che come massa erano  simili al gregge  bisognoso di pastore, incapaci di vivere senza clero.

Inoltre,i cristiani hanno capi sovrani  e non prendono le armi in difesa dei loro concittadini e compatrioti, indifferenti di fronte ai barbaroi invasori armati, distruttori, nemici,  e vanno loro incontro quasi grati di avere la morte.

In epoca antonina sono continui gli episodi  di christianoi che, inermi si fanno uccidere: noi oggi li chiamiamo tutti  martiri della fede e non distinguiamo  i privati cittadini dai milites, militari che hanno un compito  offensivo e difensivo a favore della patria.

I christianoi  non difendono la patria, anelanti di raggiungere il cielo e il meritato premio!.

Allora, davanti ai Quadi e Marcomanni, che dilagavano   e distruggevano ogni segno di civiltà romana, raggiungendo perfino le zone alpine, rifiutare l’uso delle armi di fronte al nemico  si chiamava abbandono di postazione, si bollava come diserzione, si  definiva vigliaccheria,  perché atto indegno della cultura militaristica romano-imperiale, che stava costituendo, sulla base del diritto comune,  di tante genti un solo popolo, dopo aver accolto alcune popolazioni barbariche arrese,  entro il proprio territorio seppure al confine con genti  della stessa stirpe (con la clausola di Dediticii-di uomini che cedono i propri diritti  al momento della deditio -che comportava uno scomporamento dallo ius latino e dal sistema provinciale  e sottendeva una mancanza assoluta di garanzia pure per chi viveva nel territorio romano ed aveva avuto assegnazione provvisoria di terre) e si considerava vergognosa, nel corso del loimos, la propaganda della  fine del mondo  e del ritorno del Christos, col premio  eterno del Paradiso…

I christianoi sembrano come residenti provvisori dediticii:  dalle fonti noi non riusciamo a comprendere esattamente il loro  equivoco sistema di vita: la stessa notizia di Plinio il giovane   (Plinio,Epistola X,96,8)  fa un punto  situazionale  ma non  risolve la questione né la lascia intravvedere secondo le direttive traianee:  o meglio, noi abbiamo frainteso Plinio perché lo abbiamo esaminato dall’angolazione cristiana!.

Di conseguenza risulta strano come  uomini che sono irreprensibili  nel comportamento sociale possano essere  testardi nel rifiutare di venerare l’immagine dell’imperatore e i simulacri degli dei pagani, e come possano disobbedire  per  le riunioni in giorni stabiliti  per le pratiche religiose,  che contrastano con la non osservanza delle regole che proibiscono le hetairiai.

Su Plinio si è fatto solo il problema sulla base della sua interrogazione all’imperatore se si debba  punire il solo nome cristiano, mancando gli altri indizi  di delitto/crimen…

La stessa risposta di Traiano  che i cristiani non debbano essere ricercati e che le denunce anonime devono essere trascurate e che siano puniti solo quelli che non ritrattano  e non  invocano le divinità romane, in  una precisa ostinata dichiarazione di cristianità,  sembra una testimonianza della presenza di un problema, non una  soluzione, in quanto lascia in sospeso la  valutazione sull’ ebraismo e  sulla radice giudaico-cristiana, di cui  solo nella spedizione parthica conosce- a sue spese -il reale significato religioso-politico…

Noi  siamo condizionati in questa lettura dalla successiva interpretazione sul piano del diritto,fatto da Tertulliano  (Apologetico II,7) e  siamo costretti a valutare come ingiusto il procedimento contro i cristiani  perché non si può condannare, per il solo nome, uno che non si deve ricercare  e che quindi è assolvibile: questa è storia successiva già organizzata per la difesa del nome cristiano…

Io, partendo da una frase di Filone, che riporta il giudizio, acuto,  di Caligola sui Giudei che  sono solo superstiziosi  più che colpevoli,   leggo  più o  meno lo stesso enunciato, in latino, di Plinio (Epistola 10,96,8)  superstitio prava et  immodica. 

La stessa cosa sembrano dire Tacito (Annales 14,44,4 ss)  e  Marco Aurelio   in A se stesso( II,3) che oppone il logismos pagano alla cecità della pistis cristiana e che rileva che  il  comportamento cristiano  anche davanti alla morte è teatrale, non razionale.

Celso,(ed anche Galeno) e Luciano, soprattutto, ci permettono di chiarire il problema cristiano, se lo si vuole chiarire.

Celso, nella sua opera, riportata, a passi, scelti da Origene ( Vera dottrina)  intorno agli ultimi anni della vita di Marco Aurelio,  fa un preciso ritratto del cristiano e lo vede come un millantatore, come il Gesù, fondatore della setta…

Eppure Celso è un philosophos, uno che  studia e che deve aver notizia anche di Giustino  apologista, ha buone conoscenze testamentarie ed ha presente le  letture evangeliche: il suo discorso vero marca l’ irrazionalismo cristiano  in quanto vede i cristiani privi di logos,  oppositori della paideia greca, uomini che si integrano  mescolandosi in sette/aireseis sacerdotali, che rifiutano il contatto con la realtà, in nome di un’altra vita celeste.

D’altra parte, Celso indaga prima ulla figura del Christos  e scopre  tra l’altro, che fu un mago/goes  millantatore  e  che i suoi discepoli- i capi- al pari,  sono millantatori  e maghi, che approfittano della credulità delle masse in un’ epoca specie come quella del II secolo dove si crede che l’asino vola e si può fare bere la verità di un uomo-dio e  si muta ogni razionale pensiero col paradosso, sorprendente e meraviglioso, fabulistico.

Il razionale Celso rileva che tutto è rovesciato  (secondo  questa logica di ciarlatano, che con la bugia, col paradosso e con la retorica assolve la povertà mentale, facendo diventare  da ultimi primi, da insipienti sapienti in nome di un Christos, risorto, a cui niente è impossibile: chi sa e chi sa fare non deve avanzare, avanzi solo chi non è persona istruita e che non  saggio, chi è  insensato furfante  lo  dimostri con fiducia perché Il successo è suo…

Insomma una tale élite così costituita fa presa solo su gente semplice, volgare, stupida, ossia schiavi, donnette,  giovincelli  spudorati (Origene, Contra Celsum 3,44 e 5,59 )

Per Celso, comunque, la gravità assoluta  di tale logismos è nel   rinnegare il nomos, inteso non come legge ma  come complesso fatalistico legale  che  regola l’universo giudaico -cristiano,  differente perfino dalla normativa mosaica, secondo una logica millenaristica escatologica, propria di un’oikonomia divina.

Vincolati da tale ragionamento, I christianoi creano isole nelle città, nei paesi, nelle campagne, apparentemente ligi ed impeccabili moralmente e socialmente, ma risultano elementi non integrati nel kosmos pagano, convinti di essere cittadini di un altro mondo a cui aspirano di tornare il più presto possibile, totalmente assenti dai circuiti della normalità sociale, irresponsabili rispetto ai doveri dell’uomo normale, del prossimo, in attesa di un Regno di Dio.  

Noi seguendo il logismos di uomini come Celso, Porfirio e poi Giuliano siamo riusciti a comprendere il pensiero cristiano di un Costantino e poi di un Teodosio… dopo aver rilevato la loro esatta biografia e il loro contesto militare occidentale pagano, proprio del sistema civile sociale ed economico-finanziario  del IV secolo...

Cosa hai capito, professore ?  mi si dirà.

Ho capito che bisogna distinguere  che le notizie, da noi sempre lette  allo stesso modo, non hanno nemmeno un segno di verità, ma sono  state aggiornate  al fine della costituzione di un sistema cristiano  per giustificare la caduta dell’impero romano, le invasioni o penetrazioni barbariche, per evidenziare l’esistenza già perfetta di una Chiesa unitaria, apostolica, romana, capace ed abile a manovrare ed abbindolare le masse pagane e giudaico- cristiane,  dando speranza di un premio e di sopravvivenza eterna alla durezza della vita quotidiana  alla fatica giornaliera…

L’errore di questa valutazione è nel sistema di vita cristiana oggettivo, che ha due modi di vivere:  uno fastoso e invidiato, quello  dei protoi (episcopoi  presbiteri e diaconoi) a vari livelli, che godono dei vantaggi sociali e del benessere economico.finanziario  assicurato dalle trapezai e dagli emporia  e dalla  liturgia, dal servizio nelle basiliche, dalle oblazioni specie domenicali e festive;   e quello. povero e dignitoso  delle masse anonime irrazionali, che si accontentano del fasto del cerimoniale connesso con quello pagano   e nella povertà sono felici  perché hanno radicato in ognuno l’elpis /la speranza  di una ricompensa al loro sacrificio,  e della povertà, tanto più grande per quanto è stata maggiore l’accettazione del proprio status  di vita.

Ora se uno parla come Celso,  non è facile capire perché  in senso dottrinario  tutto è  discutibile  e perché  i termini sono equivoci riferiti da un Cristiano (Origene ),che confuta  l’avversario  senza parlare della  quotidianità di vita e della realtà  contestuale  dell’epoca.

Parla  Celso o Origene?

Chi legge pensa e valuta, a seconda di chi realmente scrive e ne è coinvolto, e non ha possibilità di sapere con sicurezza di chi siano le affermazioni  e chi dica la verità in un discorso vero, essendo ambedue (accusatore ed accusato)  nutriti  platonicamente, secondo il doppio logos socratico (vero o falso)  …

Un termine ha valore a seconda di chi lo pronuncia: la visione storica di un pagano è molto diversa da quella di un cristiano; quella dell’uno rimanda ad una cultura; quella dell’altro ad un’altra cultura proprio in un momento in cui c’è sovrapposizione  culturale e non c’è ancora possibilità di rilevare  chi sia il vinto  e chi sia il vincitore: leggere  i fatti  del II e III secolo con l’occhio costantiniano  di Eusebio di Cesarea  non è certamente un fare storia neutrale, data anche l’euforia dei vincitori,  che, usciti da una persecuzione feroce,  hanno un reazione altrettanto feroce…

Inoltre se si parla, satiricamente,  ironicamente, sarcasticamente  come fa Celso, in un dato momento quello di Lucio Vero e Marco Aurelio,  il linguaggio  viene letto in altra situazione da Origene in connessione coi  tempi nuovi severiani, per cui il termine ha oscillazioni  di significato e di referenze notevoli: solo quelli che vivevano in quei contesti potevano effettivamente comprendere  quei messaggi e dare il giusto valore semantico con la stessa referenza, noi potremmo solo intuirli, ma non precisarli con reali messaggi: sarebbe opera  presuntuosa  pensare ad una sicura lettura neutra!

Se  si esamina il sistema cristiano da parte di uomini che vivono quotidianamente la vita, si rivela una grande ambiguità nei termini : uno è il modo di vivere dei capi, uno è quello della massa di fideles , di norma credenti passivi,  ma non esperti di teologia, partecipi entusiasticamente ai riti, senza neanche comprendere il mysterion... .

I capi, theologoi e dioichetai  non fanno niente di illogico ed illegale ma hanno un pensiero  logico e conseguenziale, che sfruttano in modo pratico così da avere un alto tenore di vita,  grazie ai guadagni comunitari che, comunque, sono spesi anche per i poveri, per le vedove, per gli orfani o in opere assistenziali per i malati, moribondi, i tanti afflitti da infermità, affidati  a diakonoi, suddivisi in gruppi, abilitati a scrivere a leggere, a medicare ad evangelizzare.

C’è una frattura fra chi maneggia il denaro e ha le banche e quelli che sono solo operatori comunitari, ormai vittime del sistema gentilizio, addomesticate dalla promessa religiosa di una eternità felice,  conseguibile con la sofferenza terrena  accettata, perché voluta da Dio,  come purificazione di peccati.

I primi sono Protoi e sono equiparati ai capi dei Thiasoi e delle summoriai  e quindi rientrano nelle  élites del II  e III secolo n mentre le masse  dominate  e soggette sono  così istupidite e condizionate da credere alla magia  e sono attirate dal successo economico, dalla fastosità del  cerimoniale  del  papato cristiano e dalla volontà di appartenenza alla comunità che, oltre tutto, garantisce l’elpis futura, un Regno dei cieli  ultraterreno da conquistare con una vita di sofferenza  e di dolore , che costituisce il tesoro da godere, da morti . D’altra parte, la crisi economica ha equiparato coi decenni classi tradizionali  dei  senatori e cavalieri come honestiores,   che  sono il ceto  dei  proprietari terrieri  e dei militari  che detengono anche le riserve auree di moneta, mentre i plebei (operai, artigiani e piccoli  possessori di terre e  umili commercianti) toccati dalle difficoltà economiche e dalla svalutazione della moneta d’argento, formano la classe degli humiliores, avvilita e senza più diritti civili.

Forse, dopo la fine dei  Severi, nell’anarchia militare, mentre  il potere imperiale diventa  illirico, i vertici cristiani, organizzati  secondo il sistema oniade e secondo lo schematismo dottrinale  origeniano, nonostante le tante diverse anime sparse del cristianesimo,  trasformano una religio elitaria, arricchita da lasciti e dai profitti bancari  delle communitates, potente per i rapporti finanziari con i militari,   in un sistema apparentemente  caritatevole e  democratico, basato sulla credulità popolare sia pagana che catacumenale, sul  fastoso cerimoniale di riti propri della liturgia domenicale e festiva: si crea, da una parte il muthos del cristiano che vive per morire, che anela di tornare nella patria promessa  a ricevere l’eredità celeste eterna, e, da un’altra, si forma  una potente casta cristiana che ha potere regionale a seconda del numero di Christianoi  della  communitas, specie danubiana ed asiatica, che controlla anche le popolazioni, di confine, barbariche …

Il sistema clientelare, assunto dalla chiesa romana nel II e III e IV secolo, determina  la sua ricchezza, stratificata ad ogni generazione e custodita dalla gerarchia, che si tramanda giudaicamente i tabularia  (gli archivi grammatophulakia) e con essi i poderi, le proprietà con le pertinenze, e i depositi bancari…

Infatti, ad ogni morte di capo subentra un altro capo che ritrova con gli altri compartecipi la ricchezza precedente  sulla base archiviale, che lascia intatta per la successiva comunità  muovendo quei capitali che possono essere  riciclati secondo carità, o  ricevuti in eredità da benefattori: questa è l’unica fides dei diochetai/episcopoi, fedeli trasmettitori del patrimonio  della Chiesa, più che della verità evangelica…

Basilio si lamenta che il fratello  Gregorio, divenuto episkopos di Nissa, eletto da lui – dopo il ripudio della moglie-  non abbia questa acutezza mentale e tale  abilità amministrativa per la conservazione del patrimonio ufficiale della chiesa, timoroso di una diminuizione  patrimoniale …

La fides religiosa, popolare,  è solo una ideologia sincretistica,  una mistione confusa di idee pagane e giudaiche  con cui  l’élite  ha abbindolato le masse, a seconda delle tradizioni locali, su cui si sono poggiate.

Da qui anche la disparità di fides  tra le popolazioni orientali e la mancanza di un credo unitario,  non essendoci nemmeno una comune tradizione sulla figura umana e divina del fondatore Iesous Christos Kurios.

Nemmeno su Dio  c’è unità di pensiero,  monarchiano: ad un theos onnipotente creatore del cielo e della terra, rettore della sorte dell’uomo in quanto provvidente pater si associa un logos  distributore, demiurgo, inviato in epoca storica augustea sulla terra come redentore dell’uomo peccatore,  morto in croce  e risorto, che insieme al padre  invia il paraclito/agion pneuma fecondatore  del seme apostolico evangelico,  animatore dello spirito umano…

Allora, da un parte,  c’è l’ empietà cristiana  che è veramente  assenza  di pietas  in quanto il non sacrificare  agli dei e all’ imperatore è crimen contro lo stato poiché risulta gesto barbarico ed irrazionale contrario alla societas umana, pacifica, tollerante,  politeistica, capace di accettare ogni culto, purché si rispetti quello comunitario e quello del prossimo che ha eguale dignità…

Tutti i cives dell’impero di circa 3.332.000 Km quadrati, dall’altra   parte, conoscono le legge universale romana sancita da Claudio con la lettera agli Alessandrini del 41 D.c.. ogni popolo abbia la sua thrhskeia e non insulti  quella altrui , limitrofo, in un chiaro riferimento, agli ebrei fanatici per il loro credo, impediti nel fare proselitismo, pena sanzioni imperiali.

Tutti i popoli, che costituiscono le singole membra del corpus dell’impero romano, sono eguali di fronte alla legge: Claudio fa decadere  il privilegio  accordato da Cesare di tipicità del culto ebraico e lo ridimensiona, valutando il giudaismo isonomos e isotimos  alla pari delle altre etnie; solo superficialmente sembra che  ripari al male del nipote Caligola, ridando dignità al popolo ebraico, in effetti lo riduce, equiparandolo agli elleni e agli egizi, specie in Alessandria.

Mi sembra opportuno,però, precisare che Claudio, da una parte, equipara il giudeo alessandrino ad un greco, ma, da un’altra,  ne limita lo status di civis/poliths in quanto  lo fa risultare isotelhs cioè di chi, pur forestiero, ha eguaglianza  di gravezze  e carichi  di un cittadino.

Lo status dell‘isoteleia comprta che un  giudeo in Alessandria è un metoikos che  non paga, comunque,  il metoikion– una tassa di 12 dracme annuali- e non ha bisogno di un prostaths /patrono, ma, siccome possiede beni  e terreni,  deve avere gli stessi carichi/incarichi di leitourgia  di un poliths,  anche se non gode della cittadinanza attiva.

In effetti il giudeo ricco alessandrino  deve un servizio allo stato  ordinario (khoregia, gumnosarchia, lampadarchia, estiasis, architheoria) o straordinario, per cui deve  allestire  a turno navi – trihrarchia oltre alla eisphorà , una normale contribuzione in relazione alla ricchezza dichiarata, da utilizzare sia per il culto al proprio dio che a quello del  numen altrui.

Chi non riconosce la comunione dell’autokrator con  Dio e la sua l’auctoritas divina non  ha  la  coscienza  reale del diritto romano al dominio sui popoli: ogni popolo  deve riconoscere la divinità di Roma imperiale come essenziale ai fini del Kosmos  e poi la propria peculiare divinità (il Dio dei padri),  venerata insieme a quella ufficiale: si cerca di amalgamare così i popoli che hanno bisogno di un solo sovrano e di un solo Dio.

Lo zio non è diverso dal nipote: Claudio e Caligola  aspirano ad una legge comune. In Caligola il sublime ho mostrato come  l’imperatore dimostri  che l’ebraismo bara quando dice di sacrificare giornalmente due volte  per  Augusto e per il proprio Dio.

Augusto e Tiberio hanno accettato la falsità  cultuale giudaica, ma non Caligola che vuole equiparare il sistema religioso in ogni parte dell’impero (cf. Caligola Il Sublime, Cattedrale 2008  pp.157-183)  Infatti (Cfr. Legatio ad Gaium,357), durante il processo,secondo Filone, l’imperatore  afferma che i giudei dicono il vero quando  giurano di sacrificare per lui e per il proprio Dio,  ma aggiunge celiando:  Voi avete fatto sacrifici, ma per un altro, anche se a mio favore.  Che utile ho, dunque ? Voi non avete, infatti, sacrificato  a me./ Tethukate ,all’eterooi, kan uper emou, ti oun ophelos;ou gar emoi tethukate.

Caligola (Filone, Legatio ad Gaium 357 ), dopo aver rilevato la natura dell’ animo ebraico- Non sono malvagi, mi sembra,  ma piuttosto  disgraziati ed irrazionali ( dustukheis … anoetoi )-  mostra l’ irrazionalità  dei giudei che non credono  la sua divinità ed  afferma di aver avuto in sorte una natura di Dio (Cfr. Morte di un Dio).

Ora, chiuso il caso di Caligola, sotto Claudio   i christianoi.,che vivono in seno alla communitas ebraica  di Antiochia, copiano lo  statuto del politeuma  alessandrino, secondo la riforma imperiale ed in quanto giudeo-cristiani, cioè una radice ebraica, si propagano con la stessa politeia ebraica, che, non avendo bisogno di un rappresentante prostaths, si eleggono, là dove insediano una colonia apoikia, un dioikeths ammnistratore (episkopos).

Da qui una ramificazione delle colonie cristiane  secondo l‘isoteleia alessandrina, accettate dalle communitates pagane  (ed ebraiche inizialmente) in  Siria, in Asia, in Grecia, insomma  in Oriente, dove convivono isolate, protette dai governatori locali e rispettate nella loro ameicsia /non mescolnaza,  subito divise dai giudei  integralisti inquisiti sotto Traiano ed Adriano.

Dopo Antonino il Pio,  sotto  Lucio Vero, impegnato nella guerra parthica e sotto Marco Aurelio  contro i Barbari, le communitates sono invitate a  partecipare alle leve, ma non accettano il servizio militare  o se lo accettano, non combattono in nome di Iesous Christos Kurios, loro re,  che impone la fratellanza universale e si rifanno perfino ad un decreto di  Giulio Cesare a favore di Hircano  e degli ebrei ( Flavio, Ant. Giud.XIV ) invocando il rispetto della tipicità di vita giudaica e giudaico-cristiana …

E’ superstitio prava et immodica  che, però, sottende  un’ideologia fondata sul logos, sul monarca con funzione divina  e non sul muthos, cosa che poi sarà prerogativa del  Papa romano, come rappresentante di Dio sulla terra, che  assume la stessa funzione imperiale…

Noi  cristiani  fatichiamo ad accettare una tale risultanza e non possiamo pensare che i primi cristiani possano essere così  avulsi  dalla realtà del tempo, così neepioi /bambini  da  rinunciare a vivere credendo  in un prossimo ritorno del  Signore e da sperare in un premio eterno,  tanto da affrettare la propria morte.

Non è umano né naturale  essere figli  esclusivi di un padre provvidente, che accoglie le vittime del sistema politico imperiale-che, pur tirannico, permette una comunità di vita, anche se estranea, seppure  suddita di un altro re  – : l’imperium romano garantisce  con le sue leggi l’integrazione sociale a tutti, anche barbari, dando eguali opportunità giuridiche e democratiche,  purché si paghino le tasse, si abbia un rispetto reciproco tra  le stirpi/ genh e  si veneri ciascuno il proprio Dio.

Non per nulla la figura dell’imperatore romano  passa da una famiglia romano-latina, ad una sabino-italica, ad una  italico-ispanica ad una italico -berbera, per poi essere trace e araba per diventare illirica, in un mescolamento etnico, universale: specie nel periodo dell’anarchia ogni civis  occidentale o orientale, se ha un grado militare, può essere  autokrator/imperatorlegge vivente/nomos empsuchos per tutti i sudditi!

Noi che abbiamo avuto in eredità il  cristianesimo, che siamo stati battezzati senza il nostro consenso, e che abbiamo fatto parte di una parrocchia in  una diocesi, non ci siamo mai posto problemi neanche sui termini  perché  vivendo in una società contemporanea molto diversa da quella dei primi christianoi,– soggetti passivi  condizionati di un’élite spirituale, pneumatica,  teleia/perfetta che li spinge al martirio-, siamo laici, indifferenti alla fede e scettici,  guidati da una gerarchia  ecclesiastica ormai corrotta e coinvolta nel potere politico, asservita da secoli  alla potestas statale,  di cui è stata compartecipe con la sua auctoritas, in un mescolamento di sacro e profano  in nome della Romanitas.

Comunque, il sistema clientelare latino, vigente,  creava nel corso della caduta della domus giulio-claudia e poi di quella Flavi e di quella Antonina  cambi di potere, facendo  sorgere nuovi nuclei di poteri: ora le masse christiane, riunite sotto il vescovo, nelle  cosiddette sedi apostoliche, avevano costruito un sistema difensivo tale da non subire gravi danni nei momenti di transizione e la risposta era stata positiva nel passaggio da quello flavio  a quello  antonino: lo stato non poteva intervenire sulle masse anonime e non schedate nemmeno per la tassazione, ma solo sulla communitas rappresentata dal vescovo e dal clero, la cui opera appariva solo caritativa, ma celava una rete economica e un flusso di denaro senza pari, di cui i fideles non avevano neanche la percezione e solo gli amministratori ne erano al corrente.

Le varie aireseis  delle communitates cristiane, disseminate nell’impero, non erano produttive per gli esattori imperiali e quindi risultavano non paganti le normali tasse in quanto ne erano escluse data la millantata pietas religiosa pauperistica e la concezione  spirituale.

E’ questa impostazione  “psichica” di Clemente Alessandrino,propria di uomini  che vivono disciplinati  da capi , che condizionano la mente infantile dei propri adepti nel formalismo ritualistico e nelle vesti sacerdotali,  grazie ad un oculato sistema di dioikesis (sistema amministrativo) diverso da quello successivo dioclezianeo.

Prima di parlare dei fondatori di questo sistema amministrativo e   storico, ci sembra utile precisare che la mentalità cristiana già chiara in quanto comunità in attesa dello sposo, millenarista, specie dopo la scrittura dell’Apocalisse,  si connota ancora di più in questa ideologia grazie a Montano e  alle sue profetesse  Massimilla e Priscilla, sotto Antonino il Pio, Lucio Vero,  Marco Aurelio e Commodo.

Il fenomeno inizia dalla Frigia, dove ci sono segni di una testimonianza cristiana ad opera di  Filippo, discepolo di Cristo, che con le sue figlie, profetesse,  congiunge la nuova fede con un sistema  mistico-sacrale, connesso con la vocazione turistica dei luoghi intorno alle terme  di Hierapolis ( Pammukkale) dove è dominante  la mentalità pagana, legata a Plutone e a Cibele.

La comunitas cristiana aveva fedeli che in massa si eccitavano seguendo anche pratiche arcaiche, riunite in pianure, in preghiere collettive,  attirate non solo per le guarigioni ma anche per  apparizioni e forme di suggestioni, profezie, in un abbandono della vita reale quotidiana.

La fine del I  secolo e tutto il II secolo sono pieni di magia,tanto che Apuleio (De Magia) discute su una magia volgare normalmente inquisita dalla Lex Cornelia sive de Sicariis  e una magia filosofica e religiosa, espressione culturale teurgica, distaccandola dalle artes malefiche di maneggioni, falsi profeti, magi, taumaturgi  (goetes).

Ora la pratica magica è connessa alla diffusione del gusto del mistero, del religioso , dell’irrazionale  e risulta tipica dei cristiani stessi  che ne sono accusati per i loro riti esoterici anche se  i loro scrittori, comunque, sono avversari di ogni pratica magica, ritenuta  manifestazione dell’opera demoniaca.

Apuleio (Cfr Metamorfosi, IX,14)  e Luciano ( specie in Morte di Pellegrino e Philopseudes ) meglio di altri hanno evidenziato questa componente nel cristianesimo.

In epoca commodiana l’aspetto mitico e magico è predominante nell’impero e proprio nel quadro di una propagandata  ektheosis imperiale  si accumulano le crisi  causate da  movimenti ideali e  spirituali, in senso economico, finanziario, politico e sociale.

Queste, aumentate nel periodo Severiano, ingigantite nella decadenza, si riversano contro le comunitates cristiane, -rimaste per qualche decennio isole felici,- nel periodo Massimino il Trace (235-238)- sotto  Decio (249-251) e sotto  Valeriano (253-259) e    poi  si placano  con   Gallieno, fino a Probo, nonostante alcune sommosse sotto Aureliano(270-275) – che ha  favorito il culto del Sol Invictus-  per riacuirsi  sotto la tetrarchia fino all’instaurazione dell’impero cristiano in Occidente, dopo  la vittoria di Costantino  su Massenzio al ponte Milvio (312) e, poi, in Oriente- dove già il cristianesimo è religio licita grazie a Galerio- definitivamente, dopo quella su Licinio  a Crisopoli  nel 324…

Comunque, al di là del valore delle communitates nel III secolo, per noi è  significativo ed esemplare il montanismo,  confessione eretica,  che pur ha una sua impostazione tipicamente cristiana, tanto amata da Tertulliano stesso, suo adepto.

Il montanismo millenaristico e mistico, pur fedele alla dottrina cristiana della Trinità e della divinità del Cristo, si scontra con le auctoritates locali, come Apollinare di Hierapolis, dioiketes  che amministra i beni  e che ha con sé un gruppo di  uomini scelti,  dediti all’ amministrazione della comunitas…

Il carisma di Montano e delle sacerdotesse mette in crisi l’auctoritas amministrativa, tutta presa nelle questioni terrene e dimentica delle cose eterne,   che, essendo priva di profezia e di capacità di suggestione,  accusa di possessione diabolica i montanisti,  seguiti ed amati dalle folle, non solo locali ma anche regionali, ammirati   e quasi idolatrati, dovunque si trasferiscano (in Africa o a Roma stessa).

I montanisti,  avendo l’ ammirazione popolare gettano il discredito nel sacerdozio,  che risulta corrotto e lontano dalla reale predicazione del Cristo, considerata  propedeutica alla felicità ultraterrena, non utile ai fini di una vita terrena.

Le accuse di Girolamo, successive,  a Montano di essere stato un evirato sacerdote cibelico prima di essere cristiano,  o quelle ireneiane ed  eusebiane  di aver detto “io sono l’eterno” o “io sono il signore onnipotente” sono affermazioni di storici cristiani, che  hanno segnato una linea per ricompattare e riconfluire armonicamente il cristianesimo delle origini a Costantino: la gerarchia ecclesiastica disconosce perfino che Montano è un altro Christos, un profeta  che riforma la chiesa in quanto assistito dal Paraclito  e che  con la sua venuta, autorizzata dal Padre,  possa realizzare  la Nuova Gerusalemme  come eterna dimora dei fedeli.

Sempre in epoca antonina si sta esaurendo la collaborazione imperiale e giudaica alessandrina ellenistica,  ma si è potenziata, quasi come una naturale succursale, la struttura giudaico-cristiana amministrativa diocesana  che sempre di più assume valore grazie alla mantenuta organizzazione di stampo oniade, tenuta abilmente dai vertici cristiani specie orientali, poi viene traslata capillarmente,  tramite Ireneo, in Gallia, anche se già è chiara nella struttura della Chiesa di Roma,  che è succursale di Antiochia.

A nostro parere tale sistema giudaico oniade, non avendo bisogno di collaudo, avendo già funzionato da tempo  in modo perfetto  è funzionale nell’ organizzazione cristiana  fin dall’origine antiochena, ed ora si  è consolidata in senso caritativo (protezione ai vecchi, agli orfani, alle vedove)  in una gestione di capitali, mediante banche (che assicurano denaro liquido in depositi)  e mediante il sistema emporistico, che dà lavoro a tutti i membri comunitari impegnati e nella amministrazione  diocesana  con diverse funzioni e nei lavori di capeloi, vendita al minuto negli emporeia.

Impegnando molti nel lavoro fisico i  pochi eletti gestiscono il capitale sotto l’oculata sorveglianza di un episcopos, economo  di tutto il sistema:  il clero, istruito,  fa funzionare la communitas dei credenti, che costituiscono la base del potere economico con i loro fondi personali e col loro lavoro, che prospera, grazie a riinvestimenti di capitali o al proselitismo sotterraneo (ingresso di pagani ricchi nella communitas,come benefattori, volontari).

Dunque, le tante organizzazioni nel sistema imperiale costituiscono una costellazione di amministrazioni locali benestanti nel mare di crisi economico-finanziario statale, che aumenta, mentre la struttura cristiana progredisce  e prospera (come  oggi  in Italia, dove la crisi è totale, ma alcune amministrazioni locali sono ancora buone e dove  molte famiglie hanno ancora una capacità amministrativa diversa rispetto al sistema di grave recessione,  innescato dal mondo americano, perché ancora legata al sistema agricolo conservatore!) grazie all’ oculato sistema oniade dei vertici.

Inoltre, l’ amministrazione cristiana risultava ancora  migliore nelle grandi sedi e cominciava a mostrarsi ancora più positiva in quelle cosiddette apostoliche:  Roma, Antiochia, Alessandria, Efeso  erano diventate in epoca antonina  sedi amministrative con dioiketai sempre più bravi, capaci di permettere un tenore di vita ammirato dai pagani, a fedeli, soggetti passivi, ammaliati dalla retorica  episcopale (cfr. Il II Secolo d.C: il trionfo della retorica, del paradosso e della bugia) che pensano solo alla edificazione morale e alla propria spiritualità, in un continuo  avvicinarsi a Dio.

Se la comunità, laica, dà esempio di vita cristiana, i vertici ecclesiali essendo ricchi, sono in competizione con i protoi della città e normalmente li superano, dato il fasto delle vesti, considerati  i cortei e le processioni e la maestosità dei riti,  che richiedono molto denaro e soprattutto avendo molte entrate dal lavoro comunitario e dagli ergatai pagani  dipendenti, aumentano in popolarità tanto da divenire loro stessi  viri civiles, in quanto non sono affatto digiuni di retorica.

Sotto Marco Aurelio  già si parla di ricchezza delle sedi  episcopali in Morte di Pellegrino di Luciano di Samosata (Mondadori 2003).

Già precedentemente, non solo la  sede di Antiochia sotto l’episcopato di Ignazio, ma anche  quella  di città minori  evidenziano  che gli episkopoi hanno un tenore di vita adeguato alla loro posizione di funzionari e di amministratori:  Hierapolis  ha vaste zone cristiane  al tempo di Papia, come anche Afrodisias, e ne controlla le popolazioni.

Insomma in  molte zone,  dove predomina l’elemento cristiano, già all’inizio del II secolo la situazione è florida,  data la oculatezza amministrativa dei capi.

Il protagonista  di Luciano  (uno strano filosofo del tipo di Giustino  apologista!)  è un pagano, certo Proteo, patricida, divenuto cristiano,  fatta carriera tra i cristiani (Morte di Pellegrino,11), diventato profeta, capo dei riti e convocatore delle riunioni, assunte quasi tutte le cariche, commenta e spiega il testo sacro  e molti ne scrive personalmente  e perciò risulta  tanto onorato  come legislatore (nomothetes)  e come protettore (prostates) da  diventare dopo Christos, l’uomo più importante.

Questi, dunque, secondo Luciano, catturato  per l’omicidio del padre,  è dai cristiani liberato dal carcere, dove è ben assistito  da vecchiette, vedove, bambini, orfani  mentre perfino i protoi – che hanno corrotto le guardie- dormono con lui o fanno veglie.

Gli vengono portati pranzi elaborati e  gli vengono recitati perfino discorsi sacri: Proteus, alias o beltistos Peregrinos è chiamato nuovo Socrate.

Da tutta l’Asia vengono legazioni mandate da singole città, che a carico della comunità,   per  aiutarlo, per  difenderlo, per confortarlo (boethesontes sunagoreusontes kai paramuthesomenoi ) dànno fondo a tutte le sostanze.

Perciò, con la scusa della prigionia ,Proteus Peregrinos ,avendo avuto molti beni,  ne ricava un’ entrata non piccola (prosodon kou mikran).

Luciano marca  la vita di questi sciagurati cristiani (oi katodaimones)  che vivono  persuasi che diventeranno immortali e godranno della vita eterna,  se disprezzano la  morte  e vi si consegnano volontariamente , autodenunciandosi:  essi si credono fratelli  dopo aver rifiutato gli dei  greci e venerano quel sapiente crocifisso  vivendo secondo le sue leggi ( ton de anescolopismenon ekeinon sophisten auton -Ibidem, 13).

Luciano mostra come sia facile per uno come Peregrino beffare gente semplice, che disprezza ogni bene terreno e che  lo mette in comune  senza alcuna precisa garanzia,  accettando quanto dicono i capi.

Secondo Luciano un goes incantatore, un technites  capace di fingere e di sfruttare le occasioni diventa ricchissimo  in poco tempo!.

Per Luciano, Proteo, dopo che è scarcerato per insufficienza di prove dal governatore di Asia, torna in patria e lì lasciò i suoi beni (15 talenti  equivalenti a circa 450.000 euro) ai concittadini,  che naturalmente lo venerano come un santo  e quindi è liberato dall’imputazione di patricidio.

Allontanatosi dalla patria,   avendo come sufficiente copertura  i cristiani ( ikana  ephodia  tous khristianous echon)  vive nel lusso grazie alla loro protezione, svolgendo probabilmente  la carica episcopale.

Ma poi, siccome ha  infranto qualche regola sui cibi  vietati,  trovandosi in difficoltà, rivendica i suoi beni paterni,  facendo una  palinodia  per riottenerli,  e chiede un intervento imperiale.

Ma non ha fortuna  per cui inizia il suo terzo esilio, andando in Egitto dove vive ad Egatobulo, esercitando una pratica ascetica che consiste nel rasarsi a metà il capo  impiastricciandosi il viso, nell’eccitare  pubblicamente le sue vergogne  – dimostrando che proprio questo è indifferente –  e nel  colpirsi, le natiche  e facendosele colpire  con uno staffile e compiendo altre cose stravaganti.

Poi, da lì trasferitosi in Italia, comincia ad attaccare l’imperatore  ed, aumentando la sua fama,   è scacciato dal governatore  che lo  giudica pazzo, ritenendo che la popolazione non ha bisogno di un tale filosofo, anche se si è conquistato la fama di uomo di parresia e  di grande indipendenza (Ibidem, 17)  come Musonio, Dione, Epitteto ed altri che sono stati cacciati pure loro  da imperatori.

Venuto in Grecia, in Elide,  decide di fare il grande evento  tale da essere per sempre ricordato: si prepara per quattro anni, dopo aver tecnicamente dimostrato alcune sue verità, specie quella  di voler morire con il fuoco,   annunciando  questo gesto alla fine della olimpiade.

La conclusione di Luciano,  che ne mostra la morte cercata come spettacolo, subito dopo le gare olimpiche ad Olimpia, è descritta così : fece un salto nella pira che aveva precedentemente allestita  comportandosi come un Calano, un gimnosofista…

Il personaggio di Luciano ha qualcosa in comune con  Marcione, che “fiorisce” sotto papa Aniceto (Ireneo, in Adversus haereses, dice  invaluit sub Aniceto) e che arriva a Roma da Sinope-dove ha già svolto la carica  probabilmente di episcopos-  nel periodo di transizione tra due papati, quello di Igino e  di Pio I  e che svolge attività di  trapeziths.

Egli è un abile amministratore che dona  200.000 sesterzi alla comunità romana,  secondo Tertulliano (De Praescriptione Haereticorum,XXX)e che  è già scaltrito da una precedente esperienza finanziaria nel Ponto,  regione ben collegata con le regioni sarmatiche,  cimmeriche  e danubiane, considerato il fatto che è anche armatore (Origene, Dialog.1).

Entrato in urto con le autorità romane -non se ne conosce l’esatto motivo- riprende  il denaro, nonostante la sua professione di fede (Ibidem, XXX) (  Cfr,Tertulliano,  Adversus Marcionem, 1, 20 e De carne Christi, II).

Per meglio orientare  chi mi legge aggiungo che  vi sono in Roma altri esempi di  trapeziti cristiani.

Carpoforo, sotto Commodo, è un banchiere che  ha affidato i suoi capitali ad un trapezita un certo Callisto,  che, secondo Tertulliano e Ippolito  è un imbroglione (uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l’errore,

Callisto gestisce la banca  dove è versato anche il denaro per  gli orfani  e vedove, ma avendo perso tutto fugge   e si getta a mare ma è  salvato e  riportato da Carpoforo suo padrone.

Accusato dai creditori    per salvarsi  accusa i giudei, dopo aver tentato di nuovo la morte.

I giudei lo accusano con prove e lo portano in giudizio dal governatore Fusciano che lo condanna ai lavori forzati in Sardegna  nonostante la protezione dell’ex padrone Carpoforo, che nega perfino la sua cristianità .

Il papa Vittore è convocato da Marcia, amante di Commodo  che si informa discretamente se in Sardegna  tra i condannati ad metalla ci sono cristiani.

Callisto è liberato,  tramite l’intervento congiunto del papa e di  Marcia,  implora il perdono, è lasciato,senza alcuna pena ,  ad Anzio dove  sembra godere di una sovvenzione mensile.

Dopo l’elezione di Zeferino, Callisto   ha l’incarico di organizzare il primo cimitero dell Chiesa e grazie alla sua bravura  amministrativa è eletto prima arcidiacono e poi diviene papa.

Non è in questa sede che dobbiamo mostrare la bravura dei dioiketai  romani, chiara nelle fonti cristiane ma anche in quelle pagane.

Se a fianco loro ci sono uomini come Teodoto  il banchiere, che nominato  vescovo, ha una  paga di 170 denarii al mese   (Eusebio fa pensare che tale sistema retributivo, accettato da papa Vittore, sia lo stesso in Asia !), si può dedurre che il vescovato    è una carica molto ambita, specie quella romana.

Fondamentali risultano, a nostro parere,  due storici, che creano le basi storiche cristiane:  da una parte Eusebio di Cesarea  in greco e in da un’altra Lattanzio in latino…

Come sempre avviene, però, non sono gli storici ma l’epoca di Costantino( e quella di Teodosio a determinare effettivamente quella organizzazione storica e a determinare quel cammino cristiano anche dopo la costituzione della storiografia cristiana, specie per l’apporto di Girolamo di Stridone, di Rufino di Aquileia  e di altri.

Noi qui mostriamo solo la funzione degli  storici, che rispecchiano il cristianesimo di queste due epoche e che sintetizzano a loro arbitrio le storie precedenti e creano  una sola linea cristiana- nonostante le diversità di linee della stessa tradizione cristiana –  in dipendenza da Costantino e poi da Teodosio, che esigono un’ unità dottrinale sulla base  conciliare.

In effetti la loro è una sincresi storica,in cui predomina la spiritualità cristiana  che sottende  una dioikesis (amministrazione) perfetta, mantenutasi inalterata per secoli, anche quando non c’è l’unità di fede…

Professore, a questo punto  devo fermarla.

Devo chiedere  spiegazioni, io che la seguo da anni e che sono quasi una  sua controfigura.

La gerarchia christiana  che fa storia  col veleno in bocca e in coda contro l’impero romano, in nome di una spiritualità e fratellanza universale, staccando le plebi dalla realtà di vita,  facendo spectaculum, disgiungendo la pratica dalla teoria, alla ricerca di un credo teologico per oltre un secolo,  ha effettive possibilità di propagazione religiosa,  essendo limitata dalla condizione di religio  illicita, in quanto superstitio prava et  immodica?

Si può  dire che, dopo la grande persecuzione di Diocleziano, la reazione cristiana elitaria, trova in Costantino, un figlio bastardo di Costanzo Cloro- marito fortunato di Teodora, figliastra di Massiminiano- il suo campione,  come legittimato Nikeths  in occidente,  grazie alla finanza christiana comunitaria   e alle leve cristiane prima, e  grazie  alla nikh  continua del deus sebaoth ebraico, poi, in Oriente ?

Certo, caro discepolo, la strategia cooperavistica finanziaria  ora è accompagnata da un’ideologia, propria, tipica  di Osio di Cordova:  liberare le plebi dal vinculum dell’astensione del servitium  militare e  spingerle alla partecipazione,  alla guerra santa sotto la guida del deus Sebaoth, al fine di avere i favori imperiali e di non correre più il pericolo di una ricorrente  decimazione a quasi ogni generazione…

Per oltre un secolo la gerarchia  episcopale è  quasi sempre decimata ad ogni cambio di potere politico ed ora, essendo salita ai vertici, non si lascia scappare l’occasione della gestione politica ( Si pensi al patto Gentiloni del 1912, cioè all’accordo  segreto, voluto da Pio X, tra i cattolici -UECI-  e Giolitti per arginare il partito Socialista . cfr. Cesare Battisti socialista )…

La storiografia, nonostante la parvenza  umanitaria, è feroce contro i nemici,  velenosissima nella condanna dei peccatori e specie dei persecutori: Diocleziano  è la vittima più illustre, anche se in effetti è il migliore degli imperatori illirici, compreso lo stesso Costantino…

Il fango – come copertura statuaria e come offesa alla memoria .- e il veleno, – come maldicenza, come odio, rancore, cattiveria in genere- sono stati gettati su Caligola, su Nerone, su Commodo, su Caracalla su Eliogabalo,  su Decio ma il massimo cumulo lo si rileva in Diocleziano, che ancora oggi è oggetto di damnatio christiana: lo stato pietoso  del  suo palazzo a Spalato porta i segni  di  scomunica e di  eterna condanna, anche se sottende disonore  per chi non lo riporta allo splendore  di un tempo, come  quello del Mausoleo di  Augusto, vergognoso per i politici Italiani!

Se ho impiegato una decina di anni di ricerca storica e di traduzione  diretta, mirata su Filone e Flavio, per cercare di rovesciare il giudizio negativo su Caligola, penso che non mi sarebbe sufficiente un’altra vita di ottanta anni,  per  togliere le infamie dette e perpetrate  e per rilevare  le tante omissioni, stralci di quadernioni, falsificazioni contro il Nome e l’opera  eccezionale di Diocleziano.

Eppure Diocleziano (284-305) è l‘unico illirico a porsi il problema unitario in quanto profondamente convinto della necessità di affrettare l’avvento della pace  e di normalizzare il mondo con una riforma statale urgente non solo a livello militare ma anche amministrativo, politico economico-finanziario, data la crisi  sempre maggiore negli ultimi decenni del terzo secolo.

Il bisogno di limitare il dinamismo militare congiunto a desiderio di vedere personalmente il funzionamento della sua riforma congiunta con la suddivisione amministrativa delle dioekeses  sono segni di  un vir animi magni, antico, di stampo sillano,-che comunque, non ha la stessa fortuna di inviolabile  del repubblicano dictator, a dimostrazione dell’imbarbarimento dei tempi-.

La sua concezione politica  di un politeia/ costituzione con  due Augusti ( Lui  Iovius e il collega Massimiano, Herculius, come  sovrano dell’Oriente e dell’Occidente con capitali Nicomedia e Milano)  e con  due cesari  (Galerio che ha come capitale Sirmio; e Costanzo Cloro Treviri) è necessaria per i tanti fronti di guerra, considerata la vastità dell’impero romano.

La sua tetrarchia, dopo breve tempo, non funziona per la morte di Costanzo Cloro, per la cui successione  si scatena una lotta che coinvolge  il figlio bastardo del Cesare e il figlio  di Massimiano in Occidente, mentre per l’oriente tutto procede secondo le regole della tetrarchia: Galerio diventa Augusto e Licinio Cesare.

Questi  ultimi nel 311 emettono l’editto di tolleranza e fanno cessare le persecuzioni in Oriente, mentre  in occidente dopo la vittoria di Costantino al Ponte Milvio nel 312  viene emanato l’editto di Milano che proclama il cristianesimo Religio licita

Comunque, Diocleziano avendo acume e senso pratico tale da contemperare la tendenza dell’autonomia   col principio unitario, distribuisce  i membri del collegio  in relazione alla vecchia nomenclatura provinciale:  Diocleziano l’Oriente, Galerio la penisola balcanica,  Massimiano  l’Italia con le province alpine, l’Africa settentrionale e la Spagna, Costanzo Cloro la Gallia e la Britannia.  Tutti e quattro godono della tribunicia postestas e dell’imperium proconsulare maius,  gli augusti hanno solo il privilegio dell’anzianità e  i cesari, avendone sposate le figlie, si sentono maggiormente vincolati come domus regnante.

Diocleziano segue la tradizione, convinto che il potere conferito ai magistrati  sia manifestazione della volontà divina  e della grandezza di Roma  secondo l universalismo  augusteo  e il militarismo cesariano da cui derivano i loro rispettivi  appellativi di Iovius e di Herculius.

L’accentramento amministrativo  è in relazione ai tetrarchi che hanno una attività legislativa e giudiziaria  assistiti dal consilium principis  del quale fanno parte membri equestri e magistri che fanno da ministri  delle sezioni di cancelleria  a libellis ,  ab epistulis,  a studiis  a memoria,  ed  a dispositionibus, a seconda delle funzioni svolte.

I  governatori  provinciali sono a capo  come praesides ed appartengono all’ordine  equestre, mentre i  correctores sono senatori;  le province vengono raggruppate in 12 dioeceses che hanno vicarii in relazione diretta con i tetrarchi ad eccezione  di proconsoli senatorii di Asia, di Africa e di Acaia …

L’accettazione della spiritualità cristiana da parte di Costantino e quindi del decreto di Religio licita è in relazione alla perfetta organizzazione della società  dei fideles, congiunti nella celebrazione della eucaristia e di riti cristiani propri  delle ecclesiai antiche,   che sono  organismi  ben funzionanti  amministrativamente tanto da essere isole economiche positive nel sistema anarchico amministrativo pagano statale del II e  del III e d’ inizio IV secolo, ormai in crisi e in pieno sfacelo, specie dopo l’epoca antonina, in quanto connessa e legata all’anarchia militare …

Capire questi enunciati di base, in senso amministrativo, è  fondamentale  ai fini della comprensione della costituzione storica del cristianesimo, erede del sistema oniade, come economia della salvezza

Certamente il fenomeno di Eusebio sottende un circolo elitario più complesso, che ha fatto già un lungo lavoro di critica delle fonti precedenti in Oriente- specie nella metropoli di Alessandria- in lingua greca, del cristianesimo  ormai  precisato  come Regno di Dio, distinto nettamente da quello dei Cieli, aramaico, inglobato, bisognoso solo di un’ulteriore trasmissione in lingua latina ad opera di  buoni traduttori,… 

Oltre l’aspetto ideologico, la superiore organizzazione episcopale deve essere  schiacciante rispetto alla crisi dilagante dell’economia universale imperiale  tanto che si guarda con invidia e rabbia contro le oasi cristiane su cui i diocheitai, svolgendo la loro funzione amministrativa,  dònno un esempio non tanto  di moralitas ma soprattutto di buona organizzazione locale…

Per meglio precisare il pensiero, bisogna dire che  nell’impero romano esiste il fenomeno  strano di tante  province ricche in uno  stato unitario povero, direi fallimentare nel periodo di Marco Aurelio, in cui l’insieme statale   in grave crisi ha bisogno della lingua vitale  delle piccole cellule cristiane, rigogliose, che, non risentono affatto del malessere generale in quanto hanno una solidarietà religiosa  strutturale  su una base  anche  economica e finanziaria, prospera  tramite la caritas/eleos e un sistema di elemosine e di colletta che favorisce  e riabilita  quelle poche amministrazioni, che  entrano in malattia, contagiate dal male esterno o  raramente rovinate da  amministratori incapaci.

Queste isole cristiane  nel mare pagano, pur avendo scarsi contatti fra loro  (quelle contigue hanno una certa coesione senza però interferenze né amministrative né organizzative), mantengono una comune fede  in Christos  soter ed euergeths uomo-dio  morto sulla croce, venuto  per redimere il mondo dal male, e sono in attesa di un suo prossimo ritorno ed attendono lo sposo  per festeggiare le nozze insieme, nel Paradiso, loro patria.

Nella vita giornaliera i cristiani  appaiono uomini irreprensibili  seppure cives inattivi  ed indifferenti alla vita cittadina in quanto  totalmente presi dall’attesa della parousia del Signore: i capi (di solito si tramandano l’episcopato di padre in figlio, secondo primogenitura) invece, sono intenti nell’amministrazione  dei beni della communitas  in quanto gestiscono con banche e con emporeia tutti i beni dei fideles, che partecipano ai riti,  e settimanalmente  celebrano l’eucarestia, festeggiando la Pasqua, la Pentecoste  e le altre festività, vivendo in quartieri cristiani,  mettendo in comune il lavoro, ripartito secondo le prescrizioni episcopali, avendo loro sinagoghe.  refettori comuni e, perfino, dormitoi comuni in molte comunità…

Le auctoritates,   guidando uomini che  fanno parte dell’organizzazione della dioikesis, compiono i riti e  con lo sfarzo attirano anche i pagani che, vista la funzionalità comunitaria e i benefici, specie per vedove, orfani, vecchi si aggregano alla communitas e sono gestiti dai diaconi, dapprima come neoicatecumeni, poi come fideles, dopo il battesimo .

In questo modo, grande rilievo per l’aggregazione hanno le festività dei primi giorni  di ogni mese  e il giorno dell’inizio dell’anno: le organizzazioni  e le festività variano  a seconda delle regioni romane per cui quelle traciche sono diverse da quelle bitinie o da quelle paflagone o da quelle frigie o cappadoci o armene  dove sono più marcati i  riti connessi con il sistema proprio della zona…

Si ha,  infatti, notizia della ricchezza e potenza delle sedi apostoliche  cristiane che competono con quelle pagane tanto che alcuni storici  parlano di un’economia statale in contrasto con quella  ecclesiastica, che  perfino ha facoltà di incentivare alla fine del III secolo d.C.  la migrazione  dei rustici verso le città per averne il patronato  e ricavarne un utile…

Infatti gli amministratori  percepiscono stipendi da procurator ducenarius  o da centenarius o da sexagenarius a seconda della grandezza territoriale della sede apostolica e  del maggiore o minore numero di fideles. Si sa che a Roma   Asclepiade e  il banchiere Teodoto  che è un discepolo dell’ omonimo cuoiaio propongono ad un certo Natale  di contrapporsi al vescovo Zeferino,  pagandolo con 150 denarii  all’anno, una cifra sestupla rispetto alla paga annua  di un legionario…

E’ chiaro che, in seguito, il credito della sede romana è maggiore se i in Ammiano Marcellino  si trova  conferma non solo  della florida situazione ecclesiale  ma  si mostra  anche una lotta per il potere papale.

Ammniano  parlando della sede romana e delle dispute per il papato mostra  di questi dioiketai/ episcopoi il potere ed evidenzia anche  la contesa tra le fazioni, a causa della potenza del titolo e della sottesa ricchezza (Rerum gestarum libri , XXVVII,3,11-14).

A Roma  il titolo di Pontefice Massimo pagano, anche se non ha più valore,   ancora esiste, mentre  quello Cristiano ha già una sua validità certamente non giuridica, ma ha un riconoscimento ormai ufficiale, come un  honor, essendo scaduta anche la funzione politica del praefectus urbi e di altre cariche repubblicane

Sappiamo così che  alla morte di  Liberio (24 settembre del 366)  si ha  una doppia elezione quella di Ursicino  (a S. Maria in Trastevere) eletto da un ristretto gruppo e  quella di  Damaso (a S. Lorenzo in Lucina) ad opera della maggior parte del clero.

Ci sono morti, dati i grandi interessi in gioco  in quanto il papa, riscuotendo le oblazioni delle matrone, consegue una così grande ricchezza da uscire in pubblico su cocchi e vestire con grande sfarzo  e da superare coi loro  banchetti,  fastosi  come quelli di un re (ut ditentur  oblationibus matronarum, procedant vehiculis insidentes, circumspecte vestiti, epulas curantes profusas, adeo ut  eorum convivia regales superent mensas).

Questa ulteriore ricchezza favorisce una diversa  classificazione della sede romana  in relazione non solo alla grandezza di Roma , antica capitale, ma anche  all’importanza apostolica  delle sedi  per cui la migliore organizzazione al tempo di Damaso,  in epoca di Valente e Valentiniano,  dà un certo rilievo  e credito alla sede apostolica petrina di Roma in Occidente, che già risulta appetibile perché ben amministrata, data la ricchezza patrimoniale dell’Ecclesia,  già in epoca dioclezianea…