Lo storico cristiano e la dioikesis (I PARTE)
Non è facile capire come e quando e dove sorge la storiografia cristiana, anche se si dice genericamente a corte, presso Costantino, ad opera di Eusebio di Cesarea e di Lattanzio…
E’ riduttivo far confluire un fenomeno dottrinale così complesso e disorganico, già avviato verso soluzioni aggreganti nel nome di Iesous Christos, risorto,- sulla base di logia prima, poi di fatti miracolosi al fine di una mitizzazione della sua storia umana di giudeo galilaico, divino redentore, inviato dal Padre per la salvezza dell’uomo – nel corso del II e III secolo a seconda delle dioikeseis dominanti in Oriente, prima, (Antiochia, Efeso ed Alessandria, Hierapolis ) e in Occidente, poi, (Cartagine, Lione, Vienne e Roma, Milano,Treviri )-, a soli due nomi: sarebbe invece opportuno operare in una ricerca tecnica e scientifica sui singoli dioichetai provinciali, che hanno storicamente in precisi tempi evidenziato un tipico sistema cristiano, chiaro nella loro opera scritta in una precisa sede, dove sono sollecitati da urgenti problemi, che li spingono o ad una testimonianza scritta del proprio pensiero o ad una difesa del proprio Credo o al martirio…
Non, quindi, una storia dei primi martiri e vescovi della chiesa, ma una storia del vario cristianesimo provinciale, nelle sedi orientali e in quelle occidentali, nel convulso habitat domiciliare locale, nel vissuto quotidiano con i rapporti concreti con la societas pagana senza la coordinazione di retori, che ricostruiscono le origini in relazione alle fonti ormai perdute, comunque vive ancora nelle comunità cristiane originarie, nel clima euforico ed entusiastico del riconoscimento ufficiale della liceità della propria fides, dopo la grande paura dello sterminio…
Meglio non affrontare nemmeno il motivo del sorgere del Cristianesimo in epoca ancora pagana, come tentativo di apologia e di opposizione agli imperatori illirici, dopo una convivenza difficile, molto limitata, in epoca commodiana e severiana…
E’ preferibile prima rintracciare il corso dei tanti rivoli cristiani sparsi nel kosmos romano, e rilevare i tanti differenti rapporti con l’imperium, poi seguire gli storici cristiani e la loro ricostruzione ed infine valutare il reale contributo giudaico-cristiano nella storia del pensiero classico ed ellenistico, al di là dell‘apostolocità delle sedi …
Ci sembra opportuno, però, in sede storica, precisare i criteri strutturali (che sono alla base della storiografia cristiana) e le due precise epoche, in cui il cristianesimo si struttura in modo unitario ed organico in età costantiniana e in età teodosiana, tagliando i rami secchi e facendo una sistematica potatura delle eresie e degli scismi, operatisi in oltre due secoli di storia nel kosmos greco-romano pagano, avviato, seppure in modo sincretico, verso soluzioni integrative delle varie componenti etniche occidentali ed orientali, mentre si attuano due migrazioni, l’una dalle province verso Roma e l’Italia, e l ‘altra dalle campagne verso le metropoli dell’impero.
Ci piace precisare, perciò, la struttura diocesana su cui si basa il sistema cristiano primitivo di fare storia, connesso con i riti e con la funzione del clero (diakonos, presbus, episkopos), con le attività missionarie e con l’iniziale evangelizzazione, diversificata a seconda delle sedi…
Effettivamente il cristianesimo (che era rimasto acefalo o meglio era stato a lungo autarchico, avendo molti centri con propri dioichetai, episcopoi, che si autoproclamavano in nome di una discendenza apostolica, separati in Occidente e in Oriente, con scarse possibilità di comunicazione) non era stato un fenomeno unitario fino dai primi anni del II secolo…
Si ha la diffusione del cristianesimo cioè del Regno di Dio, inteso come una piccola propagazione christiana, dopo la distruzione del tempio e la presa di Masada, dopo la rottura col regno dei Cieli e con il giudaismo, chiaro già nel periodo 73 d.C e chiarissimo dal 100 circa fino al 135-136, anni della fine dell’impresa di Shimon bar Kokba ….
La diffusione cristiana è in relazione all’ esempio dei christianoi orientali, da tempo stanziati a Roma, e dei loro capi, che avevano visto con i loro occhi il trionfo flavio sul giudaismo e lo avevano celebrato al pari dei pagani, separandosi, quindi, dalla sinagoga, rifiutando lo shabat, la stessa Pesah e i riti giudaici, insomma l’integralismo aramaico della Torah, mantenendo solo la struttura organizzativa che era quella scismatica oniade, comunitaria-propria dei giuli alesandrini e dei giuli erodiani, in quanto dipendenti direttamente da Antiochia, di nome, ma di fatto dalla impostazione del didaskaleion alessandrino …
Alessandria, già sede di episcopato, sotto il nome di Marco ( ?), ben strutturata come dioikesis sia in direzione nubiano-nilotica lungo la la via canopica, che verso il territorio cirenaico, già alla fine del periodo flavio, è esemplare come ecclesia christiana nel seno stesso dell’ebraismo alessandrino, in lotta con le eresie gnostiche e con il pensiero neoplatonico…
L’ Epistola di Barnaba, datata intorno al 130 d.C ( che tratta della circoncisione, del sabato e del tempio) discute sulla eredità, non più concessa da Dio ai giudei, empi- conosce l’autore( un probabile alessandrino non certamente il discepolo autorevole, come Zeus, di Paolo!) gli atti ebraici esacrandi, compiuti dai Giudei nella guerra di Kitos contro i greci, a Cipro e a Cirene ?-, ma solo ai christianoi, grazie al sangue versato da Christos...
Infatti per Barnaba il cleronomos è in relazione a Gesù redentore, che ha versato il suo sangue per molti/ pollois ( inteso come equivalente di pasin /per tutti- Matteo 26,28-) per la salvezza dell’umanità, che viene riscattata dal peccato originale, per colpa /grazia proprio dei giudei e dei loro capi, che hanno voluto la sua morte…
A parte il fatto che l’umanità per la Bibbia si estingue con il diluvio e che solo Noè il giusto si salva e quindi tramite i suoi figli ricrea una nuova umanità, la cognizione del peccato originale dovrebbe concludersi con tale stirpe di uomini prediluviana...
S. Agostino, comunque, accettando l’ipotesi adamitica, nel V secolo crea il pensiero cristiano del peccato originale e quindi accetta l’invio del figlio ad opera del Padre per la redenzione dell’uomo: il problema non è nel II secolo, occidentale, ma risulta solo una questione orientale, per di più circoscritta in Antiochia e in Alessandria…
Tutta la questione antigiudaica sorge in ambiente mediorientale e forse esplode in zona di Cipro ed anche a Cirene, che è collegata come amministrazione romana con Creta -in cui è la capitale della Provincia, Gortina – dove profonda è la rabbia contro il giudaismo reo di delitti estremi…
I giudei non hanno capito la volontà di Dio e perciò, essendo colpevoli della morte di Jehoshua, sono indegni dell’eredità, che passa al cristianesimo, nato per il nuovo patto tra Dio e l’uomo, tramite la figura di Iesous Christos Kurios. cfr. Jehoshua o Iesous ?…
Si accentua in questo periodo la concezione di una ecclesia/communitas che, essendo separata in mezzo a pagani, greci o barbari, e non avendo contatto con altre comunità cristiane, risulta ancora confusa con quelle giudaiche eretiche o scismatiche, con cui condivide il Libro sacro, di cui ancora riconosce la dipendenza e a cui va una certa solidarietà, specie nel quadro persecutorio imperiale, specie antonino…
I fatti di quegli anni sono terribili per il giudaismo aramaico che ha attirato dalla sua parte anche quello ellenistico, specie in occasione dell’invasione della Parthia ( Cfr. Impresa di Lucio Vero in Giudaismo romano, III non ancora pubblicato, rilevabile comunque in temi di Un’altra storia del Cristianesimo in www.angelofilipponi.com ), dopo il tracollo del sistema oniade…
Gli antonini (Traiano ed Adriano) portano alla massima esasperazione il giudaismo tanto che i giudei dapprima nel corso della guerra antinabatea poi con la guerra di Kitos e infine con quella nazionalistica di Shimon bar Kokba giungono ad infamie a crudeltà indicibili, a dimostrazione di un parossismo etnico e di uno squilibrio mai registrato nella storia…
Cosa è successo per giungere a tanto!
Come mai i giudei da ghenos prediletto dai giulio-claudi in quanto costituito da molti Ioulioi, di stirpe sacerdotale, ed erodiani, ricchissimo, ora è diventato nel periodo antonino gens taeterrima, perfida, a detta di Tacito?…
Cosa è successo nel periodo flavio e poi in quello antonino per scadere tanto nella stima della romanitas?
Per la trasformazione del popolo ebraico da ethnos philosophoon – inteso come genos sapiente in quanto conoscitore di fatti umani e divini (h tou nomou paideia) ad una stipe molto miserabile rinviamo al 3 volume di Giudaismo romano (molte parti sono sparse nel Sito), ma qui soltanto precisiamo quel che avvenne dopo la fine di Domiziano che incrinò definitivamente i rapporti tra il giudaismo aramaico e il kosmos romano e che favorì la ricongiunzione dei tre giudaismi (quello gerosolomitano, quello ellenistico e quello parthico)…
Per noi tre avvenimenti sono determinanti in epoca antonina per acuire la tensione già esistente tra gli aramaici e la romanitas e per far decidere di tradire il kosmos romano da parte degli ellenisti che erano stati del tutto accantonati e annichiliti finanziariamente nel periodo flavio, specie in quello domizianeo.
Il passaggio dinastico dai flavi agli antonini ( Nerva e Traiano) risulta traumatico per gli orientali; la politica di Traiano di annessione della Nabatea e la successiva guerra contro i Parthi, coincisa con la ribellione ebraica e la disastrosa ritirata culminata con la morte dell’imperatore destabilizzano l’ordo imperiale delle province di Siria e di Asia; l’avvento al potere di Adriano e il nuovo assetto provinciale orientale dopo la congiura di Quieto, il rescritto di Adriano antiebraico e anticristiano a Minucio Fundano, governatore di Asia, 122-23, sono atti utili ai fini della costituzione di un nuovo vinculum con l’imperatore che, a seguito della nuova insurrezione Giudaica, interviene di persona cancellando dal kosmos romano la Iudaea e Gerusalemme, rinomimata Aelia Capitolina, determinando la galuth ebraica, la vera dispersione del giudaismo….
Il documento di Adriano, pur indirizzato a Fundano, risponde in realtà a un’istanza, sollecitata da Quinto Licinio Silvano Graniano (Cfr Giustino, Apologia I ed Eusebeio St. Ecclesiastica, II), predecessore del destinatario, che ha chiesto lumi sul comportamento da tenere nei confronti dei Christianoi e delle accuse infamanti che vengono loro rivolte…
Di questo lasso di tempo (98- 122 d. C) è anche la separazione netta tra il giudaismo e il cristianesimo (il regno di Dio) che si è già dissociato dal regno dei Cieli del tutto aramaico, che subisce poi la stessa sorte dell’ebraismo.
Noi abbiamo mostrato come tutto dipenda dalla politica traianea che dal 101, dalla morte di Giulio Erode Agrippa II, aveva iniziato una politica antiparthica e che aveva seguitato la lotta contro gli ebrei, convinto dello stretto legame degli ellenisti ebraici con la Parthia …
La successiva conquista della Arabia e poi la pressione contro i parthi e la nuova spedizione antiparthica del 117, risultano fallimentari per l’imperatore, che pur si è fregiato del titolo di parthicus.
La situazione non fu favorevole a Traiano, che si era ritirato, a seguito del tradimento dei battellieri ebraici, dopo le battaglie intorno a Ctesifonte, in direzione settentrionale, sotto il continuo martellamento degli arcieri e della cavalleria catafratta, lungo le vie desertiche per ritornare ad Antiochia …
La lettera di Barnaba- scritta probabilmente tra il 130 e il 131, in ambiente alessandrino risente degli eventi traianei e mostra tra l’altro, un aspetto, quello della separazione netta tra la la chiesa e la sinagoga, tra il cristianesimo e il giudaismo, poi ribadita da Giustino nel dialogo con Trifone in modo più pacato, ma sempre di grande polemica, da parte del giudaismo nei confronti degli eretici cristiani che cercano una vita autonoma sotto Adriano…
Il momento degli apologisti è già storia del primo Cristianesimo?.
Si può parlare di storia se si fa apologia del nomen christianum in epoca antonina, senza una reale memoria del fondatore e degli apostoloi ?
Una strana storia sul nomen christianum nel mondo romano, non sul Christos!
Una storia che mostra un’integrazione non avvenuta ed evidenzia la repulsione dei gentili di fronte alla proposta, ancora circoscritta in aree orientali o africane, di un Gesù Cristo, indefinito tra uomo e dio,dopo la mitizzazione giudaica e la fine del messianesimo aramaico e del Malkut ha shemaim!
Sono storici Melitone, Giustino, Atenagora, Taziano, Teofilo di Antiochia ?
Sono storici Tertulliano e Minucio Felice?
Per noi no.
I primi sono orientali, retori, in cerca di notorietà, secondo una concezione christiana, mitizzata, che rivendica il diritto di culto per una esigua minoranza di fedeli, ancora incerti sulla figura del Christos, nonostante l’accettazione globale del pensiero paolino.
I secondi sono africani dipendenti direttamente o indirettamente dalla dioikesis della metropoli di Alessandria, ancora legata alla lezione allegorica filoniana, date le connessioni con la scuola di Panteno, di Clemente Alessandrino e di Origene: sono maestri di doctrina antignostica, ma non storici, ricercatori di memoria christiana, propugnatori di una methodos teleia, avendo come esemplari i terapeuti, espressione più pura del giudaismo internazionale.
Tutti questi sono strani christianoi che non hanno niente di storicamente cristiano ma solo una certa comunione di tradizione ebraica, mista con un evangelion dei Padri apostolici, che si arrogano il diritto di difendere il loro Credo, molto differenziato, in relazione ai luoghi di residenza, ed hanno memoria del particolare seme christiano ricevuto, ormai diversificatosi a seconda dei contesti…
La lettera ad Autolico di Teofilo (in PG 6, 1026-1027), perciò, è solo un documento trinitario, proprio della comunità antiochena, non una storia della religio christiana, comunque rispettata d Eusebio, che pure ha una strutturazione più apologetica che storica.
In essa Teofilo, commentando i primi tre giorni della creazione, pone in relazione, secondo il sistema filoniano, come già lo pseudo Barnaba, Dio Padre e Logos/ il Verbo e Sophia Sapienza, secondo un processo trinitario, rifacendosi a Giovanni evangelista e al libro dei Proverbi…
La notizia è storica, ma non è oggettivamente cattolica in quanto tipica informazione locale, provinciale, riferita in connessione con la risultanza dell’ecclesia efesina, ancora legata a Paolo e a un Theos-Christos, sulla base sapienziale proverbiale giudaica dei meshalim. cfr M. HENGEL,L’incontro tra pensiero giudaico ed ellenistico in connessione con la speculazione sapienziale giudaica in Giudaismo ed ellenismo in Paidea 2001-trad, it. di Sergio Monaco-pp. 314-360)...
Non credo che si possa definire storico un apologista come d’altra nemmeno Giuseppe Flavio in quanto scrittore di apologia, non è vero storico, anche se professa di seguire la verità Alhtheia e di essere scrittore secondo akribeia, in senso prammatico…
In effetti, nonostante l’indottrinamento retorico da scriba ellenistico e la cultura stoica del grapheus ellenico, la sua opera rimane una toledoth ( uno studio su generazioni), un ricerca sulla funzione giudaica nell’impero romano, fatta dall’angolazione di una lettura flavia della storia, oppositiva a quella giulio-claudia …
Lo stesso Luca, scrittore del Vangelo e degli atti degli Apostoli non fa storia ma solo vede le generazioni di christianoi, ne segue il destino e ne rileva la funzione tra l’epoca flavia e quella antonina, in una volontà di raccontare parole e fatti di Iesous Christos Kurios , fondatore della setta giudaico- antiochena del Regno di Dio, già distaccata da quella aramaica del Regno dei cieli, ai fini della costituzione di una ecclesia paolina, strutturata sulla morte e resurrezione del Christos, venuto per tutti gli uomini, liberi e schiavi. L’applicazione della legge della carità e dei principi di eguaglianza, con peripeteia ed aprosdokhton al fine del rovesciamento dei ruoli secondo l’oikonomia divina imperscrutabile dalla creatura umana, non è in relazione al diritto romano, che resta immutato, ma al nuovo sistema di rapporto tra la pars dei liberi e quella degli schiavi in nome della comune paternità di Dio.
Il padrone giudaico -cristiano non ha schiavi, e lo schiavo non ha padrone nella famiglia giudaico-cristiana perché (così stigmatizzerà secondo il principio biblico, poi, Agostino in De civitate Dei 19,15) l’ homo rationalis, naturalis, è fatto ad immagine e somiglianza di Dio…
Già Origene (Contra Celsum,3,29) crede di confutare il filosofo pagano, presentando le comunità di Dio, ammaestrate da Cristo, come pellegrine quasi astri nell’universo rispetto alle comunità dei popoli in cui vivono, tenendo presente Paolo( lettera ai Filippesi,2,15/).
Il paragone tra i politici delle comunità pagane- che nel loro comportamento non hanno nulla della dignità loro attribuita, per cui sembrano sovrastare i loro concittadini– e quelli delle comunità cristiane – che, pur non essendo perfetti in quanto indolenti, comunque, sono superiori nel progresso in virtù – è generico e rivela solo una non partecipazione alla vita della comunità intera e la non integrazione cristiana nel tessuto sociale comunitario, perché si sentono “spirituali”, unici figli del Padre, secondo la tradizione ebraica (cfr. Pater hmoon dove hmeis- matthaico- vale noi giudeo-cristiani).
Cosa significa essere storico per i christianoi ?
Ritrovare le linee comuni di un cristianesimo, sparso e diviso tra le province romane e rilevare il sistema di vita, in modo unitario, al di là della storicità dei fatti e delle testimonianze discordi.
Eusebio sceglie la via di Egesippo e non quella di Papia, per cui noi possiamo leggere solo una direzione senza avere la minima conoscenza delle differenze dottrinali e comportamentali delle due impostazioni ecclesiali, se non tramite eretici o cenni da parte di Melitone e di un antipapa oppositore di Callisto a Roma, Ippolito romano …
Specialmente ci pare necessaria, da una parte, precisare la mentalità, sorta in sede cristiana di un domicilio transitorio in una snervante attesa della parousia del Christos trionfante, non di appartenenza all’impero romano e, da un’altra, la volontà ancora eversiva del giudaismo minacciato nella sua radice aramaica e nel suo integralismo religioso…
Quindi, questo studio sul periodo antonino serve a precisare la nuova conformazione cristiana e quella sempre più marcatamente aramaica del giudaismo che giunge al massimo scontro con il kosmos romano, risultandone la pars barbara e quindi necessariamente corpo da stroncare, come un cancro da estirpare, insinuato nel testo armonioso del mondo ordinato civile romano.
Il cristiano, popolo, in quanto cliens, anche se civis, nella pars elitaria provinciale, che amministra la comunitas, non vuole i diritti e i doveri civili, rifiuta la sua posizione soggettiva e si massifica all’ombra del clero, che gestisce la ricchezza comunitaria e che invita a vivere serenamente la propria vita di uomo nato per morire, contento della sua quotidianità di dolore e a pregare nell’accettazione del male con la speranza di un domani paradisiaco, quindi, a svolgere la sua funzione terrena transitoria cosciente della promessa di un premio eterno…
Si badi bene il primo cristianesimo è costituito da un ‘élite (edah) che guida l’haburah, secondo lo schema comunitario ancora giudaico: ne deriva che sempre più si presenta come fenomeno elitario che domina una massa di fedeli che costituiscono l’ecclesia senza effettivi diritti civili, sia che viva in città che in comunità montane, e, comunque, periferiche , sparse nell’immenso impero romano orientale specie in Asia minore in Egitto, e in Siria …
Il popolo cristiano, senza diritti, vivente in una terra non più come propria, sentendosi un inquilino che ha un’altra patria, ultraterrena, aspetta la parousia/ritorno del signore e la accelera in un certo senso a seconda della comunità cristiana- chi più chi meno – specie se si adegua alla concezione della verginità e del celibato, forse tipica della linea di Papia …
Secondo questa impostazione il primo cristianesimo vive seguendo la precettistica cristiana non più quella mosaica, ma avendo diverse forme dottrinali non univoche a seconda delle regioni in cui vive e secondo le sollecitazioni di gruppi sociali, incivili e barbarici, maturando diverse strutture di separazione come quella di Hierapolis dove il culto di Cibele si fonde con quello misterico e con quello delle profetesse sulla scia della predicazione di Filippo e delle sue figlie…
Comunque, solo il clero, patronus ne trae effettivi benefici perché rafforza il suo potere sacerdotale e ne ha vantaggi economici data la crescente ricchezza ecclesiale e diocesana, che viene trasmessa da generazione in generazione, tramite i vertici episcopali, essendo per i cristiani favorevole la situazione politica ed assente ogni forma persecutoria di massa: solo i capi di tanto in tanto di alcune città dell’Asia minore sono inquisiti ma perché non in regola con le tasse perché evasori fiscali in quanto paganti solo per se stessi , cives, e non per la massa dei fedeli la cui ricchezza è gestita comunitariamente…
La definizione, quindi, della dioikesis cristiana -che era un ‘haburah antica giudaica, una comunità giudaica autonoma che doveva gestirsi in relazione alla comunità pagana in cui conviveva e alla legge romana a cui sottostava l’intera regione in cui i christianoi avevano domicilio -. in epoca antonina non è facile …
Abbiamo detto che solo il clero ha una personalità giuridica e non l’elemento popolare che è amministrato che non ha una sua fisionomia fino al periodo di Caracalla (212), data la sua scarsa registrazione fideistica.
Ne deriva che questo sistema verticistico senza una base di effettiva consistenza giuridica dura per oltre un secolo nelle varie province romane e si stabilizza solo quando crea un forte accumulo di denaro in trapeza, che fa da deposito per le successive amministrazioni diocesane, che risultano ricche rispetto alle societates /sunousai pagane.
Inoltre la volontà dei Christianoi di rimanere separati sia come riti che come culti li isola ancoar di più anche perché non censiti, quasi apolidi, cittadini di un altro Regno determina un odio delle masse pagane che si manifesta in improvvise un rappresaglie contro gli estranei, forestieri.
I pagani hanno di fronte un muro di fanatici che, pur vivendo loro accanto, non hanno niente in comune con la loro cultura e il loro sistema quotidiano di vita, figure evanescenti controllate da santoni, autoritari che sono maestri che educano con una catechesi strana che inneggia ad un servitium transitorio e che da speranza di un tesoro celeste accumulato con la propria vita di sacrificio e di rinuncia: solo il clero ha relazione con la societas vicina ed ha una sua consistenza civile e quindi è noto all’ amministrazione locale…
A questa mancanza di coscienza civile, chiara in epoca antonina e severiana si aggiunge una diversa concezione della vita e della morte, non più in senso umano classico, ma in senso spirituale…
Si precisa di nuovo che la communitas cristiana, costituita dal gruppo dirigente e dalla massa di fideles, distribuita in catecumeni e cristiani, giuridicamente è rappresentata solo dal clero, essendosi azzerata come dignità soggettiva nel seno comunitario, di cui ognuno è parte effettiva passiva.
Ogni complesso comunitario costituisce così un gruppo di cui si conoscono solo i vertici, la cui presenza nelle città e nelle province romane deve essere ancora esplorata nella sua tipica vita reale entro la communitas maggiore cittadina e provinciale pagana.
Noi riteniamo che le comunitates cristiane si comportino come quelle giudaiche oniadi nel sistema romano imperiale, di cui hanno ereditato le sedi, le organizzazioni e le stesse tecniche operative con le strutture bancarie ed emporiche.
Come effettivamente e quando realmente ci sia stato questo passaggio non riusciamo a saperlo: ma ci sembra che questo già sia avvenuto durante la impresa di Shimon bar Kokba, ma forse anche tra le due guerre giudaiche ( 116-117/ 135-6) o qualche anno prima nel corso della guerra nabatea, in epoca traianea più che in quella adrianea.
La vicenda di Ignazio di Antiochia e le sue sette lettere testimoniano da una parte il prestigio di un elemento apostolico (su cui bisogna indagare) e da un’altra il senso di unità tra le chiese che già hanno coscienza di una precisa gerarchia rappresentativa (vescovo, presbiteri e diaconi) ed ancora di un Dio unitario , non trinitario (anche se ci sono forme di docetismo).
Dopo la morte di Ignazio nel 107 d.C., comunque, Policarpo ha un suo potere tra i vescovi in quanto ha una doppia elezione sia petrina che giovannea e il suo discepolo Ireneo esporta dunque il modello orientale che sottende il sistema trapezitario ed emporico oniade in Gallia a Lugdunum, dove si struttura l’organizzazione di tipo orientale già funzionale in Hierapolis con Papia e a Sardi con Melitone…
Naturalmente non c’è una precisa attestazione o menzione diretta.
Il pensiero ireneiano sul cristianesimo (Adversus aereses, Demonstratio) che presenta sotto l’aspetto ideologico la sottesa realizzazione pratica organizzativa, come elaborazione di una sua teoria contro lo gnosticismo e il neoplatonismo , diventa segno di una tradizione cristiana nell’ambito della chiesa cattolica ignaziana, che utilizza il principio della successione apostolica e con essa il sistema comunitario implicito.
La tradizione degli apostoli, per Ireneo, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità, e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi…
(Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto, coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento.
Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo…
Così facendo, Ireneo radica il potere degli amministratori nelle diocesi e poi quello dei Papi in Roma, in quanto eredi degli apostoli nelle sedi metropoliti in genere, e di Pietro e Paolo in quella romana “A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata…” (Adversus haereses, III, 3, 2: PG. 7,848).
Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa, a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità (Ib., III, 3, 3: PG. 7,851).
Ireneo, comunque, dà per scontato la conoscenza di tutta la amministrazione cristiana e parla solo della funzione spirituale, non di quella economica, anche se il sintagma potior principalitas si compone di potior-da potis/e potente, capace – e principalitas- da princeps, che rimandano a potestas /kuros e a princeps augustus /sebastos con valore chiaramente politico-religioso e si connettono con Roma imperiale.
Noi deduciamo la presenza di tale organizzazione dal fatto che un capo come Ignazio, senza essersi appellato all’imperatore e senza avere la cittadinanza romana, venga accompagnato e protetto da una decuria nel suo viaggio di trasferimento, dopo una formale condanna ad bestias.
Non è comprensibile un tale dispendio di denaro per un prigioniero, la cui potestas ed auctoritas dovevano essere grandi in Oriente, ma solo in Oriente: tale azione di norma veniva fatta segretamente da oi epi ton aporrhton (agenti segreti), come per Paulus, che pur è cittadino e collegato per parentela con i giuli erodiani, tramite la sorella, sposata con un nipote di Giulio Fasael, fratello di Erode il Grande!.
Probabilmente la punizione di Ignazio doveva essere esemplare per tutti, ma specie per i capi delle comunitates cristiane, inquisiti come non paganti le tasse, come estorsori di proprietà indebite.
Ad ogni tappa portuale c’è la riverenza del vescovo della comunità locale, coordinata con altre auctoritates, come segno di un collegamento cristiano, societario, tipico del sistema oniade, che diventava una forma di proselitismo e di esaltazione della communitas cristiana, della sua ideologia cosmopolita, estranea alla vita del kosmos romano-ellenistico e propensa ad un’altra vita extraterrena, propria di elementi farneticanti e teatrali.
Specie dalla lettura delle sue lettere ci vien fuori una figura di santo che aspira a congiungersi con Cristo, anelando ad essere mangiato per far parte della divinità al più presto: niente traspira della amministrazione di cui è dioichetes, ma si rileva benissimo dalla presenza di altri capi che gli si affollano accanto nel suo viaggio verso Roma e come le sue lettere tendano a mantenere l’organizzazione tale e quale, come se la fine di un individuo non solo non scalfisse il generale funzionamento, ma anzi lo rafforzasse.
La figura di Ignazio, se vista dall’angolazione economica, potrebbe risultare diversa: uno epitropos,( epimeletes, dioichetes) che non ha pagato le tasse, un evasore doveva essere esemplare per tutti i christianoi nel suo iter di traditio a Roma.
Il santo è stato alonato dalla tradizione cristiana e quindi non è letto storicamente, secondo la vera accusa romana, ma è visto secondo le linee della vittoria successiva dei cristiani, in epoca costantiniana ed ancora di più in epoca teodosiana quando le ritorsioni nei confronti dei pagani diventano persecutorie verso coloro che non fanno parte del sistema cristiano.
Dopo Ignazio, la sede di Antiochia perde di auctoritas perché direttamente controllata dai governatori di Siria, che meglio potevano valutare la situazione giudaica o giudaico-cristiana nella città e quindi facevano prevalere l’elemento greco o siriaco.
Quindi, dopo Ignazio, Antiochia perde di prestigio anche se aumenta il valore della chiesa romana dove i papi, di nascita orientale, sono di cultura antiochena.
Al suo posto sembra avere nel mondo cristiano orientale maggiore peso il centro di Efeso, il più grande porto del Mediterraneo dopo Alessandria, la terza città del mondo romano, con una popolazione non inferiore a 500000 abitanti, dove l’elemento giovanneo aveva prevalso su quello paolino e dove il ricco entroterra agricolo doveva aver fatto prosperare la comunità che, oltre tutto, gestiva anche il commercio artigianale di immagini, quello delle attività scultorie e pittoriche, dopo aver soppiantato l’elemento greco sacerdotale, eunuco, del santuario della dea Cibele e quello dello stesso santuario dell’ Artemision.
Efeso era il polo cristiano di attrazione di una vasta area che comprendeva un raggio di oltre 50 chilometri all’intorno anche sull’Egeo insulare: le città sotto la sua orbita sono quella citate nell’Apocalisse Smirne, Sardi, Pergamo, Tiatira città della porpora Laodicea ecc).
Anche la posizione di Erma a Roma, autore del Pastore, è indicativa sul piano dell’organizzazione, sulla sua ricchezza ,sulla perdita di denaro, sulle forme di assistenza sulle istituzioni, palesi in Clemente Alessandrino di Quis dives salvetur e nella comunità stessa di Alessandria intorno alla fine del II secolo…
La communitas, comunque, è costituita nel II secolo da elemento popolare (artigiano e contadino) che affida all’episcopos ogni cosa e che da lui ha la sicurezza della propria vita e della propria famiglia con la protezione cristiana.
I christianoi sono uomini di diversa professione (banausoi/operai macellai, calzolai, fabbri, panettieri, barcaioli, marittimi in genere, ma anche medici, negotiatores, emporoi/commercianti, orefici trapezitai come ,d’altra parte, afferma Celso (Origene, Contra Celsum, 3,18,3,44; 3,50; 3,55; 6,12 e altre parti sparse) e ripete Minucio Felice (Octavius, 5,4,8,4), elementi operativi per la communitas…
Giustino, che parla di persecuzioni (Apologia,2 ) , non fa testo anche se ci sono morti a Tiatira ed altre zone e sono massacrati perfino gruppi come gli abitanti di Scillium da masse di pagani che restano impuniti: gli eccidi religiosi non sono una novità nell’impero romano, specie in epoca Commodiana , in un periodo in cui domina la peste / loimos…
In effetti i gruppi cristiani nelle città diventano una forza politica, se manovrata abilmente da dioiketai episcopoi intelligenti, che sono patroni, a seconda delle situazioni, rappresentanti popolari, mestatori, demagogoi.
Perciò, la persecuzione nel II secolo è solo una questione che riguarda l’imperatore e i vertici e in questo caso, Ignazio, Policarpo, Ireneo, che risultano casi isolati e ben circoscritti: non hanno rilievo le poche decine di cristiani uccisi da masse inferocite, a seguito di propagande antigiudaiche ed anticristiane, date le accuse rivolte ad apolidi, felici di raggiungere il premio meritato proprio per aver rifiutato la cittadinanza di questo mondo, in quanto appartenenti ad un Regno celeste (ourania basileia).
Precisato questo, bisogna rilevare come si sia cambiata la struttura classico greco-latina di partecipazione allo stato e come si sia passati ad una indifferenza alla vita cittadina, insomma, come si siano potuto annullare i propri diritti civili ed come si si possa essere costituito un vir fidelis al posto del vir civilis/o politikos, del civis capace di esprimersi solo nel negotium, inadatto all’otium.
E’ questo un problema di insicurezza di molti cives nel I e II secolo dove l’arbitrio di patroni teneva soggetto le masse di liberti semiliberi e di liberi che preferiscono riunirsi e delegare i loro diritti schierandosi sotto una potente famiglia che li ingloba come clientes o parassiti e simili sotto la propria protezione.
E’ il sistema clientelare modificato del periodo antonino dove pochi hanno il potere effettivo e dove anche comunità religiose hanno un loro sistema clientelare mediante simmoriai e thiasoi.
In Asia (in Bitynia e Ponto, in Cappadocia, in Pamphilia, in Licaonia e in Galatia e in Licia ) e in Commagene, come in Syria e in Ioudaea e in tutto il bacino del Mediterraneo, come anche in Grecia e Italia e in tutto l’Occidente pochi soggetti giuridici controllano le masse che, sottoposte, vivono la vita quotidiana, soggette solo a scadenze festive, in modo bestiale, protette dagli statuti delle loro corporazioni, popolari, priapee, di selvaggio edonismo, avulse dalla vita delle classi nobiliari…
E’ questa, però, una questione interna, tra le masse e i capi del corporazioni, siano esse pagane che cristiane, comunque, tutte immorali ed indocili.
Lo scontro tra cristiani e pagani avviene in questo campo comunitario, da addomesticare ed assoggettare, tra gruppi popolari pagani, legati al sistema della tradizione classica -ora connessa con la divinità di Zeus e degli dei olimpici o con quella egizia sincretica di Serapide o con quella del culto di Mitra e del Sol invictus– e gruppi di tradizione monarchiana di radice giudaica o giudaico-cristiana di impostazione oniade.
Non c’è odio né rancore tra confessioni e credi diversi, anche se soggetti tutti ferini e servili, ma c’è da parte di quella di tradizione giudaica, compresi i cristiani, la coscienza di elezione e di esclusività monoteistica, connessa con l’appartenenza ad un Regno, che non è di questa terra, e quindi di aver una cittadinanza in Cielo, e, perciò, di rifiutare la vita stessa terrena.
La cittadinanza in cielo e il rifiuto della vita eterna rendevano odiosi i cristiani, che come massa erano simili al gregge bisognoso di pastore, incapaci di vivere senza clero.
Inoltre,i cristiani hanno capi sovrani e non prendono le armi in difesa dei loro concittadini e compatrioti, indifferenti di fronte ai barbaroi invasori armati, distruttori, nemici, e vanno loro incontro quasi grati di avere la morte.
In epoca antonina sono continui gli episodi di christianoi che, inermi si fanno uccidere: noi oggi li chiamiamo tutti martiri della fede e non distinguiamo i privati cittadini dai milites, militari che hanno un compito offensivo e difensivo a favore della patria.
I christianoi non difendono la patria, anelanti di raggiungere il cielo e il meritato premio!.
Allora, davanti ai Quadi e Marcomanni, che dilagavano e distruggevano ogni segno di civiltà romana, raggiungendo perfino le zone alpine, rifiutare l’uso delle armi di fronte al nemico si chiamava abbandono di postazione, si bollava come diserzione, si definiva vigliaccheria, perché atto indegno della cultura militaristica romano-imperiale, che stava costituendo, sulla base del diritto comune, di tante genti un solo popolo, dopo aver accolto alcune popolazioni barbariche arrese, entro il proprio territorio seppure al confine con genti della stessa stirpe (con la clausola di Dediticii-di uomini che cedono i propri diritti al momento della deditio -che comportava uno scomporamento dallo ius latino e dal sistema provinciale e sottendeva una mancanza assoluta di garanzia pure per chi viveva nel territorio romano ed aveva avuto assegnazione provvisoria di terre) e si considerava vergognosa, nel corso del loimos, la propaganda della fine del mondo e del ritorno del Christos, col premio eterno del Paradiso…
I christianoi sembrano come residenti provvisori dediticii: dalle fonti noi non riusciamo a comprendere esattamente il loro equivoco sistema di vita: la stessa notizia di Plinio il giovane (Plinio,Epistola X,96,8) fa un punto situazionale ma non risolve la questione né la lascia intravvedere secondo le direttive traianee: o meglio, noi abbiamo frainteso Plinio perché lo abbiamo esaminato dall’angolazione cristiana!.
Di conseguenza risulta strano come uomini che sono irreprensibili nel comportamento sociale possano essere testardi nel rifiutare di venerare l’immagine dell’imperatore e i simulacri degli dei pagani, e come possano disobbedire per le riunioni in giorni stabiliti per le pratiche religiose, che contrastano con la non osservanza delle regole che proibiscono le hetairiai.
Su Plinio si è fatto solo il problema sulla base della sua interrogazione all’imperatore se si debba punire il solo nome cristiano, mancando gli altri indizi di delitto/crimen…
La stessa risposta di Traiano che i cristiani non debbano essere ricercati e che le denunce anonime devono essere trascurate e che siano puniti solo quelli che non ritrattano e non invocano le divinità romane, in una precisa ostinata dichiarazione di cristianità, sembra una testimonianza della presenza di un problema, non una soluzione, in quanto lascia in sospeso la valutazione sull’ ebraismo e sulla radice giudaico-cristiana, di cui solo nella spedizione parthica conosce- a sue spese -il reale significato religioso-politico…
Noi siamo condizionati in questa lettura dalla successiva interpretazione sul piano del diritto,fatto da Tertulliano (Apologetico II,7) e siamo costretti a valutare come ingiusto il procedimento contro i cristiani perché non si può condannare, per il solo nome, uno che non si deve ricercare e che quindi è assolvibile: questa è storia successiva già organizzata per la difesa del nome cristiano…
Io, partendo da una frase di Filone, che riporta il giudizio, acuto, di Caligola sui Giudei che sono solo superstiziosi più che colpevoli, leggo più o meno lo stesso enunciato, in latino, di Plinio (Epistola 10,96,8) superstitio prava et immodica.
La stessa cosa sembrano dire Tacito (Annales 14,44,4 ss) e Marco Aurelio in A se stesso( II,3) che oppone il logismos pagano alla cecità della pistis cristiana e che rileva che il comportamento cristiano anche davanti alla morte è teatrale, non razionale.
Celso,(ed anche Galeno) e Luciano, soprattutto, ci permettono di chiarire il problema cristiano, se lo si vuole chiarire.
Celso, nella sua opera, riportata, a passi, scelti da Origene ( Vera dottrina) intorno agli ultimi anni della vita di Marco Aurelio, fa un preciso ritratto del cristiano e lo vede come un millantatore, come il Gesù, fondatore della setta…
Eppure Celso è un philosophos, uno che studia e che deve aver notizia anche di Giustino apologista, ha buone conoscenze testamentarie ed ha presente le letture evangeliche: il suo discorso vero marca l’ irrazionalismo cristiano in quanto vede i cristiani privi di logos, oppositori della paideia greca, uomini che si integrano mescolandosi in sette/aireseis sacerdotali, che rifiutano il contatto con la realtà, in nome di un’altra vita celeste.
D’altra parte, Celso indaga prima ulla figura del Christos e scopre tra l’altro, che fu un mago/goes millantatore e che i suoi discepoli- i capi- al pari, sono millantatori e maghi, che approfittano della credulità delle masse in un’ epoca specie come quella del II secolo dove si crede che l’asino vola e si può fare bere la verità di un uomo-dio e si muta ogni razionale pensiero col paradosso, sorprendente e meraviglioso, fabulistico.
Il razionale Celso rileva che tutto è rovesciato (secondo questa logica di ciarlatano, che con la bugia, col paradosso e con la retorica assolve la povertà mentale, facendo diventare da ultimi primi, da insipienti sapienti in nome di un Christos, risorto, a cui niente è impossibile: chi sa e chi sa fare non deve avanzare, avanzi solo chi non è persona istruita e che non saggio, chi è insensato furfante lo dimostri con fiducia perché Il successo è suo…
Insomma una tale élite così costituita fa presa solo su gente semplice, volgare, stupida, ossia schiavi, donnette, giovincelli spudorati (Origene, Contra Celsum 3,44 e 5,59 )
Per Celso, comunque, la gravità assoluta di tale logismos è nel rinnegare il nomos, inteso non come legge ma come complesso fatalistico legale che regola l’universo giudaico -cristiano, differente perfino dalla normativa mosaica, secondo una logica millenaristica escatologica, propria di un’oikonomia divina.
Vincolati da tale ragionamento, I christianoi creano isole nelle città, nei paesi, nelle campagne, apparentemente ligi ed impeccabili moralmente e socialmente, ma risultano elementi non integrati nel kosmos pagano, convinti di essere cittadini di un altro mondo a cui aspirano di tornare il più presto possibile, totalmente assenti dai circuiti della normalità sociale, irresponsabili rispetto ai doveri dell’uomo normale, del prossimo, in attesa di un Regno di Dio.
Noi seguendo il logismos di uomini come Celso, Porfirio e poi Giuliano siamo riusciti a comprendere il pensiero cristiano di un Costantino e poi di un Teodosio… dopo aver rilevato la loro esatta biografia e il loro contesto militare occidentale pagano, proprio del sistema civile sociale ed economico-finanziario del IV secolo...
Cosa hai capito, professore ? mi si dirà.
Ho capito che bisogna distinguere che le notizie, da noi sempre lette allo stesso modo, non hanno nemmeno un segno di verità, ma sono state aggiornate al fine della costituzione di un sistema cristiano per giustificare la caduta dell’impero romano, le invasioni o penetrazioni barbariche, per evidenziare l’esistenza già perfetta di una Chiesa unitaria, apostolica, romana, capace ed abile a manovrare ed abbindolare le masse pagane e giudaico- cristiane, dando speranza di un premio e di sopravvivenza eterna alla durezza della vita quotidiana alla fatica giornaliera…
L’errore di questa valutazione è nel sistema di vita cristiana oggettivo, che ha due modi di vivere: uno fastoso e invidiato, quello dei protoi (episcopoi presbiteri e diaconoi) a vari livelli, che godono dei vantaggi sociali e del benessere economico.finanziario assicurato dalle trapezai e dagli emporia e dalla liturgia, dal servizio nelle basiliche, dalle oblazioni specie domenicali e festive; e quello. povero e dignitoso delle masse anonime irrazionali, che si accontentano del fasto del cerimoniale connesso con quello pagano e nella povertà sono felici perché hanno radicato in ognuno l’elpis /la speranza di una ricompensa al loro sacrificio, e della povertà, tanto più grande per quanto è stata maggiore l’accettazione del proprio status di vita.
Ora se uno parla come Celso, non è facile capire perché in senso dottrinario tutto è discutibile e perché i termini sono equivoci riferiti da un Cristiano (Origene ),che confuta l’avversario senza parlare della quotidianità di vita e della realtà contestuale dell’epoca.
Parla Celso o Origene?
Chi legge pensa e valuta, a seconda di chi realmente scrive e ne è coinvolto, e non ha possibilità di sapere con sicurezza di chi siano le affermazioni e chi dica la verità in un discorso vero, essendo ambedue (accusatore ed accusato) nutriti platonicamente, secondo il doppio logos socratico (vero o falso) …
Un termine ha valore a seconda di chi lo pronuncia: la visione storica di un pagano è molto diversa da quella di un cristiano; quella dell’uno rimanda ad una cultura; quella dell’altro ad un’altra cultura proprio in un momento in cui c’è sovrapposizione culturale e non c’è ancora possibilità di rilevare chi sia il vinto e chi sia il vincitore: leggere i fatti del II e III secolo con l’occhio costantiniano di Eusebio di Cesarea non è certamente un fare storia neutrale, data anche l’euforia dei vincitori, che, usciti da una persecuzione feroce, hanno un reazione altrettanto feroce…
Inoltre se si parla, satiricamente, ironicamente, sarcasticamente come fa Celso, in un dato momento quello di Lucio Vero e Marco Aurelio, il linguaggio viene letto in altra situazione da Origene in connessione coi tempi nuovi severiani, per cui il termine ha oscillazioni di significato e di referenze notevoli: solo quelli che vivevano in quei contesti potevano effettivamente comprendere quei messaggi e dare il giusto valore semantico con la stessa referenza, noi potremmo solo intuirli, ma non precisarli con reali messaggi: sarebbe opera presuntuosa pensare ad una sicura lettura neutra!
Se si esamina il sistema cristiano da parte di uomini che vivono quotidianamente la vita, si rivela una grande ambiguità nei termini : uno è il modo di vivere dei capi, uno è quello della massa di fideles , di norma credenti passivi, ma non esperti di teologia, partecipi entusiasticamente ai riti, senza neanche comprendere il mysterion... .
I capi, theologoi e dioichetai non fanno niente di illogico ed illegale ma hanno un pensiero logico e conseguenziale, che sfruttano in modo pratico così da avere un alto tenore di vita, grazie ai guadagni comunitari che, comunque, sono spesi anche per i poveri, per le vedove, per gli orfani o in opere assistenziali per i malati, moribondi, i tanti afflitti da infermità, affidati a diakonoi, suddivisi in gruppi, abilitati a scrivere a leggere, a medicare ad evangelizzare.
C’è una frattura fra chi maneggia il denaro e ha le banche e quelli che sono solo operatori comunitari, ormai vittime del sistema gentilizio, addomesticate dalla promessa religiosa di una eternità felice, conseguibile con la sofferenza terrena accettata, perché voluta da Dio, come purificazione di peccati.
I primi sono Protoi e sono equiparati ai capi dei Thiasoi e delle summoriai e quindi rientrano nelle élites del II e III secolo n mentre le masse dominate e soggette sono così istupidite e condizionate da credere alla magia e sono attirate dal successo economico, dalla fastosità del cerimoniale del papato cristiano e dalla volontà di appartenenza alla comunità che, oltre tutto, garantisce l’elpis futura, un Regno dei cieli ultraterreno da conquistare con una vita di sofferenza e di dolore , che costituisce il tesoro da godere, da morti . D’altra parte, la crisi economica ha equiparato coi decenni classi tradizionali dei senatori e cavalieri come honestiores, che sono il ceto dei proprietari terrieri e dei militari che detengono anche le riserve auree di moneta, mentre i plebei (operai, artigiani e piccoli possessori di terre e umili commercianti) toccati dalle difficoltà economiche e dalla svalutazione della moneta d’argento, formano la classe degli humiliores, avvilita e senza più diritti civili.
Forse, dopo la fine dei Severi, nell’anarchia militare, mentre il potere imperiale diventa illirico, i vertici cristiani, organizzati secondo il sistema oniade e secondo lo schematismo dottrinale origeniano, nonostante le tante diverse anime sparse del cristianesimo, trasformano una religio elitaria, arricchita da lasciti e dai profitti bancari delle communitates, potente per i rapporti finanziari con i militari, in un sistema apparentemente caritatevole e democratico, basato sulla credulità popolare sia pagana che catacumenale, sul fastoso cerimoniale di riti propri della liturgia domenicale e festiva: si crea, da una parte il muthos del cristiano che vive per morire, che anela di tornare nella patria promessa a ricevere l’eredità celeste eterna, e, da un’altra, si forma una potente casta cristiana che ha potere regionale a seconda del numero di Christianoi della communitas, specie danubiana ed asiatica, che controlla anche le popolazioni, di confine, barbariche …
Il sistema clientelare, assunto dalla chiesa romana nel II e III e IV secolo, determina la sua ricchezza, stratificata ad ogni generazione e custodita dalla gerarchia, che si tramanda giudaicamente i tabularia (gli archivi grammatophulakia) e con essi i poderi, le proprietà con le pertinenze, e i depositi bancari…
Infatti, ad ogni morte di capo subentra un altro capo che ritrova con gli altri compartecipi la ricchezza precedente sulla base archiviale, che lascia intatta per la successiva comunità muovendo quei capitali che possono essere riciclati secondo carità, o ricevuti in eredità da benefattori: questa è l’unica fides dei diochetai/episcopoi, fedeli trasmettitori del patrimonio della Chiesa, più che della verità evangelica…
Basilio si lamenta che il fratello Gregorio, divenuto episkopos di Nissa, eletto da lui – dopo il ripudio della moglie- non abbia questa acutezza mentale e tale abilità amministrativa per la conservazione del patrimonio ufficiale della chiesa, timoroso di una diminuizione patrimoniale …
La fides religiosa, popolare, è solo una ideologia sincretistica, una mistione confusa di idee pagane e giudaiche con cui l’élite ha abbindolato le masse, a seconda delle tradizioni locali, su cui si sono poggiate.
Da qui anche la disparità di fides tra le popolazioni orientali e la mancanza di un credo unitario, non essendoci nemmeno una comune tradizione sulla figura umana e divina del fondatore Iesous Christos Kurios.
Nemmeno su Dio c’è unità di pensiero, monarchiano: ad un theos onnipotente creatore del cielo e della terra, rettore della sorte dell’uomo in quanto provvidente pater si associa un logos distributore, demiurgo, inviato in epoca storica augustea sulla terra come redentore dell’uomo peccatore, morto in croce e risorto, che insieme al padre invia il paraclito/agion pneuma fecondatore del seme apostolico evangelico, animatore dello spirito umano…
Allora, da un parte, c’è l’ empietà cristiana che è veramente assenza di pietas in quanto il non sacrificare agli dei e all’ imperatore è crimen contro lo stato poiché risulta gesto barbarico ed irrazionale contrario alla societas umana, pacifica, tollerante, politeistica, capace di accettare ogni culto, purché si rispetti quello comunitario e quello del prossimo che ha eguale dignità…
Tutti i cives dell’impero di circa 3.332.000 Km quadrati, dall’altra parte, conoscono le legge universale romana sancita da Claudio con la lettera agli Alessandrini del 41 D.c.. ogni popolo abbia la sua thrhskeia e non insulti quella altrui , limitrofo, in un chiaro riferimento, agli ebrei fanatici per il loro credo, impediti nel fare proselitismo, pena sanzioni imperiali.
Tutti i popoli, che costituiscono le singole membra del corpus dell’impero romano, sono eguali di fronte alla legge: Claudio fa decadere il privilegio accordato da Cesare di tipicità del culto ebraico e lo ridimensiona, valutando il giudaismo isonomos e isotimos alla pari delle altre etnie; solo superficialmente sembra che ripari al male del nipote Caligola, ridando dignità al popolo ebraico, in effetti lo riduce, equiparandolo agli elleni e agli egizi, specie in Alessandria.
Mi sembra opportuno,però, precisare che Claudio, da una parte, equipara il giudeo alessandrino ad un greco, ma, da un’altra, ne limita lo status di civis/poliths in quanto lo fa risultare isotelhs cioè di chi, pur forestiero, ha eguaglianza di gravezze e carichi di un cittadino.
Lo status dell‘isoteleia comprta che un giudeo in Alessandria è un metoikos che non paga, comunque, il metoikion– una tassa di 12 dracme annuali- e non ha bisogno di un prostaths /patrono, ma, siccome possiede beni e terreni, deve avere gli stessi carichi/incarichi di leitourgia di un poliths, anche se non gode della cittadinanza attiva.
In effetti il giudeo ricco alessandrino deve un servizio allo stato ordinario (khoregia, gumnosarchia, lampadarchia, estiasis, architheoria) o straordinario, per cui deve allestire a turno navi – trihrarchia oltre alla eisphorà , una normale contribuzione in relazione alla ricchezza dichiarata, da utilizzare sia per il culto al proprio dio che a quello del numen altrui.
Chi non riconosce la comunione dell’autokrator con Dio e la sua l’auctoritas divina non ha la coscienza reale del diritto romano al dominio sui popoli: ogni popolo deve riconoscere la divinità di Roma imperiale come essenziale ai fini del Kosmos e poi la propria peculiare divinità (il Dio dei padri), venerata insieme a quella ufficiale: si cerca di amalgamare così i popoli che hanno bisogno di un solo sovrano e di un solo Dio.
Lo zio non è diverso dal nipote: Claudio e Caligola aspirano ad una legge comune. In Caligola il sublime ho mostrato come l’imperatore dimostri che l’ebraismo bara quando dice di sacrificare giornalmente due volte per Augusto e per il proprio Dio.
Augusto e Tiberio hanno accettato la falsità cultuale giudaica, ma non Caligola che vuole equiparare il sistema religioso in ogni parte dell’impero (cf. Caligola Il Sublime, Cattedrale 2008 pp.157-183) Infatti (Cfr. Legatio ad Gaium,357), durante il processo,secondo Filone, l’imperatore afferma che i giudei dicono il vero quando giurano di sacrificare per lui e per il proprio Dio, ma aggiunge celiando: Voi avete fatto sacrifici, ma per un altro, anche se a mio favore. Che utile ho, dunque ? Voi non avete, infatti, sacrificato a me./ Tethukate ,all’eterooi, kan uper emou, ti oun ophelos;ou gar emoi tethukate.
Caligola (Filone, Legatio ad Gaium 357 ), dopo aver rilevato la natura dell’ animo ebraico- Non sono malvagi, mi sembra, ma piuttosto disgraziati ed irrazionali ( dustukheis … anoetoi )- mostra l’ irrazionalità dei giudei che non credono la sua divinità ed afferma di aver avuto in sorte una natura di Dio (Cfr. Morte di un Dio).
Ora, chiuso il caso di Caligola, sotto Claudio i christianoi.,che vivono in seno alla communitas ebraica di Antiochia, copiano lo statuto del politeuma alessandrino, secondo la riforma imperiale ed in quanto giudeo-cristiani, cioè una radice ebraica, si propagano con la stessa politeia ebraica, che, non avendo bisogno di un rappresentante prostaths, si eleggono, là dove insediano una colonia apoikia, un dioikeths ammnistratore (episkopos).
Da qui una ramificazione delle colonie cristiane secondo l‘isoteleia alessandrina, accettate dalle communitates pagane (ed ebraiche inizialmente) in Siria, in Asia, in Grecia, insomma in Oriente, dove convivono isolate, protette dai governatori locali e rispettate nella loro ameicsia /non mescolnaza, subito divise dai giudei integralisti inquisiti sotto Traiano ed Adriano.
Dopo Antonino il Pio, sotto Lucio Vero, impegnato nella guerra parthica e sotto Marco Aurelio contro i Barbari, le communitates sono invitate a partecipare alle leve, ma non accettano il servizio militare o se lo accettano, non combattono in nome di Iesous Christos Kurios, loro re, che impone la fratellanza universale e si rifanno perfino ad un decreto di Giulio Cesare a favore di Hircano e degli ebrei ( Flavio, Ant. Giud.XIV ) invocando il rispetto della tipicità di vita giudaica e giudaico-cristiana …
E’ superstitio prava et immodica che, però, sottende un’ideologia fondata sul logos, sul monarca con funzione divina e non sul muthos, cosa che poi sarà prerogativa del Papa romano, come rappresentante di Dio sulla terra, che assume la stessa funzione imperiale…
Noi cristiani fatichiamo ad accettare una tale risultanza e non possiamo pensare che i primi cristiani possano essere così avulsi dalla realtà del tempo, così neepioi /bambini da rinunciare a vivere credendo in un prossimo ritorno del Signore e da sperare in un premio eterno, tanto da affrettare la propria morte.
Non è umano né naturale essere figli esclusivi di un padre provvidente, che accoglie le vittime del sistema politico imperiale-che, pur tirannico, permette una comunità di vita, anche se estranea, seppure suddita di un altro re – : l’imperium romano garantisce con le sue leggi l’integrazione sociale a tutti, anche barbari, dando eguali opportunità giuridiche e democratiche, purché si paghino le tasse, si abbia un rispetto reciproco tra le stirpi/ genh e si veneri ciascuno il proprio Dio.
Non per nulla la figura dell’imperatore romano passa da una famiglia romano-latina, ad una sabino-italica, ad una italico-ispanica ad una italico -berbera, per poi essere trace e araba per diventare illirica, in un mescolamento etnico, universale: specie nel periodo dell’anarchia ogni civis occidentale o orientale, se ha un grado militare, può essere autokrator/imperator, legge vivente/nomos empsuchos per tutti i sudditi!
Noi che abbiamo avuto in eredità il cristianesimo, che siamo stati battezzati senza il nostro consenso, e che abbiamo fatto parte di una parrocchia in una diocesi, non ci siamo mai posto problemi neanche sui termini perché vivendo in una società contemporanea molto diversa da quella dei primi christianoi,– soggetti passivi condizionati di un’élite spirituale, pneumatica, teleia/perfetta che li spinge al martirio-, siamo laici, indifferenti alla fede e scettici, guidati da una gerarchia ecclesiastica ormai corrotta e coinvolta nel potere politico, asservita da secoli alla potestas statale, di cui è stata compartecipe con la sua auctoritas, in un mescolamento di sacro e profano in nome della Romanitas.
Comunque, il sistema clientelare latino, vigente, creava nel corso della caduta della domus giulio-claudia e poi di quella Flavi e di quella Antonina cambi di potere, facendo sorgere nuovi nuclei di poteri: ora le masse christiane, riunite sotto il vescovo, nelle cosiddette sedi apostoliche, avevano costruito un sistema difensivo tale da non subire gravi danni nei momenti di transizione e la risposta era stata positiva nel passaggio da quello flavio a quello antonino: lo stato non poteva intervenire sulle masse anonime e non schedate nemmeno per la tassazione, ma solo sulla communitas rappresentata dal vescovo e dal clero, la cui opera appariva solo caritativa, ma celava una rete economica e un flusso di denaro senza pari, di cui i fideles non avevano neanche la percezione e solo gli amministratori ne erano al corrente.
Le varie aireseis delle communitates cristiane, disseminate nell’impero, non erano produttive per gli esattori imperiali e quindi risultavano non paganti le normali tasse in quanto ne erano escluse data la millantata pietas religiosa pauperistica e la concezione spirituale.
E’ questa impostazione “psichica” di Clemente Alessandrino,propria di uomini che vivono disciplinati da capi , che condizionano la mente infantile dei propri adepti nel formalismo ritualistico e nelle vesti sacerdotali, grazie ad un oculato sistema di dioikesis (sistema amministrativo) diverso da quello successivo dioclezianeo.
Prima di parlare dei fondatori di questo sistema amministrativo e storico, ci sembra utile precisare che la mentalità cristiana già chiara in quanto comunità in attesa dello sposo, millenarista, specie dopo la scrittura dell’Apocalisse, si connota ancora di più in questa ideologia grazie a Montano e alle sue profetesse Massimilla e Priscilla, sotto Antonino il Pio, Lucio Vero, Marco Aurelio e Commodo.
Il fenomeno inizia dalla Frigia, dove ci sono segni di una testimonianza cristiana ad opera di Filippo, discepolo di Cristo, che con le sue figlie, profetesse, congiunge la nuova fede con un sistema mistico-sacrale, connesso con la vocazione turistica dei luoghi intorno alle terme di Hierapolis ( Pammukkale) dove è dominante la mentalità pagana, legata a Plutone e a Cibele.
La comunitas cristiana aveva fedeli che in massa si eccitavano seguendo anche pratiche arcaiche, riunite in pianure, in preghiere collettive, attirate non solo per le guarigioni ma anche per apparizioni e forme di suggestioni, profezie, in un abbandono della vita reale quotidiana.
La fine del I secolo e tutto il II secolo sono pieni di magia,tanto che Apuleio (De Magia) discute su una magia volgare normalmente inquisita dalla Lex Cornelia sive de Sicariis e una magia filosofica e religiosa, espressione culturale teurgica, distaccandola dalle artes malefiche di maneggioni, falsi profeti, magi, taumaturgi (goetes).
Ora la pratica magica è connessa alla diffusione del gusto del mistero, del religioso , dell’irrazionale e risulta tipica dei cristiani stessi che ne sono accusati per i loro riti esoterici anche se i loro scrittori, comunque, sono avversari di ogni pratica magica, ritenuta manifestazione dell’opera demoniaca.
Apuleio (Cfr Metamorfosi, IX,14) e Luciano ( specie in Morte di Pellegrino e Philopseudes ) meglio di altri hanno evidenziato questa componente nel cristianesimo.
In epoca commodiana l’aspetto mitico e magico è predominante nell’impero e proprio nel quadro di una propagandata ektheosis imperiale si accumulano le crisi causate da movimenti ideali e spirituali, in senso economico, finanziario, politico e sociale.
Queste, aumentate nel periodo Severiano, ingigantite nella decadenza, si riversano contro le comunitates cristiane, -rimaste per qualche decennio isole felici,- nel periodo Massimino il Trace (235-238)- sotto Decio (249-251) e sotto Valeriano (253-259) e poi si placano con Gallieno, fino a Probo, nonostante alcune sommosse sotto Aureliano(270-275) – che ha favorito il culto del Sol Invictus- per riacuirsi sotto la tetrarchia fino all’instaurazione dell’impero cristiano in Occidente, dopo la vittoria di Costantino su Massenzio al ponte Milvio (312) e, poi, in Oriente- dove già il cristianesimo è religio licita grazie a Galerio- definitivamente, dopo quella su Licinio a Crisopoli nel 324…
Comunque, al di là del valore delle communitates nel III secolo, per noi è significativo ed esemplare il montanismo, confessione eretica, che pur ha una sua impostazione tipicamente cristiana, tanto amata da Tertulliano stesso, suo adepto.
Il montanismo millenaristico e mistico, pur fedele alla dottrina cristiana della Trinità e della divinità del Cristo, si scontra con le auctoritates locali, come Apollinare di Hierapolis, dioiketes che amministra i beni e che ha con sé un gruppo di uomini scelti, dediti all’ amministrazione della comunitas…
Il carisma di Montano e delle sacerdotesse mette in crisi l’auctoritas amministrativa, tutta presa nelle questioni terrene e dimentica delle cose eterne, che, essendo priva di profezia e di capacità di suggestione, accusa di possessione diabolica i montanisti, seguiti ed amati dalle folle, non solo locali ma anche regionali, ammirati e quasi idolatrati, dovunque si trasferiscano (in Africa o a Roma stessa).
I montanisti, avendo l’ ammirazione popolare gettano il discredito nel sacerdozio, che risulta corrotto e lontano dalla reale predicazione del Cristo, considerata propedeutica alla felicità ultraterrena, non utile ai fini di una vita terrena.
Le accuse di Girolamo, successive, a Montano di essere stato un evirato sacerdote cibelico prima di essere cristiano, o quelle ireneiane ed eusebiane di aver detto “io sono l’eterno” o “io sono il signore onnipotente” sono affermazioni di storici cristiani, che hanno segnato una linea per ricompattare e riconfluire armonicamente il cristianesimo delle origini a Costantino: la gerarchia ecclesiastica disconosce perfino che Montano è un altro Christos, un profeta che riforma la chiesa in quanto assistito dal Paraclito e che con la sua venuta, autorizzata dal Padre, possa realizzare la Nuova Gerusalemme come eterna dimora dei fedeli.
Sempre in epoca antonina si sta esaurendo la collaborazione imperiale e giudaica alessandrina ellenistica, ma si è potenziata, quasi come una naturale succursale, la struttura giudaico-cristiana amministrativa diocesana che sempre di più assume valore grazie alla mantenuta organizzazione di stampo oniade, tenuta abilmente dai vertici cristiani specie orientali, poi viene traslata capillarmente, tramite Ireneo, in Gallia, anche se già è chiara nella struttura della Chiesa di Roma, che è succursale di Antiochia.
A nostro parere tale sistema giudaico oniade, non avendo bisogno di collaudo, avendo già funzionato da tempo in modo perfetto è funzionale nell’ organizzazione cristiana fin dall’origine antiochena, ed ora si è consolidata in senso caritativo (protezione ai vecchi, agli orfani, alle vedove) in una gestione di capitali, mediante banche (che assicurano denaro liquido in depositi) e mediante il sistema emporistico, che dà lavoro a tutti i membri comunitari impegnati e nella amministrazione diocesana con diverse funzioni e nei lavori di capeloi, vendita al minuto negli emporeia.
Impegnando molti nel lavoro fisico i pochi eletti gestiscono il capitale sotto l’oculata sorveglianza di un episcopos, economo di tutto il sistema: il clero, istruito, fa funzionare la communitas dei credenti, che costituiscono la base del potere economico con i loro fondi personali e col loro lavoro, che prospera, grazie a riinvestimenti di capitali o al proselitismo sotterraneo (ingresso di pagani ricchi nella communitas,come benefattori, volontari).
Dunque, le tante organizzazioni nel sistema imperiale costituiscono una costellazione di amministrazioni locali benestanti nel mare di crisi economico-finanziario statale, che aumenta, mentre la struttura cristiana progredisce e prospera (come oggi in Italia, dove la crisi è totale, ma alcune amministrazioni locali sono ancora buone e dove molte famiglie hanno ancora una capacità amministrativa diversa rispetto al sistema di grave recessione, innescato dal mondo americano, perché ancora legata al sistema agricolo conservatore!) grazie all’ oculato sistema oniade dei vertici.
Inoltre, l’ amministrazione cristiana risultava ancora migliore nelle grandi sedi e cominciava a mostrarsi ancora più positiva in quelle cosiddette apostoliche: Roma, Antiochia, Alessandria, Efeso erano diventate in epoca antonina sedi amministrative con dioiketai sempre più bravi, capaci di permettere un tenore di vita ammirato dai pagani, a fedeli, soggetti passivi, ammaliati dalla retorica episcopale (cfr. Il II Secolo d.C: il trionfo della retorica, del paradosso e della bugia) che pensano solo alla edificazione morale e alla propria spiritualità, in un continuo avvicinarsi a Dio.
Se la comunità, laica, dà esempio di vita cristiana, i vertici ecclesiali essendo ricchi, sono in competizione con i protoi della città e normalmente li superano, dato il fasto delle vesti, considerati i cortei e le processioni e la maestosità dei riti, che richiedono molto denaro e soprattutto avendo molte entrate dal lavoro comunitario e dagli ergatai pagani dipendenti, aumentano in popolarità tanto da divenire loro stessi viri civiles, in quanto non sono affatto digiuni di retorica.
Sotto Marco Aurelio già si parla di ricchezza delle sedi episcopali in Morte di Pellegrino di Luciano di Samosata (Mondadori 2003).
Già precedentemente, non solo la sede di Antiochia sotto l’episcopato di Ignazio, ma anche quella di città minori evidenziano che gli episkopoi hanno un tenore di vita adeguato alla loro posizione di funzionari e di amministratori: Hierapolis ha vaste zone cristiane al tempo di Papia, come anche Afrodisias, e ne controlla le popolazioni.
Insomma in molte zone, dove predomina l’elemento cristiano, già all’inizio del II secolo la situazione è florida, data la oculatezza amministrativa dei capi.
Il protagonista di Luciano (uno strano filosofo del tipo di Giustino apologista!) è un pagano, certo Proteo, patricida, divenuto cristiano, fatta carriera tra i cristiani (Morte di Pellegrino,11), diventato profeta, capo dei riti e convocatore delle riunioni, assunte quasi tutte le cariche, commenta e spiega il testo sacro e molti ne scrive personalmente e perciò risulta tanto onorato come legislatore (nomothetes) e come protettore (prostates) da diventare dopo Christos, l’uomo più importante.
Questi, dunque, secondo Luciano, catturato per l’omicidio del padre, è dai cristiani liberato dal carcere, dove è ben assistito da vecchiette, vedove, bambini, orfani mentre perfino i protoi – che hanno corrotto le guardie- dormono con lui o fanno veglie.
Gli vengono portati pranzi elaborati e gli vengono recitati perfino discorsi sacri: Proteus, alias o beltistos Peregrinos è chiamato nuovo Socrate.
Da tutta l’Asia vengono legazioni mandate da singole città, che a carico della comunità, per aiutarlo, per difenderlo, per confortarlo (boethesontes sunagoreusontes kai paramuthesomenoi ) dànno fondo a tutte le sostanze.
Perciò, con la scusa della prigionia ,Proteus Peregrinos ,avendo avuto molti beni, ne ricava un’ entrata non piccola (prosodon kou mikran).
Luciano marca la vita di questi sciagurati cristiani (oi katodaimones) che vivono persuasi che diventeranno immortali e godranno della vita eterna, se disprezzano la morte e vi si consegnano volontariamente , autodenunciandosi: essi si credono fratelli dopo aver rifiutato gli dei greci e venerano quel sapiente crocifisso vivendo secondo le sue leggi ( ton de anescolopismenon ekeinon sophisten auton -Ibidem, 13).
Luciano mostra come sia facile per uno come Peregrino beffare gente semplice, che disprezza ogni bene terreno e che lo mette in comune senza alcuna precisa garanzia, accettando quanto dicono i capi.
Secondo Luciano un goes incantatore, un technites capace di fingere e di sfruttare le occasioni diventa ricchissimo in poco tempo!.
Per Luciano, Proteo, dopo che è scarcerato per insufficienza di prove dal governatore di Asia, torna in patria e lì lasciò i suoi beni (15 talenti equivalenti a circa 450.000 euro) ai concittadini, che naturalmente lo venerano come un santo e quindi è liberato dall’imputazione di patricidio.
Allontanatosi dalla patria, avendo come sufficiente copertura i cristiani ( ikana ephodia tous khristianous echon) vive nel lusso grazie alla loro protezione, svolgendo probabilmente la carica episcopale.
Ma poi, siccome ha infranto qualche regola sui cibi vietati, trovandosi in difficoltà, rivendica i suoi beni paterni, facendo una palinodia per riottenerli, e chiede un intervento imperiale.
Ma non ha fortuna per cui inizia il suo terzo esilio, andando in Egitto dove vive ad Egatobulo, esercitando una pratica ascetica che consiste nel rasarsi a metà il capo impiastricciandosi il viso, nell’eccitare pubblicamente le sue vergogne – dimostrando che proprio questo è indifferente – e nel colpirsi, le natiche e facendosele colpire con uno staffile e compiendo altre cose stravaganti.
Poi, da lì trasferitosi in Italia, comincia ad attaccare l’imperatore ed, aumentando la sua fama, è scacciato dal governatore che lo giudica pazzo, ritenendo che la popolazione non ha bisogno di un tale filosofo, anche se si è conquistato la fama di uomo di parresia e di grande indipendenza (Ibidem, 17) come Musonio, Dione, Epitteto ed altri che sono stati cacciati pure loro da imperatori.
Venuto in Grecia, in Elide, decide di fare il grande evento tale da essere per sempre ricordato: si prepara per quattro anni, dopo aver tecnicamente dimostrato alcune sue verità, specie quella di voler morire con il fuoco, annunciando questo gesto alla fine della olimpiade.
La conclusione di Luciano, che ne mostra la morte cercata come spettacolo, subito dopo le gare olimpiche ad Olimpia, è descritta così : fece un salto nella pira che aveva precedentemente allestita comportandosi come un Calano, un gimnosofista…
Il personaggio di Luciano ha qualcosa in comune con Marcione, che “fiorisce” sotto papa Aniceto (Ireneo, in Adversus haereses, dice invaluit sub Aniceto) e che arriva a Roma da Sinope-dove ha già svolto la carica probabilmente di episcopos- nel periodo di transizione tra due papati, quello di Igino e di Pio I e che svolge attività di trapeziths.
Egli è un abile amministratore che dona 200.000 sesterzi alla comunità romana, secondo Tertulliano (De Praescriptione Haereticorum,XXX)e che è già scaltrito da una precedente esperienza finanziaria nel Ponto, regione ben collegata con le regioni sarmatiche, cimmeriche e danubiane, considerato il fatto che è anche armatore (Origene, Dialog.1).
Entrato in urto con le autorità romane -non se ne conosce l’esatto motivo- riprende il denaro, nonostante la sua professione di fede (Ibidem, XXX) ( Cfr,Tertulliano, Adversus Marcionem, 1, 20 e De carne Christi, II).
Per meglio orientare chi mi legge aggiungo che vi sono in Roma altri esempi di trapeziti cristiani.
Carpoforo, sotto Commodo, è un banchiere che ha affidato i suoi capitali ad un trapezita un certo Callisto, che, secondo Tertulliano e Ippolito è un imbroglione (uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l’errore,
Callisto gestisce la banca dove è versato anche il denaro per gli orfani e vedove, ma avendo perso tutto fugge e si getta a mare ma è salvato e riportato da Carpoforo suo padrone.
Accusato dai creditori per salvarsi accusa i giudei, dopo aver tentato di nuovo la morte.
I giudei lo accusano con prove e lo portano in giudizio dal governatore Fusciano che lo condanna ai lavori forzati in Sardegna nonostante la protezione dell’ex padrone Carpoforo, che nega perfino la sua cristianità .
Il papa Vittore è convocato da Marcia, amante di Commodo che si informa discretamente se in Sardegna tra i condannati ad metalla ci sono cristiani.
Callisto è liberato, tramite l’intervento congiunto del papa e di Marcia, implora il perdono, è lasciato,senza alcuna pena , ad Anzio dove sembra godere di una sovvenzione mensile.
Dopo l’elezione di Zeferino, Callisto ha l’incarico di organizzare il primo cimitero dell Chiesa e grazie alla sua bravura amministrativa è eletto prima arcidiacono e poi diviene papa.
Non è in questa sede che dobbiamo mostrare la bravura dei dioiketai romani, chiara nelle fonti cristiane ma anche in quelle pagane.
Se a fianco loro ci sono uomini come Teodoto il banchiere, che nominato vescovo, ha una paga di 170 denarii al mese (Eusebio fa pensare che tale sistema retributivo, accettato da papa Vittore, sia lo stesso in Asia !), si può dedurre che il vescovato è una carica molto ambita, specie quella romana.
Fondamentali risultano, a nostro parere, due storici, che creano le basi storiche cristiane: da una parte Eusebio di Cesarea in greco e in da un’altra Lattanzio in latino…
Come sempre avviene, però, non sono gli storici ma l’epoca di Costantino( e quella di Teodosio a determinare effettivamente quella organizzazione storica e a determinare quel cammino cristiano anche dopo la costituzione della storiografia cristiana, specie per l’apporto di Girolamo di Stridone, di Rufino di Aquileia e di altri.
Noi qui mostriamo solo la funzione degli storici, che rispecchiano il cristianesimo di queste due epoche e che sintetizzano a loro arbitrio le storie precedenti e creano una sola linea cristiana- nonostante le diversità di linee della stessa tradizione cristiana – in dipendenza da Costantino e poi da Teodosio, che esigono un’ unità dottrinale sulla base conciliare.
In effetti la loro è una sincresi storica,in cui predomina la spiritualità cristiana che sottende una dioikesis (amministrazione) perfetta, mantenutasi inalterata per secoli, anche quando non c’è l’unità di fede…
Professore, a questo punto devo fermarla.
Devo chiedere spiegazioni, io che la seguo da anni e che sono quasi una sua controfigura.
La gerarchia christiana che fa storia col veleno in bocca e in coda contro l’impero romano, in nome di una spiritualità e fratellanza universale, staccando le plebi dalla realtà di vita, facendo spectaculum, disgiungendo la pratica dalla teoria, alla ricerca di un credo teologico per oltre un secolo, ha effettive possibilità di propagazione religiosa, essendo limitata dalla condizione di religio illicita, in quanto superstitio prava et immodica?
Si può dire che, dopo la grande persecuzione di Diocleziano, la reazione cristiana elitaria, trova in Costantino, un figlio bastardo di Costanzo Cloro- marito fortunato di Teodora, figliastra di Massiminiano- il suo campione, come legittimato Nikeths in occidente, grazie alla finanza christiana comunitaria e alle leve cristiane prima, e grazie alla nikh continua del deus sebaoth ebraico, poi, in Oriente ?
Certo, caro discepolo, la strategia cooperavistica finanziaria ora è accompagnata da un’ideologia, propria, tipica di Osio di Cordova: liberare le plebi dal vinculum dell’astensione del servitium militare e spingerle alla partecipazione, alla guerra santa sotto la guida del deus Sebaoth, al fine di avere i favori imperiali e di non correre più il pericolo di una ricorrente decimazione a quasi ogni generazione…
Per oltre un secolo la gerarchia episcopale è quasi sempre decimata ad ogni cambio di potere politico ed ora, essendo salita ai vertici, non si lascia scappare l’occasione della gestione politica ( Si pensi al patto Gentiloni del 1912, cioè all’accordo segreto, voluto da Pio X, tra i cattolici -UECI- e Giolitti per arginare il partito Socialista . cfr. Cesare Battisti socialista )…
La storiografia, nonostante la parvenza umanitaria, è feroce contro i nemici, velenosissima nella condanna dei peccatori e specie dei persecutori: Diocleziano è la vittima più illustre, anche se in effetti è il migliore degli imperatori illirici, compreso lo stesso Costantino…
Il fango – come copertura statuaria e come offesa alla memoria .- e il veleno, – come maldicenza, come odio, rancore, cattiveria in genere- sono stati gettati su Caligola, su Nerone, su Commodo, su Caracalla su Eliogabalo, su Decio ma il massimo cumulo lo si rileva in Diocleziano, che ancora oggi è oggetto di damnatio christiana: lo stato pietoso del suo palazzo a Spalato porta i segni di scomunica e di eterna condanna, anche se sottende disonore per chi non lo riporta allo splendore di un tempo, come quello del Mausoleo di Augusto, vergognoso per i politici Italiani!
Se ho impiegato una decina di anni di ricerca storica e di traduzione diretta, mirata su Filone e Flavio, per cercare di rovesciare il giudizio negativo su Caligola, penso che non mi sarebbe sufficiente un’altra vita di ottanta anni, per togliere le infamie dette e perpetrate e per rilevare le tante omissioni, stralci di quadernioni, falsificazioni contro il Nome e l’opera eccezionale di Diocleziano.
Eppure Diocleziano (284-305) è l‘unico illirico a porsi il problema unitario in quanto profondamente convinto della necessità di affrettare l’avvento della pace e di normalizzare il mondo con una riforma statale urgente non solo a livello militare ma anche amministrativo, politico economico-finanziario, data la crisi sempre maggiore negli ultimi decenni del terzo secolo.
Il bisogno di limitare il dinamismo militare congiunto a desiderio di vedere personalmente il funzionamento della sua riforma congiunta con la suddivisione amministrativa delle dioekeses sono segni di un vir animi magni, antico, di stampo sillano,-che comunque, non ha la stessa fortuna di inviolabile del repubblicano dictator, a dimostrazione dell’imbarbarimento dei tempi-.
La sua concezione politica di un politeia/ costituzione con due Augusti ( Lui Iovius e il collega Massimiano, Herculius, come sovrano dell’Oriente e dell’Occidente con capitali Nicomedia e Milano) e con due cesari (Galerio che ha come capitale Sirmio; e Costanzo Cloro Treviri) è necessaria per i tanti fronti di guerra, considerata la vastità dell’impero romano.
La sua tetrarchia, dopo breve tempo, non funziona per la morte di Costanzo Cloro, per la cui successione si scatena una lotta che coinvolge il figlio bastardo del Cesare e il figlio di Massimiano in Occidente, mentre per l’oriente tutto procede secondo le regole della tetrarchia: Galerio diventa Augusto e Licinio Cesare.
Questi ultimi nel 311 emettono l’editto di tolleranza e fanno cessare le persecuzioni in Oriente, mentre in occidente dopo la vittoria di Costantino al Ponte Milvio nel 312 viene emanato l’editto di Milano che proclama il cristianesimo Religio licita…
Comunque, Diocleziano avendo acume e senso pratico tale da contemperare la tendenza dell’autonomia col principio unitario, distribuisce i membri del collegio in relazione alla vecchia nomenclatura provinciale: Diocleziano l’Oriente, Galerio la penisola balcanica, Massimiano l’Italia con le province alpine, l’Africa settentrionale e la Spagna, Costanzo Cloro la Gallia e la Britannia. Tutti e quattro godono della tribunicia postestas e dell’imperium proconsulare maius, gli augusti hanno solo il privilegio dell’anzianità e i cesari, avendone sposate le figlie, si sentono maggiormente vincolati come domus regnante.
Diocleziano segue la tradizione, convinto che il potere conferito ai magistrati sia manifestazione della volontà divina e della grandezza di Roma secondo l universalismo augusteo e il militarismo cesariano da cui derivano i loro rispettivi appellativi di Iovius e di Herculius.
L’accentramento amministrativo è in relazione ai tetrarchi che hanno una attività legislativa e giudiziaria assistiti dal consilium principis del quale fanno parte membri equestri e magistri che fanno da ministri delle sezioni di cancelleria a libellis , ab epistulis, a studiis a memoria, ed a dispositionibus, a seconda delle funzioni svolte.
I governatori provinciali sono a capo come praesides ed appartengono all’ordine equestre, mentre i correctores sono senatori; le province vengono raggruppate in 12 dioeceses che hanno vicarii in relazione diretta con i tetrarchi ad eccezione di proconsoli senatorii di Asia, di Africa e di Acaia …
L’accettazione della spiritualità cristiana da parte di Costantino e quindi del decreto di Religio licita è in relazione alla perfetta organizzazione della società dei fideles, congiunti nella celebrazione della eucaristia e di riti cristiani propri delle ecclesiai antiche, che sono organismi ben funzionanti amministrativamente tanto da essere isole economiche positive nel sistema anarchico amministrativo pagano statale del II e del III e d’ inizio IV secolo, ormai in crisi e in pieno sfacelo, specie dopo l’epoca antonina, in quanto connessa e legata all’anarchia militare …
Capire questi enunciati di base, in senso amministrativo, è fondamentale ai fini della comprensione della costituzione storica del cristianesimo, erede del sistema oniade, come economia della salvezza…
Certamente il fenomeno di Eusebio sottende un circolo elitario più complesso, che ha fatto già un lungo lavoro di critica delle fonti precedenti in Oriente- specie nella metropoli di Alessandria- in lingua greca, del cristianesimo ormai precisato come Regno di Dio, distinto nettamente da quello dei Cieli, aramaico, inglobato, bisognoso solo di un’ulteriore trasmissione in lingua latina ad opera di buoni traduttori,…
Oltre l’aspetto ideologico, la superiore organizzazione episcopale deve essere schiacciante rispetto alla crisi dilagante dell’economia universale imperiale tanto che si guarda con invidia e rabbia contro le oasi cristiane su cui i diocheitai, svolgendo la loro funzione amministrativa, dònno un esempio non tanto di moralitas ma soprattutto di buona organizzazione locale…
Per meglio precisare il pensiero, bisogna dire che nell’impero romano esiste il fenomeno strano di tante province ricche in uno stato unitario povero, direi fallimentare nel periodo di Marco Aurelio, in cui l’insieme statale in grave crisi ha bisogno della lingua vitale delle piccole cellule cristiane, rigogliose, che, non risentono affatto del malessere generale in quanto hanno una solidarietà religiosa strutturale su una base anche economica e finanziaria, prospera tramite la caritas/eleos e un sistema di elemosine e di colletta che favorisce e riabilita quelle poche amministrazioni, che entrano in malattia, contagiate dal male esterno o raramente rovinate da amministratori incapaci.
Queste isole cristiane nel mare pagano, pur avendo scarsi contatti fra loro (quelle contigue hanno una certa coesione senza però interferenze né amministrative né organizzative), mantengono una comune fede in Christos soter ed euergeths uomo-dio morto sulla croce, venuto per redimere il mondo dal male, e sono in attesa di un suo prossimo ritorno ed attendono lo sposo per festeggiare le nozze insieme, nel Paradiso, loro patria.
Nella vita giornaliera i cristiani appaiono uomini irreprensibili seppure cives inattivi ed indifferenti alla vita cittadina in quanto totalmente presi dall’attesa della parousia del Signore: i capi (di solito si tramandano l’episcopato di padre in figlio, secondo primogenitura) invece, sono intenti nell’amministrazione dei beni della communitas in quanto gestiscono con banche e con emporeia tutti i beni dei fideles, che partecipano ai riti, e settimanalmente celebrano l’eucarestia, festeggiando la Pasqua, la Pentecoste e le altre festività, vivendo in quartieri cristiani, mettendo in comune il lavoro, ripartito secondo le prescrizioni episcopali, avendo loro sinagoghe. refettori comuni e, perfino, dormitoi comuni in molte comunità…
Le auctoritates, guidando uomini che fanno parte dell’organizzazione della dioikesis, compiono i riti e con lo sfarzo attirano anche i pagani che, vista la funzionalità comunitaria e i benefici, specie per vedove, orfani, vecchi si aggregano alla communitas e sono gestiti dai diaconi, dapprima come neoi e catecumeni, poi come fideles, dopo il battesimo .
In questo modo, grande rilievo per l’aggregazione hanno le festività dei primi giorni di ogni mese e il giorno dell’inizio dell’anno: le organizzazioni e le festività variano a seconda delle regioni romane per cui quelle traciche sono diverse da quelle bitinie o da quelle paflagone o da quelle frigie o cappadoci o armene dove sono più marcati i riti connessi con il sistema proprio della zona…
Si ha, infatti, notizia della ricchezza e potenza delle sedi apostoliche cristiane che competono con quelle pagane tanto che alcuni storici parlano di un’economia statale in contrasto con quella ecclesiastica, che perfino ha facoltà di incentivare alla fine del III secolo d.C. la migrazione dei rustici verso le città per averne il patronato e ricavarne un utile…
Infatti gli amministratori percepiscono stipendi da procurator ducenarius o da centenarius o da sexagenarius a seconda della grandezza territoriale della sede apostolica e del maggiore o minore numero di fideles. Si sa che a Roma Asclepiade e il banchiere Teodoto che è un discepolo dell’ omonimo cuoiaio propongono ad un certo Natale di contrapporsi al vescovo Zeferino, pagandolo con 150 denarii all’anno, una cifra sestupla rispetto alla paga annua di un legionario…
E’ chiaro che, in seguito, il credito della sede romana è maggiore se i in Ammiano Marcellino si trova conferma non solo della florida situazione ecclesiale ma si mostra anche una lotta per il potere papale.
Ammniano parlando della sede romana e delle dispute per il papato mostra di questi dioiketai/ episcopoi il potere ed evidenzia anche la contesa tra le fazioni, a causa della potenza del titolo e della sottesa ricchezza (Rerum gestarum libri , XXVVII,3,11-14).
A Roma il titolo di Pontefice Massimo pagano, anche se non ha più valore, ancora esiste, mentre quello Cristiano ha già una sua validità certamente non giuridica, ma ha un riconoscimento ormai ufficiale, come un honor, essendo scaduta anche la funzione politica del praefectus urbi e di altre cariche repubblicane…
Sappiamo così che alla morte di Liberio (24 settembre del 366) si ha una doppia elezione quella di Ursicino (a S. Maria in Trastevere) eletto da un ristretto gruppo e quella di Damaso (a S. Lorenzo in Lucina) ad opera della maggior parte del clero.
Ci sono morti, dati i grandi interessi in gioco in quanto il papa, riscuotendo le oblazioni delle matrone, consegue una così grande ricchezza da uscire in pubblico su cocchi e vestire con grande sfarzo e da superare coi loro banchetti, fastosi come quelli di un re (ut ditentur oblationibus matronarum, procedant vehiculis insidentes, circumspecte vestiti, epulas curantes profusas, adeo ut eorum convivia regales superent mensas).
Questa ulteriore ricchezza favorisce una diversa classificazione della sede romana in relazione non solo alla grandezza di Roma , antica capitale, ma anche all’importanza apostolica delle sedi per cui la migliore organizzazione al tempo di Damaso, in epoca di Valente e Valentiniano, dà un certo rilievo e credito alla sede apostolica petrina di Roma in Occidente, che già risulta appetibile perché ben amministrata, data la ricchezza patrimoniale dell’Ecclesia, già in epoca dioclezianea…