«Alcune cose, che la natura non sa fare, l’arte le fa, altre, invece, le imita» Aristotele, Peri phusikhs , II, 8
Cecco d’Ascoli, Acerba, II. 1, 1-18 Torno nel campo de le prime note/dico che ciò ch’ è sotto ‘l ciel creato/ depende per vertù de le so rote /Chi tutto move, sempre tutto regge/de fin el moto principio e stato/ in ciascun celo pose la sua legge. Son li celi organi divini/ per la potenzia de la natura eterna / ch’in loro splendendo son de gloria plini/ In forma del desio innamorati/movendo così ‘l mundo se governa/ per questi eccelsi lumi immacolati/ ma ben dispose creatura umana/per qualità qual anima seguendo/ L’arbitrio abbandona e fasse vi’e / serva e ladra: de vertude strana/ da sè despoglia e l’abito gentile...
*Professore, è vero che il Manzoni è un maestro nell’arte della caratterizzazione?
Cosa intendi per maestro nell’arte della caratterizzazione?
*Dico che il Manzoni è artista che imita i modelli della natura ed è capace di fare le cose che la natura non sa fare! E’ un maestro di un realismo più giansenistico che cattolico, in quanto rileva più male che bene nella cultura religiosa cattolica, avendo una certa franchezza di parola .
Marco, mi vuoi dire che apprezzi molto l’arte del Manzoni, anche come scrittore europeo che, aristotelicamente, imitando la natura, va oltre il servizio, morale e religioso, pur facendo latrocinio, in senso cecchiano, tanto da risultare bravissimo nel creare personaggi – che sono dei tipi umani, comici o tragici, simpatiche macchiette, ritratti appena schizzati, che diventano simbolo convenzionale di un modo di vivere, di essere, di fare, tanto da risultare per antonomasia esemplari tupoi –
* Professore, lei allude all’episodio, riferito da Croce, di una signora inglese che riportò i Promessi Sposi ad un libraio, che le aveva consigliato la lettura, furiosa, tanto da urlare che le aveva dato un libro illeggibile e da sbatterlo sul banco?
- Marco, penso di si , nonostante i ripensamenti strani del grande critico, che fece improvvisamente palinodia sul Manzoni!.
*Professore, grazie. Comunque, voglio dire che
- Manzoni ha una grande abilità ritrattistica, cioè, la capacità di fissare in brevi tratti la fisionomia fisica, umana, morale e costituire un carattere– un personaggio che simboleggia uno stato reale di vita-
- oggi dire Don Abbondio sottende subito l’idea di un buon prete, seppure pavido nei confronti dei potenti, tanto da non esercitare la propria funzione sacerdotale; dire Perpetua significa pensare ad una vecchia domestica del curato, pettegola; Don Rodrigo è sinonimo di nobile che fa soprusi verso una debole, impedendone il matrimonio, coi suoi bravi-prepotenti; dire Padre Cristoforo, fa pensare ad un focoso frate, figlio di un mercante arricchito, che difende gli umili-mecanici, come se fosse un virtuoso cavaliere antico, anche se ora è frate francescano; dire Conte zio è come vedere in azione un vecchio capofamiglia che difende la sua stirpe, simile al Padre generale francescano, la cui canizie, segno di esercizio nell’ astuzia diplomatica, è a protezione del proprio ordine e dei suoi confratelli, in quanto ambedue risultano prototipi di vecchi volponi della politica.
Sappi, Marco, che personaggio e carattere sono termini di due culture differenti, una latina ed una greca, che, comunque, hanno una precisa specifica valenza che, poi, hanno un’ unica riconfluenza semantica nella raffinata cultura cinquecentesca italiana, quando i Commentatori della Poetica di Orazio e di Aristotele operano sul testo- base aristotelico, in un riesame contemporaneo del contesto ateniese del IV secolo a.C e di quello romano augusteo del I secolo a.C. e di quello severiano del II secolo d.C. e dei primi decenni del III.
*Professore, lei mi rimanda ad uno studio oraziano-aristotelico e ad uno cinquecentesco, di cui abbiamo fatto cenno in Il vero manzoniano è quello controriformistico? in www.angelofilipponi.com
Marco, se vuoi capire realmente, dobbiamo per prima cosa leggere bene i termini di personaggio e di carattere, che risultano equivoci nel loro significato e, poi, quelli di vero–falso, come affermazione kataphrasis (dopo lavori logico-ermeneutici su rhmata di nome e verbo/ sintagma predicativo di ogni frase) e di destino-eimarmenh. Per mia comodità, comincio con personaggio e con Orazio, anche se dovrei prima parlare di carattere e di Aristotele (Teofrasto) ed infine penso di trattare, dopo aver accennato al dibattito stoico-aristotelico del II secolo d.C., dei Cinquecentisti commentatori, prima di rispondere sulla caratterizzazione manzoniana romantica, passata attraverso la revisione morale di Jean La Bruière (1645-1696) .
*Allora, cominciamo, professore.
Marco, personaggio vale personam agere, in cui persona rimanda a phersu/ maschera funebre etrusca, da cui i romani, nobili, traggono il senso di aristocrazia familiare in quanto ogni domus aveva la sua teca per i lares e i penates , le maschere dei loro defunti , sui cui volti, al momento del rogo, venivano fatti calchi in cera da conservare gelosamente, a testimonianza della loro stessa nobiltà senatoria, e da portare nel corso delle ricorrenze funebri!. Il passaggio, poi, di significato a maschera tragica o comica degli attori, avviene in Roma, a seguito della scoperta del teatro greco in Sicilia, nel corso della I guerra punica, per cui agere personam valeva impersonare un personaggio, fare la parte di un uomo ragguardevole storico o di un eroe mitico, sulla scena, per diletto del pubblico. Nel I secolo a.C., nel clima di fine repubblica, Ottaviano sfrutta la parte tragica e comica ed ogni forma di poesia, fino alla sua morte, tanto da definirsi politico scaltro – capace di fare il princeps, pur essendo dictator con tribunicia potestas ed imperium proconsulare maius, oltre ad avere prerogative divine, sacro-sacerdotali, in quanto augustus-sebastos, pur vivendo tra gli altri come privato civis – e da chiedere prima di morire, se aveva recitato bene la parte, a lui destinata!.
*Orazio è, dunque, poeta al servizio del princeps, ben retribuito, secondo le direttive di Mecenate celebratore del principato augusteo, da suddito?
Certo. Lo dimostra chiaramente nei Sermones (2 libri di Satire e due libri di Epistole) dove è esemplare upotetagmenos– poeta cortigiano, civis, passato da giovane repubblicano, studente ad Atene, scapestrato e ribelle, che, arruolato dai cesaricidi, provò la celere fuga a Filippi e, subito dopo, la fame e l’incertezza del domani, finché chiamato da Mecenate ebbe la sua parte da recitare, col preciso compito-munus di esaltare, tramite i 4 libri dei Carmina (specie il III quello dei sei Carmina romana) l’eroe vincitore di tante guerre, il divino salvatore-soothr e benefattore – euergeths, che, essendo venerabile -sebastos/ augustus, è degno, dopo la battaglia di Azio, di governare, come unico pastore, Occidente ed Oriente, ricongiunti sotto la sua auctoritas e potestas, essendo sulla Terra simile a Giove nel Cielo (Inno a Zeus!) signore degli dei e degli uomini!.
*Orazio mostra, in uno stato di medietas -metriooths, la sua saggezza e serenità nel principato, trattando il tema della sacralità della vita e della pietas, pur se evidenzia qualche segreto tormento, specie senile, essendo divorato da noia e da incostanza, nel quadro di benessere economico-finanziario, in cui vive, grazie alla munificenza del princeps?
Marco, nel cenacolo letterario, insieme a Virgilio, Orazio ha grande rilievo poetico ed epico, per cui su un modello di reale conformità storica, presenta incertezze comportamentali, in relazione a come valuta ed interpreta nella sua Ars poetica H poihtikh di Aristotele e gli stessi caratteri – kharakteres di Teofrasto.
*Professore, per lei, Orazio non è soddisfatto nelle Epistole, essendo già vecchio, divenuto vir capriccioso ed agitato, dopo aver teorizzato Est modus in rebus, a seguito della sua stessa definizione di poeta sereno ed equilibrato, cantore celebrato del carpe diem!.
Marco, infatti, dopo il 21 a.C. , impresa armena di Tiberio, fino alla sua morte nell’8 a.C., per circa 13 anni, sembra irritato con gli altri, inquieto – noi diremmo oggi depresso– più attento nello studio della natura e dei fenomeni naturali, vicino ideologicamente al pensiero epicureo di Lucrezio Caro, per cui appare uomo instabile, cosciente di essere umbra e pulvis, desideroso di andare altrove, di vivere in solitudine, impegnato nell’ inerzia, in una rincorsa della felicità – Romae Tibur amem, Tibure Romam –Epistula 1, 1,97-) irrequieto, ossessionato dallo scorrere del tempo, smanioso di agire, incapace di farlo – petimus bene vivere– (Epistola a Bullazio ).
*Dunque, professore, un Orazio depresso, smanioso di bene vivere, è quello che scrive il II libro delle Epistole, in cui è la III, quella Lettera ai Pisoni, quella definita da Quintiliano Ars poetica, un’opera della vera maturità, propria della riflessione di un ultracinquantenne?
Certo Marco. Non si può dire che sia l’ Orazio della medietas, ma un altro uomo, un critico che si riferisce all’arte, retorica, specie al teatro, già nella I lettera, quella ad Augusto -a cui fa seguire quella a Floro – dove c’è l’ invito al pubblico ad elevarsi all’arte, cosciente che non è l’arte che deve abbassarsi al pubblico, per poi dare regole fondamentali per la composizione poetica, basata sulla descrizione dei modelli classici della poesia greca, in senso tragico-comico, epico-ditirambico.
*Quindi, per lei, già sono espliciti i temi, poi, svolti nella Lettera ai Pisoni, ai due figli di Lucio Calpurnio Pisone, che è un trattato su H poihtikh in epoca augustea, sul cui commento gli scrittori del Cinquecento in età tridentina, controriformistica, adegueranno le loro idee platoniche, connettendole con quelle aristoteliche, ai fini della edificazione morale cristiana, col miscére dulce et utile.
Marco, nel Primo Cinquecento, sulla scia di Erasmo da Rotterdam e del suo Elogio della follia– MOORIAS EGKOOMION, id est stultitiae laus (cfr. Introduzione di Roland H. Bainton, Traduzione e note di Luca D’Ascia, Testo latino a fronte, BUR 1989)- fondamentale, insieme al teatro senecano, per l’Ariosto di l’Orlando furioso– predomina il platonismo fantastico-sentimentale, ma, poi, con la Controriforma (1545-1563) c’è il bisogno di una nuova letterarietà – che non solo deve delectare, ma deve essere formatrice e docére/insegnare al cristiano, che ora ha necessitas di una guida morale sacerdotale, dopo la riforma protestantica- ben legata ad Aristotele, pur latinizzato in senso oraziano, con nuove traduzioni dal greco, perfino in volgare, in modo da capire come il discepolo stagirita di Platone si serva di un nuovo linguaggio, per formare i suoi alunni del Liceo, in un’Atene profondamente cambiata, nel periodo di Filippo e di Alessandro Magno.
* Professore, lei mi vuole dire che Aristotele forma una scuola nuova, quella del Liceo in Atene, servendosi di un linguaggio scientifico, comprensibile solo dai suoi discepoli, per una loro educazione personale – come ha fatto e sta facendo, ora, lei con me, che ho il suo stesso codice linguistico, tanto che comunichiamo veramente!- per creare una fascia di lettori, tramite la mediazione del testo di Peri ths poihtikhs – e di future possibili biblioteche scolastiche, scientifiche.
Marco, secondo me, i Cinquecentisti, specie quelli della corte papale, comprendendo il disegno di Aristotele, maneggiando i 476 versi oraziani dell’Ars poetica, li utilizzano per la moralis christiana, adeguando da perfetti filologi il linguaggio aristotelico, scientifico, epistemico, esclusivo, estendendolo ad una classe più ampia di formatori, burocrati al servizio papale, khrhstoi – utili, indispensabili e necessari in quel particolare momento storico controriformistico, e nel Seicento, come segretarii.
*Da qui la precettistica dell’opera aristotelica e di quelle derivate, oraziana augustea e quella di epoca dei Severi (193-235) e di quella di Gallieno (253-268), con Porfirio e Giamblico , e di quella cinquecentesca papale, che riformulava il dibattito stoico-aristotelico d’epoca severiana sul destino! Ecco perché si tratta di uno studio sull’ arte in genere!.
Certo, Marco. Pensa che noi abbiamo solo 16 capitoli superstiti – che iniziano con 47 b e finiscono 62 a – trattanti delle differenze tra epica e ditirambica e tra tragedia e commedia ed infine tra mito e storia, in quanto ognuna è opus rhetoricum, tanto che, su questa base aristotelica, anche lo storico, Tacito, nonostante il sine studio e sine ira, è definito scrittore di opus rhetoricum maxime. Ti aggiungo che l’opera aristotelica, che leggiamo, è mutila e risulta un 1/5 di quanto scritto da Aristotele, anche se lo arricchiamo con De poetis e con frammenti tratti da autori della scuola peripatetica, -variamente accostati da critici come R.Cantarella e L.Cooper- e perfino con altre opere!. Ti preciso, inoltre, che nel mondo antico, specie greco, le opere circolano, ma inedite nell’ambito di ogni scuola, e che il genere della storia non esiste come Historia da solo, ma come pars della retorica ed ha valore come upourgia- affettato ossequio al potente o ai potenti militari ,vincitori cfr. Ossequio servile/ upourgia e Vangelo di Marco in www.angelofilipponi.com, con un significato molto diverso da quello inteso da me ricercatore e traduttore attento, in quanto è opera di cortigiani, specie nell’impero romano, che, da artisti, camuffano i fatti con la retorica, influenzata e condizionata dal piacere dello spectaculum e dal culto divino, che sono caratteristiche non autorizzate da Aristotele, che, pur avendo perfino pontificato sulla antropologia in Politica I, mostrando i diversi livelli di maschio, di femmina – compresa la superiorità del maschio, detentore di forma, rispetto alla femmina detentrice di materia -oltre quelli del libero sullo schiavo!. Infine ti preciso che, per meglio capire Peri ths poieetikhs, bisogna tenere presente anche Sull’interpretazione /Peri Ermeneias – ( Cfr. Introduzione, traduzione e commento di Marcello Zanatta .Testo greco a fronte.Bur 1992) per comprendere il discorso sul linguaggio scientifico, selettivo.
*Tutto questo è evidentemente sotteso nel depresso ultimo Orazio, che rileva il formalismo cortigiano e il divino influsso, oltre all’accettazione del deus ex machina, in un’anticipazione di quanto sarebbe avvenuto all’uomo, in epoche successive, di decadenza del nomen romanum.
Marco, sappi che, comunque, Aristotele rifiuta anche le visioni-opseis e il meraviglioso –thaumaston che sono considerati fenomeni spettacolari divini, in quanto non utili ai fini di qualsiasi composizione poetica che è specialmente imitazione-mimesis della natura: per questo non rientrano nella sfera del naturale -che è quello che è istintuale ed animale– ogni impulso popolare e l’arte stessa degli attori-istriones, ritenuta upokritikh/ falsificata interpretazione di eventi spettacolari drammatici, in quanto il filosofo scriveva solo per iniziati, per uomini dotati del suo linguaggio tecnico, in cui il vero storico e vero poetico coincidono come vero e falso come unità vivente naturale, avendo già minato alla base la parola viva di Platone- interprete della realtà, che abbelliva ogni cosa facendo spettacolo, ben seguita da Augusto e dal papato romano!- Aristotele dà rilievo all‘affermazione semplice e composta per sundesmooi –congiunzione– cfr. Sull’interpretazione, cit.- per indicare che l’unità complessiva dell’oggetto è in connessione della continuità di pensiero, che, essendo anche individuale, diverso da quello collettivo popolare, ha una propria decisionalità in situazione, pur nel comune destino umano di morte e di accettazione sacerdotale unitaria di un Dio pater provvidente universale, salvatore del mondo, destinato alla catastrofe, che può divergere dall’ opinione di una comune destinazione.
* Professore, seguitiamo! Mi deve spiegare il termine carattere di Teofrasto e la Poetica aristotelica ancora . Già… mi sono perduto in questi ultimi passaggi logici tra decisionalità personale e volontà collettiva, destinata … ad un proprio destino unitario.
Birbone …mi richiami al dovere, vuoi che io risponda esattamente a quanto richiesto! e cercherò di risolver i dubbi in altra sede, quando terminerò il lavoro su kataphrasis-affermazione aristotelica in epoca di Gallieno (253-268 d.C.), in cui cercherò di dimostrare che lo studio della verità e della falsità appartiene all’area della logica e ne caratterizza specificamente la scientia!
*Certo, data la sua veneranda età, lei… potrebbe dimenticarsi di qualcosa.. Siamo umani, povere creature, brutti animali, non alonati cavalieri, onnipotenti divini!
Bene bene, Marco! Sfotti! Sfotti pure! io… vado avanti… , devo procedere su kharakthr e kharakterizoo! I termini indicano impronta, un lasciare impresso qualcosa su qualcosa come scrivere lettera su una tavola cerata oppure, come un incidere da charassoo – che vale anche conio su moneta o faccio un marchio su schiavo o mandrie e greggi con ferro arroventato, per rivendicarne la padronanza o per indicare, successivamente, una qualità indelebile impressa dai sacramenti del battesimo o della cresima, in senso cristiano, tanto che da esso deriva il carattere personale di individuo con caratteristiche peculiari! -. Così sembra evidenziare Teofrasto di Ereso (371-287 a.C.) botanico, discepolo di Platone e poi di Aristotele, di cui è successore dal 322, per 35 anni, da lui così soprannominato perché uomo dal linguaggio divinamente soave (il suo nome vero era forse Tirtamo) nella cui opera, I caratteri, composta di 30 capitoli, tratta di trenta tipologie di tipi, rilevati nel loro ethos/ costume o modo di vivere, caratteristico.
*Come sono i caratteri di Teofrasto?
Lo scrittore, come naturalista e botanico, – come il sior Lisander fattore della villa di Brusuglio!- fa più che ritratti delle caricature di figure morali come il militare spaccone, lo spilorcio, il villano, il superstizioso, il diffidente, il maleducato, lo sfacciato, di solito tupoi preceduti da un’introduzione circa l’aspetto fisico, in relazione a qualche evidente difetto, per poi iniziare l’elencazione degli atteggiamenti caratterizzanti, seguendo da una parte l’insegnamento morale platonico e da un altra quello fisiognomico scientifico aristotelico.
* Professore, Teofrasto risulta maestro per i comici come Menandro, che scrive Dyskolos-il misantropo, molto imitato e da Plauto e da Terenzio. e poi… anche da altri, tipo Orazio, fino a Shakespeare e a …Manzoni cristiano.
Marco, sembra che il Sior Lisander, fattore di Brusuglio, abbia fatto un lungo esercizio, prima di caratterizzare, se si legge attentamente Lettere (a cura di Ugo Dotti, BUR 1985).
*Dalle Lettere lei rileva un Manzoni credente ed un Manzoni agricolo!
Manzoni scrive trenta lettere a Claude Fauriel, traduttore delle sue tragedie fino al 1823, per diciassette anni, poi interrompe la comunicazione, a seguito di un frainteso articolo di Goethe e di divers morceuax/diversi pezzettini (forse amari bocconi per il francese!) sur la theorie de l’art dramatique: l’ultima, la trentunesima, è un biglietto di raccomandazione da parte del romanziere per Niccolò Tommaseo, datato 12 ottobre 1840, dopo altri 17 anni!. Comunque, in una lettera, il Manzoni credente neofita cattolico, nel 1810, chiede scusa all’ amico per la predica/pardon du preeche! ed afferma: Il est bien vrai que je crains pour vous cette terrible parole Abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis /mais non je ne les craint point car la bonté et l’humilité de votre coeur ne pas inférieure ni à votre ésprit ni à vos lumières /E’ ben vero che che per voi temo queste terribili parole Nascondesti queste ai sapienti e ai saggi e le rivelasti ai piccoli, ma no, non le temo, perché la bontà e l’umiltà del vostro cuore non sono inferiori né al vostro spirito né alla vostra intelligenza. Alessandro ed Enrichetta Blondel calvinista, conoscono il Fauriel come uomo di buon cuore e intelligente, capace di seguire S. Agostino e l’insegnamento di padre Eustachio Degola (1761-1826), convinto assertore di un prossimo rinnovamento cristiano-cattolico. Grazie all’ abate, Enrichetta abiura al calvinismo, pubblicamente, dopo essersi sposata ufficialmente con rito cattolico alla Madeleine, la seconda chiesa parigina dopo Nootre Dame. E’ questo il periodo del fervore cattolico manzoniano – che va dai Primi Inni sacri alla Pentecoste e al 5 maggio e Marzo 1821, dopo aver scritto le Tragedie e abbozzato il Romanzo, già rivisto parzialmente come dicitura in Toscana – di un uomo, che, come fattore di Brusuglio, in un clima popolare patriottico, è impegnato a ricercare i cotoni da impiantare nel suo terreno e a fare progetti agricoli, mentre legge Storia longobardica e seicentesca, in estratti storici, appagato del suo lavoro, fino alla morte della moglie, il 19 febbraio del 1834, in senso provvidenziale .
*Come si comporta realmente il Manzoni di fronte al cadavere della moglie, nella prova, a seguito della morte di Enrichetta?
Il marito, credente, celebra la memoria della virtù della moglie, rispondendo al duca Leopoldo II di Toscana, che gli fa le condoglianze e confessa la propria umana sofferenza: la memoria di una virtù varia come i casi della vita …sempre diffidente di sé e sempre sicura in Dio, sublime nell’ordine assegnatole dalla provvidenza, e non tentata pur mai d’andar più alto né più lontano, questa memoria rinnovata ad ogni istante è quella che fa piangere ed è quella insieme che addolcisce le lacrime: ogni argomento di più intenso dolore è un più certo argomento del premio, toccato a quella virtù: si adora, si benedice, non si ha forza di ringraziare, ma si sente che si dovrebbe!
* E’ il Manzoni sentimentale, che si eleva alla eloquenza sacra, restando nella fede!
Da qui, forse, Marco, quei Materiali estetici (in A. Manzoni, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Sansoni, Firenze, 1973, vol. II) in cui l’autore ammira Shakespeare – lo scrittore tragico che ha toccato ” la perfezione dell’arte ” con la perfezione morale!-.
*Vuole dire che Manzoni imita Shakespeare e il sistema di caratterizzare in senso artistico e morale?.
Certo Marco. In una lettera a Fauriel del 25 marzo del 1816, già scriveva: après avoir bien lu Shakespeare et qualque chose de ce qu’on a ecrit dans ces derniers temps sur le théaatre et après y avoir songé/sognato, mes idées se sont bien changées sur certaines réputations: Il Manzoni, staccandosi dall’Alfieri, cambiava registro, seguendo i fatti, secondo Shakespeare, che coglieva la volontà umana nella sventura, rilevando qualcosa di sacro e di profondo – per come poi afferma nella lettera a Monsieur Chauvet-.
*Per lei, dunque, è già documentata la rappresentazione di drammatici personaggi dei Promessi Sposi col tema della catastrofe e della catarsi, inteso come strumento doloroso provvidenziale, per come si vede nei personaggi del Principe padre o in quello dell‘Innominato o di Lodovico-padre Cristoforo, in cui l’autore sembra subire anche l’ influenza del moralismo quietistico di De la Bruyere! .
Marco, si può dire che l’affermazione manzoniana della lettera a M. Chauvet è una vera sintesi: éspliquer ce que les hommes ont senti, voulu et souffert, par ce qu’ils ont fait, voilà la poésie /spiegare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto attraverso quello che hanno fatto, ecco la poesia!
*Bene, professore. Ho capito, forse, il valore di caratterizzare un personaggio in senso dilettevole mediante il vero poetico! . Ora mi dica esattamente quel che afferma Aristotele, in modo che io possa ben cogliere il pensiero vero dei Cinquecentisti, in senso controriformistico, e il sentire romantico ottocentesco manzoniano.
Marco, sappi che noi leggiamo 16 capitoli, – che risultano un terzo di Peri ths poihtikhs di Aristotele, il cui pensiero estetico/linguistico (rilevabile anche in della Interpretazione / Peri Ermeneias op.cit.) tratta specificamente dal 19 fino a 25, del linguaggio – il cui incipit (47a 13 attuale) è il seguente, basato programmaticamente kata phusin/secondo natura, come prooton apo toon prootoon /primo tra i primi / il princìpio tra i princìpi.
* Cosa significa esattamente, professore?
Aristotele, secondo il testo che oggi abbiamo, inizia in modo programmatico, metodologicamente, la trattazione della sua poetica e delle sue forme/peri poihtikhs auths te kai toon eidoon auths , secondo uno schema descrittivo ed uno prescrittivo, circa la composizione di racconti /muthoi volendo indicare quale potenzialità ciascuna possegga /hn tina dunamin ekaston echei, aggiungendo come debbano comporsi i racconti perché la poesia risulti ben fatta e di quante e quali parti consista ed anche, in modo simile, di tutti gli altri argomenti, relativi la medesima disciplina/kai poos dei sunestasthai tous muthous ei mellei kalooos ecsein h poihsis, eti de ek posoon kaio poioon esti morioon , omoioos de kai peri toon alloon osa ths auths esti methodou.
*Professore, non sono un esperto, ma so che tale incipit oltre che nel Fedro di Platone (Ph., 189.b31) è anche in Confutazioni sofistiche aristoteliche (Soph. eleg.,164 a21-22).
Bravissimo, Marco. Bene!. Ora mi fai concorrenza…sei un ricercatore anche tu, vista la precisione della citazione e su Platone e su Aristotele! Birbone! Mi vuoi i trascinare sulla trattazione del linguaggio e discorso deduttivo di Organon e specificamente sulle confutazioni dei sofisti /elegchoi sugli errori in dictione, tomistici del sistema retorico e su quelli extra dictionem, tipici delle incoerenze o delle conclusioni non pertinenti?
*Noo!. Ho solo voluto mostrare che mi sono documentato, per meglio comprendere il suo pensiero sul vero manzoniano – so bene quanto lei ha lavorato sull‘Organon di Aristotele e di Bacone! Per questo mi sono impegnato per afferrare quanto lei mi diceva circa l’unione di platonismo ed aristotelismo. Riprendiamo il nostro lavoro! Dunque, Aristotele esamina in senso naturale le arti ( tragedia, commedia, epos) in una giustificazione della pratica creativa, al fine di una nuova estetica tanto da fare un manuale di storia letteraria? devo pensare alla poetica come ad un breviario prescrittivo per composizioni poetiche o ad una specie di compendio che definisce la poesia antica come un trattato di teoria estetica?
Marco, io non penso che possa e sappia risponderti – come non credo nemmeno che Aristotele stesso poté o seppe rispondere ai discepoli, a meno che non pensò di rispondere a se stesso, quando c’erano problemi e questioni su Dio, Provvidenza, anima, cielo, nous, heimarmene-destino, se conosco Alessandro di Afrodisia, scrittore dell’epoca severiana, il Commentario alla Metafisica di Aristotele (testo greco a fronte, Bompiani, 2007 ) e il Destino di Alessandro di Afrodisia(a cura di Carlo Natali. Traduzione di Carlo Natali ed Elisa Tetamo, Rusconi 1996) – che è filosofo parco nel trattare di Etica, Politica, Poetica o Retorica, ad eccezione di Logica – . Tu vuoi sapere , oggi 4 luglio, undicesimo compleanno di Stefano, il pensiero aristotelico su to alhthes/il vero – termine usato come verbo alhteuein nella trattazione del discorso-logos (in Peri ermeneias cit, 16a,4-5-6) ed esattamente cosa sia kata phusin proton toon protoon? Ritengo che Aristotele, in quanto naturalista e scienziato nel senso più profondo del termine, disse quel che disse, che poi fu interpretato, a seconda del tempo di lettura dei brani aristotelici, oggi da noi ricongiunti, dopo altra successiva interpretazione – in relazione all’uso politico o religioso, utile e necessario alla formazione di un popolo ignorante, ingannato dal piacere immaginifico della retorica di poeti, di pittori, scultori, sempre al servizio del potere!.
*Professore, già dall’epoca di Alessandro Magno a quella di Alessandro di Afrodisia, ci sono oltre cinque secoli di storia, di cultura e di avvicendamenti di potere con diverse propagande, in cui Aristotele, letto e studiato, ebbe varia fortuna a cominciare dall’utilizzo specifico, fatto dai Diadochi, dagli Epigoni fino alla conquista romana dell’Oriente e alla stabilizzazione dell’ Impero romano. Dal 27 a.C. al 68 d..C. si succedono autokratores-imperatores della domus giulio- claudia, di quella Flavia dopo l’anno orribile del 69, fino al 96 d.C., di quella antonina fino a Commodo 192 d.C. , di quella dei Severi, dopo l’altro anno terribile del 193 – fino ad Alessandro Severo e potremmo dire fino a Gallieno 253-268, tutti trovano sempre utile per la loro politica – anche i christianoi alessandrini (Panteno, Clemente alessandrino ed Origene) – lo stagirita, il cui pensiero già circolava a Roma nel I secolo con Andronico da Rodi ( 100-20 a.C.) che ne aveva curato l’organizzazione, in quanto era interessato alla logica, indicata come strumento /organon della filosofia, piegato ai fini dell‘ektheoosis -divinizzazione dei Cesari, tra gli anni 40 e 20 a.C. mentre funzionavano il circolo latino dell’ etrusco Mecenate e quello alessandrino di Didimo Arieo! Si tenga presente che c’è stato un lungo dibattitto tra Scuola stoica e aristotelica specie sulla semantica dei termini!
Marco, quindi, tu pensi, come me, ad una strumentalizzazione della logica già al momento sallustiano mechanico di fine res pubblica e ritieni possibile l’utilizzo a fini politico-religiosi del naturale principio dei principi, aristotelico!
*Professore, ho seguito le sue lezioni su Historiae di Sallustio e sull’Età dell’oro lucreziano cfr. Età dell’oro e Lucrezio Caro in www.angelofilipponi.com!
Vuoi dire che lo scienziato Aristotele è basilare nel momento augusteo? senza di lui la pax augusta tanto celebrata non sarebbe arrivata fino a noi, col cristianesimo?e quindi ti spieghi la telioosis -l’idea della perfezione da cercare da parte della creatura, che l’attribuisce necessariamente ad un Creatore, motore immobile del movimento celeste, causa efficiente!. e capisci, quindi, quanto scrive il filosofo sull‘imitazione delle arti che, seppure si diversifichino nei modi, sono, nel complesso, tutte imitazioni /pasai tugchanousin ousai mimhsis to sunolon (Poetica,47a 8-9)
*Professore, forse capisco anche che, nonostante la varietà dell’uso imitativo dei mezzi del ritmo, del canto, del verso, della poesia ditirambica, della “nomica “, della tragedia e della commedia, coloro che imitano, necessariamente imitano persone!.
Certo Marco, per Aristotele chi agisce, imita e le persone imitate di necessità sono o serie /Spoudaioi o poco ragguardevoli/ phauloi, per cui , esiste differenza con distinzione/ diaphorà, in relazione agli oggetti di imitazione, che è triplice: con che cosa? che cosa? come? . Ora, pur senza entrare in merito, mi è difficile, in questa sede, mostrarti esattamente il linguaggio aristotelico in contrasto a quello platonico – stoico sul sistema di indagine, su nomos-logos, sull’opposizione spoudaios/phaulos – non sono termini indicanti charakteres teofrastiani ma sottendono ethoi /sistemi di vita, opposti circa il bene e male, circa la creazione stessa del kosmos e nomos/logos ! – e la funzione diversa di ‘Omeros e di Empedoclhs tra un poihths e un epistemografo scienziato, che agiscono con due diversi modi secondo criteri poetici e secondo criteri scientifici, in una concezione nuova di prattein, inteso da una parte come to poiein e da un’altra come prosagoreuein, in relazione ad imitazione, a quantità e qualità e alle origini stesse operative – anche perché conosco il grande dibattito avvenuto su Destino in epoca severiana, riportato da Dione Cassio, da Filostrato e da Alessandro di Afrodisia!.
*Dunque, se Omero -epica – ed Eschilo/Sofocle -tragedia hanno di mira e sotto osservazione chi è spoudaios-il serio, mentre Aristofane -commedia il phaulos -il dappoco, non vedo la differenza perché, imitando, gli uni e gli altri fanno ed agiscono facendo lo stesso: mi perdo e non comprendo la distinzione tantomeno il destino, dell’aristotelico Alessandro di Afrodisia !
Marco, fermo restando che ambedue fanno ed agiscono, imitando persone; comunque, si dice che alcuni ritengono che coloro che fanno azioni drammatiche diverse imitano chi i seri e chi i dappoco, servendosi dei termini droontas e dramata per indicare un agire drammatico proprio di attori che interpretano una parte tragica o comica, ma gli stoici riconducono l’essenza di un ente alla struttura causale, di tipo efficiente, al movimento del corpo stesso, responsabile del fenomeno, mentre gli aristotelici si rifanno al fenomeno stesso, prodotto da un individuo, in esercizio, che può raggiungere la perfezione, sfuggendo al determinismo, data la continua decisionalità, che interrompe il processo causale.
*Da qui, dunque, l’origine della tragedia e di una forma artistica, per Aristotele, e non del prooton toon prootoon?
Non so dirti esattamente, ma posso solo dirti che il filosofo non fa ricerca sulla essenza della tragedia (cfr B. Snell, Eschilo e l’azione drammatica , trad.ital., Milano 1969, e H. Scherenkenberg, Derma , Wuerzburg,1960,) anche perché ritiene il piacere prodotto da imitazione, non solo come bene intellettuale, sostanziale, ma anche bene formale in relazione al colore, alla musica, a qualità sensibili (cfr. E. Belfiore, Pleasure. Tragedy and Aristotelian Psicology, “Class. quart” 1985), in una trattazione di ogni azione artistica, anche di quella comica ed ditirambica. Infatti scrive (48d 4-9): Eoikasi de gennhsai men oloos thn poihtikhn aitiai duo tines kai autai phusikai. to te mimeisthai sumphuton tis anthroopoisek paidoon esti kai toutooi dipherousi toon alloon zoon oti mimeetikootaton estin kai tas matheeseis poietai dia mimeeseoos tas prootas, kai to khairein tois mimeemasi pantas/due cause appaiono in generale aver dato vita all’arte poetica, entrambi naturali, da una parte il fatto che l’imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia e in ciò l’uomo si differenzia dagli altri animali, nell’ essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo della imitazione le nozioni fondamentali, d’altra, il fatto che tutti traggono piacere dall’imitazione e seguita col dire che coloro che dapprincipio erano più portati a questo genere di cose, con un processo graduale dalle improvvisazioni diedero vita alla poesia, da cui per distinzione, secondo la proprietà dei caratteri, i più severi, imitarono le azioni apprezzabili e di genere apprezzabile, componendo motteggi, come gli altri inni ed encomi, quelli di gusti più facili e quelli di gente dappoco, si diversificano in generi in uno stesso autore per cui ‘Omhros è fondatore della epica e della tragedia umana, ma anche col Margite della commedia e del genere giambico.
*Professore, per Aristotele, non è la composizione dei fatti che ha valore predominante nell’arte e specificamente nella tragedia?
Certo. Il filosofo, dopo aver affermato che la vista domina su ogni cosa (personaggio, racconto e linguaggio, canto e pensiero-logos ), tuttavia, evidenzia che il più importante di questi elementi è la composizione dei fatti/ h toon pragmatoon sustasis per precisare che la tragedia è, infatti, imitazione non di uomini, ma di azioni e di modi di vita/ h gar tragooidia mimhsis estin ouk anthroopoon allà pracseoon kai biou (cfr.Poetica,50a,15) al fine di concludere: non si agisce, dunque, per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni, pertanto i fatti cioè il racconto sono il fine della tragedia e il fine è la cosa più importante di tutte/ Oukoun opoos ta hthh mimhsoontai prattousin, allà ta hthh sumperilambanousin dià tas pracseis , ooste ta pragmata kai o muthos telos ths tragooidias, to de telos megiston apàntoon –cfr. ibidem,20 -.
*Professore , è autentico il passo della Poetica, in cui si dice che principio ed anima della tragedia e dell’arte è il racconto?
Si certo. Si, se intendi racconto/dihghsis come composizione dei fatti – specie quello coi rovesciamenti/peripeteiai e i riconoscimenti/anagnorìseis– come affermazione /kataphrasis di Sull’interpretazione, cui seguono la caratterizzazione con proponimento/proairesis e poi il pensiero/logos ed infine la musica con la vista (la più estranea all’arte)? Si . Parlo di questa parte, specifica, autentica di H poihtikh aristotelica. Marco, H poihtikh, comunque, è una ricostruzione (autentica!) di passi assemblati da critici che, avendo diversa formazione, in secoli differenti, hanno commentato, lasciando una propria interpretazione, elaborata da altri, che hanno fatto ulteriori elucubrazioni anche spirituali, anche se coscienti di trovarsi su un piano logico, umano e terreno, artistico e non su un altro!. Tu, poi, chiedi come se davvero fossi un professore, quando, invece, risulto un povero ricercatore, incerto e insicuro tra i ricercatori, che si fanno interpreti di parte in quanto aggiungono dopo biou “kai eudaimonia kai kakodaimonia! per indicare il destino-eimarmenh (cfr. il Destino, IX ), in un’operazione su una glossa araba di echei, o in lavori metafisici, anche se sono fisici – specie se separati dalle epoche di scrittura-!
*Professore, mi vuole ricordare che dobbiamo rimanere attaccati alla logica di una poetica, senza andare oltre la fisica, terrena, anche perché stiamo parlando del tema del caratterizzare in un Manzoni, autore milanese ottocentesco, romantico cristiano, di lingua più francese che italiana, che sta costruendo un romanzo storico sulla base di criteri poetici cinquecenteschi controriformistici di catastrofe e di catarsi e che cerca un proprio ruolo magistrale, come ha già fatto nei Cori delle tragedie, dove ha trovato un angolino-cantuccio di osservazione, da cui poter essere utile per la formazione popolare di un italiano, inesistente, mecanico!
Marco, Aristotele precisa che la poesia è cosa di maggior fondamento teorico, più importante della storia, in quanto l’una predica gli universali e l’altra i particolari , dopo aver definito la tragedia imitazione di azione compiuta ed intera/pracsis teleia kai olh, dotata di unlautoretartat delracconto a certa grandezza, definendo olon echon archhn kai meson kai teleuthn/ intero che ha principio, mezzo e fine.
* Quindi, professore, l’autore di tragedia come grandezza megethos, racconto necessario, non dispersivo?
Nel parlare di questo, Aristotele inizia a trattare del lavoro del poeta/poihtou ergon in versi , che non è quello di dire le cose avvenute, ma quali potrebbero avvenire secondo verisimiglianza o necessità/oia an genoito kai ta dunata kata to eikos h to enagkaion e lo distingue da quello dello storico in prosa in quanto l’ uno legge ta genomena, servendo dei particolari, mentre l’altro oia an genoito, usando gli universali, privilegiando l’arte poetica come cosa di maggiore fonadmento teorico e più importante della storia /diò kai philosophooteron kai spoudaiooteron poihesis istorias estin. Qui lo stagirita fa valere il verisimile /eikos come fondamento centrale della sua poetica in quanto universale -katholou, mentre la storia è fatto che rimane nel particolare, marginale episodico, convinto che lo storico e il poeta non si distinguono nel dire in versi o senza versi, ma si distinguono perché l’uno dice le cose avvenute mentre altro quali possono avvenire.
*Per questo Manzoni risulta, secondo lei, aristotelico e controrifomistico?
Infatti, il sior Lisander, riprendendo la lezione cinquecentesca scrive (cfr. Tutte le opere,cit, )… Perché, alla fine, cosa ci dà la storia? Gli avvenimenti, ciò che gli uomini hanno compiuto. Ma quello che hanno penato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i lor progetti e i loro scacchi, i discorsi coi quali hanno fatto prevalere i loro successi, con cui hanno tentato di fare prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni, su altre volontà, coi quali… hanno rivelato la loro personalità, tutto questo…la storia lo passa sotto silenzio …
* L’autore di Promessi sposi caratterizza, dunque, come Teofrasto discepolo di Aristotele, oltre che di Platone, come Orazio , come la scuola cristiana alessandrina, simbolica, come i cinquecentisti e come La Bruyère-tutti uomini tesi a fini politici, morali e e religiosi – dimostrando magistrale perizia tecnica?
E’ possibile che tramite la Bruyere e Degola, il sior Lisander, assiduo uomo di teatro, a Parigi e a Milano, ha appreso l’arte della caratterizzazione con descrizione e fine penetrazione psicologica e gusto del pittoresco. Anche se non si conosce la reale mediazione di Jean de la Bruyère e del suo libretto aureo – che, comunque, non è un trattato di etica, ma piuttosto un repertorio retorico di vizi e difetti ad uso dei poeti comici- in cui ciascun Carattere inizia con una definizione tratta da Aristotele/Teofrasto – ma esprime nella singolarità e tipicità caratteriale, uno spettacolo teatrale, che offre un efficace spaccato della vita quotidiana nell’Atene del IV secolo a.C.- prototipo delle piazze milanesi e parigine- con la brulicante folla del mercato, le botteghe, i bagni pubblici, in un tentativo di evidenziare un’atemporale, universale, reale commedia umana, in cui le miserie sono ridicole piuttosto che pericolose e i personaggi, se peccano contro l’educazione e il buon gusto più che contro la morale, hanno, come unica sanzione del vizio, il riso del pubblico. Il suo romanzo è pieno, di personaggi minori caratteristici, Io e i mei compagni abbiamo ben impresso nella mente la figura della madre di Cecilia- Promessi sposi,cap.XXXIV – e quella del padre di Lodovico –ibidem, cap.IV .
Ti ricordi ancora della madre di Cecilia, una donna che addolcisce perfino la disumanità della morte, in un contesto di peste, che, pur conscia della sua imminente fine, compie gesti materni nel suo compito funebre per la figlia, commovendo il turpe monatto, accettando la propria sorte e andando oltre la provvida sventura, in una contrapposizione dell’ordine civile rispetto al caos derivato dal male naturale? Rammenti i segni del padre di Lodovico, mercante parvenu, che si vergogna del proprio mestiere che pur lo ha arricchito e che “Fece educare il figlio nobilmente, secondo la condizione de’ tempi, e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini, gli diede maestri di lettere e d’esercizi cavallereschi; e morì, lasciandolo ricco e giovinetto, tanto da innescare nel figlio abitudini signorili che lo facevano risultare uomo di stato controverso, con l’arroganza nobiliare indebita e con la remissività popolare,- qualità che possono sopravvivere solo in un francescano cappuccino, forte del suo ordine, povero, ma ricco di speranze e di aneliti repressi di rivalsa e di ribellione-! Patetica la condizione di chi nasconde la verità perché il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli comparivano sempre nella memoria , come l’ombra di Banco a Macbeth! la precaria instabilità caratteriale è svelata dall’ordine di non invitare più a pranzo il povero mangione che si è lasciato sfuggire la frase “fo l’orecchio del mercante” in un contesto di spensierata allegria, conviviale. Il Manzoni, gentiluomo, insiste nel segnare l’atteggiamento popolare proprio di chi vuole nascondere il proprio stato di vile mecanico, ricordando e celiando che “il vendere non è cosa più ridicola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava, l’aveva pure esercitata per tant’anni, in presenza del pubblico, e senza rimorso!.
*Il sior Lisander, professore, ha seguito bene i saggi consigli della madre Giulia, figlia di Cesare Beccaria, ha ereditato molto dal conte Imbonati, ha sposato Enrichetta Blondel, ricca calvinista, ed ha un capitale che assicura, senza servile sudore, benessere familiare tanto da poter predicare impunemente ideali nazionalistici ed aprirsi alla compartecipazione dei borghesi milanesi, con inviti alla solidarietà ai fini di movimenti antiaustriaci, in linea coi moti patriottici carbonari e mazziniani del 1821,1831 e 1848! Ora capisco qualcosa. Lei mi ha spiegato il termine heimarmene e la visione razionale del kosmos con la funzione dell’ uomo, lette per necessità ,in modo ineluttabile, evidenziando come gli stoici in epoca severiana, mostrarono la phusis collegata alla necessitas e alla causalità, seppure in una doppia dimostrazione ( o che non era possibile che esistesse un evento senza causa (sarebbe stato come dire che derivava da nulla-ex nihilo!) e quindi si ammetteva il non essere, oppure che tutta la phusis (to pan-kosmos e to olon universo ) aveva un causa come proton toon protoon, pur ammettendo che la necessitas, pur causa prima non impedisca, comunque, che esistano cose che dipendano da noi, di cui noi siamo responsabili). Una tale impostazione deterministica –non certamente e sicuramente stoica, data la mancanza di fonti reali stoiche, è criticata dai Peripatetici,- quando già entrano in crisi il militarismo romano, la societas e l’oikonomia finanziaria stessa imperiale in epoca severiana-che, essendo antideterministici, dànno rilievo massimo alla libertà decisionale in situazione, effettivamente operativa, pur sulla base stessa che tutto ha una causa con la precisazione che, però, non tutto è necessario e che bisogna operare sulle cause naturali di Aristotele, dettate nel periodo della formazione del Liceo e del rilievo effettivo del suo pensiero decisionale causale, naturale, divulgato con la koinh dopo la conquista dell’impero persiano di Alessandro Magno. Mi sembra che l’insegnamento aristotelico, comunque, possa essere utile ancora per un Stato laico aconfessionale, come sono le nostre attuali democrazie europee, che riconoscono la sovranità secolare statale e quella cristiana cattolico-protestantica a seconda dei credi, ora da allargare anche agli islamici, che se sono integrati hanno diritto a partecipare della nostra stessa civiltà : urge solo rilevare il valore della filosofia della natura e fare la scelta tra la visione del mondo come intreccio causale necessario di eventi o come un mechanismos/mechanhma, in cui la pracsis umana, autonoma ed indipendente da pregiudizi morali e sentimentali, possa liberamente optare per una causa secondo una personale decisionalità, pur nella coscienza di un’operazione cristiana originaria religiosa, fatta dalla cultura alessandrina aristotelico-cristiana alla fine dell’ impero di Alessandro Severo.
Bravo, bravissimo Marco! Ora sei davvero un critico del realismo manzoniano!,
*Sono contento, professore, che lei veda i progressi dal piano sintetico a quello critico e che rilevi un linguaggio nuovo, basato sul sintagma predicativo, con volontà di trascurare aggettivo e avverbio equivoci e pericolosi nelle affermazioni o negazioni, usati dal Manzoni , seppure magistralmente, anche se raddoppia i termini, facendo storia-quella del Seicento prototipo di quella ottocentesca, storia dei grandi e storia degli umili, vero storico e vero poetico, verisimile e verosimile, vero poetico e vero teologico.
Marco, cosa mi vuoi dire?
*Voglio dire che, così facendo, Manzoni falsifica e non fa storia, ma storia cristiana, come se l’uomo fosse solo quello cristiano, bianco, razionale, nobile , europeo, cedendo a qualche condiscendenza …verso la borghesia: la sua coerenza naturale e teologica, in nome di un Dio pater provvidente che sa trarre dal male il bene, è …selettiva, tipica di un maestro cristiano, che non ha ben compreso il processo scientifico materialistico…universalistico!
Marco, se tu non fossi ingegnere e fossi stato un insegnante, ti saresti comportato come me. che nell’ottobre del 1967, quando entrai al Liceo classico – già di ruolo alle Medie- con nomina triennale spodestando un professore- sacerdote che, per dare coerenza ai suoi alunni, faceva usare, nei temi, l’anadiplosi, come catena logica! Allora, misi una serie di 4, per togliere la cattiva abitudine della catena lessicale e per portare l’allievo, mediante paradigmi operativi, alla pertinenza conclusiva per ben altra via, con un diverso sistema linguistico.
*Certo, ora avrei fatto la stessa cosa: non è con la ripetizione di termine mediante una catena lessicale che si ha coerenza logica! si procede mediante argomentazione dopo molti esercizi circa la nominalizzazione, circa l’enucleazione semplice, quella composta e quella complessa, dopo dichiarazione e formulazione sintetica del proprio pensiero: io sono stato ormai educato con paradigmi operativi, dopo che lei ci impose di non usare più il raddoppiamento di termine, che noi ragazzi avevamo appreso nella Scuola media!
Marco, mi posso dire fortunato! avrò forse qualcuno che seguirà il mio lavoro… ignoto!
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