Ho fatto tutto quello che ho fatto, prima. guardando, esaminando e studiando ogni struttura minima del sistema ammirato, poi. facendo esercizio, sbagliando, rifacendo, autocorreggendomi in un continuum ripetitivo, inesauribile, con lo skopos della perfezione teleioosis, più sul piano utilitaristico che su quello ornamentale, infine. accontentandomi di quanto so fare ed è nelle mie possibilità fisico-tecniche artigianali, come risultanza tuzioristica, seria, di un povero uomo, di una creatura mortale, senza dogmatismi.
Morte di Mariamne
Flavio scrive: era donna ottima per padronanza di sé e magnanimità, ma aveva il difetto dell’intemperanza e per natura propendeva alla lite, data l’ambiziosa volontà di prevalere (Ant Giud., XV,237).
L’autore mostra, da una parte, l’educazione/paideia aristocratica liberale, la cui nobiltà ha il pregio dell‘egkrateia e della megalepsuchia e, da un’altra, la naturale mancanza di to epeikes, congiunta col carattere di persona propensa al voler sempre vincere/ to philonikon.
Lo storico, dunque, sottende in questo giudizio la formazione liberale di una donna di famiglia regale e la presenza di precettori therapeuontes, che creano la base di una cultura aristocratica, collegata con gli studi enciclici, sviluppante parrhesia/ la libertà di parola, connessa con la coscienza di nobiltà che si esprime nella moderazione e nella munificenza perfetta, nel clima di fortuna familiare, ma inadeguata e nefasta in caso di cambio di sorte e perdita di potere.
Infatti ta egkuklia comprendono, oltre i diritti comuni di tutti i politai, il corso di scienze e di arti (mathhmata) che ogni cittadino libero deve compiere, prima di entrare nella vita civile e fare parte della società politica.
Essendoci stato l’avvicendamento tra gli asmonei e gli erodi ad opera dei romani -che, avendo vinto i Parthi (precedenti legittimi elettori, considerata la supremazia nell’area eufrasica del re dei re), hanno ora il diritto di dare la basileia ad uomini di fiducia- Alessandra, superstite filoparthica, è a corte sopportata più per il matrimonio di Mariamne con Erode che per il valore della stirpe, ormai senza ricchezza e senza cariche, con il solo nominale prestigio.
Ora la famiglia asmonea, in una tale nuova situazione, avrebbe dovuto studiare una strategia per sopravvivere e per passare indenne tra i pericoli di una corte, in cui predomina l’elemento filoromano, di cultura idumea e nabatea, in relazione alla prima moglie di Erode, Doris – di cui non si sa neppure se vive nello stesso ambiente, seppure in posizione secondaria, rispetto all’altra nuova moglie, – col proprio figlio Antipatro, coccolato certamente dalla nonna Cipro e dalla zia Salome, partecipi, pur donne, del consilium principis.
Invece Mariamne e la madre disdegnano perfino il contatto con le donne della famiglia del re, che agli inizi, fresco sposo e nuovo re, è innamorato della moglie, la quale non dà per quasi un anno e mezzo segni di maternità.
La giovane sposa, che è molto legata alla storia della sua infelice famiglia, poi, piange la morte del fratello, si lamenta di essere sorvegliata con la madre da Giuseppe, vivendo, in assenza del marito, un delicato momento tra dolori, ansie, incertezze, sobillata ed aizzata da Alessandra – che si sente ancora legittima regina e non ha la coscienza di essere diventata suddita del genero, nonostante le umiliazioni e le continue sconfitte- ed è sempre mal vista e non accettata dal clan idumeo, fin dai primi mesi di matrimonio, che l’accusa di sterilità.
Per una donna di nobile nascita, che, pur amatissima dal marito, risulta subito cattiva, per il suo carattere arrogante e liberale, non è facile mantenere il controllo di fronte a gente più matura che provoca ad arte, che paga cortigiani per farla esplodere in una comunicazione superba con espressioni alterate di disprezzo verso la stirpe inferiore degli idumei, più abile nel litigio – Ant Giud XV,237-.
E’ probabile che Mariamne , esacerbata e provocata, abbia detto quanto poi dicevano i suoi figli, Alessandro ed Aristobulo, venti anni dopo, ad Antipatro, figlio primogenito di Erode, che insieme a tutti gli altri erodiani, ostacolavano i loro diritti alla successione, cioè di fare diventare scritturale di villaggio ogni idumeo di corte in relazione allo stato presente e all’educazione ricevuta -Ant giud, XVI, 203-.
Mariamne, nella sua guerra privata con le donne idumee alteramente le invita a deporre gli abiti regali e a mettere gli stracci come divisa di una professione servile.
Lo storico, dunque, considera Mariamme una donna cattiva perché viziata dall’educazione regia impartita dalla famiglia, asmonea, secondo le regole della basileia ellenistica e quindi la giudica colpevole in quanto incapace di venire a patti con la realtà di una corte idumea e nabatea illegittimamente regnante, di origine certamente non nobiliare, ma neanche plebea, perché ricca e benestante secondo la logica arcaica tribale mesopotamica.
Per lo storico Mariamne è ancora di più resa kakh dal marito che, adorandola, l’autorizza ad essere regina e a comportarsi in modo scontroso a seconda dell’umore, non solo con i cortigiani e con i parenti acquisiti- specie con la madre e con la sorella del re- ma anche con lui in quanto lo vede suddito d’amore e ritiene che mai da lui potrebbe avere una qualche reazione irrazionale ed imprevista, dato l’innamoramento, e tanto meno subire un qualcosa di grave o avere la paura di affrontare un minimo pericolo.
Forte di avergli dato altri quattro figli, dopo la nascita desideratissima del primo maschio nel 35, la regina impone una dittatura più sul re che sulla corte: la sua indiscussa bellezza fisica e la nobiltà comportamentale -Ibidem 237 – sono baluardo e difesa insormontabile di una donna razionalissima ed anaffettiva davanti ad Erode, re sentimentale, passionale, acquietato sessualmente, a precise scadenze!
La donna non conosce, però, la perfidia della stirpe né la natura di Erode, suo marito, la sua ambizione, pertinacia, arrivismo e opportunismo, la megalomania -Ant Giud., XVI, 150-159.
Erode è altalenante nella furia sentimentale, capace di innalzare alle stelle ma anche di gettare alle stalle quanto ha di più caro e sacro, feroce nella determinazione barbarica e quindi funesto nell’ira improvvisa, nonostante la coscienza dei sicuri pentimenti e dell’incapacità di vivere senza Mariamne.
Nei casi di cecità assoluta e di irrazionalismo bestiale non c’è freno per Erode ed allora non serve né bellezza né nobiltà: alla bia non c’è rimedio!
Ho voluto precisare questo aspetto in quanto ho letto il rimprovero di Alessandra verso la figlia bollata come kakhn kai akhariston nei confronti del marito.
I due aggettivi si completano nel ritratto di persona scaduta dai canoni della rettitudine di comportamento della basileia in quanto la kakia/cattiveria indica uno status di decadimento volgare di un’ aristocratica rabbiosa coi populares, mentre l’akharistia connota l’ingratitudine nel rapporto con un uomo innamorato e disponibile ai capricci di una moglie giovane, definito euergeths.
Alessandra, infatti, rileva, in una situazione di gravissimo pericolo anche per lei, depressa, che secondo l’etica regale, in relazione al rapporto tra moglie e marito, sua figlia subisce cose giuste per siffatti atti audaci e temerari/ dikaia paskhein epi toioutois tolmhmasis dicendo che ou gar ameipsasthai deontoos toon pantoon autoon euergeths/ non c’è modo di contraccambiare adeguatamente un benefattore grandioso.
La regina afferma che la figlia non si è comportata in modo conforme all’educazione ricevuta, i cui cardini sono agathia ed eukharistia, avendo lei compiuto atti temerari ed osato eccessivamente, approfittando della generosità del marito euergeths: la madre condanna così a morte la figlia e la insulta! C’è ostentata teatralità al fine di un calcolo personale e politico, per salvaguardare egoisticamente se stessa e dissociarsi dalla condotta della figlia, in una connessione improvvisa con l’opposto clan idumeo, da sempre ostile!: a tanto porta la paura della morte, anche in un animo nobile!
Mi è sembrato necessario, prima di riprendere la narrazione precisa dei fatti del Bios del grande Re, fare questa premessa alla morte di Mariamne, sia per comprendere la donna ventottenne, nel suo pieno fulgore di bellezza, che Alessandra, domina di circa 45 anni, maturata nel dolore e nella rabbia repressa di vittima rispetto al fortunato genero, protetto da Dio, in quanto politicamente sconfitta.
Secondo Flavio, Erode, tornato dal suo viaggio trova la corte divisa tra le donne asmonee – sempre più convinte di dovere predominare, ( la madre per la sua alterigia regale, la figlia. oltre che per la nobiltà, anche per l’ascendente che ha sul suo uomo, conosciuto nella sua passione amorosa e nel suo sentimento)- e le idumee agguerrite per i successi del parente.
Il pettegolezzo è una norma nelle corti, ma in quella di Erode ha maggiore rilievo perché i due gruppi si odiano profondamente e cercano un motivo per fare esplodere il rancore represso dall’una e dall’altra parte.
Per fortuna di Erode la situazione non precipita e resta inalterata per un mese dal momento del suo ritorno.
Un nuovo evento attira i cortigiani, divisi nella gioia alcuni e nel compianto gli altri: la vittoria di Ottaviano e la morte di Antonio e di Cleopatra.
Erode si è barcamenato nei litigi tra le due partes, sopportando e mitigando le opposte richieste delle due famiglie, rimanendo in una posizione di moderata tolleranza ed ora partecipa alla festa per la vittoria del suo nuovo patronus, anche se in cuore suo è turbato ed ha molti motivi di rimpiangere il povero Antonio.
La convocazione in Egitto da parte dell’ autocratoor è, comunque, una liberazione e risulta un lieto evento, che lo libera da quel covo di vipere, che è la sua corte.
Si dovrebbe essere intorno alla fine di settembre del 30, quando ancora Ottaviano va alla ricerca di Cesarione. Flavio scrive che Erode allora si affrettò ad incontrare Cesare e lasciò gli affari privati così com’erano.
Lo storico aggiunge: quando arrivò in Egitto, prese a discutere degli affari con Cesare con una maggiore libertà come un vecchio amico, e gli furono concessi favori molto grandi (Ibidem 217).
Erode , dunque, avendo stabilito a Rodi buoni rapporti diplomatici con Ottaviano, è rimasto in relazione con lui tramite messaggeri e lettere e perciò, diventato amico philos, si comporta nel parlare con maggiore libertà /metà pleionos parrhsias eis logous .
Si sa che Ottaviano regalò quattrocento galati, che erano stati guardie del corpo di Cleopatra; gli restituì il territorio che gli era stato tolto a causa di lei, aggiungendo, inoltre, al suo regno Gadara, Hippo, Samaria, e Gaza marittima, Ioppe e Torre di Stratone (Ibidem) .
Non si sa quanto tempo il re rimanga in Egitto, ma non sembra molto perché Ottaviano parte da Alessandria a metà ottobre.
Flavio sinteticamente scrive: Avute queste cose ed accompagnato Cesare fino ad Antiochia, ritornò indietro e quanto più felicemente faceva le cose fuori di casa, tanto più era travagliato in casa, specie con la moglie, di cui pareva che fosse stato molto felice, poiché l’amò non meno di quelli che sono famosi nelle storie d’amore.
Lo storico sottende, da una parte, un viaggio durato oltre un mese, in cui Erode scorta l’autocrator, cavalcando al suo fianco, ammirato e splendidamente vestito (lamproteros), pagando le spese del viaggio fino ad Antiochia per poi ritornare a Gerusalemme, e da un’altra mette in opposizione la felicità del viaggio nel rapporto con estranei col travaglio in casa a causa dei contrasti coniugali, nonostante un gamos eutuchhs.
Flavio parla a lungo di questo matrimonio, che ha dato cinque figli (Alessandro, Aristobulo, Salampsio, Cipro ed un figlio) e che ha procurato eudaimonia ai due sposi, protagonisti di una vicenda d’amore, degna di dihghsis/narrazione!.
Lo scriba greco usa i termini dell’istoria erootos per mostrare Erode come personaggio di un romanzo ellenistico, come Dafni di Longo e come Cherea di Caritone.
Flavio (o meglio chi scrive in greco per lui!) conosce certamente il muthos erootikos, fiorente come genere letterario già nel I secolo e ancora di più nel II, in quanto il suo linguaggio retorico è vicino a quello di Il romanzo di Calliroe di Caritone e forse anche alle Storie di Apollonio di Tiana di Filostrato.
Flavio scrive – Ibidem 218-: eroota gar oudenos elattoo toon istoroumenoon epeponthei metà tou dikaiou ths Mariamnhs / infatti aveva patito giustamente un passione amorosa per Mariamne non inferiore a nessuno di quelli di cui si raccontano storie.
Il termine Orgh di Cherea- che dà un calcio violento (Caritone di Afrodisia il romanzo di Calliroe, a cura di Renata Roncali Bur1996, elaktise I, IV,12) al ventre della moglie uccidendola (all’apparenza)- indica una improvvisa rabbia furiosa e potrebbe essere quella stessa di Erode che, agitato, condanna a morte Mariamne . Secondo Flavio Egli amò Mariamne secondo merito, in quanto era tra le altre cose casta e fedele, anche se aveva il difetto della naturale molestia femminile e dell’eccessiva libertà di parola, data la sua coscienza di essere la regina rispetto al civis idioths, suo suddito, per di più servo di amore, in quanto innamorato pazzo.
Infatti la donna domina il marito in quanto sa come prenderlo come maschio e come re, e lo assoggetta ai suoi voleri coram populo, davanti a tutta la corte e specie di fronte al clan idumeo e nabateo, che venera il tradizionale maschilismo, paternalismo e autoritarismo regio.
In un clima di sospetti e di insinuazioni da parte delle donne idumee – ridotte al silenzio e costrette a tramare insidie e a vedere il trionfo di Mariamne, prolifica e festeggiata ad ogni parto- passato circa un anno dal ritorno dall’Egitto, scoppia la tempesta tanto più forte per quanto è stata tenuta sotto controllo.
Il periodo, in cui si acuisce la sfida tra le due famiglie dovrebbe essere tra il gennaio del 29 a.C. ed inizio marzo del 28, un tempo di circa 14 mesi, alla cui fine Mariamne viene strangolata per ordine del marito.
La donna in questi lunghi mesi è attaccata, spiata e messa sotto osservazione dalle donne idumee, decise ad annientarla, tese a cercare il minimo pretesto per incriminarla e farla inquisire dal marito, che a sua volta è seguito da servi, da spie, da ministri che, leggendo ogni smorfia, ogni gesto, ogni comportamento per la definizione delle azioni successive, in modo da prevenirlo e da determinarne giudizio, riportano fedelmente a Salome e a Cipro ogni dettaglio, registrato.
In questo assedio Mariamne trascorre mesi, dopo che Erode è tornato da Cesare: la colpa varie volte viene velata dal re, ma poi diventa un’accusa effettiva in una precisa occasione.
Flavio (Ibidem, 222-223) scrive: Erode a mezzodì voleva riposarsi e si presentò da sua moglie, spintovi dall’amore che le portava. Entrò, ma non giacque con lei perché la donna lo cacciò rinfacciandogli la morte del padre(Nonno) e del fratello. Perciò essendo Erode molto sdegnato e disposto a punirla, Salome, sorella del re, sentito questo, mandò il coppiere regale a dirgli che Mariamne aveva preparato una bevanda- farmakon- per eccitarlo ad amarla di più.
ll servo riferisce l’accaduto e le donne, idumee – forse anche Doris e la moglie di Fasael, oltre alla vecchia Cipro- fanno scattare il loro piano per rovinare definitivamente la giovane donna, ritenendo finalmente giunto il giorno della vendetta sulla base di un filtro d’amore, di un pharmacon, come prova di un’accusa di veneficio, mista ad un ventilato adulterio.
La donna, innervosita da tante pedinamenti e da tanti rumores/ voci pettegole ed ingiuste contro di lei, onesta, è astiosa nei confronti di Erode anche lui stretto tra odio ed amore e costretto a passare da uno stato di tranquillità e ad uno di sdegno.
Il rifiuto di prestazione sessuale da parte della regina è un atto di stizza che diventa poi un’ accusa contro il re,- uccisore tra l’altro anche del nonno- che, per non reagire esce indispettito dalla camera, seguito dallo sguardo attento della servitù.
Nel complesso, comunque, il re da tempo avrebbe voluto punire l’orgoglio della moglie che ancora occupava parte dei suoi sentimenti, dopo 10 anni dal matrimonio, ma non aveva la forza di disfarsi della donna. In conclusione l’avrebbe punita volentieri, ma temeva che con la morte di lei, involontariamente avrebbe inflitto una punizione più grande a lui che a lei (Ibidem, 212).
Lo storico non è più storico ma narratore ellenistico del muthos erootos che segue i canoni delle vicende amorose dei protagonisti con intrighi di corte e con la manifestazione epiphaneia dei sentimenti più intimi di Erode, non più compos sui.
Erode è visto dilacerato tra to stugein e to stergein, tra il disgusto dispettoso-che lo fa sputare per l’odio rabbioso- e la tenerezza di un abbraccio con amoroso trasporto di innamorato, da un autore che usa l’ allitterazione di st iniziale e di g(ein) finale per evidenziare il contrasto tra odio ed amore, che sottende l’opposizione asprezza-dolcezza.
Lo scrittore legge la situazione dall’angolazione delle donne idumee, represse ed ostili, che, trovata l’occasione ottima per vincere sparlavano spettegolando/dielaloun spargendo non piccole calunnie ou mikrais… diabolais per fomentare in Erode misos omou kai zelotupian/ odio insieme a gelosia (ibidem 212-213).
La pars idumea, e specie la perfida Salome, approfitta del momento, vedendo il nervosismo nel volto stesso del re, gli invia un coppiere /oinokhoon addestrato per questa operazione, a denunciare Mariamne con molta cautela, in relazione al comportamento di Erode.
Ecco quanto scrive in discorso indiretto Flavio a proposito del filtro d’amore- pharmakon, che fa scoppiare la tempesta, tenuta a lungo sotto controllo (ibidem224):
Se il re ne fosse turbato e chiedesse che tipo di bevanda fosse, dicesse… Pharmakon, che ella aveva chiesto di dare al re, ma se non si turbasse, non gli dicesse altro perché Mariamne non era in pericolo.
Detto questo, lo mandò a parlare ad Erode. Costui facendo finta di parlare di cose importanti affermava che Mariamne gli aveva dato del denaro perché gli somministrasse una bevanda affinché l’amasse di più. (Ibidem, 225)
Il coppiere è uomo ammaestrato da Salome a seguitare solo se vede Erode partecipe della rivelazione a seguito del termine pharmakon – equivoco, anche per la sospensione (dopo legein…) presente nel testo, come significato in greco in quanto vale cosa giovevole o malefica, in relazione al contesto -: il re era commosso ed eccitato e, quello seguitò a dire che era pharmakon ciò che lei gli ordinava di dare, ma non sapendo il suo effetto, lo aveva manifestato a lui affinché gliene mostrasse gli effetti.
Erode, allora, fa chiamare l’eunuco/ eunoukhon di Mariamne, il più fedele, quello senza il quale la donna non fa niente ed ordina di torturarlo.
Perciò il re, che prima era furibondo, udite queste cose, divenne molto più turbato, tormentava l’eunuco che era fedelissimo a Mariamne per sapere del pharmakon, sapendo bene che tale cosa non poteva essere procurata senza di lui.
L’eunuco, che era partecipe dei segreti, non disse niente del farmaco, ma manifestò che l’odio rancoroso/ ekhthos derivava da quelle cose che aveva detto Soemo (ibidem 227).
Il sentire nome di Soemo, unito a quello della moglie, fa impazzire Erode, che mentre ancora l’altro, torturato, sta parlando, sbraita e grida che Soemo era stato sempre fedelissimo a lui e al regno e mai avrebbe dovuto tradire le sue istruzioni, a meno che non avesse spinto troppo in là la sua intimità con Mariamne ( Ibidem 228).
L’uso del verbo proerkhomai (che vale vado avanti, progredisco, faccio passi avanti gradatamente in un discorso o in una comunicazione) fa pensare che Flavio indichi che Soemo abbia tentato approcci personali, durante la sua assenza, con Mariamne in quanto aggiunge ulteriormente paraiteroo (comparativo assoluto di pera), che significa troppo avanti (troppo oltre) nel rapporto comunicativo.
Insomma le donne idumee fanno sospettare Erode che la moglie possa averlo anche tradito con Soemo (c’è un figlio, senza nome, tra i figli di Mariamne!).
Erode, esagitato, comanda che Soemo sia arrestato ed ucciso immediatamente, ma riserva un diverso trattamento a Mariamne e perché consorte e perché asmonea, temendo il giudizio di romani, presenti a corte e l’odio popolare.
Flavio dice: concesse alla moglie un processo/crisin, dopo aver riunito gli uomini più vicini a lui e presentò un’accusa ben formulala e dettagliata contro di lei su filtri e su farmaci, allestiti da lei (ibidem, 229). Erode, in quanto sovrano assoluto, nominato da Roma, ha autorità completa nel suo regno e non deve giustificare la sua azione: questo aveva sancito Antonio davanti a Cleopatra, a Laodicea, affermando che ogni re è libero nel suo regno, altrimenti che re è!
I presenti e i suoi consiglieri, formanti il suo consilium principis, pur edotti giuridicamente, emettono sentenza di morte contro ogni tradizione giuridica, specie quella ebraica mosaica (cfr. Il giudice di Filone alessandrino) impauriti a causa dell’agitazione di Erode e delle sue violente escandescenze.
Flavio così scrive, quasi per correggere l’immediata illegittima condanna, a seguito di una pacata riflessione: Dopo la sentenza e a lui e ad alcuni presenti sembrò bene non dover procedere con troppo fretta alla esecuzione, ma di rinchiuderla in una delle fortezze del regno.( Ibidem, 230).
Il consiglio, in un momento di calma, persuade probabilmente il re rientrato in sé, a non avere fretta nell’eliminazione di una donna a lui cara – della cui mancanza potrebbe soffrire, dato l’intenso amore ancora palese verso di lei -.
L’intervento di Salome, – che è tra i consiglieri del re insieme ad altri membri della sua famiglia – decisa a mettere a morte la regina, risulta un avvertimento politico per il fratello – che deve temere i sudditi aramaici finché vivono gli asmonei, loro legittimi sovrani – convince Erode della necessitas della immediata morte di Mariamne.
La mia traduzione di Flavio in discorso diretto rende bene la malvagia intenzione di Salone che impone di fare eseguire la sentenza, se vuole regnare senza rivolte: se lei rimane in vita, guardati dalle insurrezioni del popolo/tas tarachas tou plethous!.
Flavio descrive, infine, lo spettacolo della morte di Mariamne mostrando la commozione generale della corte, senza cenno ad Erode, la serenità della regina, che va a morte conforme alla sua paideia regale e per contrasto la metanoia improvvisa, imprevista della madre Alessandra, anch’ essa accusatrice.
E’ una dihgesis drammatica, lunga ( Ibidem 232-239), retorica e tecnica, propria di uno buon scrittore ellenistico, che segue la fonte di Nicola di Damasco, uomo presente a corte come therapeuoon di Alessandro ed Aristobulo, i piccoli figli di 8 e 6 anni .
I termini usati, specie per mostrare il cambiamento improvviso di Alessandra, -che presa da phobos (sotteso, non esplicito nel testo), si accinge a recitare la parte di accusatrice per salvare se stessa, cosciente che su di lei incombe ora la morte, dopo le parole di Salome- segnano i momenti significativi della tragedia asmonea e della madre e della figlia.
In effetti i termini rivelano il tracollo psico- fisico di Alessandra, fino ad allora spietata antagonista di Erode per la supremazia, nonostante le sconfitte, con l’esplodere dell’egoistica volontà di vivere, come istinto di sopravvivenza, nel balzare su, da isterica, /ekpedhsasa e nel rinfacciare/ loidoroumenh alla figlia la non conformità di vita rispetto all’educazione ricevuta, proprio lei, che con un comportamento indecoroso vuole ingannare da commediante / kathupokrinasthai askhhmonos gli altri cortigiani.
La donna suntheoorhsasa ton kairon, studiata attentamente e razionalmente la situazione, venutagli meno la forza di combattere all’improvviso, come spossata, crolla per paura, e cambia strategia istantaneamente e passa dalla parte del vincitore e si accanisce contro la figlia condannata, delle cui azioni lei è certamente correa, Lo spettacolo è indecente, indecoroso, vergognoso davanti alla corte di idumei, di aramaici, di romani, di cortigiani e di servi, da parte di un regina madre, indegna di una figlia condannata a morte, silenziosa e dignitosa nell’avviarsi al luogo dello strangolamento.
I termini tecnici usati da Flavio segnano i momenti salienti della tragedia di due infelici donne, da cui una esce sublimata, anche se morta, l’altra, distrutta moralmente, pur rimanendo viva.
Flavio (ibidem,232) spiega: vista la situazione e avendo ben poca speranza di sfuggire ad un trattamento simile da parte di Erode, cambiò la sua attitudine in una maniera sconveniente, in modo opposto alla sua precedente arroganza/enantioos pros to prooton thrasos lian aprepoos meteballeto.
Dopo l’esame dalla sua angolazione dei rapporti sbagliati della figlia col marito, giunge a compiere atti indegni, oltraggiandola e strappandole i capelli – Ibidem234 –
Flavio aggiunge mettendo in contrasto tramite men e de il comportamento della madre e della figlia, seguendo il giudizio unanime degli spettatori : pollh men oos eikos, kai para toon alloon h katagnoosis hn ths apreppous prospoihseos, mallon de enephanh par’auths ths apollumenhs/c’era molta disapprovazione con condanna, come era naturale, da parte degli altri, di tale indecorosa simulazione mentre da parte della condannata apparve la dignità…
Ed infine, secondo lo scrittore, Mariamne, senza pronunciare una parola, senza mostrare turbamento davanti alla sceneggiata, dimostra fermezza di spirito, nonostante il vergognoso comportamento materno.
Flavio, nella conclusione, anche se tende a fissare il significato del silenzio, unito alla sprezzante nobiltà del carattere di Mariamne, chiusa in sé, crea la tipologia della martire (utilizzata poi dai cristiani), che davanti al tiranno sacrifica la propria vita: andò a morte calma, intrepida, senza cambiare colore e fino all’ ultimo diede manifesti segni della sua nobiltà a chi la guardava.