La Giudea e Licinio Crasso
Nel 54 Siria e Giudea si trovano ancora in una situazione di stasis di rivolta a causa dei lesthai, di zeloti, cioè di partigiani che cercano in tutti i modi di liberarsi dall’invasore romano, favoriti da elementi parthi, contenuti e frenati da Hircano e da Antipatro, che pur essendo solidali con i farisei e contrari ai sadducei, comunque, subiscono il prepotere romano, a cui devono collaborare, data la superiorità delle forze militari, in attesa di eventi favorevoli.
Il triumviro Licinio Crasso, giunto nella provincia assegnatagli, svolta la sua azione politica e militare in Siria, sentito il rapporto di Gabinio, dopo essersi congiunto con la cavalleria gallica inviata da Cesare, viene in Giudea e come ha fatto con i sacerdoti dei templi siriaci, ora impone tributi ai sacerdoti del tempio gerosolomitano, avendo bisogno di denarii per i reclutamento di auxilia.
Nei primi mesi del 53, secondo Flavio (Guerra giud., I, 179), mette le mani su tutto l’oro del tempio e prende anche i 2000 talenti che Pompeo non ha toccato.
In Antichità Giudaiche XIV,105-111 si dice: Crasso, andando con l’esercito contro i Parthi, giunse in Giudea e prese quei due mila talenti, che Pompeo non aveva toccato, oltre il restante oro di circa ottomila talenti e portò via anche il trave d’oro girevole, che pesava trecento mine.(la mina presso noi è di due libbre e mezza).Gli diede questo trave il sacerdote tesoriere Eleazar non per malvagità in quanto era uomo giusto e probo, ma perché era custode dei veli del tempio, che splendevano per mirabile bellezza e per ricami artistici, pendendo da questo trave. Avendo visto Crasso intenzionato a raccogliere tutto l’oro del tempio temendo che potesse prendere anche gli ornamenti gli diede il trave d’oro per recuperare tutte le altre cose facendogli giurare che non avrebbe preso niente altro dal tempio, ma che si sarebbe accontentato dell’oro da lui datogli, che avrebbe trovato del peso di molte migliaia di libre. Era questo trave circondato da un altro pezzo di legno, per cui era nascosto a tutti e il solo Eleazar lo conosceva. Ma Crasso, anche se aveva giurato di non prendere altro oro dal tempio, dopo aver avuto il trave, divenne spergiuro e prese tutto l’oro del tempio.
La spiegazione che Flavio dà per dimostrare la ricchezza del tempio è utile da una parte per comprendere, dall’angolazione aramaica l’azione sacrilega di Crasso, che ha ingannato il tamias e che ha spergiurato e, da un’altra , le ramificazioni e i rapporti e le connessioni di sangue di lingua e di cultura, che ci sono tra Gerusalemme, centro del giudaismo e le colonie di giudei sparsi per il mondo sia romano che parthico: Nessuno si deve meravigliare che tante ricchezze fossero nel nostro tempio perché i Giudei, che abitano in tante e diverse terre in Europa e in Asia, onoravano Dio e gli facevano offerte da tempi antichi. Non mancano testimoni dell’enormità di queste ricchezze né siamo mossi da vanità nell’ostentazione.
Dunque, Flavio sottende la precisazione che i giudei di Parthia sono un milione, e che sono confratelli tenuti a vendicare l’offesa fatta al tempio insieme ai giudei che, pur dovendo seguire con la forza il dux romano, sono però per fede impegnati a boicottare l’impresa di un uomo di menzogna condannato a morte tanto da essere considerato morto vivente, perché ha la condanna di Dio su di lui.
Depredare il tempio è l’ errore politico maggiore di Licinio Crasso, uno scelus, che gli costa la sconfitta e la vita: ogni aramaico, convinto della santità della guerra antiromana, ha Dio al suo fianco mentre combatte contro l’esercito di Crasso!.
Il dux, così facendo, ha scatenato un inferno intorno a sé: tutti i giudei dell’impero romano, -compresi i filoromani, moderati, Hircano ed Antipatro e gli stessi sadducei- si sentono svincolati dall’obbligo di fedeltà a Roma e si coagulano con i fratelli di Parthia nella guerra comune religiosa con il nemico romano.
Anche gli ebrei di Osroene ed Agbaro sono fedeli al tempio come molti adiabeni, armeni, mesopotamici, che oltre tutto dominano con i loro battelli la via fluviale.
Licinio Crasso ha nemici anche tra gli amici e le guide, quando passa l’Eufrate con le sette legioni e con altrettante truppe ausiliarie.
La stessa figura di Agbaro , che per Cassio Dione (St.Rom.,XL, 16-30) è un traditore, come anche per Plutarco (Crasso, 21-22) gli storici rilevano l’abilità oratoria, la scaltrezza araba senza mostrare i rapporti con Surena e lo stesso re dei re, Orode, e il personaggio è da studiare nella millantata amicizia col benefattore Pompeo e nei riguardi degli ebrei dell’esercito romano, sulla base dell’aspetto aramaico e religioso: allora l’anhr doleros kai palimbolos/ uomo falso ed infido, colpevole della rovina di Crasso assume un altro valore e diventa simbolo, seppure ambiguo, del patriottismo aramaico.
Strategicamente, comunque, Crasso non cura il piano di Cassio, suo questore e segue invece il principe arabo Agbaro, aramaico, che poi passa al nemico.
Inoltre il percorso- fatto da Crasso, quello delle vie commerciali arabe segnate da cisterne, proprio delle carovaniere con cammelli- non è adatto per un esercito che deve attraversare il deserto prima di giungere nella vallate del Belik per raggiungere Seleucia, città posta a sud.
Inoltre la via è piena di ebrei di lingua aramaica non certamente favorevoli ai romani ed informatori per il comandante Surena,capo del quale si conosce la nobiltà di stirpe, ma non la religione.
Insomma l’esercito di Crasso va verso zone dove la cavalleria catafratta può mostrare tutta la sua potenza, di cui i milites hanno una terribile paura.
Plutarco (Crasso, 18) narra che Crasso promette un’impresa consistente in lunghe marce e nell’inseguimento di uomini che non vogliono impegnarsi in battaglia a soldati terrorizzati dalla presenza dei cavalieri catafratti: a quegli uomini non c’era modo di sfuggire quando inseguivano e d’altra parte quando fuggivano erano irraggiungibili; il loro apparire era preceduto da frecce alate che perforavano tutto, prima che si scorgesse chi le aveva lanciate, le armi poi dei cavalieri corazzati penetravano dappertutto ma erano impenetrabili ai colpi altrui.
Nonostante lo scarso morale di soldati, Crasso attacca battaglia convinto da Artavaste re degli Armeni, succeduto a Tigrane spodestato da Pompeo, giunto con 6000 cavalieri – con cui forse fa un cambio di direzione verso nord.
Al primo vero attacco parthico l’esercito romano si sfalda e,
nonostante il valore del figlio Publio, Crasso è sconfitto vicino Carre nella primavera del 53 a.C..
Flavio in Guerra giud., I, 8,8 e in Antichità Giud., XIV 119, in modo scheletrico e riassuntivo dice: trovò la morte lui e il suo esercito.
Per lo storico giudaico questa è la sorte meritata dal triumviro.
Flavio, Plutarco e Dione Cassio sono concordi nel mostrare la situazione post bellica molto difficile per i romani: Armenia Siria e Giudea sono in fibrillazione e le staseis sono continue mentre i parthi, ora baldanzosi, sconfinano e invadono a più riprese, ad ondate, terre romane.
I parthi, dopo aver conquistato tutta la zona ad oriente dell’Eufrate perché la Siria non ha né comandanti né soldati, (Cassio Dione,St.Rom., XXX,28) e penetrano nell’interno.
In effetti è giunto là Cassio Longino superstite della sconfitta e con le forze a sua disposizione respinge i non molti parthi, che hanno invaso la regione.
Su Cassio lo storico Cassio Dione dice: A Carre aveva rinunciato al supremo comando offertogli dai soldati per odio che nutrivano per Crasso e che lo stesso Crasso- senza mandato– era disposto a cedergli in considerazione della disfatta; egli venne a trovarsi per forza delle circostanze a capo della Siria in quel momento e poi anche in seguito.
Aggiunge poi che riesce a sconfiggere un nuovo gruppo di parthi giunti fino ad Antiochia, guidati da Osace, –ma è già presente il giovane Pacoro figlio di Orode-: essi avanzano perché i romani non hanno forze sufficienti per contrastarli ed anche perché le popolazioni odiavano il potere dei romani ed erano ben disposte verso di loro in quanto confinanti ed affini per stirpe (ate kai geitonaskai sunhtheis sphisin ontas)
La guerra dura fino al 49 – consoli Marco Marcello e Sulpicio Rufo-per tutto il tempo del mandato di governatore di Marco Calpurnio Bibulo che cerca di mettere i parthi gli uni contro gli altri, dopo essersi guadagnato l’amicizia del satrapo Ornodapate che con l’aiuto di Pacoro marcia contro il re dei re Orode (St. Rom., XL ,30)
Il tanto denigrato Bibulo nel consolato con Cesare, risulta invece un buon governatore di provincia!
La situazione non è controllabile neanche in Giudea, dove Antipatro, nonostante il suo militarismo e la sua inclinazione aramaica, ben conscio della potenza romana, frena ogni eccesso ed attende l’occasione, da opportunista eukairos, propizia.
Comunque, negli ultimi dieci anni i parthi sulla scia della vittoria sconfinano in continuazione e occupano punti chiave del confine siriaco, e si posizionano a ridosso del corso dell’Eufrate avendo la solidarietà delle popolazioni contigue, specie di Armenia, di Osroene e di Adiabene: essi aspirano a ricostituire il regno achemenide e a raggiungere le rive del Mediterraneo.
La guerra civile tra Cesare e Pompeo e poi quella tra i cesaricidi e gli anticesaricidi sembrano favorire il sogno di Orode e di suo figlio Pacoro, convinti che sia il tempo giusto di un’invasione del territorio romano.
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