Antipatro e Cesare
Antipatro è un pompeiano, che esegue gli ordini di Cornelio Scipione, il suocero di Pompeo – che ha sposato nel 50 sua figlia Cornelia – governatore di Siria nel 49 a.C.. che è tenuto sotto controllo da gruppi cesariani, una legione di Cassio Longino e due legioni di Gneo Domizio Calvino.
Non è facile vivere nel corso di una guerra civile: alla vittoria iniziale di Durazzo pompeiana, segue dopo scaramucce, il disastro di Farsalo con la netta vittoria dei cesariani.
Finché Antipatro è nell’incertezza della vittoria finale, non è possibile alcuna azione ed inoltre è costretto a fronteggiare di nuovo Aristobulo, liberato da Cesare, al suo arrivo a Roma, nel 49, dopo la fuga del senato.
Cesare, secondo Flavio, spera che, a suo mezzo, possa assicurarsi il possesso della Siria e della Giudea, ma l’impresa di Aristobulo finisce con la sua morte per avvelenamento ad opera di legati pompeiani contattati dal re giudaico con promesse di denarii, allo scopo di attirarli dalla sua parte.
Invece. i partigiani di Pompeo prendono i doni e poi lo eliminano e neppure gli dànno sepoltura e Flavio sconsolatamente dice: per lungo tempo non ebbe nemmeno sepoltura in patria, e il suo cadavere rimase conservato nel miele fino a quando fu inviato da Antonio ai giudei perché lo seppellissero nelle tombe reali (Guerra giud., I, 9,1).
Dopo la battaglia di Farsàlo del 9 agosto del 48, l’epimeleths Antipatro ha un suo raggio di azione più ampio, non avendo più il controllo romano pompeiano, perciò, ha maggiore potere sui dinasti della Calcide (Giamblico e il figlio Tolomeo ) e sui Nabatei, amici da sempre, presso i quali ha fatto educare i suoi figli maggiori, tenuti a Petra dal 67 al 57 a.C. con i parenti di Cipro, sua moglie.
Conosciuto il nome del vincitore, tutta la zona siriaca è controllata ora dai cesariani, che ormai dominano dovunque nella Siria e in Celesiria, nella vallata dell’Oronte, specie dopo la morte di Pompeo e il successivo arrivo di Cesare nel delta del Nilo e poi in Alessandria e il suo insediamento nel Palazzo tolemaico.
Avendo saputo, poco dopo, da informatori, la situazione di Cesare in Egitto e la sua precaria condizione di prigioniero in Alessandria sul promontorio Lochias, nel Palazzo, e conosciuta, poi, la missione di Mitridate pergameno, figlio naturale di Midridate del Ponto, inviato con trapezitai giudaici dal dittatore in Asia Minore e in Siria ad arruolare truppe ausiliarie contro gli egizi, decide di saltare sul cavallo del vincitore e quindi di schierarsi, d’accordo con Hircano, coi populares cesariani.
Antipatro, cinquantacinquenne, scaltro, eukairos, opportunista, ricco, consigliere di Hircano, uomo di struttura atletica, un cavaliere audace in battaglia, ha piena coscienza di essere nel momento giusto per giocarsi il suo ruolo e quello del popolo ebraico in quella particolare situazione di passaggio tra una costituzione aristocratica romana ed una popularis.
E’ ben informato sui fatti di Alessandria e sulla posizione del legatus cesariano, fermo ad Ascalona con i suoi auxilia, incapace di fare la traversata del deserto fino a Pelusio, consapevole dei pericoli del viaggio senza il dovuto approvvigionamento di acqua e senza rifornimento di viveri, preoccupato della fides incerta dei giudei egizi.
Antipatro gli offre aiuto, proponendosi come socius e summachos nell’impresa, come coordinatore dei soccorsi in terra giudaica ed intermediario con la numerosa colonia di giudei di Egitto.
Secondo Flavio già così Antipatro si era comportato con Gabinio,favorito da Hircano, nella sua impresa di insediamento sul trono di Tolomeo Aulete.
Infatti Antipatro, avendo stabilito un patto col dux romanus fornisce armi, denaro, viveri e milizie e per di più persuade i giudei incaricati di sorvegliare la zona di Pelusio (Guer giud., I,175) a far passare i romani.
Mitridate ed Antipatro, dunque, fanno un accordo, sapendo di giocarsi entrambi una carta importante ai fini della loro stessa precaria situazione individuale: il primo nei confronti di Farnace e degli abitanti sconfitti del Ponto; il secondo nei confronti di Hircano e dei figli di Aristobulo, del clero e dei farisei.
Antipatro ha già avuto l’adesione al suo piano da parte del Sinedrio e di Hircano, di Giamblico e dei Nabatei, tutti disposti a cooperare per presentarsi di fronte al vincitore di Pompeo e dominatore del mondo, come i suoi salvatori/sooteres nel pantano alessandrino, in cui è caduto imprudentemente l’imperator massimo, dictator, a causa della inimicizia e perfidia dei consiglieri di Tolomeo XIII e della passione per la tolemaica Cleopatra VII – secondo i rumores dei milites romani-.
Ha programmato tutto: Giamblico paga le spese per i milites, i nabatei portano acqua e riforniscano i romani nei 250 km tra Ascalona e Pelusio nei quindici giorni di marcia, Hircano ha scritto lettere per gli ebrei egizi e per i figli di Onia, come sommo sacerdote gerosolomitano.
Probabilmente l’impresa si realizza, come preventivato – grazie anche all’appoggio delle navi, che portano la XXXVII in Alessandria- nelle prime due settimane di gennaio del 47, per cui l’esercito di Mitridate pergameno insieme a quello di Antipatro, che ha 1500 giudei, misti ad ausiliari di Giamblico e figlio, e ai cavalieri nabatei, ha attraversato il deserto di Sur ed è arrivato non lontano da Pelusio, mentre corrieri informano Cesare del contingente militare, venuto in suo aiuto.
Il dittatore sta svernando ad Alessandria, dove ha trascorso i mesi di ottobre e novembre, a corte, a Palazzo, dopo che ha mostrato il suo disprezzo per i consiglieri di Tolomeo XIII, l’eunuco amministratore Potino, il precettore Teodoto e il generale Achilla, rei della decapitazione dell’ex genero, rifiutando di ospitarli nella reggia.
Gli è impresso il ricordo della testa decapitata di Pompeo su un piatto d’oro, al suo arrivo in Egitto, ma ancora di più si rilegge la relazione dei fautori populares, che raccontano i fatti: Pompeo avendo scelto di rifugiarsi in Egitto, dopo aver scartato le altre soluzioni poiché era a solo tre giornate di navigazione. Partì con la moglie su una triremi di Seleucia (alcuni suoi amici navigavano su navi militari, altri su navi da carico) ed attraversò il mare senza correre pericolo. Apprendendo che Tolomeo si trovava a Pelusio per combattere contro la sorella, fece fermare là la nave ed inviò un messo ad avvertire il re del suo arrivo e a chiedere asilo.
I suoi informatori precisano commentando che la sorte di Pompeo è decisa dall’eunuco Potino, dal grammatico Teodoto e dal generale Achilla e ne dicono le motivazioni, ironizzando: Il re era molto giovane e Potino riunì le massime autorità, i più eminenti tra gli altri camerieri ed istitutori.
E chiudono così: accolto da tutti il parere di uccidere Pompeo di Teodoto – che sorridendo aggiunse che un cadavere non morde– Achilla prese con sé Settimio, che era stato un tempo ufficiale agli ordini di Pompeo, un centurione di nome Salvio e tre o quattro servi salpò alla volta della nave. Achilla lo salutò in greco e lo esortò a passare sulla barca; l’acqua era molto bassa e il fondo sabbioso non consentiva il pescaggio sufficiente o per una trireme.
Pompeo, abbracciata Cornelia- che lo segue con gli occhi tanto da vedere la scena dell’uccisione- scese e guardava verso riva dove c’erano uomini che salutavano come per rendergli omaggio. Settimio di spalle lo trapassò per primo con la spada e dopo di lui, prima Salvio e poi Achilla sguainarono le loro. Pompeo, tirandosi la toga sul volto, con entrambi le mani, senza dire o fare nulla di indegno di sé, ma, levando solo un gemito, subì i colpi con fermezza (Plutarco, Pompeo, 79,5).
Cesare non vuole per qualche tempo vederli.
Teodoto, responsabile principale della morte di Pompeo, ne approfitta e fugge da Alessandria su una nave mercantile e si rifugia in Asia, gli altri invece restano a Pelusio come consiglieri del quindicenne sovrano.
Cesare manda una lettera invitando Tolomeo a presentarsi a Palazzo separatamente, lui e la sorella Cleopatra, che vive nascosta in un distretto alessandrino, per la causa di definizione della regalità sull’Egitto, sotto il patronato di Roma, secondo la volontà del loro padre.
Tolomeo accetta, mentre i suoi consiglieri sono titubanti ed incerti se fidarsi.
L’eunuco amministratore Potino appena entra, viene tenuto in stretta sorveglianza, come Tolomeo che viene preso sotto protezione, romana, mentre, fiutato l’inganno, Achilla fugge e rivela il tradimento di Cesare al popolo e riprende il comando dell’esercito.
Cesare, con la sola cohors, che presidia il Palazzo, è un padrone circondato da nemici nella zona della reggia, dalla stessa popolazione alessandrina, filotolemaica, dall’esercito egizio, nonostante la presenza di poco meno di 4000 uomini, distaccati alla periferia meridionale di una città di oltre un milione di abitanti.
Conscio di questo, si è già premunito dai primi di ottobre del 48 ed ha inviato Midridate pergameno ad arruolare truppe in Siria e in Asia per poter assalire alle spalle le truppe nemiche.
Il dittatore è al corrente della forza dell’esercito avversario, costituito da quasi 20.000 egizi con l’aggiunta di circa duemila cavalieri mercenari e di contingenti eterogenei, di cui molti romani ex legionari di Gabinio, come Settimio, uno degli uccisori di Pompeo.
Potino sa bene la differenza di forze e dimostra il suo potere a corte col tagliare i viveri e col cambiare perfino le posate d’oro in quelle di legno ad un uomo raffinato come Cesare, che si portava in Gallia la stessa utensileria e gli stessi servi-ministri, con cui banchettava a Roma.
Comunque, Cesare, forte di tenere in suo possesso il re e Potino, impone a Tolomeo le sue richieste: bisogna chiudere la belligeranza con i romani accettare la coreggenza con la sorella Cleopatra, convocata a corte, e pagare una grossa somma di talenti, data da lui, personalmente, come prestito, tramite Gabinio, a suo padre Tolomeo Aulete.
Potino, ben sapendo che Cesare ha poche truppe, informa Achilla di tenere saldo l’esercito e lo invia a Pelusio, avendo scoperto che un esercito sta venendo in soccorso di Cesare.
Cesare nel palazzo attende la venuta di Cleopatra, la vergine sorella, coreggente del regno.
Questa, da filoromana, deve passare attraverso le milizie egizie nemiche favorevoli al fratello e ad altre fedeli alla sorella Berenice, per cui inventa uno stratagemma, rimasto famoso nella storia, anche se poco credibile, con l’aiuto di un erculeo siciliota di nome Apollodoro.
Sembra una favola: Il servo l’arrotola entro un grosso tappeto, impacchettato, se lo carica sulle spalle e, dopo un tragitto per mare, si presenta alla guarnigione romana della collina, dicendo di dover portare un dono a Cesare.
Apollodoro, giunto alla presenza di Cesare, srotola il tappeto ed appare Cleopatra seminuda.
Cesare è un uomo di 52 anni, che ha avuto tre mogli, Cossutia, Cornelia e Pompeia- la quarta, Calpurnia, figlia di Lucio Calpurnio Pisone Cesonino è la legittima consorte dal 59 – corrotto, ambiguo sessualmente, corruttore e seduttore di uomini e di donne -Mucia, moglie di Pompeo (Svetonio,Cesare 50,1; Cicerone Ad Atticum 1,12,3), Servilia e tante altre come Postumia la moglie di Servio Sulpicio, Lollia la moglie di Aulo Gabinio, Tertulla la moglie Marco Crasso, tanto da essere definito da Curione padre, marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti (Svetonio Ibidem 52) -.
Il dittatore è consapevole che una donna vergine ama il suo primo amante e che, una volta matura, ama, godendo del cazzo di chi se la chiava: la sera stessa, tra la fine di novembre e il primo di dicembre fa il suo dovere di maschio, con piacere di entrambi, legandosi alla regina egizia. (cfr. Plutarco, Vita di Cesare, 49).
Il giorno dopo inizia un’altra vita per Cesare: Cleopatra è il centro del suo mondo, la sua cura, lo skopos della sua vita, il tesoro più grande di Alessandria, di Egitto, del mondo: il suo primo ed ultimo pensiero del giorno, come un meirakion innamorato per la prima volta di una donna!.
Cleopatra non è, però, solo il sogno di un adolescente, ma di un genio politico, che sogna di realizzare un Regno universale per un solo sovrano, suo figlio!.
La corte scruta Cesare Zeus che, come una pioggia d’oro, copre Danae; le ancelle vedono Amon Ra entrare nel talamo di Iside, Berenice e suo fratello Tolomeo XIII -il legittimo marito!- seguono attenti la vicenda fino alle prime nausee della regina e all’ annuncio di un erede.
Cesare è un anhr theios, politikos, dioicheths,autokratoor, despoths ths oikoumenhs ringiovanito, maschio che attende la nascita di un figlio suo!.
Quanto lontano è il ricordo dei giorni della nascita e della morte della figlia, la diva Giulia, la moglie di Pompeo!
Gli alessandrini fanno rivolte continue ma non turbano la serenità di Cesare, che il giorno successivo la prima notte d’amore con Cleopatra, convoca, come giudice, i due pretendenti al trono di Egitto, la sua amante e Tolomeo XIII.
I due fratelli si prendono un giorno di consultazione con i loro rispettivi consiglieri e, il giorno dopo, concordano la riappacificazione e stabiliscono i termini di comune reggenza sotto la protezione di Cesare.
E’ la fine di Potino: Cesare lo fa arrestare ed uccidere.
Le rivolte ad Alessandria diventano un fatto giornaliero e la città è invivibile per gli scontri tra le fazioni avverse e perfino fra i fautori dei romani e i tolemaici: gli egizi non sopportano le continue esazioni di tributi e sono indignati perché nessun loro tempio è risparmiato (Dione Cassio,St.rom. 42,34)
Neanche attenua l’odio degli alessandrini per la romanitas la notizia che i due fratelli governano insieme, neanche placa il popolo la propaganda filoromana quando Cesare fa sapere che l’isola di Cipro, sottratta al dominio tolemaico dieci anni prima da Catone, è stata riunita all’Egitto e che sono sovrani legittimi sono Arsinoe e suo fratello minore Tolomeo XIV.
Anzi sorge un’altra rivolta in tutto il delta del Nilo di proporzioni notevoli che si diffonde tra i marinai dei due porti e diventa un’insurrezione generale proprio quando si diffonde la notizia dell’imminente arrivo della XXXVII legione ad Alessandria.
Al giovane Tolomeo XIII, il legittimo marito quindicenne della sorella coreggente, vivente nell’ ala opposta della Reggia, vicino al Tesoro regale e al Mausoleo tolemaico, giungono voci della ierogamia, dell’unione divina, del coniugium del dictator con la sua sposa-moglie sorella!
Non rimane altro che accettare di essere il marito nominale di Cleopatra mentre la sorella è l’amante di Amon-ra Cesare davanti ai suoi stessi occhi (Cfr. Dione Cassio, Stor.Rom., XLII).
Gli resta solo la possibilità di tramare per liberarsi degli invasori, fidando nel popolo di Alessandria.
Si organizza una congiura di palazzo che poi si dilata nei thiasoi, nei gumnasia cittadini e diventa rivolta antiromana che esplode con manifestazioni di piazza, lungo l’odos canopica, nel centro della città egizia.
Secondo Plutarco, Cesare conosce i particolari della congiura da un barbiere (Cesare,49) .
Cesare è Cesare, il politikos per eccellenza, lo spietato sterminatore di Avarico (39.200 abitanti uccisi), il militare impavido davanti ad ogni pericolo, ora maggiormente motivato dalla fresca e rinnovata iuventus, un dux che lotta, temendo per i soldati acquartierati in città e per i legionari in arrivo, oltre che uomo che si gioca la sua vita per quella di Cleopatra e di suo figlio.
Il dux decide di fare una sortita dal Palazzo, dopo aver lasciato pochi soldati di guardia.
Sorprende in un dux, eccezionale stratega di rara prudentia, impostato sulla massima razionalità, tipica della precettistica militare del festina lente affrettati lentamente, questo singolare atto di audacia personale.
Cesare conosce la pavidità egizia militare ed è cosciente che un atto improvviso di forza farebbe tacere ogni clamore rivoluzionario e dimostrerebbe la netta superiorità militare romana.
D’altra parte a corte a Cesare è mancata l’acqua potabile perché gli egizi hanno fatto infiltrare acqua salmastra nelle condutture, inquinandola e nonostante gli sforzi dei militari che hanno in pochi giorni trovato un’altra vena, e l’hanno conduttata fino al Palazzo con uno scavo profondo sulla collina , hanno una sorgente alternativa ma non se ne conosce la quantità Durante queste operazioni fa circondare il Palazzo con un muro e trincee sperando di raggiungere la depressione di seicento/settecento metri che taglia in due Alessandria, dove scorrono le acque del lago Mareotide fino sotto il promontorio Lochias.
Al dittatore viene comunicata anche la fuga di Arsinoe, sorella minore di Cleopatra da anni in lotta con la sorella, ora riverita come una dea, amata dal proprio uomo.
La donna, sapendo delle continue insurrezioni in città, ha deciso di fuggire dal Palazzo con Ganimede suo precettore, uomo di notevole intelligenza e perizia militare, per unirsi al popolo di Alessandria, vista ormai scoperta la congiura.
Nel cuore della città si fanno assemblee e si discute sul come cacciare l’invasore: molti sono i progetti e prevale quello di Ganimede che fa uccidere Achilla, il quale dissente dai suoi piani di cacciare sia Cleopatra che Tolomeo XIII, traditori perché filoromani.
Arsinoe, invece, sostiene che la lotta ha significato solo se Tolomeo XIII è col popolo, in quanto anello di congiunzione tra la nobiltà e il popolo e tra il clero e i fedeli, perché è simbolo della cultura egizia, è la voce di Osiride stesso, legge vivente /nomos empsuchos.
Cesare dux prudens, cauto in ogni impresa, grande pianificatore di fronte alle situazione, nonostante le fobie della Cleopatra, ritiene necessaria un’azione spericolata per riunire i suoi soldati e dare il benvenuto ai romani, che devono sbarcare nel Porto grande.
Le nottate di amore con Cleopatra devono aver caricato positivamente Cesare, un uomo di struttura fisica di molto superiore alla media, sia per altezza che per robustezza, allenato quotidianamente da quattro gladiatori, cavaliere impareggiabile, ottimo nuotatore, ancora un atleta, nonostante un episodio di crisi epilettica.
L’euforia e l’entusiasmo giovanile, uniti alla volontà di punire l’arroganza egizia, determinano la difficile azione di raggiungere passando dal Porto Eunosto al Porto Grande, di attraversare l’Eptastadion e conquistare Faro, luogo di approdo dei legionari in arrivo.
Cesare, riconoscibile per la corazza e per il mantelletto di porpora di Dux, seguito da un manipolo di milites, esce di nascosto dal Palazzo e s’imbarca. La sorpresa non riesce perché gli egiziani sono pronti a fronteggiare già i romani nel passaggio tra i due porti. L’azione si svolge con fulmineità: Cesare fa incendiare la flotta egizia, ancorata nel porto Grande, provocando il panico nella città, dopo aver fatto staccare le navi romane, presenti, prima ancora dell’arrivo della XXXVII legione e del suo sbarco e prende Faro, circondando il famoso faro.
Faro per secoli era stata un’isola (Filone, Vita di Mosé) finché il canale non si era riempito di sabbia ed allora si era congiunta con la terraferma di Alessandria. A Faro c’era il grande faro, che si vedeva come una colonna di fuoco di notte e come un pilastro di marmo di giorno, un’opera unica al mondo, costruita da Sostrato di Cnido, all’epoca di Tolomeo Filadelfo. Risultava una costruzione monumentale di un’altezza di circa 100 metri-(ci sono autori che parlano di 60 metri ed altri di 150 metri)-, un‘opera ardita, voluta dal sovrano come espressione della ricerca scientifica dei tanti scienziati del Museo: era il faro una delle sette meraviglie del mondo antico, che, alla base, era circondato da un cortile a colonnato, in cui vivevano – e dovevano essere tanti se c’erano trecento stanze – uomini incaricati di azionare congegni sofisticati per dare notizie meteorologiche e per consigliare ai naviganti la migliore navigazione: tutte informazioni che erano la risultanza delle ricerche fisico-astronomiche del Museo, non molto distante.
Si diceva che sulla cima ci fossero a diversi livelli, quattro statue, tutte ruotanti in modo da seguire una il corso del sole, la seconda da indicare i movimenti dei venti, un’altra da far conoscere le ore giornaliere e l’ultima da segnalare l’arrivo dei nemici, appena avvistati dall’addetto al periscopio.
La legna era sollevata dal basso verso l’alto da machinae tractoriae o da speciali gru, per gli operai addetti al fuoco perenne, la cui luce veniva amplificata da specchi di vetro, di eccezionale dimensione, tanto da vedersi fino a trecento stadi di distanza, circa cinquanta chilometri.
Il tratto di arenile tra la citta e Faro era lastricato e si chiamava Eptastadion.
Lì all’ Eptastadion i soldati di Cesare devono appostarsi, controllare i due passaggi tra i porti mentre l’incendio divampa e raggiunge il Museo e la Biblioteca, causando rovine tra i volumi, obbligando i copisti ad allontanarsi in fretta insieme ai sapienti aristotelici e a fuggire precipitosamente.
Si ricordi che i copisti erano duemila e che i sapienti erano in numero non inferiore e vivevano nel Museo, a spese pubbliche.
Era l’Eptastadion una diga tra i due porti, lunga 7 stadi cioè circa 1290 metri: non è facile neanche per un abile stratega presidiare con pochi soldati una postazione di tale dimensione.
Durante questa operazione le navi romane si spostano verso il porto orientale e Cesare si imbarca su una piccola nave con pochi marinai di Rodi con l’ammiraglio Eufranore
Il dux corre allora un pericolo mortale perché in molti sanno di questo clandestino imbarco di Cesare mentre bagliori di fuoco e molto fumo vengono dalla Biblioteca in fiamme e dalle navi egizie incendiate. In questo attacco improvviso Cesare, a capo delle truppe, non riesce nell’impresa, ma si assicura la parte settentrionale dell’Eptastadion, perché gli egizi gli sbarrano il passo nella parte meridionale verso la città intrappolandolo tra il mare e Faro.
Anche se navi con le truppe sbarcate giungono in aiuto, Cesare si trova a mal partito perché la sua barca si capovolge e lui si salva a nuoto facendo oltre 200 metri con la sola mano destra poiché nella sinistra ha importanti documenti da salvare.
Cesare ha la fortuna di salvarsi e di perdere solo il mantelletto di porpora mentre 400 soldati morirono sull’Eptastadion insieme a migliaia di marinai.
La situazione generale, però, volge a favore del dittatore che, con l’aiuto dei milites della legione, può ritornare nel Palazzo dove gli viene comunicato che Mitridate ha già arruolato 15 000 uomini e dalla Siria li ha concentrati ad Ascalona,dove sta attendendo rinforzi da Antipatro ed Hircano, sommo sacerdote dei giudei. Gli egizi, fallito l’attacco, cominciano le lotte interne, mentre gli ebrei che costituiscono un quinto della città non partecipano affatto alla insurrezione e ai tumulti contro i romani.
Alcuni gruppi contestano l’auctoritas di Arsinoe e di Ganimede e gridano a gran voce di volere come re il solo Tolomeo. Cesare, conosciuta la volontà popolare, allora chiama il principe coreggente, gli parla dell’ amore del popolo, che lo reclama come sovrano e confessa astutamente di volerlo rimandare tra il suoi sostenitori.
Nonostante la reticenza del paidion, Cesare lo fa scortare per restituirlo ai capi della sedizione.
Il primo atto politico di Tolomeo è quello di allontanare dalla città i responsabili della rivolta, Ganimede e sua sorella , che si dirigono verso Pelusio.
Cleopatra, dopo l’allontanamento del fratello, risulta incinta di Cesarione nato, poi, entro luglio del 47 per alcuni , (per altri alla fine di agosto? ) qualche giorno prima della vittoria di Zela (2 agosto/2giugno) contro Farnace, figlio di Mitridate (Plutarco, Cesare 50) .
Non si sa se il bambino nasca di otto mesi, ma, anche se Cleopatra completa i nove mesi, il figlio sembra debba essere attribuito a Cesare, nonostante quanto dica, molti anni dopo, Oppio che scrive in difesa dei diritti di Ottaviano, figlio adottivo, alla successione di Cesare.
Il dittatore è veramente innamorato di Cleopatra e desidera assistere al suo parto e probabilmente vede di persona il sesso di Cesarione, suo erede.
Lui, sommo pontefice e pater familias deve e vuole riconoscere ufficialmente le sue iustae nuptiae, legittima il figlio di sua moglie col tollere liberum natum col sollevare i bimbo da terra, messogli tra i piedi dalla nutrice e compie l’ atto ufficiale di riconoscimento di ogni pater familias, vincolato dal culto dei lares.
Comunque, la guerra alessandrina, a marzo, dura ancora ed è nel vivo delle operazioni: Tolomeo XIII, stabilita una tregua con la sorella Berenice, destinata ad arginare l’invasione dell’esercito di Mitridate, si è riservato il compito di difendere la città a sud nella zona di Menfi, dove ha fatto confluire soldati e navi: è certamente un ragazzo ma è ardente amante della patria e si circonda di giovani patrioti, desiderosi di libertà, perciò prende le armi lui stesso e si mette a capo di tutte le operazioni, fidando nei migliori uomini del suo raccogliticcio esercito ed ancora di più nella perizia degli ammiragli della flotta.
Cesare intanto nel Palazzo ha stabilito rapporti anche con gli ebrei emporoi nauklhroi, trapezitai, da cui forse è finanziato.
Mentre Cesare è ancora asserragliato sul promontorio Lochias, salvo a stento, dopo la sortita, Mitridate, scortato dalla flotta romana, con l’aiuto di Antipatro, ha ora raggiunto Pelusio, un posto di guardia alla frontiera con l’Egitto.
La cittadella fortificata era sita in un’ansa del ramo orientale del delta del Nilo chiamato ostium pelusiacum, -attualmente interrato e corrisponde alla cittadina di Tell el Fararna, circa 30 km a sud-est di Port Said- che conduceva fino ad Arsinoe- Clisma e da lì al mare Eritreo.
Secondo Flavio Ant Giud, XIV, 131-32 Mitridate era partito dalla Siria ed era arrivato a Pelusio, ma non essendo accettato, assediava la città in cui per primo entrò Antipatro valorosamente, dopo aver gettato giù buona parte del muro e fece la via per gli altri per entrare in città. Così Pelusio fu presa.
I due condottieri, dopo aver preso roccaforte, giungono a Il campo dei giudei- che si trovava sul Delta (foce pelusiaca, non molto lontano da porto Said odierna ).
Secondo Flavio Ibidem 132 I giudei egizi, quelli della zona detta di Onia , vietavano il passo per il loro distretto ad Antipatro e a Mitridate, che si dirigevano verso Cesare. Antipatro fece in modo che questi diventassero amici di Cesare, mostrando le lettere del principe dei sacerdoti Hircano, in cui li invitava ad essere amici di Cesare, a ricevere il suo esercito con ospitalità e a dargli le vettovaglie, di cui bisognava. Vedendo che Antipatro e il sommo sacerdote avevano il medesimo pensiero, si sottomisero.
I giudei del Delta sono chiamati oniadi, sia quelli di Leontopoli, poco lontano da Pelusio (cfr Guer giud., I,9,2 e VII,421) – dove c’è un distretto Onias- che quelli di Alessandria: tutti diventano fautori di Cesare e perciò lasciano passare l’esercito di Mitridate e di Antipatro che si dirigono verso Menfi, con l’intento di liberare Alessandria da sud.
L’improvviso voltafaccia ebraica non è tale perché tra i giudei di Egitto e quelli gerosolomitani, pur non essendoci amore a causa dello scisma degli oniadi che si ritengono i veri sacerdoti di Gerusalemme perché sono i discendenti di Onia IV, – figlio di Onia III che fu ucciso a Dafne, mentre il fratello Giasone – un Gesù ellenizzato- diveniva sommo sacerdotepagando Antioco IV, che poi lo sostituì con Menelao, altro ellenizzato, da cui aveva ricevuto una cifra maggiore –
Questi, venuto in Egitto, chiese aiuto ai lagidi e, ricevuta protezione, ebbe terre e la possibilità di fare un tempio a Leontopoli.
Ora, di fronte al comune nemico romano la parola di Hircano diventa per tutti la parola di Dio, significa coesione tra fratelli al di là delle eresie religiose, per il bene comune dell’etnia giudaica.
Comunque, a Menfi, gli egizi non ebrei filotolemaici attaccano presso la zona chiamata campo dei giudei ioudaiooon stratopedon e imbottigliano Mitridate e tutta l‘ala destra, mentre Antipatro e l’ala sinistra, sconfitti i nemici, fanno una manovra lungo la sponda del fiume e salvano Antipatro da morte certa, facendo una strage di egizi ed inseguendo i superstiti fino al loro accampamento
Ottenuta la vittoria, Antipatro ha perso solo 80 uomini e Mitridate 800: Flavio e la sua fonte damascena magnificano il valore di Antipatro e lo fanno testimoniare davanti a Cesare dallo stesso legatus pergameno molto riconoscente.
Tutti gli storici parlano dell‘impresa di Mitridate e di Antipatro, solo Dione Cassio (Storia romana,42,41) non cita affatto il condottiero ebraico.
Flavio, invece, in Guerra Giudaica I,193-4 mostra come Cesare, popularis, nipote di Caio Mario, sia ammirato dall’audacia di un agonisths combattente, che ha ferite in quasi tutte le parti del corpo, come segni del suo valore.
La guerra, comunque, non è finita e Cesare deve collegarsi con le truppe ausiliarie, venute da Siria e Celesiria ed ha bisogno di denaro, per coordinare le sue truppe e le navi, che ottiene facilmente dalle trapezai cittadine, in maggioranza ebraiche, perché tutti i giudei sono fiduciosi nella vittoria di Cesare.
La manovra militare cesariana, comunque, viene fatta con fanti che fanno il cammino nel deserto e con marinai e navi lungo i canali nilotici.
Nel frattempo Cesare, informato dei fatti, fa finta di dirigersi verso Pelusio, ma, di fatto, inverte la rotta verso Alessandria, ingannando i nemici che credono in una sua azione nei dintorni della foce pelusiaca.
Cesare, il 25 marzo/4febbraio del 47, invece, torna indietro fino al capo Chersoneso, sbarca e costeggia il lago e, a marcia forzata, in un giorno raggiunge Mitridate ed Antipatro, dopo un cammino di circa 30 km..
Il re Tolomeo, non sapendo della congiunzione dei due eserciti e nemmeno della presenza di Cesare stesso, come comandante unico, giunge nella zona e si trova chiuso tra la palude e il mare e credendo di sfondare facilmente, attacca battaglia.
La battaglia dura due giorni ed è incerta, ma, poi, forse per la defezione delle forze gabiniane, attirate da Cesare con la promessa di clementia, e specie per la morte del giovane re, che salito, su una feluca, per invitare i suoi compagni col suo esempio a combattere, cade in acqua ed annega. Si è in un giorno impreciso della fine di marzo (forse il 27).
E il suo cadavere con la corazza d’oro è portato ad Alessandria per mostrarlo al popolo, mentre Cesare vi entra trionfante insieme con Mitridate ed Antipatro.
Si chiude così la guerra alessandrina, durata oltre 5 mesi( cfr Bellum Alexandrinum,XXXIII,1-2; Dione Cassio, St.Rom,XLII,44; LI,15,4; Appiano, Guer.Civ.,II,90,378) e Cesare decide di mantenere la monarchia lagide in Egitto (cfr. B. Al., XXXIII,4: si permanerent in fide reges, praesidiis eos nostris esse tutos; si essent ingrati, posse iisdem praesidiis coerceri/ se i re rimanessero fedeli, avrebbero protetto i nostri presidi, se invece fossero ingrati, sarebbero stati costretti dagli stessi presidi).
Cesare in Alessandria fa un proclama con cui afferma di graziare tutti i combattenti e di arruolarli nelle sue legioni, compresi i gabiniani, che sono reintegrati nei loro diritti di cives romani.
Non si crede possibile che Antipatro e Midridate come ospiti di Cesare e Cleopatra, ora unica regina di Egitto, abbiano fatto il viaggio sul Nilo fino alla I cataratta, scortati dalla flotta romana di 400 navi: i due hanno ben altro da pensare rispetto ai due amanti, desiderosi in primavera di un viaggio di nozze lungo il Nilo della durata di due mesi.
E’ credibile che i due accompagnino la coppia da Alessandria fino a Eliopoli (Mataryieh) dove si separano: potrebbero aver visto insieme ad El Gizah le Piramidi di Cheope, Chefren e Micherinos e la Sfinge!.
I due, passando per Leontopoli visitano Il tempio e la trapeza e hanno denaro per le loro truppe e l’occorrente per il viaggio di ritorno, fatto su navi fino al lago El Manzala, separato da uno stretto cordone litoraneo dal Mediterraneo, per poi proseguire fino ad Ascalona con marce via terra.
Mitridate è destinato da Cesare a presidiare il Ponto e quindi si mantiene a disposizione in qualche porto dell’Asia, agli ordini del dittatore, ancora in guerra coi pompeiani di Africa, di Spagna e con altri, re e dinasti, filopompeiani, ancora non domati dalla superiorità militare di Cesare.
Il dittatore per ora si gode con Cleopatra incinta il suo viaggio sul Nilo su una nave regale, simile a ad una nave antoniana e caligoliana (Cfr. Angelo Filipponi, Caligola il sublime, Cattedrale 2008).
La nave di Cleopatra potrebbe essere superiore a una nave da crociera attuale sul Nilo a cinque stelle, extralusso!
Comunque, pur essendo inferiore a quelle di Nemi, all’epoca tolemaica, una nave del Basileus aveva all’incirca queste dimensioni: 60/70 metri di lunghezza,12-14 di larghezza e minimo 17/20 metri di altezza: non sembravano navi ma palazzi galleggianti, per Plutarco, le navi da guerra di Antonio!
C’erano molti ordini di rematori disposti in simmetria, a scalare, ed avevano anche alberi con vele alessandrine da usare all’ occorrenza.
Di norma ogni nave conteneva saloni per banchetti con tori tricliniari con piedi di avorio, colonnati, cortili, tempietti, grotte, giardini, piscine.
Una nave non era solo segno di armonia e di ricchezza ma anche del potere di Cesare, congiunto con quello tolemaico: la nave regia era seguita da una flotta intera e da migliaia di soldati.
La prudentia ora non è mai troppa, vista l’esperienza precedente. Appiano (Guerre civili,II 90) parla esageratamente di circa 400 navi di scorta alla nave sacra che trasporta il dio Amon e la dea Iside nel cuore dell’Egitto, che si mostrano ai loro sudditi, festosi.
Un uomo come Cesare, prima di avviarsi verso il sud, sicuramente si dirige verso Arsinoe –Clisma/ Ismailia attuale per vedere la canalizzazione dei Tolomei fino al Mar Rosso (Suez) onde pianificare il percorso di una flotta per il golfo Persico nella possibile impresa antiparthica e il tracciato di una via per l’Oceano indiano.
Cesare, sommo pontefice romano, figlio di Venere in Egitto, ora è Amon e la sua donna è Iside; da ogni città lungo il Nilo vengono gli abitanti con feluche a venerare e a ringraziare i theoi soteres per la eirenh. Gli alessandrini, ora sottomessi, sono abili a propagandare la ierogamia.
Cleopatra madre è assimilata ad Iside con Horus bambino, simbolo di un coniugium divino e Cesare è il pater garante di iustitia e della formazione di un stato universale, costituito da res publica romana con la basileia Egizia e con quella di Siria, rinnovata nella sua unità, grazie alla conquista della Parthia: il figlio che deve nascere é il vinculum sacro di una nuova monarchia ereditaria ecumenica.
Sembra chiaro che quel Cesare che ha esteso la civitas la cittadinanza romana ad iberici e a galli, convocati poi in senato, e che non ha dato la politeia /cittadinanza agli orientali, se non agli ebrei, suoi trapezitai privati, pensi ora di poter fare una confederazione di stati tra la res pubblica e le basileiai orientali.
L’idea di uno stato monarchico con una nuova dinastia, sacrale, secondo la sincresi macedonica, in una volontà di fondere il principio faraonico con la basileia di origine achemenide, avvicina ad Alessandro Cesare, che lascia i suoi piani di un’ oikoumenh romana con un solo divino despoths ad Ottaviano Augusto e ancora di più a Germanico e a suo figlio Caligola, gli unici in grado di una tale realizzazione (Cfr. A. Filipponi, Caligola il sublime, Cattedrale 2008).
Si dice che la coppia divina arriva a Tebe e giunge fino alla I cataratta, all’isola di File, sede di un nutrito gruppo ebraico.
Giunto là, si parla di un ammutinamento militare, improbabile: non è possibile dare credito alla notizia di Svetonio,(Cesare, 52) perché i soldati sono ben pagati, sono osannati, ovunque, sono in gita e festosi.
Forse Cesare, avuta la notizia della sconfitta di Gneo Domizio Calvino nel Ponto, verso i primi di maggio, e della invasione della Bitinia e della Cappadocia da parte di Farnace II, che ha ripreso l’ostilità con l’aiuto armeno, fa cessare la sua vacanza nuziale e decide di tornare indietro.
Tornato ad Alessandria, attesa la nascita di Cesarione, organizzati flotta ed esercito, fissati i punti di raduno in snodi chiave della costa mediterranea orientale, asiatica, si avvia con la flotta egizia verso Efeso per meglio pianificare il progetto di punizione del sovrano del Ponto.
Riunite le forze cesariane forse non lontano dal centro operativo di Efeso, Cesare fa coi soldati marce forzate secondo Cassio Dione (St.Rom., ,42,47 tachei polloooi chrhsmenos) per quasi trenta giorni, quando già ha circondato con la flotta romana ed egizia la costa meridionale del Ponto Eusino, per impedire la fuga degli abitanti della Bitinia e del Ponto: con la fulminea vittoria di Zela, città posto a seicento chilometri da Efeso, ristabilisce l’autorità romana rapidamente, avendo anche il supporto della flotta egizia di Cleopatra.
Mitridate, dopo Zela, è premiato con la Galazia, col titolo di re e con la possibilità di estendere il regno nel Bosforo contro Asandro, col favore di Domizio Calvino, reintegrato nella provincia, ma, in questa guerra morì.
A Roma la notizia della rapida vittoria sintetizzata in Veni vidi vici (Plutarco, Cesare, 50) getta il panico nei senatori pompeiani: chi si dirige verso la Spagna chi verso l’Africa come Catone e Fausto Silla ed altri che si dirigono fiduciosi nell’ accoglienza di Giuba.
Il senato, invece, riconferma la dittatura a tempo indeterminato e concede cinque anni di consolato .
Antipatro, al suo ritorno in patria, è accolto benevolmente da Hircano e come un eroe dal suo popolo…