Io e Dio di Vito Mancuso

Io e Dio di Vito Mancuso
Premetto che stimo Mancuso theologos e ne lodo la sapienza teologale e il curriculum di lettore, anche se vedo i limiti proprio in questa sua stessa cultura.
Aggiungo che ammiro la sua forza e il suo coraggio nei confronti di una istituzione come quella cattolica, che gli ricorda continuamente che essere theologos significa essere subordinato alla gerarchia ecclesiastica, seguire la linea dei patres e  ascoltare i suggerimenti dello Spirito Santo, dopo una lunga askesis.
E concludo col  massimo rispetto per l’uomo, studioso, degno discepolo di C.M. Martini e di B. Forte, che ha  fatto scelte dolorose, pur conservando una propria lezione culturale e religiosa, anche se aspira ad essere libero pensatore.
La sua impostazione generale “aerea “, tipica di un doctor in sacra pagina, abile a porsi in una posizione di privilegio, – di stampo platonico, neoplatonico e stoico, visibile in ogni filosofo antico, in Didimo Arieo, in  Filone Alessandrino, in  Seneca,- è chiaro segno di una lettura di Io e Dio secondo l’impostazione della tradizione patristica origeniana ed agostiniana, del soggetto che legge in quanto creatura e dello status di Dio creatore.
La visione dall’alto impedisce (o non permette di leggere) la coscienza e  limita la conoscenza della reale vita terrena e dei reticoli vitali di un’ infinità di essere viventi e vegetali, le cui pulsioni si legano e si armonizzano in un unicum vitalistico comune…
Da ciò deriva, a mio parere, una lettura  o tradizionale della realtà umana e della metafisica   o vaga, comunque, sempre senza alcun sbocco reale (vista la scarsa aderenza alla normalità di vita e considerata la sincresi di base, che risulta una confusione dei dati non ben esperimentati e vissuti, a causa delle dilacerazioni spirituali, non ancora ben cicatrizzate  e della equivocità di lessico, rivelante l’opposizione tra conservazione ed innovazione) e quindi una non avvenuta sintesi organica, a causa del difetto di vista
Secondo me Vito Mancuso, prima di  essere guida dei perplessi  e perfino prima di parlare anche banalmente, ha bisogno di chiarire  sé a se stesso, come uomo, come marito, come padre, come laico.
Una volta chiarito che egli è corpo non spirito, che ha una compagna-moglie e non è più prete,  che ha figli e non è solo,  che è un secolare e non clero,  allora forse può iniziare un suo iter, mostrare la sua methodos e essere maestro…
Il proprio iter individuale  inizia quando si è veramente autos, realmente tupos capace di esprimere libertà  e lottare contro la minaccia dell’autoritarismo religioso  e opporsi allo scientismo negatore di ogni arbitrio…
Ci vogliono anni per un tale decondizionamento, anni duri di scarnificazione, di lavoro spirituale e perfino di fatica fisica! io ne ho impiegato quasi trenta e non credo di capire qualcosa, anche se mi sono chiarito qualche punto, ma non sono mai in grado di  affermare qualcosa …
Il mio, quindi, è solo un suggerimento di uno più vecchio, che neanche vuole criticare, ma ritiene giusto senilmente di indicare una odos diversa per un altro orientamento (Cfr A.FILIPPONI, Per una conoscenza del primo cristianesimo, E.book Narcissus.)..
Personalmente, dunque, dopo la lettura del libro, devo dichiarare che non ho niente in comune né su Io né su Dio: l’autore, teologo, ha idee su Io e su Dio  secondo quanto ha ricevuto da una tradizione classico- cristiana,  specie occidentale agostiniana, (sostanzialmente, quindi, della patristica) e non ha  provato a  metabolizzare il processo di vita, senza la pronoia divina.
Il pensiero di vita, anche se ben scritto,  seppure ricco culturalmente, seducente grazie alla retorica letteraria,  secondo me, non ha alcun messaggio nuovo in quanto è idea che si copre e vive di Theoria, senza alcuna prassi reale: contano le azioni non le parole!…
Solo se si fa indagine reale, oggettiva (per quanto è possibile) su anthropos, su phusis e su normale,  su essere ed esserci  in senso universale,  oltre o senza la mediocritas (methrioths) classica,  si può iniziare (forse) un rapporto comunicativo per una ricerca effettiva, in senso umano e divino.
Solo, comunque,  se si concorda  il valore del termine normale e si opera sulla base di una nuova convenzionalità linguistica comune, allora forse si può discutere sull’autenticità di Io e su Dio padre e  creatore: senza questo lavoro iniziale è impossibile la comunicazione…
Perciò anche il paradigma di Maimonide non ha reale valore comunicativo: lo stesso autore di Moreh Nevukhim (Guida dei perplessi), nel 1190, aveva cercato nel mezzo di un comunità egizia, islamica, dominata da Salah al Din (Saladino) di mandare ulteriori messaggi interconfessionali e di fare un’altra esegesi  per gli amici e discepoli che, avendo studiato filosofia aristotelica ed essendo giudei amanti della Torah, vedevano palesi contaddizioni tra la filosofia e il senso letterale della Legge mosaica e  rimanevano perplessi di fronte al male della società musulmana, ma non ebbe effettivo risultato se non quello di un’aggiunta ulteriore (discutibile) alla esegesi biblica talmudica …
Ora Vito Mancuso ha di mira una nuova lettura biblica senza essersi precisato la via da seguire e il telos, e quindi vuole  guidare i perplessi del terzo millennio verso la scoperta di un  nuovo io e  di un  nuovo Dio? ….
Tutto è equivoco: non c’è termine su cui si possa poggiare qualcosa… non ci possono essere sopherim e didaskaloi se non ci sono fedeli e mathhtai ...
Non serve una nuova guida di perplessi perché bisogna, prima di operare, stabilire il significato di “perplesso“, se esiste una tipologia di perplessi, come lavorare insieme, senza magistero...