In memoria di Vittorio Verdecchia
Every child has a natural right to sentiments and feelings Ogni bambino ha naturale diritto a sentimenti e ad affetti: anche la nascita di un bambino autistico è, naturalmente, un dono, speciale, ma dono per tutti!
La natura crea ogni cosa e nel creare capitano errori, che, comunque, non turbano l’equilibrio tra l’individuo e la specie e tra le species e i genera, tra animalia ed inanimata, e tra le partes e il tutto: la natura è armonia!
L’armonia è sovrana, anche se esistono uccellini non canori, lupi canariensi, fiumi salati, nani e giganti, uragani, una varietà di meraviglie apparentemente senza senso, in un tal ambiente e in un tale epoca, nel corso dei secoli: sono anomalie che non cambiano la sostanziale bontà naturale: l’armonia del creato resta intatta, se nasce un bambino autistico!
Niente cambia nell’armonia del creato, in cui galleggia un corpo specialis ( Monogenhs), comunque, consanguineo, congiunto, della stessa species, anche se differente, ma ordinario pur nell’irregolarità, anche se ha una qualche straordinarietà! .
La non conformità ai parametri della regolarità e della normalità, pur diversificando il novus dagli altri viventi, minerali, aeriformi, risulta secondo natura, come ogni altro essere, anche se bisognoso sempre di sostegno per il corso dell’esistenza, in quanto dà alla comunità quel che può e riceve quel che riceve, seppure muto ed insensibile spettatore, nella sua apatia, dei processi umani e sociali, inconsapevole forse dei fenomeni che accadono intorno, ma presente, comunque, senza essere l’ultimo, né anomalo o mostruoso ma solo un vivente elemento naturale che ha una sua funzione positiva nel complesso circolo vitale autonomo, un microcosmo autofunzionale, vivace, pur in modo anomalo, nel macrocosmo universale.
Pur nel difetto di una struttura, quella della sindrome autistica, di inversione di circoli cerebrali, la natura resta perfetta anche con qualche neo nero su una pelle bianca…
Anche se apparentemente estraneo al circolo vitale armonioso della communitas, il soggetto difforme fa parte di un ‘altra armonia ed ha suoni diversi e perfino col silenzio manda messaggi, significativi, semeia di felicità, pur nella disarmonia apatica ed anaffettiva…
Egli sente, nel suo silenzio, il rumore degli altri esseri, senza distinguere le voci, i volti, i corpi che gli parano davanti, di altri viventi, madre, padre, fratello, nonni, assistenti, maestri, pur divergendo, immerso in un altra aria e dimensione!? Vede acqua terra, cielo, albero, animale, pietra, astri, instaurando un altro rapporto!? lui solo sa quel che sa, e fa quel che fa: il suo pianto e la sua gioia, la sua piscia e e cacca, il suo vivere quotidiano sono umani e naturali come quelli di ogni infante, eguali a quelli degli uomini primordiali come a quelli di homo sapiens sapiens, di un paleolitico o di un neolitico, di un un sumero o di un assiro di un persiano o di un greco o di un romano di un germano o britanno, di un francese o di un italiano o australiano o canadese!…
Non importa cosa realmente veda, se ha occhi che non sanno guardare, esaminare e circoscrivere l’ambito del suo soggiorno!? neppure se non conosce né vuole conoscere i suoi simili !?
Non ha moto di affetto verso l’altro? Va bene così.
Se le sue mani sfarfallano e non toccano le cose, che stanno non viste, che sono non manipolate, che restano intatte, giochi inutili in disparte, sono sempre mani di uomo!? Non ha intenzione di nessun genere?! E’ sua volontà!? neanche questo sappiamo! . Accettiamolo! Lui è lui, solo quello che è: cerchiamo di capire che è un essere , vivente, naturale! E’ un nato destinato a morire, uno che vive, ride, mangia e beve, piange, soffre, ama, a suo modo.
E’ un uomo mortale, una creatura naturale. una persona vera ed autentica, speciale.
La natura come natura rerum o come phusis è sempre attiva e felix, nel suo parto, nei suoi aborti, nella abnorme generazione,
Essa crea in modo funzionale gli esseri viventi collocati in ambienti adatti dando a tutti possibilità di vita, dotandoli di mezzi e di sopravvivenza, a qualsiasi altitudine e latitudine.
La natura crea tra i tanti viventi anche animali razionali che, evolvendosi, possono migliorare il creato ma anche turbarlo, sconvolgerlo e danneggiarlo, portarlo perfino alla fine, nella loro insipienza scientifica, con la loro azione operosa, ed essendo dotati di una mano divina possono risolvere parzialmente i falli di natura, per secoli rimasti falli, a seguito di continue prove e pazienti esperimenti sbagliati!
L’uomo sa vivere, dovunque, sa adattarsi in ogni habitat, interagendo coi simili, sa gestire al meglio i suoi talenti e sa fare la sua storia e quella del mondo con l’organizzazione sociale, dimostrando capacità divine, andando progressivamente verso mete sempre migliori, verso obiettivi sempre maggiori, lasciando orme storiche, in un crescendo progressivo, puntando al sublime, all’ adrephbolon, nella coscienza di superare perfino i propri limiti umani.
La natura, quindi, crea viventi che hanno nel Dna segnato la loro via e il loro tipico percorso: ad ognuno è data una spinta verso l’alto naturale che lo contraddistingue e lo agita e che lo porta a raggrupparsi, ad essere se stesso in una ricerca del bene personale ma sa adattarsi cooperando al bene comune superiore, per il benessere del suo stesso genere, senza trascurare il proprio utile, in un cammino sempre progressivo, nonostante le avversità naturali e i contrasti interni al gruppo e i condizionamenti infantili a seguito di panico collettivo davanti a cataclismi e a fenomeni abnormi mortali,
Non la natura è male ma è il vivente che prova, che lavora che sbaglia, che si misura nella sua imitazione continua naturale, con la sua creazione artificialis, con la sua pretesa divinità innata, con la tecnica, tipica di una scienza, che è tale proprio perché inventio continua in relazione agli esercizi e alle risultanze, comprovanti l’esperimento tentato e riuscito, catalogato come una tappa fondamentale,un punto fermo, anche se non dogmatico, di un iter euristico aperto, infinito.
Il pensiero cristiano, non scientifico ma religioso, è paradossale e falso: non si può verificare che una virgo partorisca, che gli ultimi siano i primi e che i morti risorgano!.
Se accade è la fine dell’umanità! Il capovolgimento totale non avviene mai in natura. Ogni formulazione è dogma di una catena dogmatica , segnata nel tempo per credenti non razionali, già segnati dal male del peccato originale di Adamo.
Certo, Marco, ci sono cose abnormi e mostruose in natura che ancora sono impressionanti e catastrofiche, che producono eventi straordinari ed imprevedibili, ma non per questo misteriosi e segreti, opera di un dio ignoto, invisibile, onnipotente, onnisciente secondo la definizione della creatura nei confronti di un demiurgo creatore, sognato come pater!.
Ci sono cataclismi tali da provocare rovesciamenti, stravolgimenti radicali e avvicendamenti traumatici per cui il sopra diventa sotto e viceversa, per cui il centrale diventa estremo e viceversa e l’ultimo e il primo coincidano, l’uno sopra l’altro, il puro e l’impuro si possono armonizzare, il semplice naturale può innestarsi col santo peccatore e per gioco tra i sumeri i padroni servono i propri servi, tra gli ebrei e i romani ci sono feste che celebrano l’inversione dei ruoli sociali…
In natura, quindi, ci sono casi mostruosi di nascite strane, fenomeni come terremoto, vulcanesimo, maremoto, movimenti tettonici che possono far esplodere le forze centrifughe attivando quelle centripete, che senza più equilibri interni ed esterni rompono l’uovo terrestre disperdendolo in frammenti nello spazio cosmico, producendo catastrofi universali e distruzioni che coi secoli nel corso di millenni grazie ai vortici astrali riconnettono i frammenti che si raggruppano di nuovo e si ricongiungono per un nuovo mondo secondo armonie genetiche proprie del caos iniziale, in un circuito infinito ed eterno! Ogni forma di creazione antica è opera di divine forze antagoniste…. primordiali…
E’ solo un pensiero mazdaico, poi manicheo, infine cristiano che si fa attuare ad opera di un Theos che, a tempo debito, nel suo tempo atemporale, realizza la sua imprevedibile oikonomia!
E’ il pensiero agostiniano che nel IV e V secolo domina contro quello di Pelagio che vede l’armonia universale secondo principi druidici, gaelici, non dissimili da quelli vedici e sumerici in cui la creatura non è turbata da peccato, di cui non si ha idea, come è ignota anche la morte, che è porzione del vivere stesso: ogni senziente, animale o vegetale o dotato di vita e di sensazioni, anche se minime o grandiose, sviluppa una sua logica procedurale vitale e vive secondo un proprio arbitrio che lo distingue in situazione reale, continuamente ed episodicamente, sia come individuo che come ethnos, evidenziando un suo primordiale ethos, un sistema comportamentale chrestos utile in quel contesto ed ambiente, quotidianamente.
In epoca teodosiana ci sono due ideologie, una dominante quella pelagiana, ed una che sta sorgendo, quella agostiniana, che cuce il pensiero orientale e quello occidentale in difesa del cristianesimo divenuto da poco Religio triumfans e della Ecclesia di Roma e di Costantinopoli, sedi patriarcali ritenute centri di irradiazione della luce cristiana, fari cristiani.
Professore, secondo lei, da sempre, dai primordi del mondo, l’uomo coi suoi sentiments and feelings, coi suoi pathh/affectus, crea un sua rete di relazioni affettive su base sensoriali e conosce il mondo circostante e si adatta secondo i propri parametri di giudizio connessi con la sua esplorazione, relativa alla sua acquisita competenza scientifica?.
Certo, Marco, la libertà dell’uomo/ Adamo, si sviluppa in relazione al movimento e all’osservazione, personale, alla diversa angolazione visiva a seconda del punto di lettura, nella sua posizione alta o media o bassa, dei fenomeni naturali ed antropici, che risultano superiori per la violenza, da cui è spaventato.
Allora, professore, Bia e phobos sono i colpevoli ma anche i motori della risposta umana intelligente, tipica di ogni singolo soggetto che si crea un proprio modus vivendi, pur coi condizionamenti di gruppo, il quale attiva un processo di sopravvivenza cooperativo, sempre più articolato.
E’ così! ma bisogna distinguere.
Nel De Divitiis, Pelagio, dialogando con un altro se stesso apostrofato con un tu, generico, ipotizza una società con un ‘equa distribuzione di beni materiali, in cui non esistano poveri.
Pelagio non vuole eliminare la ricchezza, ma invita i ricchi latifondisti e militari, la comunità ecclesiale romana ed ogni altra struttura comunitaria a non accumulare il superfluo, rilevando l’avidità del clero impegnato già alla conquista del potere politico e con esso ad accaparrare i beni sottratti ad ebrei e pagani, a seguito dei decreti teodosiani.
Per Pelagio, Marco, la ricchezza ha una connotazione di fortuna, dovuta, comunque, alla violenza della guerra o al raggiro di speculatori o a nascita, consapevole che esiste un’ ingiustizia sociale, su cui si basa la promessa disattesa di una giustizia imperiale e di una religioso-sacerdotale, mentre i bacaudae/ i bagaudi, riuniti in gruppi, da oltre un secolo, si sollevano contro le pressioni fiscali romane e contro il latifondo dei cives .
Non si sa se la sua venuta a Roma sia anche dovuta al desiderio di fuggire dalla instabilità e violenza della Britannia e della Gallia, in quegli anni teatro della rivolta di Magno Massimo- che tra 383 e 388 regna su Britannia, Gallie e Spagna, e che, nominato imperator dalle legioni di Britannia, finisce anche per un periodo ad occupare l’Italia settentrionale, costringendo Valentiniano II e Galla alla fuga in Oriente-.
Pelagio entra sicuramente nella sfera della Domus anicia e, come già abbiamo mostrato, ha rapporti con l’ anicia Demetriade e con Pammachio, predicando equità patrimoniale e riforma burocratica e fiscale anche nella chiesa romana, con invito agli anici alla divisione delle ville e alla necessità di compartecipazione delle masse agricole, spingendo la comunità romana ad una differenziazione più marcata degli interessi della chiesa latina da quella di lingua Greca orientale: se l’Oriente si rivolge sempre di più a orizzonti metafisici, la Chiesa latina si trova impegnata sempre più nel dibattito sull’uomo e la salvezza, sul posto dell’uomo nel mondo, e ancor più, sui valori di quel mondo, sulla reale esistenza terrena in un miglioramento sociale della qualità di vita, alla ricerca del pane quotidiano.
Sempre più emerge la questione, resa drammatica da accadimenti storici ben più sconvolgenti che quelli del Mediterraneo orientale, intorno a quale sia il posto della Chiesa nella società e nelle città, la cui esistenza è continuamente minacciata, tra la gente sofferente e in balia degli avvenimenti della Storia e del destino.
Non si sbaglia, Marco, se si rileva in Pelagio (e nei suoi discepoli) l’ispiratore della riforma burocratica del giovane e sfortunato imperatore Maggioriano (420-461 ) che, nel corso del suo breve regno 457-461, progetta di riformare lo stato con le sue Novelle.
Non conosco affatto, professore, le sue riforme, me ne può indicare qualcuna?.
Certo.Marco . E’quella di Maggioriano un’epoca difficile senza potere centrale, dominata da Barbari e da generali come Ezio e Recimero, in cui c’è anche un’invasione degli Unni e dei Vandali mentre scarso è il prestigio imperiale di Valentiniano III.
Il giovane imperatore, militare di carriera, preso il potere dopo Anicio Petronio Massimo ed Avito, vista la situazione generale agricola dei latifondi, cerca di limitare la burocrazia occidentale gravante sui servi della gleba e di arginare il potere della stessa chiesa romana – che rivendica perfino il mandato sull’Illiria nei confronti della chiesa costantinopolitana- e per prima cosa ripristina con una nuova configurazione la figura del Defensor civitatis/ékdikos per difendere le plebi e i curiales dagli esattori del fisco/ honorati e dai possessores padroni di ville.
Concedendo una giurisdizione nei piccoli processi , lo autorizza a svolgere, insieme al vescovo, la sua funzione come pubblico ufficiale che regola il diritto di alienazione dei beni prediali, fissando anche le quote per la remissione dei debiti dei fittavoli. Ed infine contro le mire della Chiesa stessa, che tende ad inglobare i beni delle vedove e delle giovani novizie, impedisce la monacazione vedovile in età giovanile e fissa l’età monacale con la presa dei voti a 40 anni- età giudicata prossima alla fine delle mestruazioni – in modo da favorire il recupero dei beni delle vergini e delle vedove monacatesi, risuddividendoli poi tra le aventi diritto e la comunità ecclesiastica e le famiglie stesse di provenienza, come nuovo deposito dotale.
Professore, grazie per l’approfondimento sulle Novelle di Maggioriano. Sono, però, perplesso sul linguaggio semplice ed evangelico di un dotto come Pelagio!
Marco, anche se il suo parlare, comunque, è connesso col parlare biblico, sapienziale, sacerdotale, evangelico, risulta efficace e demagogico, in relazione alla situazione di reale miseria occidentale in cui versano le masse britanniche, galliche, ispaniche ed italiche, in un quadro apocalittico decadente ,evidenziato dalla retorica romano-ellenistica: il sermo di Pelagio è concreto e ha le connotazioni di semplicità proprie dell’evangelista Marco, con un contenuto elementare ottimistico, teso a migliorare le condizioni plebee sulla base di un’equità distribuzionale dei beni: è uomo convinto che in natura esiste un’ armonia di cui l’uomo, in quanto figlio, è pars attiva e creativa, come ogni altro animale: ad ognuno il suo, cioè, quanto basta per vivere bene senza accaparramento delle sostanze a scapito dell’altro!
Pelagio, non Agostino (e con lui Girolamo e le varie comunità cristiane ortodosse), ha inteso l’universale naturale armonia compresa quella dell’universo umano, nonostante le catastrofi storiche, il formalismo retorico di una chiesa di santi formata, comunque, da peccatori, che crede di potersi purificare grazie al Christos, vivente, esemplare in vita, in morte e nella resurrezione!
Si segue la parola di Christos che, però, equivale a quella della natura!
Senti, ora, Marco, come ragiona Pelagio, secondo la logica evangelica in un capitolo – VIII – del De Divitiis: chiedo a chiunque pensa che le ricchezze gli sono state date da Dio, perché mi risponda, a chi ritiene che il Signore le dia, ai buoni o ai cattivi ? Se le concede ai buoni perché le hanno i cattivi? Se le offre ai cattivi perché le possiedono i buoni? Se le dà ai buoni e ai cattivi, perché la maggior parte dei buoni e di cattivi non le hanno? Se mi si dice che ai buoni le concede Dio e ai cattivi il Diavolo, per prima cosa chiedo perché non tutti buoni godono del dono del Signore ed aggiungo anche che non sembra un gran dono se Dio concede ai buoni ciò che il Diavolo può offrire ai malvagi !
Dunque, professore, Pelagio gioca retoricamente col proprio io credente, facendo scarti in continuazione e riporta tutto al diritto naturale.
Così facendo, innesca un processo nuovo scientifico sull’albero dogmatico della gnosis cristiana origeniana, di cui già rileva errori e deviazioni (cfr Apokatastasis) in una condanna della tradizione biblica della creazione del mondo e dell’uomo /Adamo.
Lo scontro diretto tra le due partes , quella pelagiana e quella agostiniana avviene, dopo varie condanne in Occidente, in Africa e a Roma, nella sede del patriarcato di Gerusalemme, dove i pelagiani, numerosi, hanno avuto la protezione sicura fino ad allora del vescovo Giovanni.
Perché i pelagiani, eretici puri e naturali attaccano nel 419 d.C. Girolamo christianos razionale e santo peccatore?! Cosa ha fatto l’eremita betlemita, fondatore di conventi col denaro delle matrone romane, a Gerusalemme?
Si. Marco, a Gerusalemme, città christiana poliglotta – piena di uomini santi cristiani che hanno fondato con denaro romano chiesa e conventi per uomini e per donne, dove esiste un formalismo pietistico religioso, che trascura il contesto ebraico e pagano ancora esistente, e colpisce solo gli eretici pelagiani, che mettono in mostra la pratica di una chiesa naturale, come quella dei donatisti- avviene lo scontro contro Girolamo, che ha assunto su di sé la responsabilità del credo cattolico agostiniano dell’episcopato africano.
Non a Costantinopoli, patriarcato egemone, dunque, ma a Gerusalemme, sede minore ma patria del giudaismo e della setta giudaico-cristiana antiochena c’è una reazione di un corpuscolo agguerrito di Pelagiani, che risponde alla volontà di occidentali, persecutori, di espellere i puri che, tendendo ad una comunità migliore naturale, rilevano continuamente la contraddizione proprio nella chiesa cattolica ortodossa proclamata santa, pur costituita da peccatori (clero e laici), avida di potere, politico, tesa alla ricchezza, non casta, ma avviata alla impudicizia sessuale e al meretricio delle agapete!.
La lotta esplode nella comunità gerosolomitana e non in quella a costantinopolitana, dove il patriarca Attico ancora ha sotto controllo i monaci cittadini e il potente clero cortigiano e sa tenersi lontano dall’ambizione politica come poi il suo successore, Nestorio, uomo moralmente integro che sa vivere razionalmente e naturalmente, non compromesso e con la familia dei teodosiani né con l’esercito né con l’ambiente filantropico, devoto e vincolato dalla devozione religiosa, indenne dai condizionamenti, in cui qualche anno prima è incappato Giovanni Crisostomo.
Dunque, professore, il teatro è Gerusalemme?
Si, Marco. Una Gerusalemme poliglotta dove latini, siriaci, ebrei e greci hanno rapporti equivoci tra loro e si confrontano e dibattono, creando una comune cultura cristiana, nonostante le differenze teologiche e i diversi valori dei termini usati, che generano confusione.
Girolamo è già in conflitto col Vescovo Giovanni (cfr. Traduzione e Girolamo, De optimo genere interpretandi ) ed ora maggiore è la tensione per l’affaire Pelagio, che ha diviso la cristianità gerosolomitana e palestinese, dopo aver lacerato quella africana. Perciò, riflettendo su questo episodio per comprendere la situazione a Gerusalemme sotto il vescovo Giovanni filopelagiano, dopo l’accusa ai pelagiani, assolti e poi di nuovo accusati sotto il suo successore Praulio (417-422), medito sulle parole di Agostino (De Gestis Pelagii, 35.66) che, sentiti da lontano i fatti, informa: Si racconta che dopo questo processo gravi crimini furono commessi in Palestina con incredibile audacia da parte di non so quale crocchio di uomini sfrenati, che si fanno passare per partigiani di Pelagio e lo spalleggiano in maniera assai perversa. Accadde che i servi e le serve di Dio addetti alle cure del santo presbitero Girolamo furono vittime di uno scelleratissimo assalto, un diacono rimase ucciso, e edifici di monasteri furono incendiati. A mala pena lo stesso Girolamo per la misericordia di Dio fu protetto contro questa violenta incursione di gente empia da una torre meglio difesa delle altre.
Riporto anche la sentenza del tribunale: Poiché ora è stata data soddisfazione a noi con le spiegazioni del monaco Pelagio qui presente, il quale da una parte acconsente ai santi insegnamenti della Chiesa e dall’altra riprova e anatematizza le affermazioni contrarie alla fede della Chiesa, noi confessiamo che egli è nella comunione ecclesiastica e cattolica.
Girolamo ed Orosio, i due principali accusatori non si sono, dunque, arresi, professore, convinti delle loro idee antipelagiane, simili a quelle agostiniane, africane, e fanno ricorso al Vescovo per fare condannare definitivamente Pelagio.
Girolamo, accusato dai Pelagiani di gestire la ricchezza romana e di servirsi specificamente degli averi di Paola ( cfr. Capitali femminili e Cristianesimo) avendo già fondato un monastero maschile e uno femminile, si difende leoninamente con Adversus Pelagianos.
Certo, Marco, il fatto che Pelagio risulti poi vincitore e ne esca ingigantito proprio per la sua ritrattazione, a dimostrazione della sua theoria flessibile, tanto da potersi discolpare anche dalle pseudo deduzioni di Celestio, fa incattivire il focoso Girolamo che, nonostante il ricorso, è di nuovo vinto dalla precisa affermazione ortodossa cattolica dell‘eretico, abile a sottolineare il proprio pensiero, basato sulla libertà ed autonomia dell’arbitrio personale e a rilevare perfino un’impostazione gnostica sull’Incarnazione del discepolo.
Alla persecuzione dei cattolici segue il fatto di una violenta reazione da parte dei pelagiani, che vedono i prelati avversari come incettatori di ricchezze, che cercano di aver perfino gli averi di Demetriade, come già ha fatto Giovanni Crisostomo con i beni di Olimpiade e poi come faranno altri con quelli di Giuliana Anicia a Costantinopoli verso la fine del V secolo e gli inizi del VI, al momento dell’elezione di Giustino I, dopo la morte di Anastasio I. Nel tafferuglio c’è un diacono morto !
Ormai la chiesa cattolica ha un suo potere politico ed economico, ma ha necessità di patrimoni terrieri e di denaro liquido per assumere maggiore importanza rispetto alle altre forme oligarchiche dominanti, specie nell’impero orientale teodosiano dovendo competere con il potere del sovrano e della corte, accentratore col fisco della ricchezza erariale statale, di cui è regolatore con i suoi delegati provinciali, oltre che con l’apparato militare, bisognoso di denaro per le campagne contro i nemici esterni.
L’impero occidentale e quello orientale sono impegnati a creare uno stato oligarchico in cui poche famiglie, legate alla corte, laiche e clericali, hanno il monopolio del territorio imperiale e costituiscono neanche il 10 % della popolazione romana, avviando la restante nona parte già, secondo il processo di incatenamento alla terra, ad essere serva della gleba e schiavizzata perché indebitata.
La chiesa cattolica è già corrottissima anche per i lasciti testamentari, per la circuizione dei vecchi e dei minori, sia a Roma che a Costantinopoli (cfr Domus anicia e Capitali femminili e cristianesimo) per lo scandalo delle agapete e clero, per la competizione al patriarcato specie Romano, per l’omophobia cristiana ( la corte è piena di eunuchi, funzionari statali ).
Professore, ora capisco meglio perché anche il papa Francesco oggi parli del pericolo del pelagianesimo e dello gnosticismo in Evangelii gaudium e nella lettera ai Vescovi Deo Placuit . Penso, infatti, che l’incarnazione di Christos in una vergine risulti giustamente inutile se non esiste il peccato originale. Pelagio non ha affatto parlato a vanvera, come anche gli gnostici E’ giusto? o Sbaglio?
Se papa Francesco non si pone problemi ma accenna solo alle tentazioni pelagiane e gnostiche ricorrenti, tu perché dài per accertato che Pelagio non sbagli e che gli gnostici abbiano ragione affermando che non è necessaria la venuta del Christos con la sua incarnazione nel ventre di una vergine?
A me, ingegnere, sembra oggi del tutto ovvio e naturale che la concezione occidentale del faber abbia anche una connotazione naturalistica pelagiana: la favola di Adamo può valere ancora solo per la massa di credenti ignorantissimi cristiani!
Sappi che il problema è più complesso di quanto possa sembrare a prima vista e non si tratta solo di un fenomeno naturale-naturalistico ma anche di uno spirituale -metafisico e di uno religioso -teologico anche per i pelagiani, che non sono unitari nella formulazione ideologica!
Infatti in un primo tempo Pelagio acconsente totalmente ai santi insegnamenti della Chiesa e solo in un secondo dopo una personale deviazione ideologica, riprova e anatematizza le affermazioni proprie contrarie alla fede della Chiesa tanto, comunque, da essere dichiarato “nella comunione ecclesiastica e cattolica “. Perciò, non si può giudicare oggettivamente, con criteri scientifici il pensiero di Pelagio se non dopo aver visto e la situazione romana iniziale e quella africana e quella gerosolomitana, ultima, in cui vive e muore il britanno.
Infatti Pelagio a Roma sotto Damaso predica solo il vangelo secondo una volontà riformistica con l’intento di fuggire la ricchezza e cercare la fede spirituale e di fare un cammino di perfezione secondo la paideia christiana romano- ellenistica, di lingua latina, seppure in relazione ad una precedente formazione gaelica druidica, naturale, mentre poi nel secondo, nel periodo africano si scontra con la posizione integralista agostiniano- manichea, e nell’ultimo nel clima di Gerusalemme sotto la protezione del vescovo Giovanni, ben collegato con il patriarca Attico di Costantinopoli, matura un cristianesimo moderato connesso col principio della libera volontà ed autonomia personale.
Dunque, professore, urge che noi comprendiamo i parametri di lettura pelagiani secondo la cultura gallica, il sistema di insegnamento proprio di un maestro occidentale.
Certo, Marco, altrimenti falsiamo il pensiamo pelagiano confuso con quello della paideia orientale, di lingua greca di molto superiore culturalmente a quella occidentale.
Personalmente io penso ad un maestro della tipologia di Decimo Magno Ausonio (314-395).
Il maestro di retorica di Ponzio Anicio Meropio Paolino, di Paolino di Nola (345-431) ? L’autore di Mosella e di Ludus septem sapientum e di altre opere ?
Pelagio può aver seguito le lezioni di un maestro di tale genere in patria e può essersi formato secondo i parametri dell’epoca con cui si insegnava a seguire non solo l’arte ma anche il sistema di vita del precettore?( cfr. E. Paratore, la letteratura latina dell’età imperiale 1959)
Perciò Pelagio potrebbe basare tutto sulla volontà, intesa come studium et usus in quanto esercitatio et imitatio sul fondamento, però, della doctrina evangelica christiana, diffusasi nelle zone britanniche e in precise zone dell’Occidente: la sua predicazione di un ritorno ad un primitivo vangelo, pauperistico, ne sarebbe una prova!
La sua predicazione in Africa, in un clima donatista, impostata sulla volontà, naturale, in cui prevale non la razionalità ma l’ottimismo con fiducia nell’uomo creativo pars dell natura stessa creatrice si scontra col pensiero episcopale basato sui limiti dell’uomo, principe della terra, peccatore degenerato per colpa di Adamo: L’opposizione è fonte di accuse tanto che Pelagio, condannato a Cartagine da un sinodo, decide di ritirasi in Palestina.
Infine nell’ambiente di Gerusalemme si barcamena, lui occidentale di cultura latina, con un linguaggio scarsamente greco, di fronte alla critica orientale, superiore, favorevole alla theoria della grazia e della predestinazione agostiniana, facendo chiarezza con un formulario semplicistico e d evangelico sulla sua doctrina quando già Nestorio comincia la propagazione del suo pensiero .
Professore, noi uomini siamo complessi e strani ed ancora di più siamo freddi e calcolatori in caso di appartenenza al clero che ha il dovere di essere esemplare imitatore del Christos, guida nel cammino di perfezione, pur conscio di essere materia e di essere quindi in natura, peccatori, anche se convinto di essere prediletto da Dio, nostro padre.
Io, che sono pratico, scientifico, positivista vicino più a quelli che fanno le cose secondo natura e tendono a autocorreggersi in situazione, senza l’aiuto di nessuno, che sono vigili su se stessi nel loro quotidiano cammino ascensionale, progressivo, mi stupisco del pensiero agostiniano di Tzevan Todorov (1939-2017)-che lei ben conosceva.
Il bulgaro-francese in I nemici intimi della democrazia, (Garzanti 2012) rileva nell’individualismo il male intimo della democrazia occidentale,e, dopo la fine dei totalitarismi, trova nella radice pelagiana l’eccesso di ottimismo che, pervadendo il sogno scientifico lo condiziona e perciò gli contrappone la theoria pessimistica di Agostino che nell’ assistenza divina e nei limiti dell’uomo coglie i valori umani individuali, contemperati con quelli comunitari.
La formulazione conclusiva di Todorov è sul rinnovamento della democrazia, che deve ricercare un nuovo equilibrio tra autonomia individuale e bene comunitario che sono i pilastri di ogni forma democratica!
La nostra stessa società perTodorov è di fronte a questa alternativa: si è illusa di essere capace di trovare il senso e di affermare così la propria superiorità e ora deve fare i conti con i fallimenti di cui porta la responsabilità; assumere un punto di vista più pessimistico, ammettere che il male non stava fuori e lontano da noi, è forse un modo per verificare se sia possibile predisporsi al dono di ritrovare un senso del nostro cammino!
Per me professore, il pensiero di Todorov contempla solo l’aspetto naturale ed umano, che viene condannato senza rilevare le potenzialità infinite umane, non diversamente da quanto denuncia Papa Francesco un cristiano francescano -gesuita, un idealista italo-argentino, che sa rilevare le tendenze pelagiane e gnostiche nel nostro secolo, ma non ne comprende il reale potenziale valore.
Marco, non ti sembra di andare oltre il nostro stesso pensiero e le nostre comuni attese euristiche?
Per me chi non sa emendare se stesso da solo non può emendare la natura: ora è tempo di processare la doctrina agostiniana, di fare una revisione storica dello gnosticismo e di rivalutare definitivamente il pelagianesimo!.
Certo, Marco, il pelagianesimo avrebbe potuto agli inizi del V secolo avviare il cristianesimo in una direzione unitaria positiva, antimanichea secondo due linee critiche, quella di una visione materialistica meccanicistica e quindi di un progressivismo illuministico e positivistico e quella di un’altra concezione in relazione alla interpretazione culturale lucreziana di una degenerazione progressiva umana secondo le mitiche epoche passate da quella dell’oro a quella del ferro, a causa del male originato dall’uomo stesso che per la mancanza di Giustizia, non era in grado di costituirsi in società democratiche, pervase da individualismo egotistico e da esplosioni comunitarie irrazionali, dominate dal clero che, in nome di un Dio creatore, soggioga le masse, credulone, impedendo il sorgere di forme unitarie democratiche, favorendo eccessi tirannici o oligarchici.
La doctrina agostiniana della grazia e della predestinazione, con l’equivoco peccato originale di Adamo, invece, proprio allora, dopo la condanna del pelagianesimo, avvia il cristianesimo su linee elitarie, clericali, su base selettive classiste in una volontà di negazione della paritarietà umana su cui poi la cultura medievale elabora un costituzione , basata sul diritto romano giustinianeo , sulla supremazia della Chiesa romana, vicaria del Christos vivente, la cui auctoritas con potestas è divina tale da poter investire dello stesso potere anche gli imperatori e i re, giusti finché soggetti fedeli al Pontefice, diabolici tiranni in caso diverso: Agostino crea un modello di vita terrena sulla Civitas dei, armoniosa sotto il controllo di un Dio, monarca assoluto, modello per Imperatore e Pontefice, sue figure terrene – l’uno guida alla felicità terrena come amministratore di iustitia e datore di pax e l’altro guida spirituale delle anime verso la gloria paradisiaca come interprete della volontà divina, biblica– mentre i laboratores, oratores e bellatores diligentemente svolgono le loro funzioni ministeriali servili.
Quindi , professore, se ho ben capito, non sbaglio a dire quanto ho detto e anche se aggiungo che mi risulta equivoco ed ambiguo lo stesso pensiero di Todorov.
Marco, tu sei un mio discepolo e forse il più caro, quello che dovrebbe diffondere il mio pensiero di un nuovo umanesimo razionalistico illuministico positivistico, che non mi sembra todoroviano! La convinzione della superiorità della democrazia occidentale sottende e comporta la ripresa di crociate volte a colpire il male, mentre l’autonomia dell’economico, soggettiva, tende a rovesciarsi nel dominio dell’economia sui soggetti e, per altro verso, l’individualismo si afferma in modo quasi metafisico.
La radice di questi atteggiamenti può essere individuata giustamente proprio nel Pelagianesimo, capace di affermare il bene, secondo natura, con la propria ragione.
Il fatto che Todorov contrapponga il pessimista Agostino al positivista Pelagio è dovuto alla sottesa accettazione della visione agostiniana del peccato come limite intrinseco della natura umana. Per me non esiste, però, un mondo capace di collegare la politica con l’illusione di una potenza senza limiti, portata a moderarsi e ad equilibrarsi tra autonomia individuale e bene assoluto. Perciò, anche se posso accettare con riserva Todorov , non mi pare sostenibile, oggi, la concezione agostiniana di papa Francesco.
Aggiungo, Marco. che un pontefice ragiona con la fede di Agostino che sa giustificare fede e ragione in un’Africa lacerata da Donato e e da Pelagio con la theoria naturale in cui prevale non la razionalità ma l’ottimismo dell’uomo creativo, pars creativa della natura stessa. Agostino tirando dalla sua parte con la sua doctrina anche Girolamo – che si separa da Rufino e che nell’ambiente di Gerusalemme si barcamena retoricamente di fronte alla critica orientale, ostile alla chiesa romana- rende compatto, comunque, il fronte antipelagiano sulla comune base manichea del male, quando già Nestorio inizia la propagazione del suo pensiero. La condanna pelagiana da parte del papato romano è un ‘ulteriore pacificazione confessionale col patriarcato costantinopolitano in un’unità di intenti contro il pelagianesimo.
Oggi, dopo secoli, papa Francesco condanna di nuovo Pelagio che spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene, e sulla scia di Agostino aggiunge che Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività.
La sua conclusione, agostiniana, è quella cristiana: solo in Christo c’è salvezza dal peccato che è fondamento della chiesa dei peccatori in quanto la dottrina cristiana non è un sistema chiuso, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.
Al papa sfugge che nel V secolo, proprio all’interno del dibattito dottrinale tra Pelagio e Agostino d’Ippona si precisa la dottrina della Chiesa e all’interno della lotta tra queste due fazioni si forma il gruppo dirigente della Chiesa d’Occidente che coi suoi rapporti con la corte imperiale, con l’aristocrazia senatoriale e curiale, svolge anche la sua funzione di avvocato del popolo.
Su un piano più strettamente teologico, nei secoli successivi, le idee di Pelagio verranno più volte riscoperte e riconsiderate, per via della loro connessione con l’eterno problema che caratterizza la relazione tra volontà divina e libero arbitrio umano.
Professore, la sconfitta di Pelagio, che sancisce la vittoria in Oriente e in Occidente di Agostino, non ha mai convinto unanimemente chi pensa che chi non sa emendare se stesso non può emendare la natura!
Marco, Marco!!