I Pelagiani e Girolamo

In memoria di Vittorio Verdecchia

 

Every child has a natural right to sentiments and feelings Ogni bambino ha naturale diritto a sentimenti e ad affetti: anche la nascita di un bambino autistico è, naturalmente, un dono, speciale, ma dono per tutti!

La natura  crea  ogni  cosa  e nel creare capitano errori, che, comunque, non turbano l’equilibrio tra  l’individuo e la specie e tra le species e  i genera, tra animalia ed inanimata, e tra le partes e il tutto: la natura è armonia! 

L’armonia è sovrana, anche se esistono  uccellini non canori,  lupi canariensi,  fiumi salati, nani e giganti,  uragani, una varietà di meraviglie apparentemente senza senso, in un tal ambiente e in un tale epoca, nel corso dei  secoli: sono anomalie che  non cambiano la sostanziale bontà naturale: l’armonia del creato resta intatta, se nasce un bambino autistico!

Niente cambia nell’armonia del  creato, in cui galleggia un corpo specialis ( Monogenhs), comunque,  consanguineo, congiunto, della stessa species, anche se differente,  ma ordinario pur nell’irregolarità, anche se ha una qualche straordinarietà! .

La non conformità ai parametri della regolarità e della  normalità, pur diversificando il novus  dagli altri viventi, minerali, aeriformi,  risulta secondo natura, come ogni altro essere, anche se bisognoso sempre di sostegno per il corso dell’esistenza, in quanto  dà alla comunità quel che può  e riceve  quel che riceve,  seppure muto ed insensibile spettatore, nella sua apatia, dei processi umani e sociali, inconsapevole forse dei fenomeni che accadono intorno, ma presente, comunque, senza essere l’ultimo, né anomalo o mostruoso ma solo un vivente elemento naturale che ha una sua funzione positiva nel complesso circolo vitale autonomo, un microcosmo autofunzionale, vivace, pur in modo anomalo,  nel macrocosmo universale.

Pur nel difetto di una struttura, quella della sindrome autistica, di inversione di circoli cerebrali, la natura resta perfetta anche con qualche neo nero su una pelle bianca…

Anche  se apparentemente estraneo al  circolo vitale armonioso  della communitas, il soggetto difforme  fa parte di un ‘altra armonia ed ha  suoni diversi  e perfino col silenzio manda messaggi,  significativi, semeia di felicità, pur nella disarmonia  apatica ed anaffettiva…

Egli sente, nel suo silenzio, il rumore degli altri esseri, senza distinguere le voci,  i  volti, i corpi che gli parano davanti, di altri  viventi, madre, padre, fratello,  nonni, assistenti, maestri, pur divergendo, immerso in un altra aria e dimensione!?  Vede  acqua  terra, cielo,   albero,  animale, pietra, astri, instaurando un altro rapporto!? lui solo sa  quel che sa, e  fa quel che fa: il suo pianto e la sua gioia, la sua piscia e e cacca, il suo vivere quotidiano  sono umani e naturali come  quelli di ogni  infante, eguali a quelli degli uomini primordiali come a quelli di homo sapiens sapiens, di un paleolitico  o di un neolitico, di un un sumero o di un assiro di un persiano  o di un greco o di un romano di un  germano o britanno, di un francese o di un italiano o australiano o canadese!…

Non importa cosa  realmente  veda, se ha occhi  che non sanno guardare, esaminare e circoscrivere l’ambito del suo soggiorno!? neppure  se non conosce né vuole conoscere i suoi simili !?

Non ha moto di affetto verso l’altro? Va bene così.

Se le sue mani sfarfallano  e non toccano le cose, che stanno non  viste, che sono non manipolate, che restano  intatte, giochi inutili  in disparte, sono sempre mani di uomo!? Non ha intenzione di nessun genere?! E’  sua volontà!? neanche questo sappiamo! .  Accettiamolo! Lui è lui, solo quello che è: cerchiamo di capire che  è un essere , vivente, naturale!   E’ un nato destinato a morire, uno che vive, ride, mangia e beve,  piange, soffre,  ama, a suo modo.

E’ un uomo mortale, una creatura naturale. una persona vera ed autentica, speciale.

La natura  come natura rerum o come phusis  è sempre  attiva e felix, nel suo parto, nei suoi aborti, nella abnorme  generazione,

Essa  crea in modo funzionale gli esseri viventi collocati  in ambienti adatti dando a tutti possibilità di vita, dotandoli di mezzi e di sopravvivenza, a qualsiasi altitudine e latitudine.

La natura crea  tra i tanti viventi  anche animali razionali che, evolvendosi, possono  migliorare il creato ma anche turbarlo, sconvolgerlo e danneggiarlo, portarlo  perfino alla fine, nella loro insipienza scientifica,  con la loro azione operosa, ed essendo dotati di una mano divina possono risolvere  parzialmente i falli di natura, per secoli rimasti  falli,  a seguito di continue prove e pazienti esperimenti  sbagliati!

L’uomo sa vivere, dovunque, sa adattarsi in ogni habitat, interagendo coi simili,  sa gestire al meglio i suoi talenti e sa fare la sua storia e quella del mondo con l’organizzazione sociale, dimostrando capacità divine, andando progressivamente verso mete  sempre migliori, verso obiettivi sempre maggiori,  lasciando orme storiche, in un crescendo progressivo, puntando al sublime,  all’ adrephbolon, nella coscienza  di superare perfino i propri limiti umani.

La natura, quindi,   crea  viventi che hanno nel  Dna segnato la loro via e  il loro tipico  percorso: ad ognuno è data una spinta verso l’alto naturale che lo contraddistingue e lo agita e  che lo porta a raggrupparsi,  ad essere se stesso in una ricerca  del bene personale ma sa adattarsi  cooperando al bene comune  superiore, per il benessere del suo stesso genere, senza trascurare il proprio utile,  in un cammino  sempre progressivo, nonostante le avversità naturali e i contrasti interni al gruppo e i condizionamenti  infantili  a seguito di panico collettivo davanti  a cataclismi e a fenomeni abnormi mortali,

Non la natura è male ma è  il vivente che prova, che lavora che sbaglia, che  si misura nella sua imitazione continua naturale, con la sua creazione artificialis, con la sua pretesa divinità innata, con la  tecnica, tipica di una scienza, che è tale proprio perché inventio continua in relazione agli esercizi e alle risultanze, comprovanti l’esperimento tentato e riuscito, catalogato come una tappa fondamentale,un punto fermo, anche se  non dogmatico,  di un iter euristico aperto, infinito.

Il pensiero cristiano, non scientifico ma religioso,  è paradossale  e falso: non si può verificare che una virgo partorisca, che gli ultimi siano i primi e che i morti risorgano!.

Se accade è la fine dell’umanità! Il capovolgimento totale non avviene mai in natura. Ogni formulazione è dogma di una catena dogmatica , segnata nel tempo per credenti  non razionali, già segnati dal male del peccato originale  di Adamo.

Certo, Marco, ci sono cose abnormi  e mostruose  in natura che  ancora sono impressionanti e catastrofiche, che producono eventi straordinari ed imprevedibili,  ma non per questo misteriosi e  segreti, opera di un dio  ignoto, invisibile, onnipotente, onnisciente secondo la definizione della creatura nei confronti di un demiurgo creatore, sognato come pater!.

Ci sono  cataclismi tali da provocare rovesciamenti, stravolgimenti radicali e avvicendamenti traumatici per cui il sopra diventa sotto e viceversa, per cui  il centrale diventa estremo e viceversa e l’ultimo e il primo coincidano, l’uno sopra l’altro, il puro e l’impuro  si  possono armonizzare, il semplice naturale può innestarsi col santo peccatore  e per gioco  tra i sumeri  i padroni servono  i propri  servi, tra gli ebrei e i romani ci sono feste che celebrano l’inversione dei ruoli  sociali…

In natura, quindi, ci sono casi mostruosi  di nascite strane, fenomeni    come terremoto,   vulcanesimo,  maremoto,  movimenti tettonici che possono far esplodere le forze centrifughe  attivando  quelle centripete, che senza più equilibri interni  ed esterni rompono l’uovo terrestre disperdendolo in frammenti nello spazio cosmico, producendo catastrofi universali  e distruzioni che coi secoli  nel corso di millenni  grazie  ai vortici astrali  riconnettono i frammenti che si raggruppano di nuovo e si ricongiungono per un nuovo mondo   secondo armonie  genetiche proprie del caos iniziale, in un circuito infinito ed eterno! Ogni forma di creazione antica  è opera di  divine forze antagoniste…. primordiali…

E’ solo un pensiero mazdaico, poi manicheo, infine cristiano che si  fa attuare ad opera di un Theos  che, a tempo debito, nel suo tempo  atemporale, realizza la sua imprevedibile oikonomia!

E’ il pensiero agostiniano che nel IV e V secolo domina contro quello di Pelagio che vede l’armonia universale  secondo principi  druidici, gaelici, non dissimili  da quelli vedici  e sumerici in cui la creatura  non è  turbata da peccato, di cui non si ha idea, come è ignota anche la morte, che è porzione del  vivere stesso: ogni senziente, animale  o vegetale  o dotato di vita e di sensazioni, anche se minime o grandiose,  sviluppa una sua logica  procedurale vitale  e vive  secondo un proprio arbitrio  che lo distingue  in situazione reale, continuamente ed episodicamente, sia come individuo che come ethnos, evidenziando un suo primordiale ethos, un sistema comportamentale chrestos  utile  in quel contesto  ed ambiente, quotidianamente.

In epoca teodosiana ci sono due ideologie, una dominante quella pelagiana, ed una  che sta sorgendo, quella agostiniana, che cuce il pensiero orientale e quello occidentale in difesa del cristianesimo divenuto da poco Religio triumfans  e della Ecclesia  di Roma e di Costantinopoli, sedi patriarcali  ritenute  centri di irradiazione della luce cristiana, fari cristiani.

Professore, secondo lei,  da sempre, dai primordi del mondo,  l’uomo coi suoi sentiments and feelings, coi suoi pathh/affectus, crea un sua rete di relazioni affettive  su base sensoriali e conosce il mondo  circostante   e si adatta secondo i propri parametri  di giudizio  connessi con la sua esplorazione, relativa alla sua acquisita competenza scientifica?.

Certo, Marco, la libertà dell’uomo/ Adamo, si sviluppa in relazione al movimento  e all’osservazione, personale, alla diversa angolazione visiva a seconda del punto  di lettura, nella sua posizione alta o media o bassa, dei fenomeni naturali ed antropici, che risultano superiori  per la violenza, da cui è spaventato.

Allora, professore, Bia e phobos  sono i colpevoli ma anche i motori della risposta umana intelligente, tipica di ogni singolo soggetto che si crea un proprio modus vivendi, pur coi condizionamenti di gruppo, il quale attiva un processo di sopravvivenza cooperativo, sempre più articolato.

E’ così! ma bisogna distinguere.

Nel De Divitiis, Pelagio, dialogando con un altro se stesso apostrofato con un  tu, generico,  ipotizza una società con un ‘equa distribuzione  di beni materiali, in cui non esistano poveri.

Pelagio non vuole eliminare la ricchezza, ma invita i ricchi latifondisti e militari,  la comunità ecclesiale romana  ed ogni altra struttura comunitaria  a non accumulare il superfluo, rilevando l’avidità del clero  impegnato già alla conquista del potere politico e con esso ad accaparrare i beni  sottratti ad ebrei e pagani, a seguito dei decreti teodosiani.

Per Pelagio, Marco, la ricchezza ha una connotazione di fortuna,  dovuta, comunque, alla violenza  della guerra o al raggiro di speculatori o a nascita, consapevole  che esiste  un’ ingiustizia sociale, su cui si basa la promessa disattesa di una giustizia imperiale e   di una religioso-sacerdotale, mentre  i bacaudae/ i bagaudi, riuniti in gruppi,  da oltre un secolo, si sollevano contro le pressioni fiscali romane e contro il latifondo dei cives .

Non si sa se la  sua  venuta a Roma sia  anche dovuta al desiderio di fuggire dalla instabilità e violenza della Britannia e della Gallia, in quegli anni teatro della rivolta di Magno Massimo- che tra 383 e 388 regna su Britannia, Gallie e Spagna, e che, nominato imperator dalle legioni di Britannia, finisce anche per un periodo ad occupare l’Italia settentrionale, costringendo Valentiniano II e Galla alla fuga in Oriente-.

Pelagio entra sicuramente  nella sfera della  Domus anicia e, come già abbiamo mostrato, ha rapporti con l’ anicia Demetriade e con  Pammachio,  predicando equità patrimoniale   e riforma burocratica e fiscale anche nella chiesa romana, con invito agli anici alla divisione delle ville e alla necessità di compartecipazione delle masse agricole, spingendo la comunità  romana ad una differenziazione più marcata degli interessi della chiesa latina da quella di lingua Greca  orientale: se l’Oriente si rivolge sempre di più a orizzonti metafisici, la Chiesa latina si trova impegnata sempre più nel dibattito sull’uomo e la salvezza, sul posto dell’uomo nel mondo, e ancor più, sui valori di quel mondo, sulla  reale esistenza  terrena in un miglioramento sociale della qualità di vita, alla ricerca del pane quotidiano.
Sempre più emerge la questione, resa drammatica da accadimenti storici ben più sconvolgenti che quelli del Mediterraneo orientale, intorno a quale sia il posto della Chiesa nella società e nelle città, la cui esistenza è continuamente minacciata, tra la gente sofferente e in balia degli avvenimenti della Storia e del destino.

Non si sbaglia, Marco,  se  si rileva in  Pelagio (e nei suoi discepoli) l’ispiratore della riforma burocratica del giovane e sfortunato imperatore Maggioriano  (420-461 ) che, nel corso del suo breve regno 457-461,  progetta di riformare lo stato con le sue Novelle.

Non conosco affatto, professore,  le sue riforme, me ne può indicare qualcuna?.

Certo.Marco . E’quella di Maggioriano un’epoca  difficile senza potere centrale, dominata da Barbari  e da generali come  Ezio e Recimero, in cui c’è anche un’invasione degli Unni e dei  Vandali mentre scarso  è il prestigio imperiale di Valentiniano III.

Il giovane imperatore,  militare di carriera,  preso il potere dopo Anicio Petronio Massimo ed Avito, vista la situazione generale agricola  dei latifondi,  cerca di limitare la burocrazia  occidentale gravante sui  servi della gleba  e  di arginare il potere della stessa chiesa romana – che  rivendica perfino il mandato sull’Illiria  nei confronti della chiesa costantinopolitana-  e per prima cosa ripristina  con una nuova configurazione la figura del Defensor civitatis/ékdikos  per difendere le plebi e  i curiales dagli esattori del fisco/ honorati e dai possessores padroni di ville.

Concedendo una giurisdizione nei piccoli processi , lo autorizza a svolgere, insieme al vescovo,  la sua funzione come pubblico ufficiale che  regola il diritto di alienazione dei beni  prediali,  fissando anche  le quote  per la remissione dei debiti dei fittavoli.   Ed infine  contro le mire della Chiesa stessa,  che tende ad inglobare i beni delle vedove e  delle giovani novizie, impedisce  la monacazione vedovile in età giovanile  e fissa l’età monacale con  la presa dei voti a 40 anni- età giudicata prossima alla fine delle mestruazioni  – in modo da  favorire il recupero dei beni  delle vergini e delle vedove  monacatesi, risuddividendoli  poi  tra  le aventi diritto e la comunità ecclesiastica e le famiglie stesse di provenienza, come nuovo deposito dotale.

Professore, grazie  per l’approfondimento sulle Novelle di Maggioriano. Sono, però, perplesso sul linguaggio semplice ed evangelico  di un dotto come Pelagio!

Marco, anche se il suo parlare, comunque, è  connesso col  parlare  biblico, sapienziale, sacerdotale, evangelico,  risulta efficace e demagogico, in relazione alla situazione di reale miseria occidentale in cui versano le masse britanniche, galliche, ispaniche ed italiche, in un quadro  apocalittico  decadente ,evidenziato  dalla  retorica romano-ellenistica: il sermo di  Pelagio è concreto e ha le connotazioni di semplicità  proprie dell’evangelista Marco, con un contenuto elementare  ottimistico, teso a migliorare le condizioni plebee sulla base di  un’equità distribuzionale dei beni: è uomo convinto  che in natura esiste un’ armonia   di cui l’uomo, in quanto figlio, è pars attiva e creativa, come ogni altro animale: ad ognuno il suo, cioè, quanto  basta per vivere bene senza accaparramento  delle sostanze a scapito dell’altro!

Pelagio,  non Agostino (e  con lui  Girolamo e le varie comunità cristiane ortodosse), ha inteso l’universale naturale armonia compresa quella dell’universo  umano, nonostante  le catastrofi  storiche, il formalismo retorico di  una chiesa di santi formata, comunque, da peccatori,   che crede di potersi purificare grazie al Christos,  vivente, esemplare in vita, in morte  e nella resurrezione!

Si segue la parola di Christos che, però, equivale a quella della  natura!

Senti, ora, Marco, come ragiona  Pelagio, secondo la logica evangelica in un capitolo  – VIII – del De Divitiis: chiedo a  chiunque pensa che le ricchezze gli sono state date da  Dio, perché mi risponda,  a chi ritiene che il Signore le dia, ai buoni o ai cattivi ? Se le concede ai buoni perché le hanno i cattivi?  Se le offre ai cattivi perché le possiedono i buoni? Se le dà ai buoni e ai cattivi, perché la maggior parte  dei buoni e di cattivi non le hanno? Se mi si dice che ai buoni le concede Dio e ai cattivi il Diavolo,  per prima cosa chiedo perché non tutti buoni godono del dono del Signore ed  aggiungo anche  che non sembra un gran dono  se Dio concede ai buoni ciò che il Diavolo può offrire ai malvagi !

Dunque, professore, Pelagio gioca retoricamente col proprio io credente, facendo scarti in continuazione e riporta tutto al  diritto naturale.

Così facendo,  innesca  un processo nuovo scientifico  sull’albero dogmatico  della gnosis cristiana  origeniana, di cui già rileva  errori e  deviazioni  (cfr Apokatastasis) in una condanna della  tradizione biblica della  creazione del mondo e  dell’uomo /Adamo.

Lo scontro diretto tra le due partes , quella pelagiana e quella agostiniana avviene, dopo varie condanne in Occidente, in Africa e a Roma,   nella sede del patriarcato di Gerusalemme, dove i pelagiani, numerosi,  hanno  avuto la protezione sicura fino ad allora del vescovo Giovanni.

Perché i pelagiani, eretici puri e naturali attaccano nel 419 d.C. Girolamo christianos   razionale  e  santo peccatore?! Cosa ha fatto l’eremita betlemita, fondatore di conventi col denaro delle matrone romane,  a Gerusalemme?

Si. Marco, a Gerusalemme, città christiana poliglotta – piena di uomini santi cristiani che hanno fondato con denaro romano chiesa e conventi per uomini e per donne, dove esiste un formalismo pietistico religioso, che trascura il contesto  ebraico e pagano ancora esistente, e colpisce solo gli eretici pelagiani, che mettono in mostra la pratica di una chiesa naturale, come  quella  dei donatisti- avviene lo scontro contro Girolamo, che ha assunto su di sé la responsabilità del credo  cattolico agostiniano dell’episcopato africano.

Non a Costantinopoli, patriarcato egemone, dunque,   ma  a Gerusalemme, sede minore ma patria del giudaismo e della setta giudaico-cristiana antiochena c’è una reazione di un corpuscolo agguerrito di Pelagiani, che risponde alla volontà  di  occidentali, persecutori, di  espellere i puri che, tendendo ad una comunità migliore naturale, rilevano continuamente la contraddizione proprio nella chiesa cattolica ortodossa  proclamata  santa, pur costituita da peccatori  (clero e laici), avida di potere,  politico, tesa alla ricchezza, non casta, ma avviata alla impudicizia  sessuale e al meretricio delle agapete!.  

La lotta  esplode nella comunità gerosolomitana e non in quella  a costantinopolitana,  dove il patriarca  Attico  ancora ha sotto controllo  i monaci  cittadini  e  il potente clero cortigiano e sa tenersi lontano dall’ambizione politica come poi il suo successore, Nestorio, uomo moralmente integro  che sa vivere  razionalmente e naturalmente,  non compromesso  e con la familia dei teodosiani né con l’esercito né con l’ambiente filantropico, devoto e   vincolato dalla devozione religiosa, indenne dai condizionamenti, in cui  qualche anno prima è incappato Giovanni Crisostomo.

Dunque, professore, il teatro è Gerusalemme?

Si, Marco. Una Gerusalemme  poliglotta dove  latini, siriaci, ebrei e greci  hanno rapporti equivoci   tra loro e si confrontano e dibattono, creando una comune cultura cristiana, nonostante le differenze teologiche e i diversi  valori dei termini usati, che generano confusione.

Girolamo è già in conflitto col Vescovo Giovanni (cfr.  Traduzione e Girolamo, De optimo genere  interpretandi ) ed ora  maggiore è la tensione per l’affaire Pelagio, che ha diviso la cristianità gerosolomitana e palestinese, dopo aver lacerato quella africana. Perciò, riflettendo su questo episodio per comprendere la situazione a Gerusalemme sotto il vescovo Giovanni filopelagiano, dopo l’accusa  ai pelagiani, assolti e poi  di nuovo accusati  sotto il suo successore Praulio (417-422), medito sulle parole di  Agostino  (De Gestis Pelagii, 35.66) che, sentiti da lontano i fatti,   informa: Si racconta che dopo questo processo gravi crimini furono commessi in Palestina con incredibile audacia da parte di non so quale crocchio di uomini sfrenati, che si fanno passare per partigiani di Pelagio e lo spalleggiano in maniera assai perversa. Accadde che i servi e le serve di Dio addetti alle cure del santo presbitero Girolamo furono vittime di uno scelleratissimo assalto, un diacono rimase ucciso, e edifici di monasteri furono incendiati. A mala pena lo stesso Girolamo per la misericordia di Dio fu protetto contro questa violenta incursione di gente empia da una torre meglio difesa delle altre.

Riporto anche  la sentenza del tribunale:  Poiché ora è stata data soddisfazione a noi con le spiegazioni del monaco Pelagio qui presente, il quale da una parte acconsente ai santi insegnamenti della Chiesa e dall’altra riprova e anatematizza le affermazioni contrarie alla fede della Chiesa, noi confessiamo che egli è nella comunione ecclesiastica e cattolica.

Girolamo ed Orosio, i due principali accusatori non si sono, dunque, arresi, professore, convinti delle loro idee antipelagiane, simili   a quelle agostiniane, africane, e fanno ricorso al Vescovo per fare condannare definitivamente  Pelagio.

Girolamo, accusato   dai Pelagiani di gestire la ricchezza romana  e di servirsi  specificamente degli averi di  Paola ( cfr. Capitali femminili e  Cristianesimo) avendo già fondato un monastero maschile e uno femminile, si difende leoninamente  con Adversus Pelagianos.

Certo, Marco, il fatto che  Pelagio risulti poi  vincitore e ne esca ingigantito proprio per la sua ritrattazione, a dimostrazione della sua theoria flessibile, tanto da potersi  discolpare anche dalle  pseudo deduzioni di  Celestio, fa incattivire il focoso  Girolamo che, nonostante il ricorso, è di nuovo vinto dalla precisa affermazione ortodossa  cattolica dell‘eretico, abile a sottolineare il proprio  pensiero, basato sulla libertà ed autonomia dell’arbitrio personale e a  rilevare perfino un’impostazione gnostica sull’Incarnazione del discepolo.

Alla persecuzione dei cattolici segue il fatto di  una violenta reazione da parte dei  pelagiani, che vedono i prelati  avversari come   incettatori di ricchezze, che  cercano di aver perfino gli averi di Demetriade, come già ha fatto Giovanni Crisostomo con i beni di Olimpiade e poi come faranno altri con quelli di  Giuliana Anicia a Costantinopoli verso la fine del V secolo e gli inizi del VI, al momento dell’elezione di Giustino I, dopo la morte di Anastasio I.  Nel tafferuglio c’è un  diacono morto !

Ormai la chiesa cattolica ha un suo potere politico ed economico, ma ha necessità di patrimoni  terrieri e di denaro liquido per assumere maggiore importanza rispetto alle altre forme oligarchiche dominanti, specie nell’impero orientale teodosiano  dovendo competere con il potere  del sovrano e della corte, accentratore col fisco della ricchezza erariale statale, di cui è regolatore con i suoi delegati provinciali, oltre che con l’apparato militare, bisognoso di denaro per le campagne contro i nemici esterni.

L’impero  occidentale e quello orientale  sono impegnati a creare uno stato oligarchico in cui poche famiglie, legate alla corte,  laiche e clericali, hanno il monopolio del territorio imperiale  e costituiscono neanche il 10 %  della popolazione romana, avviando  la restante  nona parte  già,  secondo  il processo di  incatenamento  alla terra,  ad essere serva della gleba e schiavizzata perché indebitata.

La chiesa cattolica è  già corrottissima anche per i lasciti testamentari,  per la circuizione dei vecchi e  dei minori,  sia a Roma che a Costantinopoli (cfr  Domus aniciaCapitali femminili  e  cristianesimo) per lo scandalo delle agapete  e clero,  per la competizione al patriarcato specie Romano, per l’omophobia  cristiana ( la corte è piena di eunuchi, funzionari statali ).

Professore, ora  capisco meglio  perché anche il papa  Francesco oggi parli del pericolo del pelagianesimo e dello gnosticismo in Evangelii gaudium e   nella lettera ai Vescovi  Deo Placuit . Penso, infatti, che  l’incarnazione di Christos in una  vergine risulti giustamente  inutile se non esiste il peccato originale. Pelagio non ha affatto parlato a vanvera, come anche gli gnostici E’ giusto? o Sbaglio?

Se papa Francesco non si pone problemi ma accenna solo alle tentazioni pelagiane e gnostiche ricorrenti, tu perché  dài per accertato che Pelagio non sbagli e che gli gnostici abbiano ragione affermando che non è necessaria la venuta del Christos con la sua incarnazione nel ventre di una vergine?

A me, ingegnere,  sembra oggi del tutto ovvio  e naturale che la concezione occidentale del faber  abbia anche una connotazione naturalistica pelagiana: la favola di Adamo può valere ancora  solo per la massa di credenti ignorantissimi cristiani!

Sappi che il problema è più complesso di quanto possa sembrare  a prima vista e non si tratta solo di un fenomeno  naturale-naturalistico  ma anche di uno  spirituale -metafisico e  di  uno religioso -teologico  anche per i pelagiani, che non sono unitari nella formulazione ideologica!

Infatti in un primo tempo Pelagio  acconsente totalmente  ai santi insegnamenti della Chiesa  e  solo in un secondo   dopo una personale deviazione  ideologica, riprova e anatematizza le affermazioni proprie  contrarie alla fede della Chiesa  tanto, comunque,  da essere  dichiarato “nella comunione ecclesiastica e cattolica “. Perciò, non si può giudicare oggettivamente, con criteri scientifici il pensiero di  Pelagio se non dopo aver visto e la situazione romana iniziale e quella africana e  quella  gerosolomitana, ultima, in cui vive e muore  il britanno.

Infatti Pelagio a Roma sotto Damaso predica solo il vangelo secondo una volontà riformistica con l’intento di fuggire la ricchezza  e cercare la fede spirituale e di  fare un cammino di perfezione   secondo la paideia christiana romano- ellenistica,  di lingua latina, seppure  in relazione ad una precedente formazione gaelica druidica, naturale, mentre poi nel secondo, nel  periodo africano  si scontra con la posizione integralista agostiniano- manichea,  e nell’ultimo nel clima di Gerusalemme sotto la protezione del vescovo  Giovanni, ben collegato con il patriarca  Attico di Costantinopoli, matura  un cristianesimo  moderato connesso col principio della libera volontà ed autonomia personale.

Dunque, professore, urge che noi comprendiamo i parametri di lettura pelagiani  secondo la  cultura gallica,  il sistema di insegnamento  proprio di un maestro occidentale.

Certo, Marco, altrimenti falsiamo il pensiamo pelagiano  confuso con quello della paideia orientale, di lingua greca  di  molto superiore culturalmente a quella occidentale.

Personalmente io penso ad un maestro  della tipologia  di  Decimo Magno Ausonio (314-395).

Il maestro di retorica di Ponzio  Anicio Meropio Paolino, di Paolino di Nola (345-431) ? L’autore di Mosella e di Ludus  septem sapientum e  di altre opere ?

Pelagio può aver seguito le lezioni di un maestro di tale genere  in patria  e può essersi formato  secondo i parametri dell’epoca  con cui si insegnava a seguire non solo  l’arte  ma anche il sistema di vita del precettore?( cfr. E. Paratore, la letteratura latina dell’età imperiale  1959)

Perciò Pelagio  potrebbe  basare tutto sulla volontà, intesa  come  studium et usus  in quanto esercitatio et imitatio  sul fondamento, però,  della doctrina evangelica christiana,  diffusasi nelle zone britanniche e in precise zone dell’Occidente: la sua predicazione di un ritorno ad un  primitivo vangelo, pauperistico,  ne sarebbe una prova!

La sua predicazione in Africa, in un clima donatista,  impostata sulla volontà, naturale,  in cui prevale non la razionalità ma l’ottimismo con  fiducia nell’uomo creativo pars dell natura stessa creatrice si scontra col pensiero episcopale basato sui limiti dell’uomo, principe della terra,  peccatore degenerato per colpa di Adamo: L’opposizione è fonte di accuse  tanto che Pelagio, condannato a Cartagine da un sinodo,  decide di ritirasi in Palestina.

Infine nell’ambiente di Gerusalemme si barcamena, lui occidentale di cultura latina, con un linguaggio  scarsamente  greco, di fronte alla critica orientale, superiore, favorevole alla theoria della grazia  e  della predestinazione agostiniana, facendo chiarezza con un formulario semplicistico e d evangelico sulla sua doctrina  quando già Nestorio  comincia  la propagazione del suo pensiero .

Professore, noi uomini siamo complessi e strani ed ancora di più siamo freddi  e calcolatori  in caso di appartenenza  al clero  che ha il dovere di essere esemplare imitatore del Christos, guida nel cammino di perfezione, pur conscio di essere materia e di essere quindi in natura, peccatori, anche se convinto di essere prediletto da  Dio, nostro padre.

Io, che sono pratico, scientifico, positivista  vicino più a quelli che  fanno le cose secondo natura e tendono a autocorreggersi in situazione, senza l’aiuto di nessuno,  che sono  vigili  su se stessi nel loro quotidiano cammino ascensionale, progressivo, mi stupisco del pensiero agostiniano di Tzevan Todorov (1939-2017)-che lei ben conosceva.

Il bulgaro-francese  in I nemici intimi della democrazia, (Garzanti 2012) rileva nell’individualismo  il male intimo della democrazia occidentale,e, dopo la fine dei totalitarismi, trova  nella radice pelagiana  l’eccesso di ottimismo  che, pervadendo  il sogno scientifico lo condiziona   e perciò gli contrappone la theoria pessimistica di Agostino che nell’ assistenza divina  e nei limiti dell’uomo coglie i valori umani individuali, contemperati con quelli comunitari.

La  formulazione conclusiva  di Todorov è  sul rinnovamento della democrazia, che deve ricercare  un  nuovo equilibrio tra autonomia individuale e  bene comunitario  che sono i pilastri di ogni forma democratica!

La nostra stessa società perTodorov  è  di fronte a questa alternativa: si è illusa di essere capace di trovare il senso e di affermare così la propria superiorità e ora deve fare i conti con i fallimenti di cui porta la responsabilità; assumere un punto di vista più pessimistico, ammettere che il male non stava fuori e lontano da noi, è forse un modo per verificare se sia possibile predisporsi al dono di ritrovare un senso del nostro cammino!

Per me  professore, il pensiero di Todorov contempla solo l’aspetto naturale ed umano, che viene condannato senza rilevare le potenzialità infinite umane, non diversamente da quanto denuncia Papa Francesco un  cristiano francescano -gesuita, un idealista italo-argentino, che sa rilevare le tendenze pelagiane e gnostiche nel nostro secolo, ma non ne comprende il reale potenziale valore.

Marco, non ti sembra di andare oltre il nostro stesso pensiero e le nostre comuni  attese euristiche?

Per me chi non sa emendare se stesso da solo non può emendare la natura: ora è tempo di processare  la  doctrina agostiniana, di fare una revisione storica dello gnosticismo e di rivalutare definitivamente  il pelagianesimo!.

Certo, Marco,  il pelagianesimo  avrebbe potuto agli inizi del V secolo avviare il cristianesimo  in una direzione unitaria positiva, antimanichea  secondo due linee critiche, quella di una  visione materialistica  meccanicistica  e quindi di un  progressivismo illuministico e  positivistico e quella di un’altra concezione  in relazione alla  interpretazione culturale lucreziana di  una degenerazione progressiva umana secondo le mitiche epoche passate  da quella dell’oro a quella del ferro,   a causa del male  originato dall’uomo stesso che  per la mancanza di Giustizia, non era in grado di costituirsi  in società  democratiche,  pervase da individualismo egotistico  e da  esplosioni comunitarie  irrazionali, dominate dal clero che, in nome di un Dio creatore, soggioga le masse,  credulone, impedendo il sorgere di forme unitarie democratiche, favorendo eccessi  tirannici o oligarchici.

La doctrina agostiniana della grazia e della  predestinazione, con l’equivoco peccato originale di Adamo, invece, proprio allora, dopo  la condanna del pelagianesimo,  avvia  il cristianesimo su linee elitarie, clericali, su base selettive  classiste in una volontà  di negazione della paritarietà umana  su cui poi la cultura medievale elabora un costituzione ,   basata  sul  diritto romano giustinianeo , sulla supremazia della Chiesa romana, vicaria del Christos vivente, la cui auctoritas con potestas è divina  tale da poter investire  dello stesso potere anche gli imperatori e i re, giusti finché soggetti  fedeli al Pontefice, diabolici  tiranni in caso diverso: Agostino crea un modello di vita terrena sulla Civitas dei, armoniosa sotto il  controllo di un Dio, monarca assoluto,  modello per  Imperatore e Pontefice,  sue  figure terrene – l’uno guida alla felicità terrena come amministratore di  iustitia e datore di pax  e l’altro guida  spirituale delle anime verso la gloria paradisiaca come  interprete della volontà divina,  biblica–  mentre  i  laboratores, oratores e bellatores diligentemente svolgono le loro funzioni ministeriali servili.

Quindi , professore, se ho ben capito,  non sbaglio a  dire quanto ho  detto e anche  se aggiungo che mi  risulta equivoco ed ambiguo lo stesso pensiero di Todorov.

Marco, tu sei un mio discepolo e forse il più caro, quello che dovrebbe diffondere il mio pensiero di un nuovo umanesimo razionalistico illuministico positivistico, che  non mi sembra  todoroviano!  La convinzione della superiorità della democrazia occidentale   sottende e comporta la ripresa di crociate volte a colpire il male, mentre  l’autonomia dell’economico, soggettiva, tende a rovesciarsi nel dominio dell’economia sui soggetti e, per altro verso, l’individualismo si afferma in modo quasi metafisico.

La radice di questi atteggiamenti può essere individuata  giustamente proprio nel Pelagianesimo,  capace di affermare il bene, secondo natura, con la propria ragione.

Il fatto che Todorov contrapponga il pessimista Agostino  al  positivista  Pelagio è dovuto alla sottesa accettazione della  visione  agostiniana del peccato come limite intrinseco della natura umana. Per me non esiste, però,  un mondo capace di collegare la politica  con l’illusione di una potenza senza limiti, portata  a moderarsi  e ad equilibrarsi tra autonomia individuale e bene assoluto. Perciò, anche se posso accettare con riserva  Todorov , non mi   pare sostenibile, oggi, la concezione agostiniana di papa Francesco.

Aggiungo, Marco. che un pontefice  ragiona con  la fede  di Agostino che  sa giustificare fede e ragione in un’Africa lacerata da Donato e   e da Pelagio  con la theoria naturale  in cui prevale non la razionalità ma l’ottimismo dell’uomo creativo, pars creativa della natura stessa. Agostino  tirando  dalla sua parte  con la sua doctrina anche Girolamo  – che si separa da Rufino e che nell’ambiente di Gerusalemme  si barcamena retoricamente  di fronte alla critica orientale, ostile alla chiesa romana- rende compatto, comunque,  il fronte antipelagiano  sulla comune base manichea del male, quando   già Nestorio inizia la propagazione del  suo pensiero. La condanna pelagiana da parte  del papato romano  è un ‘ulteriore pacificazione confessionale  col patriarcato costantinopolitano  in un’unità di intenti  contro il pelagianesimo.

Oggi, dopo secoli,   papa Francesco  condanna di nuovo Pelagio che  spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene, e sulla scia di Agostino aggiunge  che Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività.

La sua conclusione, agostiniana, è quella cristiana: solo in Christo c’è salvezza  dal peccato  che è fondamento della chiesa dei peccatori in quanto la dottrina cristiana non è un sistema chiuso, ma  è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.

Al papa  sfugge che nel V secolo, proprio all’interno del dibattito dottrinale tra Pelagio e Agostino d’Ippona  si precisa  la dottrina della Chiesa e all’interno della lotta tra queste due fazioni  si forma il gruppo dirigente della Chiesa d’Occidente  che coi  suoi rapporti con la corte imperiale, con l’aristocrazia senatoriale e curiale, svolge anche  la sua funzione di avvocato  del popolo.

Su un piano più strettamente teologico, nei secoli successivi, le idee di Pelagio verranno più volte riscoperte e riconsiderate, per via della loro connessione con l’eterno problema che caratterizza la relazione tra volontà divina e libero arbitrio umano.

Professore, la sconfitta di Pelagio, che sancisce la vittoria in Oriente e in Occidente di Agostino, non ha mai  convinto unanimemente chi pensa che chi non sa emendare se stesso  non può emendare la natura! 

Marco, Marco!!