Da
L’eterno e il regno
Anno 785 di Roma, Consoli Gneo Domizio e Camillo Scriboniano – Anno 32
I senatori votarono che Tiberio scegliesse tra di loro un gruppo a suo piacimento e che di questo gruppo ne utilizzasse venti, così come venivano sorteggiati, armati di pugnale ed adibiti come guardie, ogni volta che lui entrasse in senato… Naturalmente Tiberio li lodò e senza dubbio ringraziò la loro benevolenza, ma respinse la loro proposta.. Divenne poi più sospettoso verso di loro e da un lato disse di essere molto contento dei loro decreti, da un altro onorò i pretoriani sia con discorsi che con denaro, sebbene sapesse che avevano sostenuto Seiano, in modo tale da renderli a sé più devoti nella sua politica, avversa ai senatori.
Dione Cassio, Storia Romana, LVIII,17
Dei due consoli Domizio rimase in carica per tutto l’anno (era marito di Agrippina, figlia di Germanico e padre di Nerone imperatore), mentre gli altri solo fino a quando lo decise Tiberio.
Alcuni infatti li avrebbe scelti per un periodo più lungo, altri per uno più breve, alcuni li destituì prima del previsto ed ad altri invece consentiva di rimanere, oltre la scadenza.
Queste irregolarità continuarono a ripetersi per quasi tutto il periodo del suo principato.
Dione Cassio, Storia Romana, LVIII,20
Quando furono vicini a Gerusalemme , giunti a Betfage, presso il monte degli Olivi , Gesù inviò due discepoli dicendo loro: ” andate nel villaggio che è davanti a voi e troverete subito un’asina legata e un puledro con essa: scioglieteli e conducetemeli. Se qualcuno vi dirà qualcosa , dite che Il signore ne ha bisogno e subito li lascerà andare” …..I discepoli andarono e, avendo fatto come Gesù aveva comandato, condussero l’asina e il puledro, vi posero sopra i mantelli ed egli si mise a sedere sopra di essi . Moltissimi della folla stesero i loro mantelli sulla via, altri poi tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. Le folle, che lo precedevano, e quelle, che lo seguivano, gridavano dicendo:
“Osanna al figlio di David!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore !
Osanna nei cieli altissimi!”
Essendo poi entrato in Gerusalemme, tutta la città, commossa, diceva:”chi è costui? ” E le folle rispondevano:”Questi è il profeta Gesù da Nazaret della Galilea ”
Matteo, 21, 1-10
Gamla
Vista dal basso, Gamla era un nido di aquila.
Venendo dalla grande strada regia babilonese, Jakob e Melazzar avevano preso brutti viottoli di campagna ed erano sfiancati: essi si erano staccati dal convoglio del tributo e si erano diretti verso Gamla, avevano deviato e procedevano spediti, da soli.
Ora seguivano una grande strada romana, ma erano nervosi e digrignavano ambedue i denti, vedendo le erme di Mercurio, erette ai margini, ed abbassavano la testa, con i cappucci calati, davanti ai romani, che facevano pagare, con arroganza, i pedaggi.
I romani bloccavano ogni cinque miglia, nelle strade, i viandanti e si facevano pagare, altrimenti punivano: erano come gli avvoltoi.
Ad ogni ponte c’era una guarnigione che riscuoteva : bisognava pagare anche sulla propria terra!
Questo pensavano i due fratelli, che guardavano in alto e vedevano Gamla e dai dirupi di Gamla vedevano scendere verso il basso avvoltoi in picchiata, dopo vari volteggi e roteazioni.
Ormai vedevano Gamla e per loro era un sollievo: lì avrebbero fatto tappa e i fratelli li avrebbero dissetati, assistiti, ripuliti e rifocillati. Il pane e l’olio gaulanita erano rinomati in tutta la Galilea, ed anche in Giudea ed in Idumea e perfino in Egitto.
Ora i due si rasserenavano, mentre attaccavano la salita per Gamla e proseguivano compunti e composti, come voleva la legge: erano in un territorio, dominato da un sovrano ebreo, Filippo, un erodiano, un romanizzato ma sempre un giudeo, che poteva ricordare che Dio è al di sopra di ogni cosa e di ogni uomo.
Si erano uniti a loro due giovani di Gamla, che avevano seguito con interesse le manovre dei romani, che avanzavano da sud, e li avevano esaminati mentre marciavano sei a sei ed occupavano con la colonna tutta la strada e spingevano arrogantemente, da padroni, i passanti verso la campagna.
Avevano seguito con lo sguardo, finché avevano potuto, con eccessivo interesse, così aveva pensato Melazzar, a cui non sfuggiva niente e che soprattutto conosceva l’animo umano.
Aveva notato perfino che i due seguivano il volo degli avvoltoi, guardavano i romani e sputavano: egli sapeva leggere non solo i libri sacri e penetrarli allegoricamente, ma sapeva leggere anche gli atti, i comportamenti e trovare le relazioni più profonde, con una sapienza che non era libresca , ma si nutriva di esperienza, che era frutto di meditazione e di ascesi.
Non era freddo, ma Melazzar, forse perché stanco, aveva qualche brivido e, forse perché agitato, si rinchiudeva nel suo mantello : a metà autunno faceva freddo in Gaulanitide e tirava vento.
I giovani, ora, si erano accodati ai due esseni e vedendo il più anziano, affaticato, si offrirono di portare i sacchetti, che i due avevano, e confidavano loro le notizie sui romani, sulla loro disorganizzazione, dopo la morte di Seiano.
Parlavano molto e lo potevano fare: un esseno è un giusto e nessuno in Israel può dubitare della fede in Dio e dell’odio verso i romani di un gadosh(santo).
Heliaqim, un quindicenne, secco secco e con capelli neri, ricci ricci, sembrava un arcangelo, grazie a due occhi grandi e sereni, nonostante le parole di odio.
Questi diceva, festoso, con la sua bocca carnosa, in cui si intravedevano denti bianchissimi, al suo amico, un giovane di una ventina di anni, solido e roccioso, dalla muscolatura possente e dal collo taurino: Joiada , il Regno dei cieli è vicino! Il loro impero si è spaccato, ora è il nostro tempo!
Ma l’amico lo zittiva, con lo sguardo.
Ora è il nostro tempo! ripeteva Heliaqim, insolentemente, ed aggiungeva frasi, proprie della sua formazione. Noi di Gamla siamo i prediletti del Signore, che protegge noi e la città. I romani temono noi e i grifoni.
L’amico, invece, lo correggeva.
No, disse Joiada, no, non è il tempo dei gaulaniti, ma è il tempo di Shaddai. Adonai sia con noi!
Amen! disse Melazzar, entrando nel discorso ed approvando le parole del più anziano, Adonai sia con noi. La morte del nostro persecutore è segno di grandi eventi: l’Adir si è ricordato di noi e ha diviso i nemici e li ha resi canne al vento; presto saranno nostra preda; noi ora dobbiamo seguire Jehoshua, capire la sua volontà, attendere il suo cenno.
Al nome di Jehoshua i due si guardarono, ma non dissero niente.
Erano, comunque, sorpresi.
I giovani si rallegrarono, specie Joiada, che indicò ai due esseni Gamla, che sovrastava.
Eccola, Gamla!
Le case, costruite sui ripidi pendii, erano strettamente disposte, l’una sopra l’altra, tanto che la città sembrava sospesa e quasi sul punto di cadere su se stessa e precipitare su una nuvola bianca, che stazionava quasi alla base della città verso oriente, sopra una folta boscaglia, mentre il sole stava tramontando.
I quattro, arrivati su un cucuzzolo di un costone, vedevano meglio Gamla e l’ammiravano con diverso animo.
Ora si vedeva che la città era adagiata su un piano, lungo un crinale, che era un dirupato costone, diviso nettamente, su due gradoni rocciosi.
Sul primo, che finiva in uno sperone di basalto, proteso nel vuoto, c’era un gruppo di case meglio curate, tra cui spiccava un edificio rettangolare, mentre sull’altro, più basso, ma più impervio, tanti cubetti bianchi, assiepati, che risplendevano alla luce del tramonto.
Gamla era tipica per l’ammasso roccioso di basalto, su cui tutto il paese era arroccato e su cui nidificavano gli avvoltoi: i suoi abitanti, perciò, apparivano ai corregionali uomini contraddittori, cammelli pacifici e rapaci feroci.
D’altra parte nel suo insieme la città poteva dare l’idea della testa di un cammello.
Gamla era divisa anche per abitanti da tempo immemorabile e solo nell’ultimo secolo, dopo interne lotte, le due etnie si erano accettate e condividevano appositi spazi, ben ripartiti : quello in basso era abitato da goyim-pagani, l’altro da giudei.
Giudei e Goyim, dal periodo di Iamneo, convivevano pacificamente.
E’ bella Gamla! fece ingenuamente Heliaqim, vedendo i due esseni che l’ammiravano e noi viviamo fraternamente in paese, aggiunse il ragazzo.
Non sempre fraternamente diceva, ammiccando, Joiada, ora fraternamente perché noi dominiamo e i romani non vengono quassù in alto.
I goyim rispettano noi, che siamo armati e forti, e noi li rispettiamo secondo la legge di Mosé; quando loro dominavano, noi eravamo succubi e la nostra vita era precaria, le nostre botteghe incendiate, i nostri artigiani costretti a lavorare come schiavi: Seiano, avendoci tolto i diritti civili, ci aveva fatto servi degli altri popoli, ma ora coi figli di Jehudah, noi siamo liberi e presto tutto Israel sarà libero.
Noi, diceva pomposo il ragazzo, libereremo anche la santa Jerushalaim. Sia benedetto Adonai!
Amen, ripeteva Melazzar che aggiungeva: un solo grido deve echeggiare, però: venga il Regno dei cieli e tutti dobbiamo seguire il mashiah! Adonai così vuole!.
A Gamla, i figli di Jehudah avevano riunito i loro guerrieri –zeloti e con loro avevano creato una rocca imprendibile e da lì facevano spedizioni punitive contro i sadducei e contro i romani, spesso interrompendo le comunicazioni, a volte attaccando i convogli, servendosi anche dei figli di Zimari che, dalla Traconitide, venivano con le loro barbe squadrate, da babilonesi, seminando il terrore nei romani per la precisione delle loro frecce e per la rapidità di attacchi equestri.
I figli di Jehudah erano i signori di Gamla e dominavano per tutta la zona e come ogni israelita volevano l’attuazione del Regno dei Cieli: erano rapidi nelle loro incursioni e spietati come gli avvoltoi.
Essi avevano sentito parlare di Jehoshua, e siccome alcuni avevano riferito di cose magnifiche e avevano visto i segni della sua potenza, avevano mandato dapprima uomini dal loro parente Jahir e poi dal Maestro di Giustizia a chiedere se quello era il santo di Israel, il Mashiah.
Jakob, il figlio maggiore di Jehudah, aveva mandato perfino suo fratello Shimon a contattare la comunità di Caphernaum con molta discrezione, senza impegno: era un capo prudente, un saggio, un maestro della legge, come suo padre, ma rispettava molto il parere degli esseni: l’ultima parola doveva essere del maestro di Giustizia.
Aveva saputo che Melazzar tornava dall’Adiabene e che lui aveva l’incarico di comunicare la lieta novella, di collegare gli zelanti di fede, di formare alleanze.
Melazzar era il nabi che conosceva la volontà di Dio; Melazzar era l’uomo con cui Jakob doveva incontrarsi.
Il capo zelota aveva, perciò, fatto incontrare il profeta coi suoi due uomini ed ora lui in persona era sceso dalla sua casa, posta proprio sul cucuzzolo dello sperone e veniva giù seguito da un numeroso gruppo festoso, pronto ad accogliere i due nuovi arrivati.
Era il giorno prima del sabato e tutti erano festosi e perfino i goyim sembravano felici, contagiati dall’allegria degli altri. Anche le donne erano uscite con i bambini, che battevano le mani per testimoniare la loro gioia: i due uomini si erano purificati del lungo cammino, ed ora, lavati, avevano ai loro piedi, posti in larghi catini, pieni di acqua calda, donne che asciugavano i piedi, li strofinavano e riscaldavano, profumandoli.
Ora si erano appartati il capo zelota e Melazzar.
I due erano l’uno di fronte all’altro; erano due servi di JHWH, due Chakamim di Israel.
Il capo zelota era anche un dottore della legge, un Chakam, uno dei più riveriti chakamim che portava i Tefillin, i filatteri, due scatolette legate da strisce di cuoio, contenenti brani della Torah, applicati alla testa e al braccio, come segno di preghiera, ma anche come distinzione in quanto interprete della legge.
L’esseno, magrissimo ed altissimo, era l’espressione di un ascetismo congiunto col duro lavoro agricolo.
Il primo cominciò a parlare di Dio, della missione della sua famiglia, di suo nonno Ezechia e di sua padre Jehudah, e diceva: Adonai ha dato alla mia famiglia il compito di mostrare la via, il diritto di guidare gli uomini, poi…, a metà strada, il nostro dovere sembra cessare, la nostra funzione sembra inutile …
Adonai vuole solo questo: noi dobbiamo aprire la strada per altri, che devono venire… Adonai frena il nostro dovere, ci arresta prima di concludere… noi eppure siamo della stirpe di David…
Eppure mio nonno lottò, lottò per YHWH e il suo popolo, ma YHWH lo mise nelle mani di Erode e lui è stato cantato dalla Toledoh; mio padre lottò e si sacrificò per YHWH e il suo popolo ma YHWH lo consegnò nelle mani dei romani e tutti cantiamo le sue gesta.
Io e i miei fratelli Shimon e Menahem abbiamo lottato e lottiamo ma siamo rilegati quassù lontano da Jerushalaim e speriamo…
YHWH a tutto provvede, tutti segue, nessuno è escluso, disse Melazzar, notando le interruzioni di discorso e le pause; il vostro compito è grande quando viene il tempo di Israel, il tempo della rinascita, quando il resto di Israel trionfa.
Shaddai predilige l’eterno e il regno, ‘Olam e Malkuth; è questo il tempo del regno eterno: tempo (‘et) e destino (pega’) raggiungono tutti.
Io e i miei fratelli avevamo pensato che tra noi discendenti di Isai ci fosse il Mashiah, che Adonai ci perdoni!, ma sappiamo che non è questo il nostro compito: noi dobbiamo morire per Israel, solo questo ora sappiamo.
Per noi è tempo di morire: la corona (keter) di martiri Il Santo ha riservato a noi.
Certo, precisò Melazzar, mettendo la mano sua piccola sopra la mano grande ed aperta di Jakob e guardandolo fisso negli occhi, certo, così vuole YHWH: gloria diversa, ma gloria per i suoi figli migliori, destinati a combattere e a morire.
E’ giunto il tempo di Israel: tutti dobbiamo seguire il proprio destino, fino in fondo: ogni giudeo sempre ricorderà Jakob e i suoi fratelli e il padre e il nonno.
YHWH ha posto l’Eterno e il Regno in Jehoshua; la vostra famiglia è segnata solo di tempo .
YHWH ha già scelto il suo prediletto, lo ha già unto di sua mano con segni speciali e col potere di vita e di morte.
Lodiamo YHWH e diciamo insieme :
Anche l’uomo non conosce il suo tempo
Come i pesci catturati in una rete maligna, come
gli uccelli presi al laccio!
E l’esseno concluse: Gioisci con noi, Jakob! Il Regno dei cieli è vicino!
Si alzò dalla panca Jakob e Melazzar vide un gigante, ancora giovane, potente, che si abbassava per baciare le mani, che erano stese sul tavolo, con devozione, con un atto di ringraziamento verso l’esseno, il servo di YHWH, che gli aveva comunicato la sua volontà.
E poi, sempre chino, con la testa bassa, ricciuta, disse: Sia fatta la volontà di YHWH, la mia destra come quella dei miei fratelli, sarà sempre in difesa di Israel: io sono figlio di Jehudah e nipote di Ezechia. Il santo, l’adir, l’unto mi avrà al suo fianco, quando vorrà, quando sarà giunto il suo tempo!
All’uscita dalla stanza c’era una folla di giudei, che gridava e che applaudiva, consapevole che era avvenuto qualcosa di grande per Israel: un capo zelota, come Jakob, e un capo esseno non si incontravano per caso a Gamla.
Specie dopo la morte di Seiano, la mancanza di collegamento tra Roma e la Siria e il caos, in cui si trovava la regione, ora pressata dalle milizie parthiche al confine e dagli uomini di Asineo, avevano reso euforica la popolazione gaulanita, che inneggiava ai suoi capi e che gridava: Malkut ed imprecava contro il proconsole siriaco, contro Filippo, contro Ponzio Pilato e contro Erode Antipa.
Ormai tutti i gaulaniti speravano nella venuta del tempo del Regno dei Cieli, nella cacciata dei romani: la morte di Seiano era l’inizio per loro di una nuova era, quella del nuovo patto con Dio che avrebbe sterminato la guarnigione dell’Antonia, quella di Caphernaum, la legione di Cesarea e le 4 legioni siriache del proconsole Pomponio Flacco, unico garante dell‘imperium di Tiberio, in mezzo a tanti, che avevano seguito il perfido ministro imperiale.
Gli abbracci, le grida, i lulav significavano già l’inizio di una nuova età.