Dell’humanità del figliuolo di Dio

La differenza tra prosopon  ed upostasis  di Gregorio di Nazianzo (Epistolario), unita ad un certo compatimento del prelato orientale per gli occidentali di lingua  latina – che traducono con imago  i due termini – è segno di una inferiorità linguistica,  rispetto alla ricchezza filosofica e teologica della cultura greca, che sfrutta l’uso grammaticale del genitivo soggettivo per l’assimilazione della qualità con l’essenza del possessore,  per cui la parola di Dio risulta equivalente ed equipollente a Dio è parola, l’amore di Dio  è tradotto cristianamente Dio E’ amore, la gloria di Dio  risulta Dio è gloria!.  Il piatto del passaggio dal Dio unico signore (monarca), ebraico,  alla Trinità cristiana con la cristologia, basata su Iesous Christos uios Theou,  che risulta Theos Christos uios estin, è davvero ben servito! .

Marco, conosci Dell’humanità del figliuolo di Dio?

E’ il titolo di un’opera di Pietro L’aretino (1492-1556), in cui l’autore fa un’organica esposizione dell’uomo-dio, servendo un piatto piacevole ed utile in conformità alla richiesta di riformismo rispetto alla riforma protestante!.

Professore, ma non si è sempre detto che l’aretino fece scrivere sulla tomba: di tutti disse mal fuor che di Christo,  scusandosi col dire  non lo conosco.?

L’aretino  è uno scrittore arrivista sia a Roma che a Venezia, e, dovunque si trovi, è desideroso solo di apparire e di godere volendo vivere come un re, anche se nato da una puttana.

Egli  aspira per circa un decennio a diventare cardinale e fa richiesta prima  al papa Clemente VII,  e perciò  scrive opere religiose per mostrare il suo singolare Cristianesimo, umano.

Ha già scritto i licenziosi Sonetti lussuriosi e i Dialoghi amorosi ed anche il Ragionamento della Vanna e dell’Antonia, fatto a Roma sotto una ficaia  e  il  Dialogo nel qual Monna Vanna  insegna alla figliuola, la Pippa, l’arte puttanesca?.

Certo. Dopo questi libri, già divulgati,   Pietro  l’aretino, noto come uomo licenzioso, scrive Opere religiose, lette perché opera sua, divorata dai lettori aristocratici e mercatanti istruiti.

Professore, quali opere religiose? 

Marco, io ho  letto, oltre l’Umanità del figliuolo di Dio,  la Vita di  San Tommaso di  Aquino e La  Vita di Santa Caterina di Alessandria, opere successive alla prima, scritte  sotto Paolo III Farnese, per chiedere di nuovo, il titolo cardinalizio!  Sono opere ritenute non pubblicabili in un clima riformistico romano, che vengono poi autorizzate  solo in Venezia nel Seicento!.

Infatti, la  nuova richiesta fu subito respinta ed archiviata da  Papa Paolo III  (1534-1545). Il  Papa Farnese  era desideroso di riformare davvero la Chiesa ed aveva chiamato a Roma Ignazio di Loyola, di cui accettava la fondazione dell’Ordine della Compagnia di Gesù, ed indisse, poco prima di morire, la convocazione del Concilio di Trento (1545-1563).

Ambizioso, intrigante ed  opportunista l’Aretino, una linguaccia che si vende al miglior offerente!

Il  Cinquecento ha uomini di tal genere!

Di S. Tommaso di Aquino cosa dice?

Parla della sua vocazione e del suo intento di monacarsi come domenicano e racconta del proposito dei fratelli di dissuaderlo  col tentarlo, mediante una prostituta, oltre a narrare la sua carriera di studioso aristotelico e di professore parigino, come discepolo illustre di S. Alberto Magno.

Da pari suo, Pietro l ‘aretino, dapprima, presenta un giovane, di modi effeminati, intento alla lettura e allo studio,  nel castello  paterno di Roccasecca, accanto ad un caminetto, dove brucia legna. Poi, mostra una porta che si apre e una donna bella, nuda, che si avvicina  coi lunghi capelli sciolti al giovane studente, a braccia aperte, sorridente!  Infine descrive la reazione di Tommaso, che, preso un  tizzone acceso, lo punta contro la vagina della donna che si gira, e, suo malgrado, mostra la bellezza del suo corpo di retro, mentre fugge impaurita dal  fervore del servo di Dio!

In conclusione l’aretino inneggia alla vittoria  nobile di Tommaso sulla creatura diabolica, sul diavolo che,  pur avendo le  bellissime forme femminili, è scornato perché impotente di fronte alla pietas  di un santo, già intento al servitium Dei /genitivo oggettivo, a servire Dio!

L’aretino  celebra così il trionfo della virtus della purezza sulla lascivia erotica! lo  scrittore mantiene il suo stile descrittivo e non si  discosta dal suo sistema di scrivere  pornografico, anche se tratta un tema religioso!.

E come mai scrive la storia di S. Caterina di Alessandria, ignota in Italia?

I tanti prelati, venuti per il Concilio di Ferrara e di Firenze (1438-1439) e poi dopo la fine di Costantinopoli, ora, vivendo a Venezia  avevano portato la storia di S Caterina di Alessandria e del Monastero di S. Caterina del Sinai,  avendo parlato del roveto di Mosè, che è ai piedi del Monte Horeb (oggi Monte Musa, che è a fianco dell’altro monte più alto di S. Caterina).

Il curioso Pietro l’aretino  subito inventa la sua storia  sulla santa egizia, ora venerata a Venezia.

L’aretino, comunque, scrive questa storia su una  vergine  cristiana, morta martire a diciotto anni,(287-305), ad opera di pagani –  in seguito assimilata con la vicenda  di Ipazia, una scienziata pagana figlia di Teone, uccisa  nel 415  dai monaci parabolani, cristiani-.

La  storia  narrata è  mitica in quanto i dati non sono sicuri, anche se contestualizzata  nella metropoli di Alessandria  nel tempo (anno 305) in cui avviene  l’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano,   che intendono vedere come funziona  la tetrarchia.  Il mondo romano è diviso in dodici dioikeseis, raggruppate in quattro zone di comando prefettizio amministrativo,  in relazione al titolo di Augustus  e di Caesar. Le due maggiori,  Oriente ed Italia,  sotto Diocleziano   e Massimiano,  hanno  come capitali rispettive Nicomedia e  Milano, mentre le due minori, quelle di Gallia e di Illirico, hanno come capitali Treviri e Sirmio.   Ora la giovane  Caterina,  rimasta orfana, è un ‘ereditiera molto  ricca,  molto bella che ha molti spasimanti in Alessandria, ma, una notte, sogna  la vergine Maria, che le  ordina di essere sposa illibata di suo figlio, Gesù.

La donna è felice di essere la numphh/ sponsa Christi, e, come tale, desidera convertire al cristianesimo  tutti i coetanei innamorati di lei e, avendo avuto una buona istruzione nelle artes liberales,  sa ben parlare tanto da convertirli.

Accade, però, che nel corso del suo apostolato, Galerio, successore di Diocleziano, invia ad Alessandria, Massimino Daia,  come suo Caesar  di Illirico, mentre Costanzo Cloro, ora Augusto, dopo Massimiano, ritirato a vita privata,  ha, a Roma, come Caesar Massenzio e Costantino, eletto dalle legioni galliche.

Il nuovo Cesare, ad Alessandria, convoca le migliori famiglie  romane e greche e tra queste anche quella di Caterina,  per avere  la proskunesis genuflessione  e l’adorazione tramite incenso e Caterina si rifiuta di incensare all’imperatore, perché cristiana.

Massimino, secondo legge deve punirla con la morte, ma  vedendo la giovane ricca e bella, la invita a discutere coi  suoi saggi, essendo segretamente  innamorato, anche lui.

Perciò, cerca di salvarla, affidandola ai suoi sapienti, ma Caterina con la sua fede e con la sua oratoria  riesce perfino a convertire i saggi di Massimino che, adirato,  li condanna a morte,  insieme alla donna.

Comunque, fa un estremo tentativo, convocando la donna, a cui. rivelato il suo amore, fa la richiesta di matrimonio. Avuto il rifiuto di Caterina, che afferma di essere sponsa Christi, l’imperatore, a malincuore, la condanna al supplizio della ruota dentata.

La sentenza viene eseguita davanti al popolo nella pubblica, piazza, ma la ruota dentata si rompe ed allora Caterina viene uccisa di spada,  secondo la legge, perché  cittadina romana.

La testa viene tagliata!. Miracolo! Non esce sangue, ma solo latte! Angeli prendono il corpo e lo trasportano nel Sinai, sul monte Horeb, presso il roveto ardente, dove  Mosè vide Dio ed ebbe le Tavole della legge!

L’aretino scrive, dunque, come un popolano credulone, senza sarcasmo, che racconta, partecipando  alla vicenda della morte di Caterina?!

L’aretino scrive un’opera, volendo formare il cristiano come poi fa Tasso che vuole dare sanità con  la medicina  dolcificata all’egro /malato bambino, che la disdegna?

Forse. Marco!

L’aretino è un intellettuale di successo che fiuta i tempi nuovi e subito si accoda  seguendo il suo naturale istinto:   preso dal fervore religioso,  avendo il fine di aver il cappello cardinalizio, si finge bigotto e dà un exemplum di santità, semplice, piacevole a leggersi e vi aggiunge la storia della madre di Costantino, Elena, che, secondo i prelati ortodossi,  crea una comunità di  monaci per  onorare nel luogo santo, ai piedi dei  monte odierno Mousa e di quello di Santa Caterina, il corpo, rimasto  intatto, della donna,  costruendo un fortilizio – che poi divenne Monastero di S. Caterina/Monh ths agias Aicatherinhs nel 534 d.C., ad opera di Giustiniano, che lo fortifica con alte mura, perché insidiato dai ladroni del deserto -!. Insomma non solo rende bella ed attraente la storia della Santa egizia, ma documenta anche la vicenda, connettendola con la tradizione copto-ortodossa, dandole una patina di storicità.

Dunque, professore, l’aretino scrive  un’opera pietosa, quasi assecondando la normativa preconciliare di Trento dei teorici commentatori dell’ars poetica di Orazio, che inclinano  all’utile aristotelico  cioè a moralizzare  il cristiano, edificandolo con esempi di santità,  cambiando  il sistema di  scrivere, volendo  non più delectàre,  ma docère?

L’ humanità  del figliuolo di Dio  è opera di transizione, in cui si passa dalla poetica del delectare di Trifone Gabriele, di Bernardino Daniello e di Fracastoro-  che vivono in ambiente veneto a quella del docère di  Minturno, Varchi, Piccolomini, Castelvetro, cioè dal  platonismo edonistico del primo Cinquecento  all’utilitarismo aristotelico controriformistico, teso alla edificazione morale del cristiano del secondo Cinquecento.

Certo in questa opera ci sono parti in cui l’aretino anticipa il sistema del miscère  dulce et utile,  in cui, insomma, il birbo scrittore rinascimentale  mostra di comprendere  le necessità di cambiare del suo secolo, nel momento del passaggio  della fine della autonomia politica  italiana  con la morte di Clemente VII, ultimo principe nazionale – come già aveva visto Guicciardini -al definitivo passaggio dell’Italia, sotto il dominio spagnolo, evidente  con l’incoronazione a Bologna di Carlo V, in S. Petronio !

Leggendo questa opera, infatti, Marco, sembra che l’autore conosca l‘humanitas di Cristo  anche se controversa, in quanto segue la lettura dei  quattro Vangeli, anche se  cela la sua natura divina, forse per  essere  di esempio concreto ad altri che nell’ ambiente veneto ormai sono avviati verso altre soluzioni cristiane, anche in senso riformistico.

Comunque, Pietro l’aretino  fu un caso letterario  all’epoca, quando gli fu negato il cappello cardinalizio in quanto divise molti che lo sostenevano ed altri che si opponevano decisamente. Si ricordi che il suo editore Francesco  Marcolini da Forli (morto nel 1559) fu  coinvolto nella difesa del suo autore, pur accusato da più parti ed anche da amici di falsa pietas.  Infatti questi  si scagliò contro i suoi detrattori e  perorò la sua causa per avere udienza dal pontefice  fiorentino,  affermando  che l’aretino diceva : So meglio credere a Cristo che essi non ne san parlare!.

In effetti tutti erano sorpresi della  sua conversione ai temi religiosi, certamente  connessa con i prodromi del concilio di Trento, le cui tesi  non erano più segrete  negli ultimi anni  del pontificato di Clemente VII, essendo note  l’indirizzo riformistico dei cardinali   Farnese e Carafa, ai prelati, che chiesero di bruciare perfino  l e opere  religiose dell’aretino, alla presenza del Tiziano, perché erano opere di un profanatore  e non di un credente. – Non allora si ottiene questo, ma solo nel 1558  si ufficializza la richiesta dei prelati,  che diventa esecutiva contro Pietro l’aretino, reo di empietà nei confronti di S. Tommaso e di S. Caterina;  le due opere, infatti, vengono pubblicate nel Seicento a Venezia, dopo  l’epoca sarpiana   e l’interdetto alla Repubblica veneta !-.

Mentre in molti vogliono la condanna dell’aretino c’è  la difesa con plauso del fiorentino  Niccolò Martelli (1498-1555), autore di Rime e di un epistolario, e di tante altre opere, amico di molti letterati e devoto discepolo dell’Aretino- dal quale nel periodo romano clementino, quando viveva a Roma  come un mercatante, fu avviato alla poesia-. Il Martelli sempre difese l’opera religiosa dell’Aretino anche  alla corte di Cosimo I, dove sembra che affermò: la Bibbia  è opera piuttosto  prolissa e mal capita, mal letta,  e, grazie all’Aretino, è ridotta a brevi e vere sentenze, capaci di arrivare all’anima!.

Professore, forse in quegli anni  davvero l’opera  dell’aretino, autore famoso,  ha una funzione di divulgazione  popolare delle Sacre scritture, come quella tentata da Lutero in Germania, con la traduzione della  Bibbia in tedesco, per dare  un libro da leggere al popolo, senza l’intermediazione latina  della Chiesa, depositaria del  testo ed unica interprete! E’, dunque, un merito dell’Aretino l’aver volgarizzato il vecchio e il Nuovo Testamento, dandone perfino exempla?.

Marco, non mi sembra. La chiesa, al momento della  scrittura, nega solo il cappello cardinalizio! Comunque, Pietro l’Aretino è un precursore dei  tempi nuovi con la sua volgarizzazione dei  Vangeli,  avendo dato ai letterati, che hanno una triplice formazione latino-greco ed italiana, una possibilità di lettura reale del bios/vita  e dei logia  kuriou/ detti  del  Signore,  cosa fatta dalla Chiesa, mai, né per gli eruditi né per il popolo analfabeta.

Marco, bisogna attendere l’opera novecentesca  di Don Alberione, l’editore di Dio, il fondatore  dei Paolini ( Cfr. www.angelofilipponi, Don Alberione)!.  

Comunque, l’aretino  pubblica l’humanità del figliuolo di Dio  in Venezia, intorno al 1535, prima ancora dell’inizio del concilio di Trento nel 1545-   finito dopo 18 anni di dispute, contraddittorie solo nel 1563 –  in tre libri, compreso l’ultimo sulla Passio/passione.

Professore, come scrisse questo libro sulla vita umana  e sulla morte del figliuolo di Dio, crocifisso dai Romani?

Marco, a me sembra che l’autore si rifaccia all’opera di Cipriano di Cartagine  e  al suo Vangelo e alla Bibbia africana, libri che precedono di oltre un secolo  l’opera di Girolamo (cfr. Girolamo e la traduzione in www.angelofilipponi.com ).

Bibbia e vangelo africano di Cipriano si possono conoscere dalle sue opere, le cui idee sottese furono combattute  dai donatisti,  seguaci di Donato di Case Nere (270- 355) che accusavano  i vescovi, che per salvarsi dalla persecuzione di Diocleziano avevano consegnato  i libri sacri ai magistrati, che chiedevano un atto di latria ai cristiani e quindi erano traditori (trado is, tradidi, traditum, tràdere vale  consegno). I prelati, accusati, si rifacevano al pensiero di Cipriano che giustificava i lapsi/ gli scivolati, e li riaccoglieva nella Chiesa, previa penitenza, reintengrandoli nella gerarchia sacerdotale. Ora la persecuzione di Diocleziano fu certamente più dura di quella di Decio e Valeriano. Comunque, Donato applicava un rigida moralità, condannando anche i sacerdoti e vescovi nominati dai lapsi, convinto che Dio  chiedeva nella prova  il sacrifico della vita  e, quindi, non accettava  la penitenza come  compenso alla debolezza umana davanti all’imperatore. Il problema donatista  rimase a lungo  come eresia nella Chiesa e inficiava alquanto il pensiero del vescovo di Cartagine. Non è qui il caso di seguitare  a trattare il problema donatista, i cui reali termini non sono chiari anche perché lo storico Eusebio  confonde Cipriano di Cartagine  col mago Cipriano orientale, vescovo di Antiochia!.  Marco, comunque, in un epoca ancora sincretica – edonistica e utilitaristica – tra i teorici del platonismo e i teorici dell’aristotelismo,  l’aretino fa un ‘opera seria  di divulgazione religiosa  circa la passione, la morte e la resurrezione del Signore, secondo la tradizione cristiana, con tutti i mezzi dell’ arte retorica.

Non mancano certamente pagine piacevoli quando parla della bellezza di Maria  Maddalena perché forse indulge troppo a parlare di lei, come di una cortigiana honesta e della sua storia di prostituta, servendosi della forma retorica e delle trovate  lascive,  dilettandosi nella descrizione di scene piccanti erotiche. Certamente non è esatto nel trattare della morte degli innocenti bambini, strappati  dalle mani delle  madri ed uccisi dai soldati di  Erode il grande!. Non è forse  descritto  bene  nemmeno il momento del Battesimo di Gesù, ma ripete la scena della apertura dei cieli e della  proclamazione della gloria del padre  e tanto meno  quello dei miracoli, dove l’autore cerca l’effetto per eccitare la meraviglia del lettore.  C’è il lui l’ arte dello scrittore di commedie e di tragedie, che attira la massa di spettatori! Anche nell’episodio del suicidio di Giuda che,  riconsegnato il denaro ai sommi sacerdoti, disperato per il tradimento, si impicca, c’è teatralità! Perfino nella disperazione muta di una madre che ha il cadavere del figlio sulle sue ginocchia, dopo la deposizione del corpo di Cristo  dalla croce, c’è la tragedia di un’ umile creatura che  non comprende il  grande piano salvifico divino e che non ha più neanche lacrime di dolore!

Professore, questa sua descrizione della deposizione del Cristo  mi fa  pensare alla Pietà di Michelangelo, uomo della  stessa epoca!

Che vai pensando, Marco? non c’è alcuna prova che Michelangelo abbia letto la Humanità del figliuolo di Dio! Comunque, Marco, il terzo libro, oltre agli episodi già detti, tratta anche  della resurrezione gloriosa del Cristo e della sua trionfale ascesa al cielo, tra lo stupore dei suoi fedeli apostoli, lasciati come testimoni della sua avventura umana e terrena.

In questa ultima parte è attenuata la solennità discorsiva  e quindi il panegirico e l’ artificio retorico, ma c’ è  sola e semplice esposizione narrativa con enfasi puerile, che sembra derivare da traduzioni latine di amici dell’opera forse di  Cipriano di Cartagine e,  perciò, l’umanità di Cristo rimane contenuta, propria di una creatura che ha comunque, un qualcosa di divino, secondo la lezione ciprianea, meglio conosciuta da Teofilo Folengo  (1491-1544), anche lui autore di un poema in ottave  in 10 Canti  su L’ humanità del figliuolo di Dio!

Che stranezza, Professore! Due popolari scrittori cinquecenteschi inneggiano a Cristo uomo, proprio in epoca vicina a quella controriformistica!