Cleopatra ed Antonio

Cleopatra ed Antonio

Antonio convoca a Tarso in Cilicia, Cleopatra, come triumviro di Oriente, rettore di  Acaia-Macedonia e di tutta la zona, compresa tra il mar Ionio e l’Eufrate, tutta l’ Asia Minore, Siria,  Fenicia e Palestina.

La regina dì Egitto deve giustificare davanti ad un tribunale romano la sua politica in favore di Cassio e di mancato aiuto ai triumviri: è un sovrano vassallo che deve provare la propria innocenza, a seguito della sconfitta dei Cesaricidi, davanti al  vincitore.

Alla fine di settembre la regina arriva in Cilicia, da Alessandria, su un battello, nilotico, appositamente varato, lussuosissimo, seguito dall’intera flotta egizia, che controlla il mare di Fenicia e la costa egizia.

Antonio, secondo Plutarco, viene dalla Grecia, dove si è comportato in modo stolto e grossolano, anche se partecipa a conversazioni letterarie, a spettacoli agonistici e ad iniziazioni misteriche, pur di essere definito amico dei greci  ed ancora di più  amico degli ateniesi, ai quali fa moltissimi doni ( Antonio, 23).

In Grecia il triumviro c’è stato da giovane-  lo zio  C. Antonio nel 63 era governatore della Macedonia – a studiare retorica ed ha fatto una certa carriera come oratore asiano, che è una forma ben connessa con le nature di chi ha vita boriosa, superba, piena di vano orgoglio e di capricciose ambizioni (Ibidem,2), applicandosi con successo in esercizi militari.

Lasciata la Grecia in mano del pretore Lucio Marzio Censorino, nominato  proconsole  di Acaia, venuto in Asia, è ricevuto in Bitinia da molti re, che gli porgono omaggi, venerandolo come un dio, con le loro regine disposte a farsi sedurre, a farsi belle, in gara, nel portare doni  (Ibidem 24).

Il triumviro ha con sé una corte di adulatori e di parassiti ed accoglie ancora citaredi, flautisti, artisti asiatici che superano con la loro impudenza e insulsaggine quelli, che già porta con sé dall’Italia. (Ibidem).

Gli amici  gli rinfacciano  scherzosamente ora la vita  sregolata Roma, quando era magister equitum, nel 48, in assenza di Cesare, (cfr. II Filippica di Cicerone) mentre gestiva la massima autorità politica,  avendo al suo fianco  mimi come  Sergio ed Ippia,  e la mima Citeride ( Antonio,8,4-5).

Plutarco , comunque, così descrive l’entrata  di Antonio ad Efeso, in linea con la sua vita precedente di spendaccione,  di amico dei Curioni (padre e figlio), di uomo capace di indebitarsi  (Ibidem, 2,4-5) per 250 talenti (6.000.000 di sesterzi): lo precedevano  donne vestite da baccanti ed uomini e fanciulli abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di edera, tirsi, cetre, zampogne e flauti, mentre la gente acclamava  Antonio come Dionisio benefico e soave – Dionuson auton anakaloumenon Kharidothn  kai Meilichion -.

Lo storico precisa che ci sono, però, molti che lo chiamano Omhsths kai Agrioonos (carnivoro e selvaggio) perché toglie i beni agli uomini per bene per darli alle canaglie e agli adulatori, arricchiti con gli averi dei morti: Antonio si comporta democraticamente, come faceva  a Roma, dopo la morte di Cesare, in un momento di anarchia, quando regnavano i falsari!

Così vivendo, il triumviro converte la tragica gravitas in persona maschera comica e parodistica.

Di Antonio Dionisos neos ed Heracles mangione e ubriacone approfittano i kolakes adulatori asiatici, abili a tracciare figure di militari spacconi secondo la commedia nuova, che sanno mescolare, come in una salsa, la libertà di parola/parrhsia con la più sfacciata adulazione così da mascherare il disgusto.

Plutarco, citando Sofocle, chiude il suo pensiero: l’intera Asia era piena di fumi di incenso ed insieme di peani e di gemiti (Ibidem).

Secondo noi, davvero Antonio scredita l’austerità senatoria  con la sua epihaneia/apparizione divina, propria della cultura della retorica asiana, ma segue il modello  cesariano di una nuova costituzione per l’Oriente, secondo le formule  religiose della basileia!

Non è un caso, ma un preciso sistema per l’ektheosis!

Risulta, però,   una recita da teatrante, non riuscita ad Antonio! Nemmeno in Oriente!.

Antonio  è un uomo nobile  con bella barba, con ampia fronte e naso aquilino che gli danno  un aspetto marziale, che, comunque si manifesta in forme allegre ,  in quanto di animo molto munifico, capace di regalare  un milione di sesterzi ad  un amico.

E’  inoltre un burlone che sa accettare le burle degli altri, specie nelle relazioni amorose in quanto è  un amatore cosciente dei propri vizi e portato alla teatralità smodata, incurante delle querele degli epitropoi o dioichetai, che cercano di limitare la sua liberalità patrizia, nel corso del suo  comando militare ed amministrativo.

A Roma  si poteva credere  la notizia che gli antoni erano eraclidi , discendenti  di Antone figlio di Eracle (Plutarco,Antonio, 4,2), in Oriente la si imponeva con la forza del vincitore.

Ottaviano, solo dopo la vittoria, si avvicina al mondo asiano  e, pur  vivendo  da teatrante politico, anche lui- tanto che alla fine della vita, nel 14 d. C., può chiedere ai senatori Ho recitato bene la mia parte?,- sa mantenere un suo equilibrio argentario, italico, cosa difficile ad Antonio, data la sua educazione militare ed aristocratica!.

Per un Ottaviano, erede di Cesare, allora nel 41 av. C.  figlio di modesti nummularii dipendenti da grandi mediatori finanziari, argentarii, i comportamenti istrionici del rivale aristocratico, propri degli ottimati, abili ad arricchire nelle province  a scapito delle popolazioni, è facile bollare  l’insania/pazzia antoniana, l’assenza di modus e il dispendio di denaro  pubblico.

Per lui ancora più facile condannare in seguito lo smodato lusso del rivale, la sua megalomania, il suo vivere da Basileus/  re orientale:  è facilissimo  fare una propaganda in senso Occidentale, agricolo e conservatore,  in modo da fomentare odio verso l’Oriente ricco e commerciale e contro  la coppia illegittima di Antonio e Cleopatra,  che gestiscono l’imperium  a proprio arbitrio, considerata ridicola la loro millantata ierogamia!

In effetti Antonio è un militare, amante del vino, della compagnia, manesco, un fanciullone grezzo, un campagnolo spiritoso, un Pirgopolinice plautino, un carattere di Teofrasto, un soldataccio come Polemone descritto da Luciano di Samosata in Dialoghi delle cortigiane.

E’ davvero un discepolo di Clodio e di  Curione, di cui imita i comportamenti: dal primo deriva  la furia rivoluzionaria, l’impudenza e  audacia demagogica e dal secondo  – di cui è stato a lungo la donna (ibidem,2 Kurioonos philia kai sunetheia),  l’amore grossolano per i piaceri, il bere smodato, l’uso delle donne virili,  le spese eccessive  e sfrenate!

Sposa perfino Fulvia- già madre di Publio Clodio Pulchro e di Clodia Pulchra,  la  vedova di Clodio, divenuta nel 51 moglie di Curione, alla sua morte nel 49, come terzo marito!

Plutarco rileva anche  i difetti  della semplicità di modi e  della lentezza nell’accorgersi degli errori, perché incline a bere e facile all’ira e al pentimento, in quanto borioso, prodigo verso chi definisce superficialmente amico, ricompensato in modo eccessivo, troppo generosamente.

E’ un sentimentale Antonio rispetto ad Ottaviano, anaffettivo e  razionale!

E’, comunque, un vero dux , anche se non abile amministratore, vero discepolo di Cesare nelle strategie militari, capace di coordinare legati , duces prudentes  di grande valore, e già per conto loro perfetti strategicamente.

Antonio, pur avendo tamiai (tesorieri) e censori, non ha  cura  dell’amministrazione finanziaria in quanto non controlla costantemente le entrate , ma si fida del conteggio altrui e delle persone più a lui legate da rapporti camerateschi che da affetti reali.

In una successione rapida di  rapine, di confische e di saccheggi  di riscossione di tributi, sarebbe stata necessaria la registrazione ad opera di  veri contabili, che sotto la guida dei tamiai, fedelissimi,  facessero il loro dovere quotidiano., opportunamente pagati da lui stesso!. Invece si moltiplicano le casse a seconda  dei legati, cresce il numero degli addetti al lavoro contabile  senza, però, l’oculata e periodica  ispezione del dux.

Senza documenti,  senza  registrazione  le entrate  sono nominali, mentre le  uscite, continue sono senza controllo.

Ognuno, legatus, centurio, decurio, a seconda del grado militare prende dalle casse dell’esercito quanto occorre, senza alcuna  registrazione ufficiale: non ci sono note per le spese di vettovagliamento né voci indicanti i prelievi del dux o dei legati vicari, o di quaestores autorizzati dalla auctoritas e non dalla necessitas quotidiana.

Ne consegue che, non esistendo registri, non esiste contabilità: le confische si succedono, ma ci sono molte casse distinte da quella dell’erario pubblico, che si esauriscono per spese arbitrarie e solo in precise date, quando ci sono richieste ufficiali dal senato, si preparano convogli da inviare a Roma per nave o per terra a seconda delle destinazioni.

Quanto diversa la strutturazione delle tasse, delle casse, degli  esattori della famiglia di Antipatro, connessa col tesoro templare e con una capillare organizzazione trapezitaria secolare!

Plutarco mostra come un adulatore colax sa pungere il dux con la sua denuncia, forse esagerata, circa la cattiva amministrazione romana in terra asiatica.

L’ Asia ha pagato 200.000  talenti (un talento vale 26,2 kg, 60 mine)

Per capire qualcosa si pensi che Antioco III sconfitto da Scipione asiatico a Magnesia sul Sipilo nel 190 a.c.  deve pagare 15.000 talenti e d è costretto per anni a  depredare templi e tassare i suoi sudditi, ad invasioni di territori nemici!.

Per il  trasporto di 52.400 tonnellate di argento occorrono  carovane e carovane di muli e di cammelli, centinaia di carri e legioni di scorta!

Antonio, cattivo amministratore,  non ha piena coscienza di tanta fortuna e delle migliaia di tonnellate di argento e seguita ad avere fiducia nei suoi tamiai/censori, che non producono documenti e non fanno conti di entrata ed uscita e continui resoconti, lasciando i conti dell’erario, in mani private, per spese proprie, a seconda delle casse delle varie legioni e dei legati che ne usufruiscono in modo indipendente. 

A chi allude Ibrea, il noto oratore di Mylasa?

A L. Munacio Planco, da Antonio nominato governatore di Asia nel 40, dopo l’incontro di Atene?

Allora l’oratore non ha fatto l’affermazione nel 41 ad Efeso, ma in altra circostanza , nel periodo che va dal 40 al 32, anno  del  suo tradimento di Munacio  (defecit ad Octavianum)?

Plutarco ha un suo filo narrativo ma le informazioni, le dà  senza precisare il  tempo, considerando nel suo insieme l’arco di potere orientale di Antonio!.

Se si confrontano i suoi  dati  con quelli di Velleio Patercolo   si giunge alla conclusione che Munacio Planco è  spesso invitato a corte, ad Alessandria dove tra i tanti parassiti   si trova anche l’oratore di Mylasa.

Perché proprio Munacio Planco

  1. – perché Planco, nativo di Tivoli, ha svolto mansioni censorie  nel corso della campagna gallica, quando è legatus di Cesare durante la guerra gallica e poi  è suo collaboratore durante la guerra civile,  in Spagna e in Africa e praefectus urbi nel 45, governatore della Gallia Comata- nel 44 (epoca in cui fonda Lugdunum/Lione e Raurica/Basilea)-
  2. perché, dopo la morte di Cesare, divenuto console nel 42 ha un  comportamento incerto tra cesaricidi ed anticesaridi, per schierarsi poi con Antonio, e partecipa alla rivolta di Fulvia e di Lucio Antonio arruolando  i perdenti terre in seguito alla decretata spartizione delle proprietà e alla designazione dei coloni (Velleio Patercolo St, Rom., II,74) diffamando Ottaviano che fa distribuzioni in Umbria e Gallia (Virgilio, Bucolica I e IX ),   impegnandosi lui stesso  a distribuire in Campania terre ai veterani dando luogo a malcontenti e malumori. Per aver reso questi servizi e per aver accompagnato nella fuga dall’Italia Fulvia, Antonio lo ricompensa con il Governo dell’Asia ( prima, e poi della Siria). Planco è uomo definito da Velleio Patercolo (Ibidem,  II,83) –come già detto- per la opportunistica  politica morbo proditor/traditore per morbosa disposizione, abile nell’assegnare territori nel beneventano ai reduci. Velleio considera Planco il più basso degli adulatori della regina, un cliente più strisciante degli schiaviper Antonio il segretario (librarius) inventore ed organizzatore delle più sozze oscenità, venale per ogni cosa e per tutti.

Per lo storico Planco è una squallida comparsa, un pantomimo  capace di recitare  nudo e dipinto da azzurro  col capo cinto di canne, traendosi dietro  una coda  e sostenendosi sulle ginocchia per interpretare – come un  istrione – la figura  di Glauco, durante un banchetto

Davvero Planco diventa espressione parodistica del romano degenere come lo stesso Antonio, indegno del nomen senatorio!

Poco prima della battaglia di Azio  tradirà Antonio  per  poi proporre, quattro anni dopo la vittoria, il titolo di Augustus/Sebastos ad Ottaviano, abituando così al servilismo l’ordine senatorio.

Eppure  lo stesso popolo campano – grato per la distribuzione di terre,- a Gaeta erige, alla sua memoria,  sulla sommità del monte Orlando una  tomba cilindrica, su una base quadrata!.

Antonio ha in quel tempo sotto il suo potere costantemente dalle 16 alle 20 legioni, a seguito degli accordi, e spesso anche auxilia, truppe ausiliarie  oltre a turmae di equites, che devono mangiare, equipaggiarsi, d’estate e d’inverno sia in roccaforti delle province, depredate,  che nei castra, vicini alle città, di norma saccheggiate, perché i milites sono bisognosi di rifornimenti continui ed ogni legatus ha, all’occorrenza, a sua disposizione il tesoro erariale, che è la cassa comune  antoniana, portata in giro per le province conquistate, con una fila innumerevole di muli, cammelli, carri!

Ed anche la flotta, allora stanziata nelle vicinanze delle isole greche è vettovagliata costantemente dalle popolazioni  isolane che pagano tributi!

Senza abili censori, onesti, non si mangia né si fa addestramento, specie se ci sono nell’ esercito demagogoi, che eccitano i milites a rivolte contro i legati e  contro lo stesso dux amministratore inadeguato: Antonio, aristocratico passato al popularismo,  non è un epimeleths e tanto meno un dioicheths, che cura  l’ordo censorio,

Antonio per natura non è  un uomo capace di mettere in ordine i conti, comandare e spendere quanto gli occorre, ma  prende pecunia secondo  i suoi umori, concedendo la stessa libertà ai figli piccoli.

Se è vero quanto scrive Plutarco di Antillo, figlio di Fulvia – che, ridendo, dona tutte le coppe della tavola, preziose, al medico Filota, incredulo che si possa  accordare il permesso di far raccogliere e metterle in un sacco, dopo avervi impresso il sigillo, ad un bambino  (Ibidem28) – bisogna meditare sul disprezzo romano dei beni, sull’educazione nobiliare in epoca repubblicana.

Si pensi che questo avviene ad Alessandria,  oltre tutto, in casa altrui, di Cleopatra!

Ottaviano, pur giovane di 21 anni, invece, essendo nummularius,   proveniente dal ceto mercantile, connesso con le trapezai ebraiche, fa esattamente il contrario, imponendo una capillare registrazione di ogni entrata e  delle corrispettive spese, mettendo in evidenza con voci specifiche chi porta e chi prende, secondo un preciso sistema bancario, usato anche da Cesare sotto il controllo ebraico!

Plutarco, pur scusando Antonio per la negligenza e per l’ingenua fiducia in chi riscuote somme così ingenti, fa dire all’asiatico, preoccupato della bancarotta: Se tu non li hai ricevuto, domandali a chi li ha presi, ma se li hai ricevuti  e non li hai più, noi andiamo in rovina.

Apoloolamen/andiamo in rovina è il grido degli asiatici di fronte allo sperpero di denaro pubblico da parte dei romani, che rubano e sprecano la ricchezza asiatica: e’un monito per il theos, il  neos Duonisos, che folleggia!

Dunque, Antonio non ha seguito Cesare come il mulio/il mulattiere piceno, Ventidio Basso, che ha fatto carriera col condurre lunghe file di muli, trasportatori di viveri, di denaro e di armi,  e perfino di mensae praetoriae con le posate d’oro e d’argento del dux!,   ragioniere ante litteram, oikonomos spilorcio  nelle spese  registrate  in singole voci contabili, utili per i censori che verificano, all’ occorrenza, su ordine  senatorio!.

Antonio ha solo visto l’aspetto dispotico, munifico, aristocratico, del potere cesariano, non quello popularis  e non ha colto il lavoro  di revisione dei conti e di verifica dei censori, di studio dei programmi e di pianificazione di ogni singolo atto burocratico e strategico-militare per un telos/fine superiore!

Antonio ha solo sogni aristocratici secondo il militarismo romano di sfruttamento provinciale, secondo una concezione elitaria della superiorità romana, che impone il diritto del vincitore, che mette la spada sul piatto allestito dai vinti!.

Antonio non ha Fulvia alle sue spalle in Asia. Non ha nel suo letto  Fulvia, che guida l’oikos familiare e che avrebbe organizzato la ricchezza asiatica.

Lui vive senza curae, mentre lei gestisce il patrimonio  e lo conserva gelosamente:  è  strumento di una donna virago capace di imporsi ad uomini come suo cognato Lucio Antonio a costringerlo ad una comune causa,  a subire insieme l’assedio di Perugia ed andare in fuga, lasciare la madre Giulia presso Sesto Pompeo  per favorire il marito lontano, pur se tra le braccia di Cleopatra!.

Fulvia è come Precia, come Sempronia, come Clodia una femminista, un’economa, tesa all’oikos patrimonio familiare, capace  di sfruttare la sua personale femminilità per un bene superiore, mai doma davanti ad ogni pericolo.

Antonio non è dunque uomo per una donna, un amministratore di patrimoni, un pianificatore strategico,  e forse neanche un dux prudens, ma  solo un polemisths valoroso, troppo istintivo per conquistare un imperium, fortunato per mantenersi l’amore di  una regina, del tipo di Cleopatra, erede della raffinata cultura  lagide.

E’ un uomo forte, belloccio, di media altezza, atletico perché esercitato nei gumnasia  e nelle arti marziali, ma già limitato e quasi distrutto dalle donne, dal vino, dagli amori efebici e dal vizietto amasio persistente.

Ora Cleopatra incontrando Antonio, che già conosce dal periodo romano, come fido cesariano, non si pone alla pari delle regine vinte.

E’ la donna di Cesare, una regina ammirata  e venerata dal dictator sia per la bellezza e per l’eleganza che per la raffinata intelligenza oltre che per la superiore cultura della stirpe lagide, signora assoluta  del ricco Egitto da oltre due secoli, nuovo simbolo dell’antichissimo potere  faraonico!

Cesare non era Antonio: altra struttura fisica, spirituale, culturale, un altro mondo maschile!

Ora Antonio è, comunque, il rettore dell’Oriente: questa verità sa l’intelligentissima Cleopatra,  che va a Tarso.

La regina ha avuto la lettera di comparizione da Q. Dellio, ha ascoltato a voce le accuse  ed è informata su Antonio, uomo incapace di fare del male ad alcuna donna  e tanto meno ad una regina.

Cleopatra è persuasa da Dellio, scaltro ed abile nei discorsi,  ad andare all’incontro a Tarso, dopo la descrizione di Antonio come il più amabile  e  benevolo  dei comandanti /ton Antonion hdiston  eghmonoon onta kai  philantroopotaton (ibidem 25).

Cleopatra ha alla fine del 41 poco  più di 25 anni, ma è maturata come donna dopo l’amore verginale con Cesare, dopo la nascita di Cesarione e il biennio Romano  (Cfr  A. e M. Filipponi, Antipatro, padre di Erode).

Da un triennio è nella sua corte di Alessandria, circondata da uomini letterati, scienziati, militari, musici, ballerini, artisti,  libera di amare chi desidera, di scegliersi il migliore di aspetto per prestanza fisica e per intelligenza.

Secondo Plutarco la donna è nel fiore dell’età, molto diversa da quella fanciulla inesperta, conosciuta da Cesare:  ora lei stava per incontrare  Antonio nel momento in cui la  bellezza delle donne  è al suo massimo splendore  e l’intelligenza sviluppa  tutta la sua maturità. (Ibidem 26)

Perciò, Cleopatra prepara molti doni, talenti  ed ornamenti  – secondo le possibilità di un grande regno e prospero-  e si presenta ponendo le maggiori speranze  in se stessa, negli incanti, nel fascino  e nelle attrattive personali (Ibidem).

Di fronte ad Antonio, quindi, c’è una donna matura, la dea Iside simbolo di maternità, regina calcolatrice, che pensa a suo figlio Cesarione e che, solo per lui, può avere fatto un piano per conquistare il nuovo fortunato volgare padrone dell’Oriente/ dipinto dai letterati come Neos Dionusos, semidio romano, della stirpe di Hracles.

A lei conviene un amore con Antonio, per legittimare il futuro di Cesarione figlio di Cesare, erede legittimo  dell’imperium romano grazie al potere di un padrino aristocratico di Roma, popularis, che dovrebbe esserne patronus fino alla sua maggiore età .

Cleopatra si comporta comunque, anche  da regina che pensa al benessere dell’Egitto  socio e alleato del popolo romano che,  tramite il rettore dell’Oriente, potrebbe diventare la più grande potenza insieme con la Siria, ricostituita nelle sue partes orientali ora sotto il regno arsacide.

Ad Antonio, imitatore di Cesare, ancora di più conviene un amore con Cleopatra, la donna di Cesare, la regina di Egitto, l’ammiraglia di una flotta colossale, padrona di un terra ricchissima di tutto, la cui capitale Alessandria è il faro  culturale, l’emporion più grande di tutto il mondo, superiore di molto a Roma.

Cleopatra fa attendere Antonio che la pressa con lettere e con ambasciatori ad affrettarsi: in un certo senso si prende gioco di lui  (kategelase tou andros), che spera di consolidare la sua posizione di triumviro orientale con l’appoggio della regina di Egitto.  La regina viene dal mare  ordinando ai marinai  di risalire col battello il  fiume Cidno, che allora attraversava  il centro della città, per una ventina di Km., fino sulla piazza, dove è  il tribunale con Antonio seduto, in attesa col suo consilium principis e le guardie che proteggono la zona.

Secondo Plutarco il battello ha la poppa dorata con le vele purpuree spiegate  mentre i rematori vogavano con remi di argento al suono del flauto, accompagnato da zampogne  e cetre. E’una scena teatrale! La regina è sdraiata sotto un padiglione, ricamato d’oro, ornata come Afrodite  nei dipinti,  e dei ragazzini, simili agli Eroti dei quadri, da una parte e dall’altra le fanno vento. Le più belle delle sue ancelle  abbigliate da Nereidi  e Grazie  stanno chi al timone, chi alle funi. Meravigliosi profumi provenienti da essenze e aromi  invadono le sponde (ibidem, 26)

La folla, festosa, su entrambe le rive, accompagna il battello dalla foce del Cidno, lo segue nel suo lento tragitto.

Ne deriva che anche la folla  che è in piazza intorno al dux romano, compresi i notabili  della città,  attirata ed ammirata dallo spettacolo si sposta verso il battello di Cleopatra  e lascia solo Antonio, seduto sulla tribuna. (Antonios epi bhmatos kathezomenos apeleiphthh monos), con gli amici e i soldati romani di guardia.

La venuta, dunque, di Cleopatra risulta col suo sfarzo  un’offesa  per lo ius romano, per l’autokrator, l’imperator, il dux vincitore, per l’aristocratico consilium principis.

La diplomazia romana è sconfitta, schiacciata di fronte alla parata egizia!.

La popolazione greco- cilicia è arbitra non di un verdetto ma della superiorità culturale lagide, ancora dominante nella zona, favorevole più alla regina egizia che ai nemici romani, nonostante le concessioni di civitas numerose ad opera di Pompeo e di Cesare.

Solo più tardi in epoca preaziaca si fa satira su questa beffa all’honor romano del giudice, rimasto solo, senza l’imputata Cleopatra!

Allora si legge lo scorno del Neos Dionusos, dell’Heraches romano,  deriso da Afrodite/ Venus anadyomene /che viene dal mare .

Allora si vede il coniugium illecito,  la ierogamia tra Dionusos e Iside non voluta dagli dei, come quello di Enea e Didone, e si maledice il sodalizio tra Antonio e Cleopatra, come funesto per l’impero romano, come la causa della nuova guerra civile.

Invece alla fine di settembre del 41  s’inizia a vociferare che  il fato ha mandato Afrodite  col suo corteo  ad incontrarsi con Dioniso  per il bene dell’Asia – h Aphrodith komazoi pros ton Dionuson  ep’agathooi  ths Asias-.

Antonio è stordito dallo splendore della corte di Cleopatra e Plutarco  ne mostra lo sconcerto fanciullesco  davanti  a tante indescrivibili meraviglie: Il triumviro rimase letteralmente incantato  dal gioco e dalla quantità di luci/malista toon photoon  to plhthos ecseplagh.

Plutarco così scrive: tante brillavano insieme e dappertutto, posate per terra ed appese in alto, ed erano artisticamente disposte le une in rapporto con le altre con tali inclinazioni sapienti da formare cerchi, quadrati, in modo che pochi spettacoli  furono così splendidi  e degni di essere visti come quello (Ibidem, 26).

Antonio, pur colpito dalla creatività e magnificenza egizia, vuole competere ed invitare la regina, credendo di poterla superare in splendore e raffinatezza, ma si sente sconfitto tanto da scherzarci parlando di miseria e di rozzezza/auchmon kai aigrokian, anche se ha sperperato i proventi di una tassazione provinciale.

Ibrea, infatti, dice, in occasione di un secondo tributo imposto alle città carie, spiritosamente, celiando  secondo il tono scherzoso di Antonio:  Se puoi riscuotere  il tributo due volte in un solo anno, puoi anche fare per noi due estati  e due autunni! (Ibidem, 24; è lo stesso oratore che scherza denunciando i censori sui 200.000 talenti!).

Ibrea è un vir civilis, o politikos  greco di norma di base oratoria,  ma certamente un parrasiasths che con un ghigno sorride e nella sua adulazione parla liberamente convinto della superiorità culturale orientale rispetto anche ad un magistrato romano!.

Cleopatra, come l’oratore di Mylasa, da donna scaltra, scopre la simplicitas del militare, volgare e si adegua con intelligenza, cercando di approfittarne servendosi dello stesso linguaggio, senza alcun timore, cosciente della sua superiore cultura.

Cleopatra è una poliglotta. parla moltissime lingue  ed ha una presa irresistibile sul maschio, anche se non è di una bellezza eccezionale  tale da stordire chi la vede, ma è donna di grande complicità e di allegria e di mirabile vivacità.

Plutarco come per concludere, afferma: Nell’insieme, l‘aspetto il fascino della conversazione, il suo modo di trattare con gli altri  lasciavano il segno. Era anche piacevole ascoltare il suono della sua voce e poiché ella volgeva facilmente la sua lingua come un apparecchio musicale a parecchie corde, a qualsiasi idioma volesse,  erano ben pochi i barbari  coi quali doveva trattare  per mezzo di un interprete (di’ermhneoos),ma era in grado di dare risposte alla maggioranza di loro, e direttamente, come agli Etiopi, ai Trogloditi, agli Ebrei, agli Arabi, ai Siri, ai Medi e ai Parthi.(ibidem,27).

Termina il discorso aggiungendo che mentre i sovrani suoi predecessori  nemmeno si affaticavano ad imparare la lingua egizia  ed alcuni avevano disimparato perfino la lingua macedone, lei  conosce molti altri linguaggi e dialetti.

Plutarco inoltre aggiunge che Cleopatra invita  Antonio a seguirla ad Alessandria, dove svernare .

E’ probabile, quindi,  che, essendo la navigazione vietata,  da ottobre a marzo i due abbiano trascorso  a corte nel Palazzo di Lochias, il periodo invernale.

Lì meglio che a Tarso  la regina può spiegare – senza trovarsi nella condizione di imputata. in un giudizio, le ragioni per il mancato  aiuto navale ai triumviri, impegnati contro i cesaricidi, a causa  di una improvvisa tempesta che ha impedito alla flotta di giungere in tempo e poi mostrare con documenti  il suo tentativo, non riuscito, di unire le proprie legioni a quelle di Cornelio Dolabella  per bloccare Cassio  in Siria.

Ora, dunque, Antonio, convinto delle giustificazioni di Cleopatra,   vive accanto  alla regina (cfr. E BRADFORD, Cleopatra, Bompiani 2002)  per almeno 5 mesi, mentre in Italia infuria la guerra tra sua moglie e suo fratello da una parte ed Ottaviano da un’altra in Oriente sta iniziando l’invasione della Siria, ad opera dei Parthi che reclamano i diritti sui territori asiatici sotto la guida di Pacoro, Barzafarne e Tito Labieno. La moglie combatte l’altro triumviro nella guerra di Perugia per gli interessi di suo marito e di Lucio Antonio, circondato da Ottaviano e da truppe senatorie.

Per gli storici -che esaminano nel complesso, in un arco di 12 anni-  Antonio è un  soldato  di normale  intelligenza,  abile solo a perdere tempo, incapace di una costruzione duratura- data la incostanza di carattere,-e di progettare qualcosa di grandioso, se non a livello astratto ed irreale  (cfr A Floro, II XX,  che rileva l’immensa vanità dell’uomo, che, per desiderio di titoli, attacca di nuovo i Parthi dopo la vittoria di Ventidio Basso, senza un motivo, senza un disegno, senza neppure l’ombra di una dichiarazione di guerra, come se anche la furberia rientrasse nell’arte di un comandante).

La vita di palazzo coi pettegolezzi, comunque,  diventa anche la vita di questo quarantaduenne, che lascia il campo politico al suo avversariopoco più che ventenne, dedicandosi alle gioie intemperanti  e ai capricci giovanili di banchetti,  a bevute seguite da sbornie colossali, a qualsiasi erotico gioco, sempre con un codazzo di compagni, tenendosi in forma atletica, con l’attività ginnica, seguendo  Cleopatra  che in incognito, gira per le strade alessandrine, passa per i canali specie per la odos megalh, allungando la notte a contatto con le plebi urbane.  S’innamora certamente di Alessandria, del Faro di Canopos, della Mareotide,  oltre che di Lochias, dei monumenti del Museo e della  Biblioteca, del popolo stesso egizio. Plutarco, (Antonio,28,29) dopo aver indugiato sulle spese incredibili e senza misura/apiston tina …toon analiskomenoon ametrian,  sulle buffonate e scherzi tanto da dire che Antonio usa la maschera tragica  coi romani e quella comica con loro/tooi tragikooi pros tous Romaious khrhtai prosoopooi, tooi men koomikooi pros autous, scrive: Raccontare tutti o quasi i giochi fanciulleschi che combinò sarebbe gran vanità.

Comunque, due episodi sono significativi per comprendere il rapporto  reale tra Antonio e la regina  e  verificare il loro carattere.

Un giorno la regina fa preparare il salone per una banchetto e  dispone sul pavimento uno strato di rose, molto spesso, mentre ha fatto sospendere su reti disposte nelle pareti altre rose in modo che  gli ospiti  possano camminare  su un solido e profumato tappeto  di fiori  (E. Bradford, ibidem ). Ora Antonio, in tale contesto, avendo il gusto delle scommesse ed essendo un megalomane, sfida la regina a preparare un banchetto del costo di  30.000 talenti circa 100 miliardi di  vecchie lire.

E’ designato arbitro il librarius Munacio Planco., uomo scorretto, capace di diventare un pagliaccio con la danza saltica, ignominioso nella sua oscenità, privo di dignità,  in una corte ellenistica, dove il romano già è considerato un agroikos, un villano rivestito.

Dunque  al di là della precisa datazione del  fatto  Munacio Planco è il giudice, che fa registrare a contabile le spese

Ritengo che il termine in questo caso dovrebbe valere come scriba censorio e come addetto contabile della spesa, insomma uso Librarius  in forma altamente dispregiativa per un magistrato romano  secondo il quadro tracciato da Velleio Patercolo,  ridotto a persona /maschera alla corte  di Cleopatra.

Munacio Planco, fatti conti, stabilisce che la regina  ha perso la scommessa  ed allora Cleopatra,  sorridente,   fatta portare una coppa , con aceto, vi versa sopra una delle due perle  che ha alle orecchie,  la fa sciogliere e la beve.

E chiede al censore di Antonio se ha raggiunto la cifra fissata mentre stacca anche l’altra perla per gettarla in un’altra coppa e si ferma solo quando il romano dice che è risultata vincitrice.

Per lei, regina,  che ha la riserva delle perle del Mar Rosso  e che commercia con l’India, non è una perdita grave!: è  solo una dimostrazione dell’immensa ricchezza dell’Egitto, davanti al fanciullesco Antonio e al suo avido  librarius! . Cleopatra mostra la superiorità commerciale della cultura lagide rispetto a quella agricola della res publica!

Senza entrare in merito al coniugium sacro e all ’innamoramento  o passione amorosa dei due,- argomento caro ai letterati, che seguono la propaganda di Ottaviano difensore dei diritti della sorella Ottavia, legittima coniuge, dopo la morte di Fulvia, che partorisce ad Antonio  poco dopo due figlie Antonia Maior ed Antonia minor, rispetto a  Cleopatra,  che dà alla luce  Alessandro Helios e  Cleopatra Selene il 25 dicembre del 40   e molto  più tardi avrà Tolomeo Filadelfo –  si ritiene che  ciascuno dei due, in relazione alla propria cultura, insegue, oltre al benessere fisico personale, un telos politico: Antonio  raggiungere lo scopo di essere l’unico padrone di Roma e dell’imperium, l’altra di creare un impero universale con capitale Alessandria, e come centro l’Egitto secondo i piani  di Cesare.

Non si sa se i due abbiano concordato un’azione comune per conseguire l’obiettivo proprio e quello del  benessere dell’ecumene!

Comunque,  la cornice di Alessandria, città unica al mondo costruita da Alessandro Magno, arricchita dai primi lagidi,  resa la più grande e più ricca, considerata geograficamente anello di congiunzione tra Asia ed Africa ed Europa,  diventa per Antonio  teatro ed occasione delle  bravate militari, oratorie, atletiche.

Deve cedere, però, ad alcune pressanti richieste della donna: riconsegnare Cipro all’Egitto lagide; far uccidere Arsinoe, sua sorella, che pur vive ritirata in Asia Minore chiamata solo dal Sommo sacerdote dell’Artemision, regina, pericolosa ai fini dinastici.

Nella città Cleopatra  attira sempre di più Antonio con la kolakeia  che sa praticare anche oltre le quattro forme di Platone – due sono quelle rivolte al corpo, alla cucina e l’abbigliamento raffinato; e due all’animo . sofistica e retorica -.La regina per un decennio gioca con Antonio come una gatta col topo  deridendo spesso lui occidentale che crede di essere il dominatore, che prende per vero che tutti ridano   felici e festosi alle  sue performances,   come beone,  o come atleta o come pescatore,  senza accorgersi che il loro assenso è quello  del suddito,   costretto a magnificarlo (Ibidem 24)  Cassio Dione ha nella sua opera spesso mostrato l’aspetto levantino dell’alessandrino che è certamente il più scaltro dei kolakes,megalophues, un sublime ruffiano, per dirla con Il Peri Upsous (Il sublime, XLIV,3 a cura di F Donadi,, Bur ,1991)  che così scrive in generale dell’orientale, alla fine del trattatello pseudo longiniano. Cleopatra ne è con Ibrea l’esempio più lampante .

Emblematica è la sua frase nei confronti del ragazzone romano, americano spocchioso,  scoperto nella sua millantata pesca, che copre l’atteggiamento di derisione con un apparente rispetto:  parados hmin ton kalamon, autokrator,  tois  Pharitais  kai  Kanobitais  basileusin. H de sh thhra  poleis  eisi  kai basileiaai  kai hpeiroi /concedi a noi re  abitanti di Faro e di Canopo, la canna: la tua preda sono città, regni e continenti.(ibidem,29)

Antonio non riuscendo a pescare niente,  fa attaccare  all’amo pesci da sommozzatori, ma scoperto dalla regina  è beffato perché un abile nuotatore egizio pone  un pesce salato del Ponto sulla sua esca, lo rende oggetto di risate per i cortigiani.

Secondo noi Antonio e Cleopatra sono amanti – hanno  i gemelli nati il 25 dicembre del 40, in quasi dieci anni di relazione- ma non formano una vera coppia, che possono pure aver sognato con diverse finalità il sogno di un impero universale cesariano, da realizzare più per volontà di Cleopatra che di Antonio.

Non so con quanta fiducia Cleopatra possa coltivare  tale  idea,  non certo per amore: abissale è il divario culturale tra i due coniugi!