Bonifacio IV e l’imperatore Foca

La colonna di Foca è inaugurata il 1 agosto del 608 a Roma da Smaragdo, esarca di Ravenna, che vi pone sopra la statua dell’imperatore e vi appone, alla base, una iscrizione lapidea…

E’ un evento importante,  da ricordare, da esaminare e da studiare!

Perché? mi chiede Marco

E’ un atto imperiale che  è segno della dipendenza di Roma da  Costantinopoli, meglio da Ravenna, da un esarca, al pari di altri funzionari bizantini,  anche quando già  in Italia da un quarantennio funziona l’amministrazione del regno  longobardico  e dei due ducati di Spoleto e di Benevento.

Il papato romano, schiacciato da Antiochia, da Alessandria, da Gerusalemme e dalla nascente Costantinopoli, aveva avuto solo alla fine del  IV secolo  un  magico momento di fulgore  e un riconoscimento, dopo quasi tre secoli e mezzo dalla morte di Cristo, quando con Teodosio  diventava il secondo patriarcato dopo quello costantinopolitano, a seguito di un  declassamento della  sede primaria  papale di Alessandria, punita col suo papas Teofilo.

Bisogna quindi- dice Marco-  pensare che Roma  in epoca teodosiana  è già considerata sede apostolica e che già si è costituito il muthos della venuta e della morte di Pietro (di Paolo)?

Certo, il gioco è già fatto,ora serve solo la dimostrazione con la verifica della propria auctoritas!

Ora con  papa Damaso, in epoca teodosiana, bisogna solo dimostrare la legittimità della funzione  del Primato di Pietro, opera ancora da svolgersi e da organizzare, proprio  quando i valentiniani già spostano la capitale dell’impero di Occidente a Ravenna e già con Ambrogio l’amministrazione occidentale è passata da Treviri a Milano con  l’ariana Giustina  e suo figlio Valentiniano II…

Quindi, bisogna precisare che non porta fortuna la titolatura imperiale di Teodosio a Roma, che comincia, proprio allora,  il suo decadimento, proprio con il trionfo del cristianesimo e con la fine del pagano pontifex maximus …

Gli atti di un progressivo decadimento in quasi due secoli e mezzo sono tali  che la popolazione romana passa da 1.500.000 di abitanti ad una  cinquantina di mila persone agli inizi del settimo secolo, per crollare  a 20.000 alla fine dell’ottavo…

Già la città  si dimezza nel periodo di regno dell’ostrogoto Teodorico perché in Ravenna ci sono già le sedi amministrative  e politiche del nuovo regno e perché il porto con la flotta dà garanzie di difesa  e perché da lì inoltre ci sono  possibilità di scambi economici  e commerciali con tutta l’area veneta orientale e con le zone settentrionali, dove ancora coloni romani sono attivi..

Eppure Teodorico  inizialmente non trascura Roma, che non conta  più sui rifornimenti africani  ora, alla fine del V secolo,  sotto il controllo dei Vandali e quindi,  avvia progetti di bonifica per recuperare all’agricoltura le terre abbandonate,  ripristinando così la centralità della Capitale  e favorendo  i commerci e facendo talora  distribuzioni di grano,  anche se  impone una  esosa  politica fiscale, dando rilevo ad amministratori romani, riservando la difesa territoriale ai goti.

Inoltre fa coniare monete con la sua immagine, organizza giochi nel Circo, ma autorizza con l’applicazione  di una lex arimannica l’uccisione dei proprietari  terrieri – crudeli a causa della necessitas di pagare  il fisco –  da parte dei servi, per poi incamerare o far incamerare i latifondi senza proprietari legittimi, favorendo gli aristocratici ostrogoti  che non  sono  dediti all’agricoltura.

A causa  della confisca di tante ville romane, l’agricoltura dell’Italia centrale decade vistosamente,  visto la noncuranza delle terre  da parte dei nobili goti, dediti solo alla caccia.

Da qui la volontà di Teodorico di rivalutare  Ravenna, – anch’essa decaduta, nel periodo di Oreste, Romolo Augustolo e poi di Odoacre  per il difficile iter  tra gli acquitrini e  per le  inondazioni  a causa delle mareggiate e dell’essiccamento ed insabbiatura delle pinete  marittime – sull’esempio di Galla Placidia, desideroso di stabilire la corte nel suo Palazzo ravennate …

Stabilita la nuova capitale a Ravenna,  dove  confluisce il flusso di ogni occupazione  agricola  della valle del Po, dove sono lasciate integre le ville romane, allo scopo di rifornire  di derrate alimentari la corte stessa, nonostante la presenza di Christianoi cattolici, minore comunque, rispetto a quella dell’Italia centrale, su cui vige ancora  l’applicazione dell’episcopale iudicium costantiniano, da lui ben conosciuto nel ventennale periodo  vissuto a Costantinopoli, come  ostaggio.

Roma, quindi, seguita a  perdere di popolazione  per tutto il periodo di dominio ostrogotico   e poi, dopo la Restitutio imperii di Giustiniano del 553,  mentre   si ridimensiona l ‘auctoritas religiosa, quasi  pareggiata a quella di altri episkopoi, allineati sotto una monarchia  fondamentalmente rimasta ariana, nonostante il partito di Amalasunta…

Il passo è breve  verso il massimo declino  quando il papa diventa un funzionario bizantino di secondo grado rispetto al potere dell’esarca di Ravenna,  rappresentante in Italia  dell’Impero orientale, anche dopo la conquista di Alboino dell’Italia.

Nella riorganizzazione occidentale bizantina viene sancito ora il Primato di Costantinopoli, la nuova Roma,  sugli altri patriarcati orientali e specie sulla sede Romana, ancora di più ridimensionata e scaduta come sede apostolica.

Viene annullato il beneficio valentiniano e teodosiano  del IV secolo, utile solo ai fini di un’unità imperiale  su una comune base  religiosa   catholikh/universale  per quell’epoca e per una migliore  conduzione del sistema  di villae agricolo occidentale in mano ad episkopoi di credo niceno-costantinopolitani.

Infatti nel periodo del potere   ostrogotico  e poi con la nuova situazione bizantina in  Italia con  la venuta dei Longobardi c’è  uno stravolgimento politico, economico e  sociale con una nuova organizzazione del territorio, suddiviso in una pars longobardica che occupa la sezione alpina ed appenninica  italica con un Regno e con due ducati, in una la pars marittima adriatica e parzialmente quella tirrenica, appartenente ai bizantini.

Il papato del VI secolo deve adeguarsi a tale nuova situazione ed è già ben organizzato  in quanto i vertici sono quasi sempre quelli della famiglia anicia, che  è rimasta integra, grazie alla sapienza amministrativa dimostrata sotto il dominio gotico ( cfr. La domus Anicia).

Ora siccome da oltre un secolo e mezzo Roma è appannaggio  degli anici, che reclamano le terre romane  del  vecchio impero, avendo comunque cartulae,  nei  confronti dell’impero bizantino, ed ora anche nei confronti dei longobardi, come se fossero gli eredi diretti di Roma imperiale congiunta ( quella occidentale  quella orientale), c’è in Italia , in Europa e in Africa un territorio a macchie, ancora romano, considerato inalienabile , non toccabile come per un sacro terrore popolare …

Da qui la figura di Gregorio Magno e la sua propensione ad un universalismo cattolico quando non ha neanche il controllo  totale del  suo territorio romano e dipende dall’esarca ed è in soggezione al duca di Spoleto  e al re longobardo, che lo premono da nord e da sud ….

Il papato romano anicio funge, dunque,  da duca  bizantino con caratteri religiosi  ed  è autorità secondaria, che segue ordini  ricevuti  dall’esarca e dall’imperatore e dai duchi e re longobardi, ma ha coscienza di un universalismo  territoriale  secondo una concezione astratta mitico-popolare  …

Fatta questa breve premessa, preciso che  sono interessato a un tale episodio e alla situazione dell’esarcato  per la definizione della figura  reale del papa  romano in circa duecento anni dalla  fine della guerra gotica  nel 535- 553 e  (poco meno) dalla venuta dei Longobardi nel 568  d.C.

L’iscrizione  di Foca, imperatore bizantino,  è da mettere in relazione con quella di Valentiniano III, imperatore occidentale  anche se sono di due epoche diverse.?

Certo, Marco.

L’Editto di Valentiniano III del 28 giugno del 445 è  a favore di Leone I, del quale  sostanzialmente si riconosce la dignità sacerdotale connessa con lo episcopale iudicium costantiniano.

C’è il riconoscimento del primato del vescovo di Roma, teodosiano,  basato sui meriti di Pietro, sulla dignità della città e sul Credo di Nicea con una sanzione verso ogni oppositore.

Infatti  si legifera  che ogni opposizione alle  decisioni imperiali,  che hanno forza di legge, deve essere trattata come tradimento e che chiunque si  rifiuti di rispondere agli avvertimenti di Roma  deve essere ivi estradato da parte dei governatori provinciali.
E’ questo  il primo vero tassello di un’autorità romana papale?

Mi sembra.

E’ l’editto  connesso con quello di Valentiniano I ? Forse.

Può esso risultare congiunto con quanto scritto nell’iscrizione di Foca ?

Credo di si

L’impero di Occidente e  quello di Oriente nella coscienza popolare  formano un unicum, cristiano,  dall’epoca  valentiniana, post costantiniana e preteodosiana con cui si connette.

Certamente i popoli occidentali pensano di vivere anocra in territori romani anche ci sono dominatori  estranei, comunque,  romanizzati, anche se ariani.

Per me sono due atti che, anche se distanti storicamente, testimoniano una volontà  di un imperatore, che opera, comunque, in una precisa situazione in reazione a nuove condizioni economiche e sociali, politiche.

Infatti bisogna precisare le differenti situazioni in cui versa Roma nel   V secolo e  nel VI e VII secolo per comprendere il costituirsi di un primato come quello della chiesa romana, esistente a parola, seppure testimoniata dalla carta, non di  fatto.

La theoria esiste, ma ancora deve essere tradotta in pracsis.

Allude, professore, alla falsa Donazione di Costantino? 

Anche ad altro!. 

Comunque, ora agli inizi del VII, bisogna precisare che Roma  non è più caput mundi, né  capitale dell’Italia né  dell’esarcato, ma è scaduta  come città, essendo nel VI secolo  più un paesone che un’urbs, specie dopo la guerra,  le  carestie  e le pestilenze e le continue inondazioni  del Tevere.

Pavia, Spoleto e Benevento, città  Longobardiche, Comacchio e Venezia,Otranto, Bari, Messina,  Napoli,   Salerno, Palermo, poleis  bizantine oltre a Ravenna, capitale, hanno un numero di abitanti notevolmente superiore rispetto a quello di Roma, ormai decaduta a livello di villaggio, agli inizi del VII secolo.

La  domus Anicia, nonostante l’impegno  economico ed amministrativo iniziale  e la sua connessione con l’amministrazione  periferica e con la corte bizantina, non ha  più possibilità di creare condizioni di vita migliori in città, anche per il sorgere di partiti e la nascita della potenza di altre famiglie concorrenti  di origine popolare, che si collegano o con i bizantini o con i longobardi, che neanche risiedono in città ma nei castella limitrofi ed hanno proprietà terriere …

I documenti  dell’epoca non esistono:  c’è solo la colonna di Foca: poca cosa per affermare il principio del primato di Pietro, sulle terre coltivate  nei dintorni laziali e campani,  nella fascia  appenninica tosco-umbro marchigiano-romagnola, comprese tra il Regno di Pavia longobardico e il ducato di Spoleto, unite alla zona paludosa del Veneto alla foce del Po,  insieme all’Istria e alla  Dalmazia, adriatica orientale,  e  a quella occidentale litoranea  tirrenica  con l ‘Elba, la Sardegna (con a  sud-ovest la Sicilia  e  la Corsica, a nord) .

Quando  è vescovo di Roma Bonifacio IV (608-615)  neanche è possibile parlare di primato di Pietro e Paolo  e si parla  solo di zone  periferiche dell’impero bizantino, i cui domini  sono intatti  nelle terre dove non c’è la Longobardia ( pavese,  spoletana e beneventana).

Nemmeno sotto Adeodato (615-618 e Bonifacio V (618-625) ed Onorio I (625-640) si può parlarne,  date le specifiche situazioni dei papi.

Eppure il primo crea illegittimamente la novitas delle bullae in piombo (le bolle papali ) ed ha una tale possibilità  col consenso dell’esarca, per il suo esercizio spirituale, nei limiti  territoriali  e poi in un progressivo ampliamento  di competenze  e di usurpazioni di diritto in senso di evangelizzazione verso regioni barbariche non italiche  ( gli Angli)  e di propagazione della caritas christiana in zone straniere, previa autorizzazione del patriarca costantinopolitano, che coinvolge il papato romano nell’eresia monotelita.

Onorio I,  infatti,  seguendo l’esempio dei predecessori, trasforma, senza averne autorizzazione, la Curia Giulia in Chiesa  -S Adriano al Foro- illegittimamente, e poi s’ impelaga nella questione del monotelismo in quanto è succube  di Eraclio, che nel 638 formula l’ekthesis (Mansi X,994-995) cioè il pensiero  che in Cristo c’è una sola volontà (thelema)  escludendo ogni  discussione sulla  energeia operativa.

E’ la formulazione tipica del Patriarca Sergio di Costantinopoli (Mansi,X, 530-532 ): Abbiamo ritenuto necessario che in futuro a nessuno sia permesso di affermare due operazioni in Cristo, nostro Dio, ma piuttosto si affermi, come insegnano i santi ed universali Concili, che l’unico e medesimo Figlio unigenito, il Signore nostro Gesù Cristo vero Dio, ha compiuto sia atti divini sia umani che … procedono da un solo e medesimo logos/verbum incarnato.

Il papa romano deve adottare  la  formulazione del patriarca bizantino e dell’imperatore in quanto subalterno: Affermiamo che la volontà del Signore nostro Gesù Cristo era soltanto una (unam voluntatem fatemur /affermiamo una sola volontà), per il fatto che la nostra natura umana è stata assunta dalla divinità. …

Il papa romano, non essendo in pericolo la verità evangelica, trascura il problema religioso e lo considera una questione filologica, un  semplice contrasto su termini proprio di grammatici: Il Figlio e Verbo di Dio fu egli stesso operatore della divinità e dell’umanità. Se a motivo di queste duplici operazioni, umane e divine, si debbano riconoscere una o due operazioni, questo non sta a noi, ma lo lasciamo ai grammatici, che sono soliti esibire parole ricercate ricavandole da minuzie.

Anche  in Egitto il patriarca Ciro, pur dissentendo dall’imperatore comunque, sebbene con parole alquanto differenti,   ribadisce  che  Cristo agisce mia theandrike energeia (“con una sola operazione divino-umana” in quanto  vero Theos e vero anhr).

Insomma  le direttive dell’Imperatore e del patriarca sono i  binari entro cui deve passare il treno della verità (aletheia); i funzionari  bizantini non possono divergere, come ogni  altro cittadino di tutta l’area peninsulare italica e  di Africa e di Asia, tenuti   dopo la restitutio imperii di Giustiniano, a seguire gli ordinamenti imperiali secondo la Prammatica Sanzione.

Caro Marco, conosci la Pragmatica Sanzione?

E’ meglio che la spieghi!.

E’ detta Pragmatica sanctio pro petitione Vegilii una legge di Giustiniano emanata dopo la fine della guerra gotica.

L’imperatore, su richiesta di Papa Vigilio, estese il corpus iuris civilis imperiale alle terre bizantine di Italia e in Africa.

L’ editto, comunque,   fu atto utile più al papato che all’imperatore, che teneva prigioniero Vigilio  che inizialmente non aderiva allora  al pensiero imperiale sui Tre capitoli   e cercava altre soluzioni  rispetto alle formulazioni del Concilio di Calcedonia, in una volontà di indipendenza dottrinale, secondo la linea teodosiana di una parità  di lettura e di interpretazione tra le due sedi, nel nome di Roma, ( tra quella della vecchia Roma e  quella della nuova Roma) (cfr. Calcedonia :un concilio politico in www.angelofilipponi.com).

Vigilio, insicuro nelle idee circa il monofisitismo  e circa il  pensiero di Nestorio, tenuto prigioniero a Costantinopoli, pressato e sovrastato dal patriarca orientale, perse di auctoritas sui vescovi  di Africa,  Gallia, Italia settentrionale, Dalmazia, Illiria.

Essendo  cominciato uno scisma in Occidente, Vigilio si sottomise all’autorità imperiale,  pur di riportare  l’unità religiosa e poi morì a Siracusa, nel viaggio di ritorno in Italia.

La vicenda, poi, viene sfruttata dal papato romano come inizio di distacco dalla giurisdizione  papale dell’esarca di Ravenna e dalla autorità  dell’ imperatore di Costantinopoli, in una rivendicazione dei diritti occidentali imperiali sui territori romani di tutta Europa e dell’Africa!.

La prammatica Sanzione  risulta, comunque,  basilare per la concessione delle terre romane  come se il fenomeno gotico, annullato da Belisario e da Narsete, neanche fosse esistito!: il papato rivendica il principio costantiniano dell’episcopale iudicium che sottende anche un munus politico e militare.

In epoca longobardica in italia si procede secondo  due sistemi legislativi: uno  secondo l’editto di Rotari, promulgato nel 643  o l’altro secondo quello di Giustiniano del 548 , essendo stato ristabilito  l’ordo socio economico, dopo la spaventosa crisi e le tante calamità naturali in Italia e in tutto l’Occidente.

Perciò la iustitia in Italia è da una parte longobardica e da un’altra  bizantina in relazione ai territori sotto l’esarcato, che comprende anche il ducato Romano, il principato di Napoli, le zone del tacco pugliese e  quelle calabresi  davanti alla Sicilia, oltre alla Sardegna e alla Corsica.

La terra longobardica, essendo i proprietari e  cattolici e  ariani,  è regolata dall’edito di Rotari che, però, non entra in merito ai possessi ecclesiali, in quanto beni  demaniali inalienabili perché  ora di proprietà  benedettina in Italia  (Montecassino, Subiaco,  Bobbio, Farfa,  Novalesa Nonantola,  Santa Giulia di Brescia, Cava dei Tirreni, S Vincenzo al Volturno) come in Francia, in Svizzera , Germania Inghilterra ed Irlanda.

Dunque non si può parlare di un papa che svolge una sua autonoma funzione per tutto il VI e VII secolo in quanto è   funzionario alle dirette dipendenze  dell’Esarca di Ravenna e di norma  è un orientale, per lo più  siriaco, nominato a volte anche  dal Basileus a Costantinopoli o  a volte dall’esarca stesso che,  comunque, ratifica la sua elezione con la propria approvazione scritta e certificata.

Se si rileva correttamente questa situazione storica  e si  coglie una  corrente aristocratica anicia nel mare bizantino-longobardico  in cui ha valore ancora oltre alla domus  degli Anici anche la tradizione inalterata  di Roma,   si  può davvero studiare il fenomeno della Chiesa romana.

Per me, Marco,  il nomen imperituro di Roma, la gloria immortale delle imprese romane, la coscienza di un non finito imperium, data la presenza bizantina in Italia e nel Mediterraneo, fanno parte della coscienza barbarica, timorosa del diritto romano, incerta di fronte alla cultura superiore  della Romanitas.

Non solo la barbaries pagana ma anche quella cristiano-ariana  italica  sono abbagliate dai monumenti lasciati da Roma in ogni parte  di Italia e di Europa: Vandali, Visigoti, Burgundi, Franchi, Unni, Avari  mentre devastano il territorio romano, ne contemplano sbalorditi le rovine imponenti, coscienti di non aver i mezzi per la ricostruzione  e nei loro spostamenti cercano popolazioni agricole che, con le villae, ancora funzionanti,  assicurano la loro stessa sopravvivenza nelle zone conquistate.

Nella cultura barbarica, militaristica, nonostante la selvaggia natura, c’è il rispetto del sistema agricolo, della struttura ecclesiastico-religiosa, del Nome sacro dell’Urbs.

Nonostante il Muthos di Roma, la città decade, rovina con l’abbandono   del centro urbano  da parte degli aristocratici, che lasciano le loro domus e si rifugiano nelle ville  dei castella vicini  e poi  con la caduta rovinosa  dei condomini- palazzi a più piani- della plebe, che cerca   prima nei dintorni lavoro e un tozzo di pane  e poi lascia definitivamente la città per sedi più piccole dove trovare  condizioni migliori di vita ed un solido riparo sotto qualche patronus

Sotto il pontificato di Bonifacio IV, quando ancora, comunque, si esalta l’eroismo antico romano e  si celebra anche la gloria christiana degli apostoli, dei pontefici  e dei martiri, in una strana congiunzione di valori, Roma  sopravvive al suo mito,  col suo foro, col suo Colosseo,  con la rupe Tarpea, con la Via sacra, pur senza alcun fasto esteriore.

C’è qualche eco di tale memoria nell’opera di  Gregorio Magno che  secondo la narrazione di Giovanni Diacono(,Cfr. A. Graf, Roma nella memoria e  nell’immaginazione del Medioevo Torino 1923) non potendo risuscitare Traiano per la sua iustitia  implora ed ottiene da Dio la salvezza della sua anima.

Ancora più suggestiva è quanto si legge in De  septem mundi miraculis, di Beda: è la leggenda della Salvatio.

Senti bene, Marco !

Nel Campidoglio c’era una stanza con le statue raffiguranti tutte le gentes dell’impero romano, che avevano appeso al collo un campanello. Se una popolazione soggetta si ribellava, il campanellino della statua di quel popolo cominciava a suonare e perciò i romani avvisati in tempo,sedavano le rivolte, anticipando i nemici.

Come vedi, Marco,  il popolare mito della potenza romana  ha un carattere demoniaco, che spiega  la luce misteriosa del fascino di Roma,  fatale, imperitura.

Lo stesso Beda (Collectanee) riecheggia un verso Virgiliano, cristianizzato.

Dum domus  Aeneae Capitolii immobile saxum/ accolet imperiumque, pater romanus habebit.(Eneide ,IX, 448-9)

Caro Marco, il venerabile Beda ha cieca fiducia in Roma e nel Colosseo imperituro, simbolo della grandezza romana: Quandiu stat Colysaeus , stat et Roma; quando cadet Colysaeus , cadet et Roma; quando cadet Roma, cadet et mundus. 

L’URBS è L’ORBIS! La megalhpolis è Kosmos!

A questa ammirazione di Roma aeterna pagana  il papato christianos aggiunge il Christos  crocifisso e  risorto, e su questa base cioè su  questa   pietra angolare, costruisce dominando la barbaries il dictatus papae, costruendo l’ideologica teocrazia, capovolgendo secondo la giusta lettura sacerdotale ebraica, il cesaropapismo  bizantino.

Il sacerdotium ebraico-cattolico, con Gregorio VII, celebra il suo trionfo sulla Roma  popularis,pagana, di Mario e di Cesare secondo Alfano di Salerno ( Migne,  Patr. Lat., to.CXLVII,col. 1220 in  R. Morghen, Medioevo Cristiano, Universale Laterza,1968) Quanta vis anathematis !/ Quicquid et Marius prius/quodque Iulius egerant/maxima nece militum/ voce tua modica  facis  (Quanta forza dell’anathema.  Quanto Mario prima e Cesare poi avevano fatto con massima strage di soldati, tu fai con la tua modesta voce!)

Allora si potrà  dire con Tommaso da Cantimpré (1201-1272 ),  creatore un’ideale vita di santi simile a quella delle api , solennemente che Petrus,  proeitto reti  et navicula derelicta  Romanum subegit  imperium. (Cfr Bonum universale de proprietatibus apum, cap II, in  A.Graf, Roma nella memoria e  nell’immaginazione del Medioevo,cit ).

Nel periodo di Bonifacio IV, dunque,  non è possibile ancora parlare in questi termini, ma si utilizza la memoria romana,sfruttandola per la celebrazione cristiana, usando colonne di epoca pagana come quella di Diocleziano  di  cui si serve l’esarca di Ravenna per onorare il suo imperatore, che lo ha nominato suo rappresentante in Italia dopo averlo  liberato dal carcere.

Smaragdo è riconoscente, data al prigionia sotto Maurizio,   verso Foca  che, comunque,  ha breve vita sul trono di Bisanzio perché è subito ucciso,  fatto a pezzi  dal suo successore Eraclio I, che ne decreta la damnatio memoriae.

A mio parere solo dopo la crisi monotelita, che divide l’Oriente bizantino dal  mondo occidentale e dopo la caduta di Alessandria          (cfr. Monotelismo e conquista araba di Alessandria in www.angelofilipponi.com) , forse si può avere una nuova ideologia romano- cristiana  anti bizantina,  che  poi cresce con l’opposizione alla tesi  iconoclastica.

Eppure Bonifacio con l’aiuto iniziale di Smaragdo, propaganda  il culto  bizantino e esalta il sanguinario Foca, favorendo  di posizionare la colonna e la statua sulla cima con l’ iscrizione alla base  in onore del nuovo imperatore.

In questo segue l’exemplum di papa Gregorio Magno  di cui è stato collaboratore,  in una volontà  di aderire ai piani dell’autorità bizantina e  di  arginare così  i tanti mali che travagliano Roma (la fame, le inondazioni, le siccità, le epidemie succedutesi sotto il pontificato di  Bonifacio III, morto solo dopo nove mesi di potere, a seguito di una vacantia di oltre 10 mesi).

Alla fine di Agosto  il papa cerca di dipanare i tanti dissensi dottrinali, ma anche quelli demaniali  con le autorità locali  in Anglia circa i beni romani inalienabili, in quanto considerati  ecclesiali, coltivati da uomini soggetti ad iudicia episcopali di epoca post costantiniana , avendo avuto  titolo dall’imperatore Foca

Questo titolo si rafforzò notevolmente nel 607  quando ebbe simbolicamente il PANTHEON  col  riconoscimento della supremazia della sede apostolica di Pietr su tutte le chiese /caput omnium ecclesiarum   dopo l’intimazione  al patriarca di Costantinopoli di usare il titolo di universale/katholikos ” che da quel momento doveva essere riservato solo al vescovo di Roma, Bonifacio IV

Bonifacio fa  allora apporre alla colonna un’iscrizione,in cui ringrazia  l’imperatore   per gli innumerevoli benefici (pro innumerabilibus pietatis eius beneficiis ) , per la restituzione della pace all’Italia  e perla conservazione della libertà (pro quiete  procurata Ital(iae) ac conservata  libertate) e specie per aver donato il tempio pagano, Il Pantheon, poi consacrato al culto della Madonna dei Martiri.

L’iscrizione  evidenzia  il destinatario  in Foca ( Optimo clementiss[imo piissi]moque/principi domino n[ostro] F[ocae imperat]ori/perpetuo a d[e]o coronato, [t]riumphatori/semper Augusto) e poi il dedicatario in
Smaragdus (ex praepos[ito] sacri palatii/ac patricius et exarchus Italiae/devotus eius clementiae/) che hanc sta(tuam maiesta)tis eius/
auri splend(ore fulge)ntem huic/sublimi colu(m)na(e ad) perennem/
ipsius gloriam imposuit ac dedicavit.

Segue la data  del I agosto del 608  die prima mensis Augusti, indict[ione] und[icesima]/p[ost] c[onsulatum] pietatis eius anno quinto.

In Italia  si è rotto già  l’equilibrio tra i longobardi e  gli italici sudditi  dell’impero bizantino dopo che Foca, uccisore dell’imperatore Maurizio,  a sua volta  è stato ucciso da Eraclio, impegnato dagli Avari e dagli Slavi e poi  costretto a guerreggiare contro  Cosroe,  che occupa Siria e dilaga in Oriente.

L’Occidente  non è guidato dall’imperatore  bizantino impegnato a su  tanti fronti militari, insicuro perfino a corte  a  causa di congiure e di tentativi di  usurpazione imperiale.

Bonifacio comincia a vedere l’evacuazione dal centro urbano e  lo spopolamento dell’urbe.

Eppure c’è  stato un intervento positivo verso i romani dello stesso imperatore che ha  regalato il Pantheon al papa ed autorizzato l’erezione di una colonna nel foro: per i romani  è poca cosa di fronte alla situazione  di una politica bizantina ormai chiaramente inclinata da abbandonare l’ antica Urbs.

L’esarca Smaragdo, ha  pagato il debito della sua carica in terra italica al nuovo imperatore , scovando questa colonna  abbandonata da  qualche parte e l’ha utilizzata  mettendola  su un piedistallo cubico  di marmo bianco,  riservando di porci sulla cima la statua dell’imperatore ed apponendo l’iscrizione alla base della colonna corinzia, alta mt 13,50 (cioè 43 piedi) , ma gli abitanti di Roma  sono ormai fuggiti e neanche seguono, a distanza,  il lavoro congiunto del papa e  del rappresentante  bizantino.

Dunque, noi rileviamo solo questo formale atto imperiale bizantino e nessun altro atto o decreto attestante  munera  per il papa che invece aspira ad un reale potere,  proprio quando non esiste più un nucleo cittadino e Roma è  ridotta ad un villaggio con tante rovine…

E’ brutto vedere le rovine di una città disabitata da  secoli, Ninive, Faselide, Gortina a Creta, Sepino (Campobasso) una desolazione! un senso disperazione più acuto di  quello di  un  terremoto!

Roma decade come popolazione nel VII  ma raggiunge il minimo storico  tra l’VIII e X  tanto che i suoi castelli  hanno un maggior numero di abitanti rispetto all’Urbe.

Eppure  sulla base  inventata della venuta di Pietro a Roma si va creando il patrimonium sancti  Petri et Pauli e si formula la teoria del primato della  Chiesa …

Per  chiarirci , Marco, sarà opportuno rilevare la situazione  generale e le condizioni di vita  dei  romani vinti dagli Ostrogoti e poi  decimati dalla guerra gotico-bizantina ed infine  quasi dimezzati  dopo la conquista longobardica!.

La costituzione di uno stato, longobardico,  arimannico, con tre capitali, una centrale Pavia e due secondarie  Spoleto e Benevento    è segno di un etnos guerriero montanaro, che resta suddiviso in sippe e fare,  al di là della suddivisione in Regno e due ducati, che grosso modo  serrano e racchiudono l’Esarcato di Ravenna bizantino che, comunque, ha altre regioni italiche continentali ed insulari  sotto il suo controllo.

Ora, dunque, Marco,  la costituzione del  regno   di Pavia e di due ducati quello di Spoleto e quello di Benevento  non è unitaria perché tra i due ducati   c’è l’esarcato bizantino  che ha territori  lungo l’Adriatico e  e nell’Italia meridionale  ed insulare , come abbiamo detto.

In relazione a quanto dice Paolo Diacono  e dai ritrovamenti archeologici e  dai rescritti  risulta che  le terre del demanio imperiale   non hanno occupanti se  non quelli incaricati dal re, dai duchi o dai bizantini e che si sono mantenute  le condizioni degli antichi coloni,  intatte, secondo il principio dioclezianeo  di proprietà ( Cfr  G . Luzzatto, Breve storia economica dell’Italia medievale, Einaudi  1958).

Dopo la soluzione del monotelismo grazie agli accordi tra Costantino IV e papa Agatone  (678-681) e   dopo la condanna dell’operato negligente di Onorio I ad opera di Leone II, – che ottiene  da Costantinopoli  che la sede episcopale di Ravenna sia dipendente da Roma-   l’ltalia bizantina  ritrova una sua unità,  spezzata prima dall‘ekthesis di Eraclio e poi dall’iconoclastia di Leone III .

Con la nuova divergenza dottrinale il papato romano con Gregorio II e III deve subire le conseguenze del suo rifiuto, perdendo l’autoritas sui Balcani e sull’Asia Minore,  mentre i suoi possedimenti terrieri di Sicilia   e  di Calabria vengono accorpati dal patriarcato di Bisanzio.

.Ora continuo è il contrasto tra gli imperatori   Giustiniano II, Filippico Bardane (711-713) ed Anastasio II  e i papi Sisinio,   Giovanni VI e Giovanni VII…

Pur in un clima di lotte,  di scontri politici  e di  contrasti legislativi, i  monasteri  hanno la stessa funzione della villa romana,  in quanto hanno  granai, magazzini, cantine, stalle , piccoli opifici,  artigiani e costituiscono un  centro economico ed amministrativo  della vita rurale con i loro archivi e con le loro attività autarchiche e formano con le piccole biblioteche  un punto di incontro culturale,  secondo le regole  di Benedetto,  di Colombano,di Romualdo  e di altri   che comunque sono derivate  da quelle di Cassiodoro  (Vivarium) e da  quelle dettate da Basilio ed applicate dai monaci basiliani  calabresi.

L’abate è un conducator che secondo i decreta di Gregorio I  amministra il  patrimonio (oikos) ,  gestisce le terre,  esercita potere  di giudice sui  coloni  che non hanno vita giuridica , ma sono servi della gleba  soggetti al mandato ecclesiastico e quindi  vincolati all’auctoritas del papa.

Dall’epistolario di papa Gregorio I si evince che  è introdotta la divisione delle terre dominiche, coltivate dal proprietario dalle terre  tributarie   assegnate ai coloni e  servi ( sorprende la mancanza  di prestazione di salariati, ma c’è l’ordine di conversione dei pastori ed allevatori di cavalli  e di riduzione a semplici coloni contadini  se rimasti senza gregge).

Secondo Luzzatto ( Op. Cit.) l’ unica differenza  sarebbe: l‘ordinamento  delle grandi proprietà  prima della venuta dei longobardi   rimane immutato  e perdura anche dopo, secondo il sistema  dei  demani imperiali; solo le terre assegnate in enfiteusi a liberi fittavoli, a coloni e a servi dominici  avevano reso il sopravvento  sulla terra coltivata dalla famiglia rustica della Villa per conto del proprietario.

In  tale situazione agricola, in condizioni politiche  difficili, a seguito di uno continuo spopolamento cittadino, il papa romano poco può fare, condizionato da tanti poteri forti, contrastanti!

Bonifacio IV è un  monaco benedettino collaboratore di papa Gregorio Magno!

Cerca di arginare i tanti mali che travagliano Roma, (la fame, le inondazioni le siccità, le epidemie) appena  divenuto papa, dopo Bonifacio III  morto solo dopo nove mesi di pontificato, a seguito di una vacantia di oltre 10 mesi.

Già alla fine di Agosto, poco dopo l’erezione della colonna di Foca,  cerca di dipanare i tanti dissensi dottrinali specie in Anglia, dove accesi sono i dibattiti, connessi con le divergenze tra  i coloni e gli abati,   mentre in Italia  si è rotto l’equilibrio tra i longobardi e  gli italici sudditi  dell’impero bizantino…e  negli altri paesi  gli abati hanno una propria auctoritas, indipendente  anche dal potere  dei re locali, in nome di una dipendenza generica da Roma, lontana  …

Marco,  sono riuscito a fare comprendere qualcosa sulla condizione  del papato in epoca bizantino-longobardica, e specificamente  su Papa Bonifacio IV e sulla colonna di Foca?

Certo, professore

Dici  di si : il merito è tutto tuo, data la tua volontà di apprendere e considerata la tua  preparazione culturale!.