Beroso e Flavio

In ricordo di Elio Galanti, mio amico, uomo di divina allegria e di grande animo,  un pediatra di rara simpatia e perizia tecnica, un professionista sicuro  nel rapporto coi  genitori e con  gli altri  dottori, un giocoliere, amato dai bambini.

An ti pracshis kalon metà ponou, o men ponos oikhetai, to de kalon menei, an ti poihshis aiskhron metà hdonhs, to men edu  oikhetai, to de aiskhron menei/qualora tu faccia qualcosa di bello  con fatica, la fatica se ne va, mentre il bello resta,  qualora tu faccia qualcosa di vergognoso con piacere, il dolce se ne va, mentre resta la vergogna.  Musonio

Flavio, trattando del diluvio e dell’arca di Noè, fa menzione di Beroso, del quale parla nel I libro  di Antichità Giudaiche, I,  146-148, dove  si tratta  della stirpe di Arfacsad, che genera Salah   che genera Eber, da cui Faleg, da cui  Reu , da cui  Serug , da cui Nahor , il cui figlio  Terah  genera   Abramo, Nahor e Aran, uomini della decima generazione dopo il diluvio.  Morto Aran, Abramo  ne adotta il figlio Loth e sposa la figlia Sara, mentre Nahor sposa l’altra figlia  Milka. 

Beroso, professore,  fa storia mediante genealogie e Flavio, che segue la Bibbia, fa la medesima cosa?

Flavio, Marco, segue la genealogia biblica/ Toledoth di Beroso, che legge ancora i testi cuneiformi assiri, in cui c’è l’eredità astronomico -astrologica babilonese, con sottesa la concezione dell‘unicità di un creatore.

Beroso, infatti, senza citare il  nome di Abramo  ( Ant. Giud.,I,158) ne fa menzione:  nella decima generazione dopo il diluvio vi fu tra i Caldei  un uomo, giusto e grande, espertissimo nelle cose celesti. 

Flavio imita il modo di narrare di Beroso, traducendo anche lui dai testi dei padri , e quindi dall’ aramaico,  mentre l’altro dal cuneiforme  accadico-assiro (Ant giud X,218): nessuno mi incarichi di riferire  nella mia opera qualche evento così come io l’ ho trovato  nei libri antichi,  perché proprio agli inizi della mia Storia (giudaica)  mi sono schermito da coloro  che possono trovare mancante la mia narrazione o scorgere in essa qualche errore  ed affermai che sto traducendo solo i libri ebrei  in lingua greca   promettendo di riportarne  il contenuto, senza nulla aggiungere  di proprio alla narrazione,  né omettere alcunché  del loro contenuto.

Professore, chi è  Beroso?

E’ uno scrittore babilonese del periodo di Antioco I,  a cui dedica il suo libro,   vivente ancora a  Antiochia,  e fondatore di una scuola di astronomia a Cos. Ne ho parlato nelle note al I libro di Antichità Giudaiche. E’ un autore che fiorisce  nei primi decenni del III secolo a C.

Quasi tre secoli prima di Giuseppe Flavio?

Circa. Marco.

E’ un  lettore di storia che deve fare una sintesi di oltre 2000 anni per adattare la sua cultura a quella achemenide e seleucide dell’impero macedonico-persiano, universale  di Siria, trattando specificamente dell’impero assiro-babilonese.

Essendo  sacerdote,  astronomo ed astrologo, probabilmente discendente di una di quelle famiglie sacerdotali caldaiche,  incaricate di studiare il cielo notte e giorno già dagli assiri, poi dagli Achemenidi ed infine dai Seleucidi, è scrittore ancora  capace di leggere  il cuneiforme assiro di cui parlo in De Kosmogonia.

E’ autore serio,  citato da Vitruvio  De architettura IX 6,2 e da Plinio, Nat Hist. VII,12.

Allora ha un grande valore storico?

Certo.

Prima di  parlare del valore  dello storico, comunque,  devo aggiungere che  gli amanuensi cristiani, nel ricopiare il testo di Flavio, talora omettono le citazioni  dirette di  Beroso – Cfr. M. Jursa,  I babilonesi, Il Mulino 2007-.

Ad esempio, su Sennacherib  dopo il racconto di Erodoto, Flavio dice: come abbia regnato sugli assiri ed abbia diretta  una spedizione  contro tutta l’Asia e  L’Egitto ( Ant. Giud., X,20), Beroso scrive come segue… manca  il testo del babilonese che ne parlava forse nel II libro !

Strano! professore.

Comunque, noi  sappiamo qualcosa  di Ta  Babulioonikà  del babilonese Bel.usur ( Bel, proteggi), chiamato in greco  Bhroossos o Bhrosos,  sacerdote astronomo, celebre ancora tra i cristiani mesopotamici nel II secolo dopo Cristo, in eta antonina.

Devo pensare, professore, che l’ opera di Beroso è rimasta integra fino almeno al  II secolo d.C. e che poi è stata trascurata dai copisti christianoi  alessandrini,  intenzionati ad  oscurare  la tradizione mesopotamica,  come già  si stava facendo anche  con quella  egizia di Manetone, scrittore di Ta Aiguptiakà, vissuto sotto Tolomeo Soter  e  Tolomeo Filadelfo, a noi noto grazie ad un’ Epitome  successiva?.

Forse. Non so.

Beroso, con la sua opera,  comunque, nel contesto ellenistico, dominato dalla koinè dialektos e quindi dalla cultura greco-macedone, ben connessa con la cultura medico-persiana, rivendica la superiorità culturale babilonese, erede della tradizione più che bimillenaria  mesopotamica,  accadico-sumerica, non certamente inferiore astronomicamente a quella  pure millenaria egizia.

Beroso e  Manetone, come sacerdoti, avevano trasmesso in greco la loro cultura, scritta in cuneiforme e in geroglifico, mediante documenti, per mostrare  le loro Antichità, evidenziando la peculiarità religiosa, connessa con la Creazione del mondo  grazie alla loro osservazione astronomica e ai muthoi astrologici.

Beroso, poi, aveva mostrato anche in cuneiforme  il diluvio universale, unico a noi giunto, oltre quello biblico, col poema di Gilgamesch, direttamente, in quanto la lineare B, antenata del greco , non ci ha tramandato neppure lo tsunami di Thera,  anche se il poema omerico ha nel XII libro dell’Iliade un  qualche rimasuglio di un diluvio, di cui ci sono echi anche in Manetone e in scrittori greci.

Gli scritti dei due autori sono espressione di  una cultura  astronomica  comune –  di cui i Greci si appropriano con Ecateo e con Erodoto  e quindi rielaborano  culturalmente  solo il senso e l’ originalità di episodi arcaici, mitici  – che evidenzia la genesi del mondo, oltre la narrazione agricola di Esiodo in Theogonia.

Beroso e Manetone,   invece, sono i primi a parlare di un diluvio, di dinastie antiche,  dell’esistenza di mostri,  di  uomini-pesce. di  giganti, di uomini divini,  rivelando un muthos  di Dei sooteres, di  Dei risorti e di una perpetuità di vita, intesa come naturale avvicendamento di vita -morte.

Tutto un mondo gigantesco antidiluviano è mostrato da Beroso   su cui archeologi come Leonard Woolley,  che scopre i cimiteri reali di Ur (2400 a C.), cerca di rilevare la popolazione  e sistemi di vita organizzati.

Ho già letto quanto lei ha scritto in Creazione del  mondo Forse è bene qui riepilogarlo.

Certo, Marco

Ecco il succo di quanto ho scritto precedentemente.

L’ infinita documentazione di tavolette, riordinate dal periodo di Sargon II (722-704 a. C.) e di Sennacherib (704-681a.C.)  disseminati nei  musei  delle grandi città europee ed americane è un patrimonio di immenso valore, oggi, abbastanza conosciuto e di grande utilità, specie se comparato con gli altri patrimoni astronomici ed astrologici di altre culture, seppure venate da forme religiose.
Sono queste tavolette, trovate a Ninive e specie Kuynjik ( Cfr  R.F.  Harper, Assyrian and Babylonian literature , Londra 1901; Simo Parpola,   Letters from assyrian scholars to the Kings Esarhaddon and Assurbanipal, Eisenbrauns, 2007)  rendiconti quasi giornalieri dell’andamento degli astri, durante il giorno e durante la notte, inviati da  incaricati dal sovrano di leggere ciò che, scritto nel cielo, poi si verifica sulla terra, ineluttabilmente.
La funzione dei vedici non doveva essere diversa da quella sumerica, accadica ed assira se gli astrologi di  Assarhaddon (681-669) e di Assurbanipal (668-631) dànno un ‘idea della conoscenza  astrologica e della sua influenza sul destino umano secondo le concezioni  religiose: moralitas e sapienza astrologica  diventano espressione di un retto vivere e di un saggio operare di re e di sacerdoti, legislatori  che dal cielo traggono le regole per una positiva vita sulla terra.
Ora sia per i vedici che per gli assiri conformarsi ai voleri celesti è la massima legge di questa ricerca esplorativa astronomica che diventa divinazione, che comporta  una serie di formazioni di collegi sacerdotali, abili ad esplorare il volere del cielo, del Dio celeste.
Sacerdoti, magi e legislatori  profetici, assumono, perciò, valore immenso nell’ antichità.
Ora la scuola vedica, quella caldaica ed egizia sembrano aver dominato la scena delle osservazioni  celesti ed aver influenzato in vario modo sia  la speculazione  zoroastriana,  che quella giudaica  e poi greca.
Sulla base di tale osservazione celeste deriva la normativa per l’uomo, la legge, e, quindi, la morale umana: i re mesopotamici, persiani, i comandanti greci e romani, basileis ellenistici timorosi del cielo e di Dio, fanno leggere il cielo per conformarsi al volere divino, convinti che gli astri siano esseri viventi  che, con la  loro razionale disposizione ed armonia,  influenzano la vita sulla terra.
Perciò ogni uomo, dotato di potere politico prima di ogni azione interroga la classe sacerdotale scriba e magica, in quanto capace di osservare il cielo e quindi di profetizzare, ed agisce in conformità delle risposte: guerra e pace, vita o morte  dei sudditi, politica conservatrice o innovatrice  sono legati alla interpretazione dei segni celesti e poi dei segni scritti della Legge, fissate da legislatori, anche loro  dotati di potere ermeneutico celeste.
La pietas dei re e dei capi militari era segno della loro  elezione divina e del loro potere sugli altri, del loro radioso destino ...

Ora , professore, mi sembra più  chiaro  il pensiero di Beroso e Flavio.

Essi, secondo me,  mostrano una theoria, di derivazione sumerica, naturalistica, immanente, di cui è espressione la festa del Capodanno, con la ierogamia di due dei, che  è connessa con quella regale in modo da sottendere la sincresi tra il piano divino e quello umano, che ne è la la figurazione concreta terrena  in quanto  il sovrano è rappresentante del dio.

Contemporaneamente, però, i due  ne mostrano un’altra di derivazione semitica accadica,  fusasi con quella egizia,  che si basa sull’ideologia  di una materia terrena, instabile connessa col divenire,  opera di un dio che si colloca  al di fuori del mondo, in una personalizzazione  dell’assoluto che comporta antropomorfismo, con distinzione tra bene e male, lotta eterna dei principi,  in attesa dell’arrivo di un soter.

Insomma sembra che non sia sumerica la creazione di un Dio  Pater e poihths, ma è accadico ed egizio: risulta allora che  da qui derivi lo zoroastrismo  col suo dualismo che sottende soteriologia ed escatologia, e  che, quindi, anticipa giudaismo  cristianesimo.

Mi piace mostrare come  la cultura arcaica, mesopotamica -confluente nella figura di  Abramo  e di  Isacco e di Giacobbe  e i suoi figli  e nipoti  tutti di formazione mesopotamica, anche dopo la migrazione a Canaan, trasmigrati In Egitto, dove acquisiscono un’altra cultura  connessa, col culto di Amon / ra,-sia divenuta  altra religione, a seguito della riforma atoniana, destinata a precisarsi come giudaica, a cominciare da Esdra.

Tutto questo assetto culturale  sincretico, a contatto con la cultura, prima, persiana e poi greca, crea un popolo di philisophoi che si afferma come giudaico come  risultanza  complessa storica di due regni quello di Israele e quello di Giuda, nati dalla disgregazione del Malkuth davidico,   a seguito dei regni di Salomone e Roboamo, che ne rompono l’unità tribale.

Secondo Martin Hengel (Giudaismo ed ellenismo, Paideia 1988) tale cultura ha  massimi rappresentanti in Qohelet e nel Siracide  concordi nel dare rilievo al caso / migreh e ai  propugnatori  del kairos/ tempo in quanto ciò che accade è bene  perché ordinato all’interno dell’immutabile flusso di tempo di Dio.

Il giudaismo, maturato nel tempo di passaggio dal regno persiano 535-331 a quello macedonico   e distintosi in due  partes, una aramaica ed una  greco-ellenistica,   nella lotta contro l’impero seleucide (298-167), per la propria autonomia costituzionale,  per entrare in crisi, infine,  dopo la sua affermazione come popolo aramaico  che si oppone  nel corso di due secoli  per la propria sopravvivenza contro l’impero romano,  per  mantenere integra ed indenne la sua cultura, concedendo anche ad una sua  radice di  completare la stessa visione del mondo,  in nome dell’unicità di Dio e di un sacerdotium e  di un regnum, in cui il cristianesimo diventa assertore successivamente con la forza  di una fusione tra  chiesa cattolica e militarismo costantiniano e teodosiano.

Mi sembra, comunque, che il sacerdote Flavio  sappia leggere nella cultura ebraica  le tracce della tradizione  mesopotamica sumerico- accadica ed assiro -babilonese oltre che persiana e macedonica, grazie alla lezione di Beroso.

Perciò si può dire con Alfred Jeremias (Handbouch der altorientalischen Geisteskultur, Berlino 1929) non solo che  il problema sumerico si dimostra  sempre più  come il problema più importante di ogni altro nella storia  del pensiero umano, ma anche  che la radice di Abramo con la sua figura di patriarca  è  basilare per il monoteismo dell’ebraismo  e quindi anche per la prima propaggine del cristianesimo e per la seconda propaggine dell’Islamismo.

Flavio, che cita Beroso, può essere scomodo alla tradizione  ebraica, cristiana ed islamica in quanto  rivela un mondo ancora da scoprire quello sumerico -accadico,- di cui si hanno  tardive volgarizzazioni, di età assiro babilonese ed achemenide- fondamentale per il monoteismo!.

Beroso, infatti, congiunge tutta questa tradizione mitico-religiosa  con quella ellenistica, in cui cerca un proprio spazio   sacerdotale.

La citazione di Flavio in  Antichità Giudaiche  I ,93  a proposito del diluvio e dell’arca  di Noè  risulta esplicita testimonianza che precede la Bibbia: qualche parte della barca è  in Armenia  sul Carduaio  monte del  Kurdistan  irakeno  ed alcuni portano di quel bitume in giro e ne fanno uso come talismano. Anche Flavio  si rifà a Beroso, collettore caldaico,  circa la longevità dei patriarchi calcolata secondo cicli di 60, 600 (grande anno), 3600 ( ibidem, 102)., e circa il re babilonese Balada ( Merodach Baladan)  attivo nell’epoca di Isaia , X,35.

Se ci fosse rimasta l’opera  completa di Beroso, avremmo potuto  rilevare  i rapporti e le relazioni tra la  cultura di Esra  e quella coeva sia persiana che caldaica, sicuramente espressa dall’astronomo babilonese.

La storia non si fa con i se e, perciò, noi possiamo dire solo quanto ci rimane di Beroso che è poca cosa, sufficiente, però, a mostrarci la dipendenza ebraica dalla cultura mesopotamica e specificamente caldaica.

Si sa che  Ta Babulioonika  è opera composta di tre libri, in cui l’autore aveva mostrato la storia  nel I  libro  Sumerico-accadica  nel II  quella Assiro -Babilonese, per trattare nel III  degli Achemenidi fino a  Dario III e poi fino ai Seleucidi, successori di Alessandro Magno,

Sono tanti  gli oltre seicento anni di  storia, professore, collegati con quello del Regno di Israele e di quello di Giuda, ambedue distrutti, il primo da Sargon  II e il secondo da Nabucadrezar!

Uno che scrive di questi argomenti non può non essere formativo specie per i giudei, tornati da Babilonia,  ancora alla ricerca, prima  di una propria identità nazionale  sotto i Persiani e poi di una autonomia sotto i Seleucidi.

Perciò, le chiedo, professore, cosa può aver imparato da uno come Beroso, l’autore di Antichità giudaiche?.

Secondo me   Flavio  come  Beroso  può avere fatto  un  progetto apologetico in modo da inserire l’antichità giudaica nel tessuto culturale di quella  romano- ellenistica, tanto da dare una funzione  tipica  ad un popolo vinto, ma non domo,dopo la distruzione del Tempio, nel tentativo di mantenere la doppia anima dell’ebreo, mesopotamica da una parte e ellenistica da un’altra.

E come il babilonese con  i  greci seleucidi, pur mostrando la tipicità e straordinarietà  della propria  cultura  astronomica caldaica,  si era  inserito nel sistema plurinazionale  siriaco, così Flavio cerca di evidenziare la pietas di un popolo di philosophoi   desideroso di integrazione secondo i moduli delle altre gentes che costituiscono il corpus armonico dello stato romano, conscio, però, di far parte del kosmos romano-ellenistico  senza più la superbia sacerdotale.

E’ forse un disegno di un idealista, che deve confrontarsi con la realtà dell’imperium flavio!

Sembra, comunque  che  la funzione di Beroso sacerdotale e astronomica  possa essere stata esemplare  in quanto come scriba nutrito dalle culture assiro babilonesi e persiane, ha successo  presso basileis macedoni, che tendono ad una basileia ecumenica. I Seleucidi  e prima e dopo Antioco III  aspirano  ad  un sovrano divinizzato, che tenga unite le varie gentes che popolano la chora siriaca,  il cui territorio  va dal Mediterraneo al’India!

Perciò la dihghsis di Beroso è  come quella dei padri che  inviavano messaggi continui al sovrano assiro e babilonese  facendo relazione  scientifica di quanto avevano  osservato nel cielo e nei cieli in modo  da essere  utili ai fini di un  governo  pacifico  regio, quasi ad anticipare i mali che prima si manifestano in alto per poi calarsi in basso : l’alto dei cieli e la terra sono un unicum per il babilonese e per l’ebreo! 

Quella di Beroso doveva essere una prosa senza encomi  e senza menzogna, basata su arta/la verità, in un impegno scientifico a leggere  i messaggi celesti per l’incolumità del sovrano!.

Quella di Flavio  unisce  certamente cielo e terra   secondo la pronoia divina  che attua  la sua oikonomia  secondo piani imperscrutabili, eterni.

Berosso,  indagando sulle fasi lunari, sui movimenti celesti, sui monsoni e sulla varietà climatica dà consigli utili  per gli agricoltori e per i marinai  e sembra che riprenda la cultura sumerico-accadica ai fini del benessere di un uomo celeste, il sovrano, che è mediatore tra cielo e terra.

Beroso tratta anche  della festa delle Sacee, celebrata ogni anno a Babilonia, simile a Roma  a quella dei saturnalia, che durava per cinque giorni: un prigioniero, condannato a morte, era vestito da re, assiso sul trono del re, e rivestito del potere regale  aveva   licenza di divertirsi in qualunque maniera gli piacesse;.alla fine dei cinque giorni di festa,  veniva spogliato delle sue vesti regali, flagellato, e impiccato o impalato.

Per Beroso tale consuetudine  derivava dal sistema di indagine celeste  dei magi che vedendo l’ incontro di costellazioni o eventi celesti nuovi  rilevanti lutti ,  avvertivano il sovrano che provvedeva ad eleggere un altro re destinato a subire quanto di nefasto era già scritto nel cielo!

Dal testo di Flavio si  evince, professore,   una reale adesione al pensiero dell’astronomo, anche se vi sono segni  di una conoscenza dei riti e costumi caldaici?

Per me, Marco, non è certo che Flavio abbia  totalmente seguito l’opera di Beroso o se l’ha seguita,  non possiamo misurarne il rilievo a causa della mancanza dei libri  del babilonese.

Il testo in nostro possesso, quello sul sogno di Nabucadrezar  e della interpretazione di Daniele, indica, comunque,  che l’ebreo  essendo amico dei magi caldaici  non vuole la loro rovina, e che anzi ci sia loro legato dalla  comune catena dell’esplorazione celeste.

La citazione di Flavio su Beros , quindi, conferma una certa  comunione di intenti (X, 219-226) ed una medesima ideologia  nel mostrare una grande statua in piedi  destinata alla distruzione  il cui capo era d’ oro, le spalle di argento, le braccia il ventre e le cosce  di bronzo, le gambe e i piedi di ferro… nel constatarne la  frammentarizzazione a causa di  una pietra  che, staccatasi da una montagna, corse  contro la statua e l’atterrò  facendola a pezzi  e non lasciando  integra alcuna parte,  riducendo bronzo e ferro in polvere più sottile della farina…nel seguire il soffio di un forte vento che la disperse qua e là!

Ancora di più  è simile la conclusione, secondo vaticinio!: la pietra, invece, si ingrandì  tanto che pareva  riempire tutto il luogo/ ton de lithon aukshsai  tosoutoon  oos apasan  up’autou touton echei ton tropon.

Il sistema allegorico  è comune ad entrambi e la pietra  diventa simbolo anche  per i cristiani, i cui padri della chiesa  identificano la fine della  statua come fine di ogni potere umano, artificiale, ed in un’esaltazione del Lithos sulla materia e aurea, argentea, bronzea e ferrea.

Flavio, il sacerdote ebraico  gioca sul significato di ton Lithon (Ant. GIud.,  X, 210) :  invita i curiosi a leggere  il libro di Daniele nei Libri sacri  giudaici e a non chiedere a lui il significato: io non ritengo opportuno  riferirlo. Da me, infatti, ci si aspetta che scriva il passato e ciò che fu fatto e non il futuro/ edhloose kai peri tou lithou Dainhlos  tooi basilei  ta parelthonta kai ta gigenhmena suggraphein outè mellonta opheilonti.

Flavio segue il sistema allegorico filoniano, connesso con quello terapeutico ed essenico, di matrice caldaica!

Anche i terapeuti e gli esseni sono discepoli di Beroso!