“ Dal profondo a te, grido, signore!”(Salmo 129)
Benedetto XVI, dimettendosi, grida il suo disagio di teologo, di sacerdote, di uomo, impotente di fronte alla burocrazia vaticana, all’apparato amministrativo, al potere politico, economico, finanziario dell’Ecclesia romana.
Il papa libera col suo terrore e con la sua angoscia, col phobos senile, se stesso, ma anche i tanti definiti eretici (Pietro Valdo, Arnaldo da Brescia, Gerolamo Savonarola, Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini…fino ai modernisti ) e li affranca in una condanna postuma dei tribunali religiosi, in una pacificazione coi nuovi martiri e confessori, mentre, ebetamente, loda i riformatori dell’Ecclesia Christi, pur distinguendo munus da ministerium considerate funzioni unitarie nella figura giuridica del papa romano, Beati Petri Vicarius .
Il suo grido è un urlo: non è quello di un uomo come quello di Munch, simbolo di smarrimento, di panico improvviso, ma è paradossale grido di un papa, la cui auctoritas divina assolutistica, secolare, esprime ancora un doppio potere/auctoritas sacrata pontificum e regalis potestas .
E’ un grido che viene dal profondo, dallo spirito, dal Dio nascosto, dal logos divino, di cui ogni uomo è parte.
Il santo padre rinuncia al pontificato romano per ritirarsi in preghiera per il bene della Chiesa Cattolica perché le forze fisiche e psico-morali indebolite a causa dell’età, impediscono di svolgere, normalmente, il magistero di Pietro universale.
Benedetto XVI riconsegna, perciò, il suo mandato ecumenico al suo legittimo signore Gesù Cristo, di cui è stato vicario sulla terra per quasi otto anni.
Il cardinal Joseph Ratzinger riprende la sua dignità sacerdotale e quella di fedele per servire Dio, come privato, in solitudine, togliendosi i panni curiali ed imperiali, sperando (vanamente) di poter vivere in incognito.
La notizia delle dimissioni si abbatte come un meteorite sulla terra, giunge alle segreterie di stato di tutte le capitali delle nazioni di ogni continente.
Stupore, sbigottimento, sbalordimento nel clero, nei credenti e non credenti in ogni parte della terra, dovunque, senza distinzioni di credo.
Si diffonde la novità di un avvenimento non più registrato dopo 718 anni da Celestino V (se si dà rilievo a quello di Gregorio XII, dopo 596 anni).
Dimissioni che sorprendono, una rinuncia strana, un passo indietro inusuale per un Pontefice Romano, che ha potere assoluto, magistero infallibile in quanto detentore delle due chiavi.
La rinuncia di Benedetto XVI è un atto unico di denuncia, un estremo tentativo di raddrizzare la barca di S.Pietro, travolta dalle tempeste degli scandali e dalla lotte interne ministeriali dopo un lungo periodo di assenza di una mano vigorosa unitaria di comando.
Dopo quasi un dodicennio di politica ministeriale incontrollata e dimissionaria, data la gravità di malattia di Giovanni Paolo II e dopo i quasi otto anni di una conduzione politica ed amministrativa debole, fragile, demandata a collaboratori, desiderata da molti cardinali, considerata la sua formazione intellettuale, il suo tipico idealismo, il suo magistero teologale, la sua meteoria: dimettersi sottende la volontà nobile di essere martire, di sacrificarsi per il ritorno alla più pura spiritualità confessionale.
Dunque, il gesto di Benedetto XVI è un monito paradossale: è un grido, afono, verso il Signore, ma anche un segreto messaggio, quello di orientare e indirizzare il suo successore, quasi indicazione di un nuovo iter verso l’originaria e primitiva Chiesa, spirituale, come volontà di rompere con la tradizione della storia della Chiesa Romana, temporale, e di riportare nel filone dell‘Ecclesia Christi il magistero petrino?
E’ pienamente cosciente di questa operazione nel suo proclama di rinuncia o compie solo un’azione impulsiva, seppure coraggiosa, di un vecchio, non del tutto sanus?
Pensiamo che non ci sia insania, ma vediamo il coraggio di un idealista, teso verso l’ adrepebolon, incurante di ogni pericolo. Quindi viene rescissa e condannata solo la Chiesa romana, vista come la mulier sedens super bestiam dell’Apocalisse, o come Babilonia di cui parla Pietro nella sua lettera o come l’ecclesia di Paolo, covo di adulteri, avari, ambiziosi e lupi rapaci in cui in cui è assente la dignità morale sacerdotale, propria del sacerdotium?
Il conservatore Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger, confessore della fede, ora, dunque, diventa un innovatore, un progressista con questo suo ultimo atto pontificale?.
La sua rinuncia è un rifiuto, quindi, della Ecclesia Romana e non tocca affatto la Ecclesia Christi?.
La sua sottesa accusa sarebbe quella stessa degli eretici del XII secolo – che vedono la chiesa: in divitiis, induta purpura et bysso, lasciva epulatur splendide, non laborat manibus suis, otiosa devorat aliorum laborem et maledicit (MONETA, Adversus Catharos et valdenses,Romae 1771p,393) e che ne rilevano la dilatazione rapace in tutto in mondo (per orbem)-.
Dunque, c’è presa di coscienza che la stessa costruzione agostiniana della Civitas Dei, exemplum di una civitas terrena ed umana come Ecclesia Christi, militante, in quanto corpo di Cristo, sia possibile, solo se non contaminata dalla romanitas.
Quindi, non gli sfugge l’aspetto abnorme, mostruoso del Carro della chiesa trasformato, dopo varie peripezie, in meretrice che puttaneggia coi regi?
Con la romanitas, infatti, la Chiesa di Cristo, divenuta erede dell’impero di Roma, che sottende rapina e violenza militare anche se applica ius e humanitas, si corrompe costituendo un regnum iniustum, unendo arbitrariamente, in nome di Dio, due poteri, svolgendo così non un servizio ministeriale, ma una propria sovranità sul mondo in senso universale.
Dunque, nelle dimissioni di Benedetto XVI c’è la negazione della Ecclesia romana proprio perché questa è portatrice ancora di quel processo militaristico economico finanziario temporale, connesso con l’assolutismo, specie della famiglia giulio-claudia e con la falsa donazione di Costantino, e c’è anche la condanna proprio del momento storico in cui si configura in senso catholikos come corpo di Cristo. continuamente lievitato da Messia-Dio/ logos (congiunto col Padre e con lo Spirito santo), legge vivente.
Viene rifiutato, dunque, tutto l’apparato amministrativo tipico della dioikesis, di origine giudaica, oniade, che tanto aveva fatto gola a Costantino, bisognoso di denaro liquido nella lotta contro Licinio?
Viene, dunque, denunciato tutto l’iter di trasformazione di un periferico potere pontificio, di un semplice episcopos in un’auctoritas nuova di sommo pontefice, di derivazione ancora pagana, dopo l’abbandono del titolo romano da parte degli imperatori bizantini nel periodo della fine dell’impero romano d’Occidente, abile a gestirsi nei tempi di vacantia imperii specie sotto Gregorio I.
E’, dunque, anche una sottesa denuncia dell’ambizione di ascesa dell’auctoritas pontificia romana Occidentale nel corso di lotte politiche e religiose specie del periodo di Zenone e Giustino (questione acaciana 484-519) e poi di Giustiniano, ma ancor di più, in quello di Eraclio, quando grazie a Massimo il confessore il pontefice romano compete alla pari, dopo i tentativi egemonici di Gelasio, col patriarcato di Costantinopoli, da cui si distacca con lo scisma dl 1054, con la reciproca scomunica di Michele Cerulario e Leone IX.
Con la rinuncia viene denunciato tutta la lotta per le investiture e quindi il pontificato di Gregorio VII, quello di Innocenzo III e di Bonifacio VIII? si fa dunque un sotteso collegamento coi gioachiniti, con gli spirituali e col gran rifiuto di Celestino V?
Certo! se c’è condanna del dictatus papae gregoriano del 1075 , della pretesa auctoritas in relazione alla theoria delle due chiavi o delle due spade, come potere legittimo proveniente da Dio, direttamente, e quindi, come superiorità della sfera spirituale su quella temporale!
Certo! se si rileva la mostruosità della chiesa romana, venuta da Dio, come il sommo sacerdozio. costituitosi in relazione alla figura di Mosé legislatore, re, profeta e sacerdote, confusa con l’autorità imperiale assolutistica, che è potestas o imperium umano rispetto a quello sacerdotale, che è unica espressione di vicariato divino!.
Solo l’ecclesia Christi è degna di sopravvivere, perciò, anche se, ancora oggi, non sono chiare le origini di questa stessa chiesa e sebbene molti siano i dubbi circa l’aedificabo/oikodomeso e circa il sangue versato per tutti (in effetti per Molti) e sebbene infinite siano le incertezze testuali evangeliche- specie quelle sul primato di Shimon/Pietro/Cepha – come anche il misterioso e paradossale ritiro di un papa, raffinato latinista, capace di fare errori grossolani nel testo latino …
Che dire poi dell’hora 29? (cioè le 24 comprendenti le 12 Horae del dies e le 4 vigiliae, di tre horae ciascuna, della nox con l’aggiunta di cinque horae perché il 2013 è il primo anno dei quattro, che costituiscono un giorno bisestile?… uno sbaglio di trascrizione da battitura, (data la vicinanza del 9 allo zero) scritta per indicare 20?…
La curia papale ha per secoli mostrato funzionalità e meticolosità in ogni scrittura papale presentando al mondo un testo sempre perfetto non solo in senso lessicale e morfosintattico ma anche e secondo la concinnitas ciceroniana, non disdegnando un periodare proprio delle artes sermocinandi, servendosi del cursus: d’altra parte ci sono prelati addetti alla scrittura dei testi, pagatissimi, infinitamente superiori ai professori di qualsiasi università, ben capaci di scrivere numeri in latino e fare datazioni tecniche.
La lingua latina è lingua della chiesa!
E’, dunque, un ultimo segreto che il papa si porta con sé, cercando di dare segnali della reale condizione di malato o della sua situazione di recluso, di impedito o condizionato nella sua funzione ministeriale, da uomini, non prelati, non esperti di lingua latina?…
O i numeri sono numeri di kabbalah, magici, con un particolare potere? …
Ma allora Benedetto XVI come spirituale col suo gesto dimissionario, forzato (nonostante la dichiarazione di rinuncia ” plena libertate ” (me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso, renuntiare...”) vuole sperare di innescare un fenomeno di recupero dei valori cristiani autentici, in linea con la struttura controriformistica, con gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, con la theoria modernista in una condanna perfino della Pascendi di Pio X, in una sconfessione di tanti suoi illustri predecessori?
Fa questo in modo pazzesco, paradossale, simulando una mente non stabile.
O inficia lo stesso atto di rinuncia, proprio col mostrare la debolezza umana di un pontefice e la sua fallibilità?
O con l‘hora vuole indicare che la rinuncia di un finto stupidus che si dimette, 5 ore dopo il giorno 28 febbraio, cioè il 29 febbraio, inesistente è una burla?…
Siamo nel ridicolo, se si pensa così…
Il Papa vuole, dunque, una riforma del clero e un ritorno alla chiesa primitiva dove non c’erano ordines Augustini et Benedicti neque archiepiscopi, primates cardinales, archidiaconi accolyti et exorcistae, lectores, ostiarii cantatores vel sacristae, dove tutti erano fedeli e dove tutti cercavano la perfezione (teleiosis)?
Vuole mostrare – e per questo ha scritto a riprese nel corso del suo pontificato la vita di Gesù di Nazareth- cercando di dare il vero volto di Gesù, secondo la sua visione, non di papa ma di uomo vissuto nel culto dei valori cattolici più puri in una imitazione di Cristo, in un tentativo di essere perfetto, in un distacco dalle cose terrene.
Dunque, il suo messaggio segreto è vivere come un cristiano delle origini che fugge dal mondo, in esilio su questa terra, in un deserto, come Antonio, in una volontà di esistere fuori del tempo, sicuro del premio eterno per un mortale, giusto.
Il rifiuto del Papato è, dunque, la meditata e coraggiosa via, ultima, per un uomo giusto, per un tedesco kantiano, per un idealista hegeliano, per un raffinato liberale, per un amante di musica, per uno che ricerca kosmos ed armonia, pur vivendo nel caos della curia papale.
Il mio più sincero applauso al gesto paradossale del papa; il mio abbraccio umano di solidarietà ad un saggio; il mio più sereno augurio di buon ritiro a Benedetto XVI, un conservatore che ha avuto, comunque, la forza di rompere con la tradizione, di dire basta alla Chiesa romana.
Se non avessi passato anni di studi nella ricerca storica del primo Cristianesimo e se non sapessi “Chi veramente fu Gesù” se non conoscessi la sua storia di “uomo”,-anche lui uomo capace di fare azioni paradossali- , di un ebreo davidico che fu proclamato Christos Meshiah, che regnò su un territorio romano con l’approvazione di Artabano re dei Parti e che fu crocifisso da Tiberio per crimen di lesa maestà, potrei credere che l’evangelizzazione di una setta giudaica scismatica -quella di Antiochia, paolina, poi considerata falsamente Apostolica- avesse formato una comunità di santi in seno ad un sistema organico e funzionale come quello ellenistico romano e l’avesse trasformato grazie all’ amore per il prossimo e alla speranza di un’ eternità concessa a chi credendo in Gesù, venuto per la redenzione umana ed attendendo il suo ritorno, vive conforme alla sua Legge.
Peccato, però, che il primato di Pietro non abbia una base storica e che la stessa Chiesa di Cristo è costruzione umana costantiniana e teodosiana!
Grazie, comunque, al grido strozzato del Papa, indefinibile, ricco di tanti possibili messaggi, indecifrabili per chiunque: ogni uomo stupidamente dice quello che ha dentro e non sa niente della profondità del pensiero altrui, specie dell’insondabile mente di un vicario di Cristo, che da duemila anni attende la sua parousia!
Vista la peripeteia nuova, che ha stravolto la storia, con le dimissioni di Benedetto XVI, sarà necessaria una palinodia del cristianesimo!
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