L’altra lingua l’altra storia, Demian Teramo 1995
Invito alla lettura di un vecchio ad un giovane
Il testo è un saggio linguistico storico-antropologico, frutto di anni di ricerca e di studi semeiologici, impostato sulla comunicazione, sulla lingua e sulla storia.
Ogni capitolo ha un sottotitolo (una citazione di autori come Pavese, Vittorini, Silone e frasi dello scrittore stesso), la cui lettura autorizza un’idea conclusiva parallela al messaggio centrale: la ricerca di un’italianità tramite segni storici e linguistici.
Il lavoro è suddiviso in due parti: una storica ed una attuale; la prima composta di cinque capitoli, la seconda di tre.
L’autore mostra nel primo capitolo della prima parte la situazione di NOI ITALIANI oggi come massa dominata da padroni, dipendente, svegliatasi dopo il 1945 in senso democratico, secondo una costituzione ancora liberale e fascista, desiderosa di novità grazie all’aiuto americano e al pensiero comunista.
L’autore individua un’élite, filoamericana, clericale, democratico-cristiana, che utilizzando la fede religiosa e sfruttando l’auctoritas clericale domina le masse, tradendo valori democratici e rileva un’altra élite, quella comunista e socialista, abile a creare un grande apparato organizzativo e burocratico, anche sindacale, che, sotto la parvenza di favorire la crescita del popolo e di svilupparne i valori secondo l’ideologia riformista, costituisce un altro potere, sovrapposto, oppositivo, ma gravante contemporanemante sulla povera Italia dei miseri lavoratori, contenti del poco.
Nel secondo, grazie ad un procedimento diacronico si rileva un’altra storia, quella scritta in latino, medio-latino e in lingua letteraria italiana, propria della chiesa, dell’aristocrazia e della borghesia e si evidenzia la non presenza di un popolo nel corso dei secoli in senso attivo.
Nel terzo è trattato il tema della comunicazione errata, rilevata in mancanza di comunicazione storica: vengono mostrati i condizionamenti, dovuti al codice–lingua letteraria, inadeguato rispetto alla rappresentatività delle diverse e differenti stratificazioni semantiche, a causa del sotteso pluralismo dialettale regionale; vengono colti gli equivoci propri della logica dei due comunicanti in situazione comunicativa; vengono notate le interferenze storiche: la conclusione è un invito a deretoricizzare per una effettiva comunicazione.
Nel quarto viene trattato l’altro come un altro noi stessi simile, seppure differente per formazione e storia dopo uno studio sui vari stadi personali (sincretico, analitico, sintetitico, critico) per facilitare la comunicazione paritaria.
Il quinto tratta della struttura antitetica, della presenza nella storia di classi in conflitto, opposte; c’è quindi l’esame del militarismo germanico e delle élites condizionanti il processo comunicativo ed impedenti l’uscita della singola personalità dalla massa con la violenza armata, col denaro e con la retorica:è il trionfo della politica democristiana, un miscuglio di idee astratte sostenute dalle lobby americane che agiscono nel sistema agricolo con una propaganda industriale.
La seconda parte esamina la situazione italiana dal 1945 al 1994, cogliendo la democrazia nella fase 48-62 in un sistema ancora agricolo, funzionale, rovinato dalla Industria nazionale finanziata dallo Stato, grazie agli aiuti americani, e rilevando nella fase 63-94 l’industrializzazione di una società agricola, pagano-cristiana, la conseguente fine della I Repubblica, l’impossibilità di una nuova democrazia senza la vera partecipazione popolare e senza nuove regole.
L’esame della storia recente tende ad evidenziare una democrazia tradita, la cui natura pura era stata intravista da uomini del secondo dopoguerra, letterati più che politici, costretti dal fascismo a schierarsi politicamente, ma ancora agricoli afunzionali ed idealistici, decisi solo in senso antifascista.
Il saggio, dunque, è un libro, critico, che propone contemporaneamente un metodo di lavoro e di studio, che mostra la storia di Noi Italiani come massa governata da governanti che evidenzia i condizionamenti linguistici e storici e che rileva il risveglio di un popolo, nella sua varietà dialettale e provinciale, ancora incapace di valutazione, di critica e di voto .
Il popolo, agricolo, non educato alla valutazione, condizionato dalla cultura americana, sradicato dalla sua cultura mediterranea e latina ha appena aperto gli occhi alla democrazia e stappato le orecchie: i tempi della infanzia e della puerizia, lunghi, sembrano quasi conclusi, nonostante l’assenza di maestri.
Occorre una nuova paideia con un nuovo sistema educativo, basato sul recupero della parola, non più vuota espressione di idee, ma piena di contenuti.
Insegnare una methodos, che metta insieme teoria e pratica nell’univocità di discorso, pur nel pluralismo democratico, in modo da dare rigore scientifico e tecnico ad ogni produzione nazionale, darebbe significato culturale nuovo alle conquiste artigianali medievali, comporterebbe un inizio di un proficuo raccordo tra manus e mens, annullato dalla lectio della Chiesa, che ha invaso un campo non proprio, e dalla vis militaristica ed industriale, porterebbe alla formazione di un civis, capace di distinzione, razionale e funzionale in ogni occasione, capace anche di governarsi e di autoregolarsi, essendo ben orientato, decisionale in situazione, non succube dei politici, retorici e tautologici, smascherati nel loro vuoto lessicale ideologico: si potrebbe formare, forse, un popolo logico, docimologico, politico.
La curiositas e rabbia giovanile popolare potrebbero innescare un nuovo processo di scoperta ed avviare ad una reale forma democratica, senza la paternità di Chiesa e dei padroni.
Ora se il popolo, stanco di tanti falsi politikoi, capaci di seguire le direttive partitiche ed abili solo ad avere utili personali, è veramente avviato alla maturazione, deve lui stesso dimostrarlo, indicando (nonostante le avverse procedure fissate dalla costituzione) i nomi di propri candidati, grazie a sue proposte assembleari o a dirette espressioni del pensiero, mediante lettere ai giornali locali: è tempo di far fuori democraticamente le intermediazioni di partiti e di sindacati o di lobby, e della Chiesa stessa; è tempo di libertà popolare e laica; è tempo di una nuova coscienza popolare.
Il popolo ha i governanti che si merita: noi oggi meritiamo di avere una classe politica nuova,costituita da giovani di 30-40 anni, espressione reale della nostra attuale società.
Come libro di attualità, dunque, L’altra lingua, l’altra storia, orienta (secondo paradigmi operativi, analitici, sintetici e critici) per una decisionalità in situazione, il popolo, uscito alla storia, (finalmente!), anche se ancora artigiano ed infantile.
Sintesi dell’autore, datata 16.6.1995