Il re è legge vivente, ma la legge è un re giusto

ll re legge vivente e la legge re giusto
Filone, dopo aver parlato di regalità e di legge conclude In Vita di Mose II, 4: compete al re ordinare ciò che è bene e proibire ciò che è male; ma l’ordinare ciò che è bene e il proibire ciò che è male è tipico della legge.
E subito il theologos deriva che “ton men Basilea nomon empsuchon, ton de  nomon Basilea dikaion” ( il re è legge vivente , ma la legge è re giusto) .Filone in epoca caligoliana , maturato nella pesecuzione, teorizza il principio dell’auctoritas imperiale e di quella sacerdotale giudaica riportando tutto alla oikonomia divina.


In effetti Filone  anticipa Paolo di Tarso e il dictatus papae di Gregorio VII e il pensiero codificato di Pasquale II ( non est potestas nisi a Deo, tunc vero recte potestas agitur, cum ad Deum respicitur, a quo datur…).
Prima di commentare, è necessario esaminare attentamente i due enunciati in correlazione,  capirne il significato e metterli  in relazione al momento, in cui probabilmente furono scritti: i quattro anni circa di regno di Caligola ( 18 marzo 37 -24 gennaio 41).
Non è possibile nella prima fase del Regno di Caligola, quella dell’epoca saturnia e neppure quella della malattia, ma dall’inizio del 38 fino alla morte, ogni momento potrebbe essere quello della scrittura di Filone dell’opera Vita di Mosé o di questa specifica pars del II libro (cfr. Caligola il Sublime)
Filone è scrittore “pratico”, giudaico, che coniuga bene affari ed interesse con spirito e politica, che mette insieme banca e  impero e che congiunge potere imperiale e potere divino, pur avendo, al di sopra di tutto, la torah.
Filone già considera l’origine diabolica  del potere imperiale  in quanto solo Dio conferisce auctoritas  e quindi dà valore legittimo al sovrano basileus se  è dikaios  (Rex iustus) ,  ma se diventa  turannos perde il suo potere – in quanto manca l’assistenza divina -e ritorna sotto il possesso demoniaco.
Filone, un discendente di Onia IV, ha nel suo sangue la mediazione tra Basileus  e Theos: gli oniadi erano stati i precursori di un rapporto tra i Tolomei e la divinità e poi tra i seleucidi e la divinità, anche se con connotazioni tipicamente giudaiche, differenti e diverse per significato da quelle ellenistiche.
Ora in epoca giulio-claudia gli oniadi avevano accettato e giustificato il principato augusteo e tiberiano, come Krhstos/utile ai fini dell’ oikonomia imperiale e della stessa armonia del kosmos ecumenico e quindi avevano rilevato la  divina dikaiosune imperiale.
Anche il potere assoluto di Caligola, considerato stato di eccezione, perciò, deve essere assorbito e giustificato alla luce della interpretazione della figura stessa di Mosé (basileus e Theos): Gaio Giulio Cesare Germanico è  Theos,  come lo è Mosè, che è nomotheta, sommosacerdote e basileus.
Sulla scia di suo nonno, di suo padre e di suo fratello,  (Lisimaco) Alessandro,  Filone ha seguito gli sviluppi del principato augusteo, accettando anche l’impostazione di Didimo Arieo, vivente a corte a Roma,  secondo lo sviluppo del pensiero, basato su sebastos/augustus, sulla eroicità e superiorità di un uomo sugli altri uomini., ed è in competizione con Apione (Cfr Giuseppe Flavio, Contro Apione), ben inserito a corte.
Dunque Filone ha approvato ed esaltato la successione prima di Tiberio ed ora dei due eredi tiberiani, Tiberio il giovane e Caligola.
Certamente la scelta iniziale per Tiberio iunior,  collegata a quella di Avillio Flacco governatore di Alessandria, dovette compromettere la situazione in una Alessandria in cui la politica del prefetto, essendo filoseianea, filoclaudia ed antigiulia, condusse alla tragedia l’etnia giudaica.
Infatti Flacco, nell’estate del 38 d.C.  per salvarsi dall’ira di Caligola abbandonò il mondo giudaico e si accostò all’elemento greco e quindi decretò l’atimia dei giudei con confisca dei beni e con massacri, dopo aver abolito i precedenti decreti augustei e tiberiani, da cui era protetto il politeuma giudaico alessandrino.
Se fosse così, però, bisognerebbe pensare ad una scrittura dell’opera della Vita di Mosè tra il 36 e 38 d.C. e non  dopo il 38, a seguito della reazione brutale Caligoliana.
In questi pochi  termini  della Vita di Mosè c’è forse un messaggio di augurio per un buon governo per i due giovani che nell’avanzata primavera del 36 d.C.  furono designati a governo dell’impero? oppure sotto queste parole si cela la coscienza di una tragedia, come poi sarà rilevata in In Flaccum e la tensione di tutto un popolo, che non ha più elpis/speranza, dopo la manifesta volontà di dissacrazione e profanazione del tempio di Gerusalemme con l’introduzione del colosso imperiale,  già palese alla fine del 39 d.C., visibile in Legatio ad Gaium?, oppure sotto questi termini Filone vuole mostrare la tipicità di Mosé Theos e Basileus, in un’accettazione forzosa del principato di Caligola sovrano assoluto, sebastos/augustus, assimilato a Zeus dalla propaganda di corte nel 40,  nel corso della sua ambasceria romana?
Non è possibile distinguere e capire dopo tanti secoli, ma l’ interpretazione filoniana di Esodo 7,1 e la  lettura degli attributi di Dio e di Re  riferiti a Mosé, devono pur avere un valore e significato, specie quando c’è un corrispettivo uso pratico della nomenclatura in ambito pagano romano, ad opera, proprio, di elementi greci alessandrini, ostili all’ebraismo.
Ci sembra che la grave crisi, che sta subendo l’ebraismo sotto Caligola (e quindi la morte di Macrone e l’ uccisione di Tiberio il giovane, le quali cambiano la politica del prefetto Flacco,  che ordina  la strage degli  ebrei alessandrini Cfr Una strage di Giudei in epoca caligoliana  e.book Narcissus ) non possa essere capita se non con la decifrazione del comportamento di autodifesa, conscio o inconscio di una società, la cui salvezza è solo nella domus augusta, da cui è stata protetta per decenni e per cui è prosperata tanto da essere l’etnia dominante ed invidiata.
Ed allora è un monito a Caligola o un invito all’imperatore ad essere legge vivente in quanto paradigma di virtù, di clemenza  e ad essere esempio di vita come gli antichi patriarchi (Abramo, Isacco) che sono legge non scritta in quanto con la vita testimoniano la retta via agli altri uomini?
Caligola in quanto dikaiotatos è al di sopra della legge, è  theos.
L’esempio poi diretto di Mosé Theos e basileus, in quel momento, potrebbe avere un certo rilievo, potrebbe essere un modo di agire di un ebreo che cerca una sua partecipazione nel quadro della ektheosis imperiale, secondo una logica ebraica.
Dunque, bisogna propendere per una stesura dell ‘opera dopo il 38, e quindi leggere in relazione ad una volontà parenetica e protrettica di Filone che, ispirandolsi a Mosé,  in questo modo diventa esemplare poi per i Christianoi dell’epoca flavia, tesi a definire Gesù anhr theios.
Ma..quale potrebbe essere quella effettivamente pensata da Filone, in una tale situazione così tragica per tutto un popolo che è sul punto di un totale annientamento, più grave perfino di quello sofferto sotto Hitler?
Con questa inversione antitetica di termini Filone sta costruendo sull’esempio di Mosé re e dio (I ,160-162), Nomotheta, profeta e sommosacerdote una figura sincretistica da cucire per il personaggio Gaio Giulio Cesare Germanico Caligola?
E questa figura servirà  poi, invece, ai cristiani per la creazione della tipologia di Christos basileus e Theos ?
Bisogna, comunque, escludere che un giudeo, seppure scismatico, possa mai pensare che ci sia identità tra una  creatura e il suo creatore,  tra Mosé-uomo e il suo Dio e quindi identificazione ed assimilazione tra Caligola e Zeus/JHWH.
Infatti Filone interpreta in altri passi  (Quod deterius potiori insidiari soleat, 162 ) come il saggio (spoudaios, non sophos ) sia Theos  cioè  uomo di virtù divino, rispetto all’aphron (stolto), senza essere Dio,  essendo solo anthropos theou,  apparendo divino solo all’immaginazione umana.
Anche in De  Mutatione nominum. 125, parlando di Mosè, (che ha ricevuto molti nomi  in quanto è primo tra i profeti) lo definisce uomo di Dio e dio per il faraone (Pharaooi Theos).
Precisa questo concetto in Quod omnis Probus, 43, in cui mostra che chi  è catturato dall’amore divino ed onora solo Dio, non è uomo, ma è Dio (nell’ambito ristretto degli uomini e della natura ), sebbene il titolo effettivo sia solo di padre del tutto, a cui l’uomo divino theios  è caro ( Philos Theou).
In questo senso Mosè è Dio e re tra gli uomini e in natura grazie alle sue qualità e capacità.
Ora Filone mettendo insieme il pensiero ellenistico, che si è sviluppato da Platone  fino ad Epicuro (Lettera a Meneceo, in niente è simile  ad un uomo il vivente che vive in pensieri immortali)  e la mistica giudaica con l’esperienza della teofania del Sinai e  con lo stesso tema della regalità,  approda ad una nuova concezione  dell ‘imperatore-Dio Caligola?
Tale operazione è proprio di una mente ebraica, che cerca una sua ameicsia (non mescolanza) con la propaganda greco-ellenistica e  che tenta  di dare una giustificazione del principato caligoliano, secondo la torah, agli ebrei della diaspora? …
Cerchiamo di capire meglio.
Theios anhr, allora, avrebbe un significato del tutto diverso da quello della cultura ellenistica?
Mi sembra opportuno per prima cosa precisare che Filone nella sua esegesi mette insieme vita contemplativa e vita attiva in quanto fonde etica e società, teoria  e prassi.
In Vita contemplativa  i terapeuti vivono  come uomini cari a Dio e perciò sono presentati come modello di perfetti (teleioi)  perché spirituali  al servizio della divinità: Mosè è come un contemplativo che serve Dio  ma  incarna anche  il re perfetto in quanto ha il privilegio di  comunicare con Dio di conoscerlo e  di vederlo…
Allora Caligola basileus e Theos, che parla con Zeus  e con Selene,  ed ha rapporti intimi con le dee  è da leggersi secondo l’esegesi filoniana di Mosè theos e Basileus?
La regalità di Mosé, però,  è completata dalla divinità mistica e profetica come si rileva nel momento della morte del Legislatore ( Vita di Mosè III, 199-201,  223- 226).
Mosè, perciò, è anche lui la legge stessa e legge vivente.
Ora Filone usa la terminologia  ellenistica o quella ebraica?  il termine Theos e il sintagma nomos empsuchos devono essere letti ebraicamente, anche se derivati da una cultura ellenistica  a partire da Archita di Taranto (428-347a.C.) (Peri nomou kai dikaiousunhs  ap. Stobeo ,IV,1, 132 Wachsmut-Hense= 33,7Theskeff: nomon de o men empsuchos basileus, fino a Musonio in Oti Philosophhteon kai tois Basileusin (Stobeo,IV,7,67 Wachsmuth-Hense)  e a Plutarco  (Moralia, Ad principem ineruditum, 780 c ) nel I secolo d.C. ?….
E come ?
Il  Come forse Filone lo diceva negli altri tre libri che costituivano l’opera Peri toon aretoon, da noi esaminata in altri  momenti e in altre sedi: noi brancoliamo nel buio.
Da Filone, comunque, viene la lezione di un  Caligola  Nuovo Mosè, da cui i christianoi dalla fine del I secolo  fino a tutto il II secolo e III secolo identificarono  ( a cui poi assimilarono) Gesù  come  nuovo Mosè e  trassero lo spunto,  copiando a volte la terminologia ed adattandola a Iesous Christos Kurios, specie per quanto riguarda didaskalos  (Rabbi) ed  anhr theios…