E’ pubblicato con E. Book Narcissus il XVIII libro di Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, con testo a fronte di Samuel Naber, traduzione, note e commento di Angelo Filipponi.
E’ un libro di grande interesse storico per le testimonianze su Ponzio Pilato, su Gesù – il Testimonium Flavianum (63-64)- e su Giovanni Battista (117,118,119)
E’ una novità assoluta per la presenza del testo greco e per l’esame tecnico di uno studioso, che da decenni opera sul Testo di Flavio, dopo aver lavorato anche su quello di Filone.
La pubblicazione viene fatta dopo i lavori storici su Giudaismo Romano e su Caligola il Sublime, anche se la traduzione di Antichità Giudaiche è stata ultimata da quasi un decennio.
Il XVIII libro è dedicato al Preside Prof. Alighiero Massimi, eccezionale insegnante di Latino greco e vero maestro di vita per quasi tutti i migliori uomini di cultura della nostra provincia.
La copertina è dell’artista Niceta Cosi.
Il lettore può leggere di persona il testo greco sulla testimonianza su Gesù Cristo (conosciuta come Testimonium flavianum 63-64) e la testimonianza su Giovanni Battista (117,118,119). Inoltre può conoscere la figura di P. Sulpicio Quirinio, governatore di Siria che indisse il censimento, quella di Ponzio Pilato e di tanti altri personaggi di grande rilievo nella storia Romana ed Ebraica…
Ad una lettura superficiale, il XVIII libro di Antichità Giudaica sembra non avere una sua unità in quanto Giuseppe Flavio tende a raccogliere in una successione temporale i fatti, che vanno dal 6 d. C. (esautorazione di Archelao) al 24 gennaio del 41 (morte di Caligola).
L’arco temporale descritto, essendo lungo, abbraccia tanti avvenimenti, che riguardano la storia del giudaismo, visto nelle sue tre anime, palestinese, ellenistica e parthica.
Avendo Flavio una concezione unitaria del corpo giudaico, di etnia ebraica, pur nei diversi contesti, ne rileva, facendone una comune storia, la drammatica esistenza, leggendo le tappe di una tragedia, di cui sono segnati i momenti più cruenti, in una quasi cadenzata ricorrenza di sventure – da qui, forse, il mythos del lamed vau (del trentaseiesimo, destinato a versare il proprio sangue per la vita dei confratelli), della necessità dell’immolazione di un fratello per la salvezza degli altri-.
La storia, dunque, descritta in modo ordinato come denuncia dei fatti, risulta anche apologia di un popolo grande, che vive diviso dal confine dell’Eufrate tra l’impero romano e quello parthico, ma ha una comune religione e l’aramaico come comune lingua.
Il Diciottesimo Libro è, perciò, la risposta di uno storico ebraico di epoca Flavia, da una parte, polemica e da un’altra, apologetica, fatta secondo linee e forme autorizzate dalla corte: entro questo schema, l’autore può, rimanendo ligio alle prescrizioni flavie, cercare di difendere, sempre in modo moderato, un popolo così vilipeso, così mal trattato, così sfortunato.
Così scrivendo, Flavio fa una Storia-bibbia, da leggere ed interpretare in quanto lui stesso, in Autobiografia, ha indicato le chiavi di lettura, mostrando la sua scelta farisaica, pur rimanendo profondamente sadduceo e indicando se stesso come sophistes, cioè dottore, ermeneuta e profeta come Giuda il gaulanita, fondatore della airesis – setta degli zeloti.
La sua pagina, perciò, non solo deve essere studiata, ma soprattutto deve essere letta secondo gli schemi sacerdotali e farisaici, le cui matrici, pur contraddittorie ed a volte oppositive, non permettono un’effettiva conciliazione se non in un giudeo di superiore cultura, corrotto e naufragato, oltre tutto, a contatto con l’ellenismo e con la romanitas, quiritaria, dominante nella corte flavia.
La lettura perciò è mista (litteralis e spiritalis) da cui derivano due verità, una connessa con la realtà storica ed un’altra che va oltre i fatti, in una interpretazione di natura allegorica ed anagogica…
Sul piano storico il XVIII libro di Antichità giudaiche sottende un messaggio di una riunificazione, mediante annessione dell’area giudaica parthica entro il potere romano, dopo conquista dell’impero parthico…
07/ 12 /2011