Doppio decalogo di Angelo Filipponi

da Mastreià

Postilla dello scrivente

Tempo fa, prima  dell’incidente mortale, mi diede alcune pagine dattiloscritte  intestate ad un figlio o  ad un lettore filiale, in cui era scritto un decalogo con una premessa: come mi fu data, io, Tonino Cappucci  trascrivo.

Premessa

Mi sento come un vecchio che ha un migliaio di anni, che ha seguito i percorsi dell’uomo, nella storia, e in natura,  vivendo in società e in solitudine, ora attivo ora passivo spettatore, facendo molti errori e maturando un metodo, come frutto di esperienza, di lavoro, di sbagli, di rettifiche, di accomodamenti, di adattamenti situazionali, sempre vari e nuovi.

La  contemporanea vita di lavoro e di studio ha permesso l’integrazione dei dati esperienziali con la lettura,  la meditazione col silenzio.

I dati del lavoro senza l’abilità del leggere e la coerenza della  logica associativa creano solo un artigiano, tecnicamente dotato, la logica applicata determina solo il filosofo, la retorica speculativa porta tramite l’ermeneutica,  alla formazione del teologo.

Il saper leggere, studiare e fare, congiunti, in situazione, mi hanno fatto procedere, pur sbagliando continuamente,  e  costruire qualcosa  di nuovo, che si forma lentamente, costituendo un fondo   di insania che  risulta  utile sapienza, nonostante l’opposizione alle regole tradizionali: io ho  considerato negativa per l’umanità l’impostazione classica (Greco-romana-giudaica) basata sulla auctoritas, definita da me “ theoria” e  ho stimato deleterio per l’uomo il militarismo germanico, e l’elezione dell’ uomo, per me creatura come ogni altro animale, materia .

Ho dovuto cancellare la mia cultura classica perché bollava come animale il popolo, considerava come sordide le artes, considerava privilegiati i ricchi e i nobili, gli unici capaci di avere pensieri, di congiungerli, di concludere, di valutare, di giudicare, di svolgere la funzione umana elitaria, da Viri civiles/politikoi  profetici: la lettura giudaica  del classicismo  fusa con quella ecclesiale medievale ha sancito, nei secoli,la superiorità dei” boni “e l’eccellenza dei santi ed ha scavato un abisso tra il popolo e l’élite, tra i dominati e i dominanti.

Il mio amore per la paritarietà e per la democrazia, come rispetto di tutti coloro che pensano e perfino dell’animalità mi ha allontanato ogni giorno di più dalla theoria classica, in cui era scritta la logica procedurale dei greci, dei latini, dei  giudei farisei e dei medievali e dei  controriformisti, che avevano applicato fedelmente e rigidamente la paideia alessandrina ebraica, tramite i grandi Cappadoci  e i padri Occidentali.

Non ho potuto sopportare mai l’arroganza dei militari, che procedono solo per schemi e che ripercorrono il militarismo romano e soprattutto la logica procedurale arimannica barbarico-germanica, propria dell’aristocrazia italiana ed europea.

Perciò tenendo sempre di mira la paritarietà dell’uomo, vedendo l’intelligenza in ogni bambino, anche se svantaggiato, la capacità di ognuno, seppure differenziata, ho cercato di favorire la crescita di ogni soggetto,  desideroso  di  dare autonomia e libertà creando  per i singoli solo paradigmi operativi, in modo da  permettere scelte continue e sollecitare motivazioni o indurre ad errori palesi di facile rilievo, per un’autocorrezione costruttiva.

Il  metodo permette di  leggere ogni cosa  come testo, non solo il codice  scritto o orale, ma anche l’azione sottesa, il pensiero perfino non manifesto, perché viene studiato il termine, non solo filologicamente ed etimologicamente, nel suo vero significato, ma soprattutto come storia in atto, che si fissa, creando una ragnatela ordita in tessuti linguistici, come espressione reale di una cultura operante, scritta dai vincitori, secondo la theoria  classica  ma implicante le classi dipendenti e il volgo anonimo, che possono essere rilevati.

L’essere stato spettatore neutro del farsi della storia,  capace, però, di orientare chi mi è stato vicino, nel rispetto dell’altro, simile a me, ma differente, nella coscienza di essere un soggetto libero, decondizionato dalla storia e non limitato da pregiudizi religiosi,  mi autorizza a professarmi saggio e a scrivere un doppio decalogo, ad uso familiare, certo, come un testamento spirituale, per una meditazione fattiva.

Ai miei, comunque, dico di non pensare mai ad un qualcosa di perfetto, né ad una persona che abbia perfezione, perché niente di ciò che è umano ha possibilità concrete di effettiva sublimità, ma solo una qualche parvenza, mista ad un’infinità di debolezze e di deficienze, che devono essere riviste, corrette e positivizzate, alla luce dell’ esperienza.

Solo se si legge attentamente una persona come uomo, si comprende la sua fragilità in ogni senso, ma anche la sua grandezza che consiste  solo nel superamento graduale delle deficienze e nel conseguimento momentaneo di uno stadio di serenità divina, subito perduto a seguito di sopraggiunti squilibri, a cui segue un lungo tentativo di riequilibrio faticoso e difficile.

In tali fasi di equilibrio e di squilibrio l’uomo  non è mai sanus e moderato  ma insanus  apparentemente: egli  esprime non un suo lineare e moderato iter, ma uno zigzagato percorso, orientato forse verso un’unica direzione, alla ricerca di una propria felicità, irraggiungibile, ma sempre in modo incerto, confuso, ora razionale ora fiutante come un cane, indeciso, una povera creatura che cerca una sua dignità.

Ne deriva che il decalogo negativo e quello positivo non sono tassativi, ma solo spie di un procedere di un uomo, che non vuole porsi come modello, come exemplum, ma come uno che si è espresso paradigmaticamente, oltre i condizionamenti e fuori delle regole di buon costume e di moderazione classica, ed autonomamente, cosciente della irripetibilità della vita singolare umana.

 Il Decalogo è costituito da due parti: uno negativo perché impostato prescrittivamente come i comandamenti, subito corretto  con enunciazioni; l’altro positivo, di forma iussiva, all’imperativo, commentato non secondo il dogmatismo accademico, ma con paradigmi operativi.

 Non magnanimo consolatium sed misero comites habere penantes!

a.Decalogo negativo

1.Non chiedere mai niente a nessuno: puoi sempre fare da solo ogni cosa.

A che serve chiedere un consiglio? Nessuno meglio di te può consigliarti perché tu conosci la situazione, l’ambiente, le persone coattanti e te stesso e tu solo devi decidere.

Ma è una cosa utile? se è necessaria, te la compri e la usi quando vuoi; se è costosa,  è qualcosa di voluttuario, di cui puoi fare a meno.

Ho bisogno di aiuto! chi ti dà un dito, crede di averti dato un braccio e magnifica ciò che ha fatto per te e diminuisce la tua opera, specie se si sente superiore.

Chiedo solo un regalino! Chi regala  non è mai disinteressato, ha di mira qualcosa a breve o a lunga scadenza: non esistono più i nobili munifici, ma ci sono solo sponsors che magnificano il prodotto e sono di matrice agricola. Tu non accettare mai nulla, ma rifiuta, altrimenti sei compromesso e non sei libero: anche un caffè, offerto da un padre di un tuo alunno, pesa sulla tua valutazione.

Chi fa da sé fa per tre ed è padrone di sé.

2.Non parlare: non serve né a te né agli altri perché  la parola è vuota chiacchiera e se non è vuota, non è comunicabile perché l’altro legge solo dalla sua angolazione, spinto dall’invidia  o dalla superbia: solo chi non parla, fa e propone oggettivamente e sa fare. Ricorda!

3.Non pensare: chi fa, sicuramente ha già pensato, ideato e progettato, pianificato; tu medita su ciò che ti viene detto, senza interpretare e senza emozioni, studiando la storia e l’azione dell’emittente: l’azione fatta deve essere esaminata; su di essa bisogna operare, non sul pensiero.

4. Non inseguire ciò che desideri: tutto ti viene naturalmente e a tempo opportuno, come la pioggia, specie la donna: meno ti agiti, più ti segue chi ti vuole seguire e non curare gli altri che non ti seguono: la tua serenità serve a tutti gli incerti e dà loro sicurezza!.

5.Non seguire un altro: tu sei il maestro se operi, se sbagli, se insisti nelle operazioni con continuità, se apri un’altra via rispetto  a quella  nota, propria della tradizione.

6.Non soffrire: ciò che accade, deve accadere, ciò che accadrà non può non accadere: tu accetta tutto con un sorriso, da pazzo, non hai altra possibilità!.

7.Non lamentarti mai: a nessuno interessa la tua voce e tanto meno il tuo lamento, neanche a tua madre, a tua sorella, a tua moglie: ognuno ha i suoi problemi e un egoismo personale, che va oltre la solidarietà familiare; sii paziente e scemo: sarai più amato e rispettato, più stimato.

La pietà altrui è cristianamente falsa: Poveretto è segno non di partecipazione emotiva, neppure istantanea, ma di commiserazione momentanea e di sottesa superiorità

 

  1. Non credere. Ogni sistema religioso è un continuum di verità storicizzate mediante concilia fatti alla fine di una o due o tre generazioni da sacerdoti di qualsiasi credo – che detengono non la verità, ma il potere della parola-verbum – per l’indottrinamento dei profani: un’aggiunzione verbale dopo l’altra ad un’idea di verità inizialmente accettata in un dato momento  storico, determina con i secoli una verità sempre più comprovata, indiscussa, santificata dal tempo, dogmatizzata.

Un Dio, che non regola la vita cosmica, che non giudica l’uomo, né gli altri animali, c’è, come motore iniziale, forse, come vita stessa della vita, di cui la creatura è partecipe, come essenza divina infinitesimale di un quid naturale divino infinito,  non dotato di qualità positive né negative, atomo di una cellula universale pulsante in eterno, in armonia.

Non esser, dunque, così cattolico e così piccolo da ritenerti divino padrone delle cose e centrale sulla terra e nell’universo, perché dotato di intelligenza: noi non sappiamo niente della funzione stessa intellettiva né degli altri esseri razionali perché crediamo di essere i soli a valutare e perché la nostra valutazione è propria di un egocentrico bambino, signore dell’universo: siamo solo un sacco di merda, in cui c’è una  perla!. Siamo vita e morte, morte e vita e non abbiamo bisogno di redentori, perché non pecchiamo ma siamo solo uomini secondo natura! Nonostante il male noi siamo preziosi!

9.Non invidiare: ognuno ha sofferto, pianto, lottato per raggiungere ciò che ha raggiunto: anche la fortuna si merita.

Tu non guardare l’altro e fa la tua strada, in silenzio, lontano da tutti, come se vivessi solo o fossi nel deserto o nel mare.

Così arricchirai te stesso e ti conoscerai e conoscendoti conoscerai gli altri e li rispetterai, amerai e darai parte di te, perché  empatico, entusiasticamente capace di gratitudine per un niente, ricevuto!.

 

10.Non essere docile: solo se tu non seguirai il padre, il sacerdote, il maestro, che pur dovrai rispettare, tu capirai la parola, la possederai e sarai in grado di crescere  perché in silenzio, lavorando, comprenderai ciò che fai e il suo significato avrà un peso referenziale.

I maestri  mandano messaggi di una tradizione che poi, capìta, dovrai rifiutare e  da cui dovrai decondizionarti per quasi tutta la vita: essi predicano e non dicono niente; essi connettono arbitrariamente il presente col passato: parlano di bene ma riempiono di vuoto in una contraddizione di dire e fare.

Tu, se vuoi essere te stesso e vuoi veramente  afferrare la parola, nel suo vero significato, lasciali parlare, ridi  e segui la tua via, anche se errata: qualcosa troverai, migliore certo del vuoto seme cristiano.

Allora la parola, sperimentata, sarà sacra per te perché indicherà la tua lenta, faticosa acquisizione  culturale, segnata in un certo tempo della vita, a dimostrazione di un percorso  personale e della tua crescita.

 

 

Senectus, ipsa, non morbus!

Decalogo positivo

 

1.Ama l’altro più di te stesso ed ama Dio come te stesso: solo così sarai amico, padre, maestro, marito, uomo, avrai una funzione perché già conosci te stesso e il prossimo, in quanto hai convissuto con te a lungo ed hai mangiato un tumulo di sale col vicino, facendo le sue stesse azioni, soffrendo le sue pene, godendo dei suoi successilavorando insieme  e sbagliando spesso, senza scaricarsi le colpe: bisogna, però, che tu hai veramente amato te stesso e sia consapevole della propria dignità, grandezza, individualità, storia, e cosciente delle proprie potenzialità sessuali, dei vizi, dei pregi, insomma  sicuro di ogni forma della propria umanità, senza l’umiltà pelosa dei religiosi, se vuoi considerare l’altro come te e poi fare sacrificio di te per suo amore e dare anche la vita per l’altro.

L’hesed-zedek giudaico, da cui deriva la pietas – caritas cristiana, è costruzione umana  secondo nomos-lex, applicazione come timore di Dio e amore per il prossimo, inutile senza la conoscenza di sé e l’epimeleia eautou: non ci sono state parole logia di un Dio sulla terra, non c’è stata alcuna rivelazione epiphaneia: i vangeli  sono la risultanza di un lungo secolare  lavoro retorico!

2.Rispetta l’altro: lui scrive la sua storia in modo diverso e differente  da te, ma scrive la sua storia, che tu devi tradurre  non pensando a te ma a lui che scrive: è lui il soggetto che scrive le righe di un libro, che costruisce con diverse materie, che trama orditure opposte, forma sistemi contrari, ha idee e credi differenti.

Tu leggi e guarda con rispetto le linee tracciate, non giudicare: tu non puoi perché ti sfuggono infiniti punti, che collegano quelle notizie staccate che tu hai, quelle azioni che tu valuti, quei segni che tu interpreti, quegli sguardi che tu rilevi unilateralmente: tu rilevi solo le differenze, le diversità, le difformità, ma in rapporto a t , alla tua cultura, alla tua storia, al tuo fisico, al tuo sesso, perfino.

Se non giudichi, ma leggi l’altro, tu potrai vedere parola dopo parola, nucleo dopo nucleo, mattone dopo mattone, filo dopo filo, sistema dopo sistema, e capire epistemicamente  l’insieme e l’anima dell’altro ti si rivelerà e tu conoscerai un fratello, un contemporaneo, un altro te stesso, differente, ma come te, creatura nel kosmos.

Perfino verranno annullate la distanza storica e quella geografica: non ci saranno contrasti religiosi, etnici, sociali.

3.Dì poche parole, se proprio devi parlare: ti saranno sufficienti due o tre o quattro parole significative (di solito usa la nominalizzazione o uno o due nomi, più un verbo e una determinazione complementare) e poi, se vorranno sapere, spiegherai, commenterai: la referenza stessa, in quanto espressione della tua esperienza  è già abbastanza per chi vuole capire ed è capace di seguire.

 4.Mastreia sempre: se lavori giocando come un vecchio mastro che opera per lasciare un segno di sé senza compenso, per passare  serenamente gli ultimi anni di vita senza annoiarsi del tempo “lungo” e per far vedere  ai nipoti il suo talento di una volta, tu potrai scoprire la tua genialità nel corso del tuo servizio produttivo sociale, nella funzione che avrai conquistato col mestiere, col diploma, con la laurea, col tuo onore.

Così tu farai uscire, senza l’assillo quotidiano di una produzione industriale, la qualità dei tuoi antenati, e costruirai qualcosa che tu neanche avresti mai immaginato.

5.Leggi come chi studia (non come un dilettante) rilevando ogni termine, catalogando ogni nucleo, analizzando ogni segmento significativo, collegandolo con altri dello stesso tema per una valutazione.

Certo dovrai comparare la lettura di oggi con quella di ieri, con quella di domani e  con le altre che hanno preceduto e che seguiranno per avere una qualche probabilità docimologica, d’altra parte mai esaustiva, ma sempre utile per altre valutazioni, come inizio e parte di un processo comunicativo.

Carpire ad un altro il segreto della vita, espresso secondo una tipica forma è proprio di esseri preparati, pazienti, costanti, capaci di attendere, abili a ricostruire i mosaici logici.

Leggere l’altro è cogliere il miracolo  di una costruzione formale e contenutistica, realizzata mai compiutamente, sempre abbozzata da un artista: la ricerca di segni deve essere meticolosa, maniacale, altrimenti l’area di significazione è mutila e il contesto è solo una determinazione storico-geografica con sottensioni civili, sociali, vagamente umane.

6.Isolati: vivere nel gruppo è proprio del bambino, dell’adolescente e del giovane, che hanno bisogno del contatto fisico per la scoperta dell’io, della propria funzione e dell’amore.

L’ anachoresis è la fase successiva, tipica dell’adulto: è obbligatoria perché ognuno deve conoscere le cose analiticamente, se stesso, le sue effettive capacità, in un tentativo silenzioso  di decondizionarsi dalla propria storia, cultura e radice.

La fase della pazzia, come fuga e ricerca alternativa alla società attuale, determina l’amore effettivo per l’altro e quindi autorizza un ritorno di caritas e di partecipazione  solidale.

 

  1. Vola alto. Tutto ti appartiene: devi solo conquistarlo, non ci sono limiti né confini per l’uomo/aneer theios .

Se lavori con intelligenza, con pertinacia, con continuità tutto è tuo: una goccia dopo l’altra per ore, per giorni, per mesi, per anni, fa un buco profondissimo pure sulla roccia più dura; una goccia intelligente fa disegni infiniti, li realizza conformemente.

L’ orizzonte non finisce mai, il volo tuo non cessa mai, forse neanche la morte lo blocca perché è già allenato all’infinito, il suo regno.

8.Ringrazia per ciò che hai e tutti: tu sei quello che sei e per le cose e per gli altri: la gratitudine è di uomini eccezionali, che sanno capire che sono debitori: tutti gli altri si sentono sempre e dovunque creditori.

Tu ringrazia il mondo che ti circonda con la sua varietà e bellezza; ringrazia  gli uomini del passato, che hanno creato col loro lavoro e col  sangue questa storia, e  i contemporanei che ti fanno ciò che è utile alla tua vita e di cui tu neppure sai il sacrificio: niente entra nella tua casa senza il lavoro di una infinità di mani.

Tu ringrazia Dio di vivere ogni giorno, della salute, del capire, dell’essere nato in un luogo pacifico, tra esseri pacifici, e dì sempre gamzò (anche questo per bene).

 

9.Vivi sapendo di morire, sorridente come un pazzo, che non ha niente e che è libero: la morte non sarà niente per te perché tu sei morto tante volte, sei vissuto varie volte e sei stato un uomo vero, che ha allungato la sua esistenza intelligentemente e che non muore, ma vive , come sempre ha fatto, estaticamente, entusiasticamente.

Non muore chi non ha mai pensato a sé come uomo mortale.

10.Fai combaciare la tua storia personale con quella picena, marchigiana ed italiana, ma sintonizzati con quelle europea e sii cosmopolita: l’uomo non ha patria, ma è figlio dell’uomo, è un dio sulla terra.

Scoprire questo è il tuo compito, il tuo cruccio, la tua sofferenza.

Ama anche la tua  funzionale missione, la tua conquista e la tua  realizzazione, anche se  modesta: è ciò che sei riuscito a fare, ma è una tua produzione, non un’idea.

Nulli, ne morti quidem concedo, allora giustamente potrai dire!