Diaspora (dispersione) viene da diaspeirein (spargere, disseminare), ma deriva specificamente dall’uso passivo di diasparmenoi (dispersi) ed indica un fenomeno proprio del popolo giudaico, che, come altre etnie, costituisce colonie apoikiai, ma le fonda in modo diverso e determina una particolare colonizzazione, costituendo una corrente isolata, in un mare ellenistico-romano, vivendo una vita diversa rispetto alle altre gentes.
In effetti il popolo giudaico ha un rapporto ambiguo con l’impero romano, nel cui seno si è inserito, essendo nella totalità ellenistica, partecipe del sistema commerciale, ma è ai margini, al confine col mondo della Partia, di cui è parte, sia come lingua che come costumi, in quanto è etnia di cultura aramaica.
Traumatica è la posizione dei giudei ellenisti, che, avendo sviluppato un sistema capitalistico, favoriti, prima dai lagidi poi dalla famiglia giulio-claudia, hanno un eccezionale progresso tanto da oscurare le altre etnie e da attirarsi l’inimicizia dei greci.
Essi, da una parte, restano isolati in quanto farisei, per religione costretti a riunirsi in un sistema chiuso e a vivere fraternamente nel rispetto della Legge, da un’altra, però, obbligati ad integrarsi, con l’ellenizzazione e, quindi, a vivere da greci per avere parità di diritti politici e per fare carriera politica, nonostante la diversa cultura, il geloso particolarismo legalistico, il culto del tempio di Gerusalemme e la pretesa di essere depositari della verità, in quanto figli privilegiati di Dio.
Per capire la tipicità della diaspora bisogna leggere attentamente Filone, dal cui studio si ritiene si possa riuscire a spiegare il fenomeno.
Filone è un oniade e, quindi, è erede della fortuna di Onia IV, che aveva costituito il sistema capitalistico in Egitto, ad Alessandria, aveva costruito perfino un proprio tempio a Leontopoli e si era scisso parzialmente dall’ideologia sadducea gerosolomitana: i suoi figli e nipoti nel periodo lagide erano stati uomini di corte, di armi e di cultura ed avevano una loro autonomia nel regno dei Tolomei, da cui erano protetti secondo legge nel loro politeuma, nel tipico modo di vivere la loro cultura.
Gli oniadi si erano organizzati grazie agli appalti , che compravano dalle autorità e grazie alla loro espansione in senso finanziario ed economico, mediante la fondazione di apoikiai colonie giudaiche, esprimendo così superiorità sulle altre etnie tanto da determinare l’invidia commerciale dei greci, dominatori .
La capillare diffusione delle banche trapezai e dei grandi magazzini emporia con la coordinata organizzazione dei compiti e delle funzioni dei trapezitai e di tutti gli altri addetti al sistema finanziario ed economico in tutto il bacino del Mediterraneo, connessa con gli appalti della riscossione della tasse e dei tributi, a favore del potere imperiale, dopo l’avvento dei romani, e con la raccolta del versamento della doppia dracma per il Tempio, aveva determinato un flusso di denaro, di cui i giudei erano gli unici veri garanti.
Entrati nel sistema ecumenico romano, essi prosperarono in modo abnorme in quanto erano superiori per organizzazione, specie nei porti del Mediterraneo, ma anche nel Mar Rosso e perfino nell’Oceano Indiano: facevano da methorioi, da intermediari tra il regno partico e quello romano, grazie alla abilità di cambio di denaro, di prestiti a tasso agevolato ed alle transazioni finanziarie e fondiarie anche sulle coste dell ‘Arabia.
Filone specie in In Flaccum ( 45-46)e in Legatio ad Gaium (281-282) mostra la grandiosità del fenomeno oniade, seguito in questo da Giuseppe Flavio in Guerra Giudaica (II,16,4, VII,3,3) e in Antichità Giudaiche (XIV,7,2 ) e dagli Atti degli Apostoli (III,9-11).
Filone evidenzia il sistema parlando di methorios, sviluppando in questi due libri idee proprie dell’ ebraismo aramaico, Tzedaqah e Tarsha, giustizia-carità e prestito, fondamentali ai fini dell’epopea coloniale e mercantilistica giudaica: la traduzione in termini pratici ed operativi andava oltre la Legge della giustizia e dell’amore per il fratello giudeo, a cui non si doveva né si poteva far prestito, ed autorizzava un’attività commerciale complessa, che anticipava il sistema capitalistico.
Il sistema giudaico morale deve essere letto anche con questa impostazione sottesa, altrimenti la lettura diventa solo religiosa e risulta non fedele alla realtà: Filone, nel corso della sua opera, precisando il pensiero in forme diverse, ritiene che il giudeo viva in modo tipico in mezzo agli altri popoli, considerandolo un esempio morale,un paradigma etico , data la sua ricerca continua e costante di ascesi, pur nel sistema emporistico e trapezitario.
Filone sottende alla moralità giudaica, basata sulle opere e non sulla parola, un sistema di vita articolata su una doppia nazionalità (per un cittadino, direi, con due passaporti), quella della patria (in cui risiede ed è nato, a cui si deve conformare essendo ligio alle sue leggi) e quella di Gerusalemme, per cui il filosofo ama la patria concreta Alessandria e si definisce alessandrino, ma è giudeo, che, al pari di tutti gli altri dispersi, ha la patria ideale nel tempio e in Gerusalemme (Legatio ad Gaium, 193-194), ha suoi diritti politici riconosciuti dai romani e dall’etnia greca alessandrina, rimanendo connesso, però, e subordinato al rispetto di quelli patri della tradizione e della legge, cosciente di essere cittadino di una patria spirituale, universale, in quanto convinto di avere una missione personale, collegata con la missione riservata ad Israele nel mondo.
Filone anticipa la concezione cristiana universale e si pone come paradigma di un superamento nazionalistico, favorendo il processo di integrazioni dei popoli nel macrosistema romano- ellenistico, secondo le linee proprie del principato augusteo, che aveva assicurato pax et iustitia all’Occidente latino ed eirene kai dikaiousune all’Oriente greco, in un tentativo di amalgamare tutte le etnie sotto l’egida romana grazie ad una doppia propaganda, in latino e in greco.
Filone, pur cosmopolita, precisa, comunque, questa sua appartenenza al giudaismo in Legum allegoriae/ Leggi, II,163 quando afferma che il popolo ebraico è per l’intero mondo ciò che è il sacerdote per lo stato giudaico, dimostrando, oltre tutto, la sua specifica connotazione sacerdotale di oniade.
Non è facile capire questa affermazione, dato il carattere sacerdotale oniade e considerata la superbia sacerdotale giudaica: il sacerdote è anche signore, anzi è legittimo signore del potere temporale, come rappresentante di Dio: la Chiesa cattolica nel corso dei secoli ha mostrato esattamente il valore del sacerdozio nei rapporti con lo stato, interpretando in modo progressivo le varie attribuzioni fino alle forme più assolutistiche.
Filone, dunque, in Flaccum così si esprime: Gli ebrei sono tanto numerosi che una sola terra non è sufficiente a contenerli.
Perciò hanno preso dimora in moltissimi paesi, tra i migliori d’Europa e d’Asia , nelle isole e nel continente .
Essi considerano la loro città madre La CITTA’ SANTA, dove sorge il Tempio consacrato all’Altissimo, ma ritengono come patria le città, in cui abitano, per eredità lasciata loro dai padri, nonni, bisnonni e da antenati ancora più lontani, città in cui sono nati e sono stati allevati.
In Legatio ad Gaium, nella lettera di Erode Agrippa a Gaio Caligola, Filone precisa il fenomeno della diaspora e ne mostra la grandiosa diffusione parlando di Gerusalemme e del tempio.
Agrippa scrive: Gerusalemme è la mia patria ed è la metropoli non solo della Giudea ma anche della maggior parte degli altri paesi a causa delle colonie, che ha mandato in tempi diversi nelle terre confinanti- Egitto, Fenicia, la cosiddetta Celesiria e il resto della Siria- in terre lontane, come Panfilia, Cilicia, gran parte dell’Asia minore fino alla Bitinia e fino alle regioni estreme del Ponto – e così, pure in Europa ad Argo, a Corinto e in gran parte delle zone migliori del Peloponneso. E non solo i continenti sono pieni di colonie ebraiche ma anche le isole più celebri come Eubea, Cipro e Creta. Non parlo poi delle regioni al di là dell’Eufrate, in quanto , eccettuata una piccola zona, tutte hanno colonie giudaiche: così Babilonia e le altre satrapie che possiedono terra fertile entro i loro confini.
Filone fa poi aggiungere ad Agrippa che se Caligola accorderà il suo beneficio alla città santa lo farà anche ad infinite altre, situate in ogni zona del mondo, in Europa- in Tessaglia, in Beozia, in Macedonia , in Etolia, in Attica in Asia in Libia, sui continenti e nelle isole, lungo le coste e all’interno.
Filone con questa ultima precisazione mostra come la diffusione della diaspora sia stata ampia e come tutto il mondo abbia colonie giudaiche: perfino ai margini del mondo conosciuto c’erano mercanti giudaici (Elefantina e bassa Nubia, Ceylon, Marocco, Gallia).
Secondo i miei calcoli il giudaismo romano doveva avere un consistente numero di uomini (oltre 3.000.000) senza contare quello parthico , certamente superiore ad un 1.000.000, per cui il popolo ebraico era una delle popolazioni più numerose dell’impero che contava poco più di 50.000.000 di abitanti su una superficie di oltre 3.000.000 km quadrati (cfr Angelo Filipponi, Caligola il Sublime, Cattedrale, 2008).
Un così gran numero di Giudei della diaspora europea (quasi 2.500.000) come viveva ?
I giudei vivevano con doppia nazionalità e quindi con doppia cultura ed erano invidiati ed odiati in ogni città del Mediterraneo, specie nei porti, per la loro superiorità finanziaria e culturale rispetto alle varie etnie in quanto essi, procedendo con la tzedaqah (fare atto di giustizia e quindi elargire in modo tale da mettere il fratello alla pari col proprio sistema di vita e da tradurre in lavoro qualificato l’elemosina o in prestito a fondo perduto) avevano attirato un’infinità di proseliti e costituivano un grande popolo, che per di più dominava l’economia mondiale non solo romana ma anche parthica.
Infatti essi erano i capitalisti (cfr V.A. TCHERIKOVER, CPJ I.489 ), poristai, trapezitai (banchieri ), armatori (naukleroi) e mercanti (emporoi – commercianti all’ingrosso o capeloi – dettaglianti) capaci di diffondersi mediante una specie di catena di S. Antonio capillarmente in ogni parte del mondo in cui formavano una colonia, costituendo un proprio politeuma (organizzato sistema politico amministrativo) con sinagoghe, sinedrio ed etnarchi locali con funzioni di norma sacerdotali, rispettati e temuti dalle autorità romane e da quelle parthiche, da cui nel corso dei secoli avevano avuto privilegi e riconoscimenti statutari speciali.
Di norma erano quasi tutti politai/cives cioè uomini che godevano della esenzione delle tasse/atèleia, in quanto cittadini romani, riveriti dalle alle amministrazioni locali, stimati dal sinedrio gerolosomitano e da quello dei singoli demoi egizi, venerati dalle comunità provinciali, desiderose di essere da loro patrocinate.
Perciò si può effettivamente dire che il giudaismo della diaspora è certamente l’etnia dominante, perfino su quella greca.
La guerra romana del 66-73 è l’epilogo di un lungo e, direi, continuo stato di belligeranza, che covava nel seno dell’impero, tra le etnie nelle varie città, più o meno grandi del Mediterraneo e in Roma stessa: con la distruzione del tempio, Roma aveva pensato di debellare il giudaismo, tagliando la testa al mostro, ma la soluzione romana al problema non si verifica neppure dopo la nuova insurrezione del 115-6 in epoca Traianea, ma solo alla fine della rivolta di Shimon bar Kokba nel 134-5, con Adriano, che distrugge la stessa città simbolo, la metropolis del giudaismo e determina la Galuth, la vera e propria dispersione definitiva, con fuga nel Regno partho di un grande numero di giudei, che ora davvero sono senza più patria.
Da quell’epoca gruppi giudaici e giudeo -cristiani si ricompattano e sotto varie forme, vivono ai confini dell’impero romano, e penetrando lentamente in tutta l’Arabia, si riuniscono in tribù e clan ebraici attivi perfino ancora nel periodo di Maometto.
Ci sono altri gruppi sempre di Giudei misti a giudeo-cristiani, che si stanziano in India, provenienti parte dall’Iran, parte dall’Egitto (foce pelusiaca)…